venerdì 28 marzo 2025

LIBIA - Sabratha


Il sito archeologico di Sabratha è situato sulla costa mediterranea, a circa 1,5 km a nord ovest dal centro della moderna Sabratha, in Libia. È oggi fruibile grazie al lavoro compiuto nel 1920 dagli archeologi italiani, diretti da Renato Bartoccini (a quel tempo ispettore presso la "Soprintendenza ai monumenti e scavi della Tripolitania"), che hanno riportato alla luce e parzialmente ricostruito gran parte dei reperti oggi presenti nell'area.
Quando la Libia divenne una colonia italiana, il sito di Sabratha fu oggetto di scavi da parte di Renato Bartoccini prima e Giacomo Guidi poi (a partire dal 1928). Dal 1932 Guidi si occupò della ricostruzione della scena del teatro romano (oggetto di scavi dal 1927), sulla base dei filari di muratura ancora in piedi e delle numerose colonne rinvenute. I lavori si conclusero nel 1937 ad opera di Giacomo Caputo e il teatro fu inaugurato alla presenza di Benito Mussolini con una rappresentazione dell'Edipo re" di Sofocle.
Il monumento più importante del sito è il grande teatro romano, localizzato nella zona est. La data di costruzione non è certa, si ritiene sia stato realizzato tra il II ed il III secolo. La parte più spettacolare è costituita dal muro della scena, che è formato da tre piani con colonne di marmo sovrapposte. Anche la scalinata è ben conservata e offre uno spettacolo suggestivo. Si calcola che sui suoi 11 gradini circolari potessero trovare posto circa 5.000 persone.
Nella zona ovest si trova il Forum con alcuni templi e altri monumenti. Fra questi il tempio di Antonino Pio, il tempio di Giove e la Basilica cristiana fatta costruire da Giustiniano con il pavimento a mosaico (visibile nel museo). Altri mosaici colorati molto ben conservati sono visibili nelle terme prospicienti la spiaggia.
Altri interessanti monumenti di epoca romana sono: il Tempio di Liber Pater, il Tempio di Serapide, il Tempio di Ercole e, nella zona est, sul mare, il Tempio di Iside.
Nella zona ovest, al di qua delle mura bizantine che circondano il Forum ed i templi romani, si trova il mausoleo di Bes. Trattasi di una costruzione del II secolo a.C. in stile architettonico punico-ellenistica molto simile a quello del "Mausoleo di Massinissa" a Thugga. Questo mausoleo è stato in gran parte ricostruito da archeologi libici dopo il 1920.
A meno di un chilometro di distanza dal sito, in direzione ovest, alla periferia della città, si trovano i resti dell'anfiteatro romano costruito nel II secolo d.C. che poteva ospitare circa 10.000 spettatori. Le gradinate sono abbastanza ben conservate e sono ben visibili le gallerie sotterranee utilizzate per far entrare le belve nell'arena.
Il sito è completato da due musei: il Museo Romano ed il Museo Punico. Il primo contiene oggetti ritrovati nelle tombe di Sabratha, mosaici e statue. Notevole un busto di Giove. Nel museo punico il reperto più interessante è una statua che rappresenta il dio Bes.

(da Wikipedia, l'enciclopedia libera)


LIBIA - Apollonia

 

Apollonia era un'antica colonia greca della Cirenaica i cui resti si trovano presso la città libica di Marsa Susa. Apollonia era il porto della vicina città di Cirene, da cui distava circa 13 km. Faceva parte della Cirenaica, regione dell'odierna Libia nord-orientale.
La fondazione della città risale al VII secolo a.C. per opera di coloni greci. La città faceva parte della cosiddetta Pentapoli cirenaica, di origine greca, insieme a Cirene, a Berenice (l'attuale Bengasi), a Arsinoe (l'odierna Tocra), e a Barca (l'odierna Al Marj) il cui porto era allora Tolemaide che si aggiungerà alla pentapoli.
Nel 331 a.C. fu conquistata da Alessandro Magno e alla sua morte restò nella sfera di influenza ellenistica del Regno Tolemaico d'Egitto.
Nel I secolo fu conquistata da Roma e divenne un municipio indipendente rispetto a Cirene. Nel 300 fu elevata da Diocleziano al rango di capitale della neonata provincia della Libia Superiore.
In quell'epoca fu ribattezzata Sosouza ("salvatrice") per la divinità che vi era venerata (probabilmente Iside).
Nel 365 subì ingenti danni a causa di un terribile terremoto verificatosi a sud ovest dell'isola di Creta (Grecia) e del conseguente tsunami che si abbatté su tutta la Cirenaica per cui gran parte della città fu inghiottita dal mare.
All'inizio del V secolo conobbe un rinnovato splendore diventando un porto strategico della flotta bizantina. Nel VI secolo fu ulteriormente fortificata durante la cosiddetta Ananeosis (Ἀνανέωσις), cioè la rinascita della Cirenaica, voluta dall'imperatore Giustiniano.
In seguito alla conquista araba del VII secolo, però, la città si andò spopolando fino all'abbandono definitivo nel medioevo. Solo nel corso del XIX secolo si ripopolò di musulmani profughi provenienti dall'isola di Creta che le diedero il nome dell'attuale città araba, Marsa Susa, ricavandolo da quello antico di Sosouza.
I resti archeologici di Apollonia comprendono edifici risalenti alle tre civiltà che si sono succedute nel governo della città: greca, romana e bizantina.
All'epoca greca appartengono le mura, ricostruite nel III secolo, e il teatro greco scavato nella roccia, anch'esso ricostruito dall'imperatore Domiziano.
Risalgono all'epoca romana le terme, fatte costruire dall'imperatore Adriano.
Dell'epoca bizantina restano le basiliche a ovest, al centro e a est ed il palazzo del governatore.
In mare, abbastanza vicino alla riva, si trovano alcuni relitti di navi e resti di colonne greche e romane.



MAROCCO - Volubilis

 


Volubilis (in berbero: ⵡⴰⵍⵉⵍⵉ ) è un sito archeologico romano, situato ai piedi del monte Zerhoun, a 27 km a nord di Meknès, e a 80 km a nord-est dell'Atlante. È il sito archeologico più noto del Marocco ed è inserito nell'elenco dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.
Questa località, già abitata nel neolitico, subì l'influenza cartaginese, fu poi un regno berbero indipendente e infine venne romanizzata. Augusto vi stabilì un regno "cliente", ponendo sul trono Giuba II - figlio di Giuba I e nipote di Massinissa sovrani di Numidia - e la moglie di costui, Cleopatra Selene. La giovanissima regina - figlia di Cleopatra VII la Grande e di Antonio - era stata, come il marito, educata a Roma nella cultura latina e greca. I due regnarono congiuntamente avendo per capitali sia detta Cesarea sia Volubilis, costruirono per sé una tomba di tipo "imperiale" a
Tipasa, scrissero opere di notevole interesse storico e geografico delle quali si ha traccia soltanto negli autori più tardi; ebbero un figlio, Tolomeo, che regnò dopo di loro fino al 42 d.C., quando fu ucciso per ordine di Caligola.
Il regno di Mauretania, che comprendeva tutto il nord dell'attuale Marocco e gran parte dell'Algeria costiera, venne soppresso ed annesso all'Impero, diviso in due province: Mauretania Tingitana (la parte corrispondente all'attuale nord Marocco, da Tingis oggi Tangeri ) e la Mauretania
Cesariensis. La Mauretania era collegata alle strade imperiali che attraverso la Spagna arrivavano alle Colonne d'Ercole. Una volta divenuta residenza del procuratore, Volubilis ebbe il comando del limes della Mauritania Tingitana ma nel 117 subì attacchi da parte dei Mauri, capeggiati da Luzio Quieto; infine, nel 168, per difendersi dagli attacchi delle tribù berbere venne eretto un muro di cinta attorno alla città. Fu abbandonata dalle autorità romane verso il 284-285 e rimase fuori dai nuovi confini della provincia fissati da Diocleziano.
Anche se ad un certo punto l'acquedotto che alimentava la città cessò di funzionare, le iscrizioni
superstiti attestano che verso la metà del VII secolo vi fu ancora una civiltà latina e cristiana che proseguì (così sembra) sino all'arrivo degli arabi. Il sultano Idris I, nel 789, vi stabilì la sua capitale. Il declino di Volubilis iniziò con il regno di Mulay Isma'il, il quale utilizzò i marmi della città per abbellire i palazzi di Meknès. Nel 1755 fu la volta di un funesto terremoto, che la rase al suolo. Solo nel XIX secolo furono avviati gli scavi per recuperare quanto oggi si può ammirare.
Oggi si possono ammirare resti imponenti quali la basilica che presenta due esedre contrapposte,
il capitolium dei Severi (nel Foro), templi risalenti al I secolo, l'acquedotto e le terme. Poco prima dell'ingresso ovest si trova un imponente arco di trionfo costruito da Marco Aurelio Sebastiano in onore di Caracalla, come testimoniano i nomi suo e di sua madre, scolpiti sul frontone. Proseguendo verso sinistra (in direzione SSO) dopo il Foro e la basilica più a sud si giunge ai bagni pubblici.
È caratteristica la presenza in numerose case di frantoi e vasche per la produzione dell'olio d'oliva. Sono riconoscibili quattro porte, la principale delle quali, collegata alla strada proveniente da Tangeri, immette nel decumanus maximus che prosegue fino all'ingresso ovest. Lungo il decumano si trovano i resti di numerose case decorate con mosaici policromi, alcuni dei quali in ottime condizioni di conservazione. Tra i più importanti quelli situati nella casa di Orfeo (Orfeo con lira che incanta gli animali, Anfitrite su biga trainata da ippocampo, i nove delfini), nella casa del corteo di Venere e nella casa delle colonne.

MAROCCO - Ait-Ben-Haddou

 

Ait-Ben-Haddou è nata come città fortificata, o ksar, lungo la rotta carovaniera tra il deserto del Sahara e l'attuale città di Marrakech. Si trova sul fianco di una collina lungo il fiume Ouarzazate. Il Ksar è considerato un ottimo esempio di architettura marocchina in terracotta ed è protetto dall'UNESCO come Patrimonio dell'umanità dal 1987.
Il sito dello ksar è stato fortificato a partire dall'XI secolo durante il periodo della dinastia degli Almoravidi. Si ritiene che nessuno degli edifici attuali risalga a prima del XVII secolo, ma probabilmente furono costruiti con gli stessi metodi e progetti di costruzione utilizzati secoli prima. L'importanza strategica del sito era dovuta alla sua posizione nella valle di Ounila, lungo una delle principali rotte commerciali trans-sahariane. Il passo Tizi n'Tichka, raggiungibile tramite questo percorso, era uno dei pochi percorsi attraverso la catena montuosa dell'Atlante, attraversando Marrakech e la valle del fiume Draa ai margini del deserto del Sahara. Altre kasbah e ksour erano situate lungo tutto questo percorso, come la vicina Tamdakht a nord.
Oggi lo ksar è abitato solo da poche famiglie. Lo spopolamento nel corso del tempo è il risultato della perdita di importanza strategica della valle nel XX secolo. La maggior parte degli abitanti locali ora vive in abitazioni moderne nel villaggio sull'altra sponda del fiume e la loro economia è basata sull'agricoltura e soprattutto sul commercio legato al turismo. Nel 2011 venne completato un nuovo ponte pedonale che collega il vecchio ksar con il villaggio moderno, con l'obiettivo di rendere lo ksar più accessibile e di incoraggiare gli abitanti a trasferirsi nelle case storiche.
Il sito è stato danneggiato dal terremoto del settembre 2023 che ha colpito il sud del Marocco. Una prima valutazione dei danni ha evidenziato crepe e crolli parziali, con rischio di ulteriori crolli.


Il sito
Lo ksar si trova sulle pendici di una collina vicino al fiume Ounila (Asif Ounila). Gli edifici del villaggio sono raggruppati all'interno di una cinta muraria difensiva che comprende torri angolari e una porta, con abitazioni di varie dimensioni che vanno dalle case modeste alle alte strutture con torri. Alcuni edifici sono decorati nella parte superiore con motivi geometrici. Il villaggio ha anche una serie di edifici pubblici o comunitari come una moschea, un caravanserraglio, una kasbah (fortificazione simile a un castello) e il marabutto di Sidi Ali o Amer. In cima alla collina, che domina lo ksar, si trovano i resti di un grande granaio fortificato (agadir). Inoltre è presente anche una piazza pubblica, un cimitero musulmano e un cimitero ebraico. L'area al di fuori delle mura dello ksar era utilizzata per la coltivazione e la trebbiatura del grano.


Le strutture dello ksar sono realizzate interamente in terra battuta, mattoni, mattoni di argilla e legno. La terra battuta (nota anche come pisé, tabia o al-luh) era un materiale altamente pratico ed economico, ma che richiedeva una manutenzione costante. Era fatta di terra e fango compressi, solitamente mescolati con altri materiali per favorire l'adesione. Le strutture di Ait-Ben-Haddou e di altre kasbah e ksour in tutta questa regione del Marocco utilizzavano tipicamente una miscela di terra e paglia che era relativamente permeabile e facilmente erosa nel tempo dalla pioggia. Di conseguenza, villaggi di questo tipo possono iniziare a sgretolarsi già pochi decenni dopo il loro abbandono. Ad Ait-Ben-Haddou le strutture più alte furono realizzate in terra battuta fino al primo piano, mentre i piani superiori furono realizzati in mattoni più leggeri in modo da ridurre il carico dei muri.


Lo ksar è stato restaurato in modo significativo in tempi moderni, grazie in parte al suo utilizzo come location per le riprese di produzioni cinematografiche e alla sua iscrizione nella lista dei Patrimoni dell'Umanità dell'UNESCO nel 1987. L'UNESCO riferisce che lo ksar ha "preservato la sua autenticità architettonica per quanto riguarda la configurazione e i materiali"  continuando a utilizzare materiali e tecniche di costruzione tradizionali ed evitando in gran parte nuove costruzioni in cemento. Un comitato locale è incaricato del monitoraggio e della gestione del sito.


MAROCCO - Lixus

 


Lixus o Lisso (anche Λίξ e Λίγξ, Λίξος, Λίξα; e Lixos) è un'antica città del Marocco, situata poco a nord dell'attuale porto di Larache sul fiume Luccus. Si trattava di una delle principali città della provincia romana di Mauretania Tingitana.
L'antica Lixus si trova sul colle Tchemmich, sulla riva destra del Loukkos, poco a nord di Larache. Il sito si trova nel perimetro urbano di Larache, e circa tre chilometri nell'entroterra partendo dalla foce del fiume e dall'oceano Atlantico. Dai suoi 80 metri di altitudine, domina il territorio paludoso nel quale scorre il fiume. A nord Lixus è circondata da colline contornate a loro volta a nord ed est da foreste di querce. Tra le rovine vi sono bagni, templi sconosciuti, mura del IV secolo, un pavimento a mosaico e i resti della collina del Campidoglio.
Antica città della Mauretania Tingitana, Lixus fu colonizzata dai Fenici nel VII secolo a.C., ed in seguito annessa da Cartagine. Lixus faceva parte della catena di insediamenti fenicio-cartaginesi lungo la costa atlantica di quello che oggi è il Marocco. Gli altri importanti insediamenti, situati più a sud, erano Chella e Mogador. Quando Cartagine cadde sotto il controllo romano, Lixus, Chellah e Mogador divennero avamposti imperiali romani.
Le fonti antiche concordano nel ritenere Lixus in origine anti-fenicia, il che è confermato dalla scoperta archeologica di materiale databile all'VIII secolo a.C. Crebbe gradualmente d'importanza, prima di passare sotto il dominio cartaginese. Dopo la distruzione di Cartagine, Lixus passò sotto il controllo romano e divenne una colonia imperiale, raggiungendo l'apice durante il regno dell'imperatore Claudio (41-54).
Alcuni antichi scrittori greci posizionano a Lixus il mitologico giardino delle Esperidi, custodi delle mele d'oro. Il nome della città era spesso citato dagli scrittori, da Annone il Navigatore al geografo di Ravenna, e confermato dalla leggenda riportata sulle sue monete e nelle inscrizioni. Gli antichi credevano anche che Lixus contenesse un santuario di Ercole, quello in cui Ercole raccolse le mele d'oro, più antico di quello di Cadice in Spagna. Non esistono però le basi per poter credere che Lixus sia stata fondata alla fine del II millennio a.C. Il posto rimase abitato fino alla conquista omayyade del Nord Africa, come dimostrato dalla presenza di una moschea e di una casa con patio e mura ricoperte di stucco colorato.
Il sito fu scavato con continuità dal 1948 al 1969. Negli anni sessanta Lixus fu restaurata e consolidata. Nel 1989, in seguito ad una conferenza internazionale a cui parteciparono numerosi scienziati, specialisti, storici ed archeologi del Mediterraneo, il sito fu parzialmente chiuso. Vennero studiati i mosaici del sito, che costituivano una vera ricchezza e sono ora conservati al museo archeologico di Tetuan. Lixus copre una superficie di circa 75 ettari, di cui la zona scavata costituisce il 20% circa. Il sito è stato proposto come nuovo patrimonio dell'umanità dell'UNESCO il 1º luglio 1995, per la sua importanza culturale.

MAROCCO - Arco di Caracalla

 


L'arco di Caracalla è un arco romano degli inizi del III, situato a Volubilis in Marocco. L'arco, a un solo fornice, si trovava sul lato ovest del foro, al quale serviva di accesso. Non si trova tuttavia sul decumano massimo cittadino. L'arco, come ricorda l'iscrizione, fu eretto in onore di Caracalla e della madre Giulia Domna nel 216-217. Le rovine dell'arco erano state descritte o disegnate da numerosi viaggiatori del XVIII e XIX secolo: il viaggiatore inglese John Windus, che lo visitò in occasione di un'ambasceria, lo riprodusse nel 1721 prima del crollo della volta
I resti dell'arco furono rimessi in luce tra il 1915 e il 1917, in occasione dei primi scavi nel sito. Nel 1931 l'arco venne ricostruito, senza però tener conto delle raffigurazioni antiche del monumento e dei rilievi rinvenuti nei pressi. L'arco, insieme all'intero sito archeologico di Volubilis, è stato inserito dal 1997 nella lista dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. 
L'arco, a un solo fornice, raggiunge un'altezza di 9,23 m fino all'architrave, una larghezza di 19,28 m e una profondità di 4,74 m. Il passaggio centrale è largo 5,33 m
Su entrambi i lati del fornice, ai piloni sono addossati quattro piedistalli che sorreggono colonne corinzie con le retrostanti lesene. Le coppie di colonne inquadrano delle nicchie che in origine servivano da fontane. Al di sopra di esse sono attualmente collocati, forse fuori posto, dei medaglioni con busti delle stagioni.


Probabilmente la cornice e il fregio aggiunti nella costruzione non sono quelli originali: il fregio è riportato nei disegni settecenteschi di considerevole altezza e doveva ospitare nella parte centrale l'iscrizione, oggi collocata sopra la trabeazione.
Su entrambi i lati dell'attico era un'iscrizione di dedica: IMP(ERATORI) CAES(ARI) M(ARCO) AURELLIO ANTONINO PIO FELICI AVG(GVSTO) PARTH(ICO) MAX(IMO) BRITT(ANNICO) MAX(IMO) GERM(ANICO) MAX(IMO) | PONTIFICI MAX(IMO) TRIB(VNICIA) POT(ESTATE) XX IMP(ERATORI) IIII CO(N)S(VLI) IIII P(ATRI) P(ATRIAE) PROCO(N)S(VLI) ET IVLIA AUG(VSTAE) PIAE FELICI MATRI | AVG(VSTI) ET CASTRORUM ET SENATUS ET PATRIAE RESP(VBLICA) VOLUBILITANORVM OB SINGVLAREM EIVS ERGA VNIVERSOS ET NOVAM SUPRA OMNES RETRO PRINCIPES INDVLGENTIAM ARCVM | CUM SEIVGIBVS ET ORNAMENTIS OMNIBVS INCOHANTE ET DEDICANTE M(ARCO) AVRELLIO | SEBASTENO PROC(VRATORE) AVG(VSTI) DEVOTISSIMO NVMINI EIVS A SOLO FACIENDVM CVRAVIT
Tra i rilievi, probabilmente appartenenti all'arco, si conservano:
- scudi esagonali, che in origine dovevano trovarsi sopra le nicchie
- due Vittorie alate che tengono in una mano una corona e nell'altra un ramo di palma
- rilievi decorativi con insegne o candelabri vegetali, pertinenti a fusti decorati di piccoli pilastri
- pannelli con panoplie di armi
- decorazioni geometriche (losanghe e quadrati).
La scarsa qualità dei rilievi ha permesso di ipotizzare che fossero stati realizzati da un'officina locale.
Al di sopra dell'attico, che manca nella ricostruzione, dovevano trovarsi le statue di Caracalla e Giulia Domna, su carri a sei cavalli (come ricordato dall'iscrizione).

MAROCCO - Tamuda


Tamuda
è un sito archeologico della Mauretania Tingitana (attuale Marocco), nella periferia di Tétouan, sulla riva destra del fiume Martil. Tamuda è una parola libica che significa "palude".
Tamuda fu fondata verso la fine del III secolo a.C. da Baga, primo re della Mauretania, sulla riva destra del fiume Tamuda (Flumen Tamudae, attuale fiume Martil). Nel secolo successivo, la presenza e il commercio dei cartaginesi si intensificarono. Durante il I secolo, la città, come molte altre città della regione, godette di autonomia politica e di un'economia forte, principalmente a causa dell'aumento dell'agricoltura e del commercio estero, specialmente con Roma, la cui influenza stava via via diventando sempre più importante. Nel 40, in seguito all'assassinio del re della Mauretania Tolomeo di Mauretania per ordine di Caligola, si svolse una rivolta di diverse città mauritane, tra cui la stessa Tamuda, la quale subì ingenti danni. In seguito, Tamuda venne annessa, insieme alla Mauretania Tingitana, all'impero romano nel 42. Durante l'occupazione romana, Tamuda fece parte della Mauretania Tingitana. Tra il I secolo e il III secolo, la città fu ricostruita e diverse piante curative furono installate nei pressi della foce del fiume Martil, così come i frantoi. La provincia si integrò rapidamente nel commercio mediterraneo dell'Impero. 
Verso la fine del III secolo, l'autorità romana incominciò a sgretolarsi e le tribù dei Mauri si ribellarono, costringendo Roma a ritirarsi e di concentrarsi vicino allo stretto di Gibilterra. Tamuda era, tuttavia, ancora occupata dai romani in quel momento. Secondo il Notitia dignitatum, verso la fine del IV secolo, il castrum di Tamuda fu la sede di un'ala di cavalleria romana: ala Herculea, legata a una coorte, stabilitasi a Lixus. Il sito fu, in seguito, abbandonato durante il V secolo.
Il sito archeologico di Tamuda è uno dei siti archeologici più studiati e meglio conservati della regione. L'archeologo Miquel Tarradell effettuò importanti scavi negli anni '50 e nel 2012, grazie a un team internazionale composto da professori, ricercatori e studenti dell'Università di Abdelmalek Essaadi, l'Università di Cadice e il Ministero della Cultura del Marocco. Molti reperti del sito sono conservati nel museo archeologico di Tétouan.


 

MAROCCO - Chella / Sala Colonia

 


Chella
, (anticamente Sala Colonia in latino), è un sito archeologico a nord di Rabat, in Marocco. Il sito è la prova della più antica presenza umana nel delta del fiume Bou Regreg, lungo le cui rive Fenici e Cartaginesi stanziarono diverse basi. A circa 3 km dal centro, il complesso si trova al di fuori delle mura della città e occupa il sito della romana Sala, su una bassa collina coperta di vegetazione, rifugio delle cicogne nella stagione riproduttiva. Gli scavi hanno rivelato la presenza di un importante agglomerato e infatti Chella conserva le vestigia di una città romana, con i resti del Decumano Massimo, di un foro presso il quale si riconoscono le tracce della Curia, di una fontana monumentale e di un arco di trionfo.
Il sito rimase poi in stato di abbandono per diversi secoli, fino a che i sultani della dinastia dei Merinidi lo scelsero per edificarvi la loro necropoli nel XII secolo. Circondata da una cinta di mura fortificate, ad essa si accede attraverso una porta monumentale, riccamente decorata e aperta ad arco acuto, ai cui lati sono poste due massicce torri merlate semi-ottagonali. Nella parte superiore del portale è presente un'iscrizione in caratteri cufici, dalla quale si apprende che la costruzione dello stesso fu iniziata dal sultano Abu Yusuf Ya'qub e terminata nel 1339 sotto il regno di Abū al-Ḥasan b. ʿUthmān, il più grande sultano della sua dinastia.
All'interno della necropoli si trovano alcune tombe di marabutti (santi uomini che vivevano monasticamente in un ribāṭ) e, presso una sorgente trasformata in fontana per abluzioni, la necropoli reale con la tomba di Abū al-Ḥasan b. ʿUthmān, la cui stele finemente decorata è sovrastata da una tettoia a muqarnas. Nelle vicinanze sono presenti la moschea di Abū Yūsuf Yaʿqūb con un minareto decorato con maioliche policrome ora in rovina e una zawiya con un oratorio (masjid).
Nella terrazza ai piedi del complesso si estende un incantevole giardino alimentato dalle acque della vicina sorgente ʿAyn Mdafa, che serpeggia nell'incavo della valletta.


MAROCCO - Thamusida


Thamusida è stata un'antica città romana della provincia della Mauretania Tingitana, sorta intorno ad un campo fortificato preceduto da un villaggio berbero (Regno di Mauretania. I resti si trovano presso la località di Sidi Ali ben Ahmed, a circa 10 km dall'attuale città di Kenitra in Marocco.
L'insediamento copriva circa 15 ettari di un pianoro sopraelevato di circa 12 m sulla riva sinistra del fiume Sububus (odierno Sebou), a metà strada tra le antiche città di Sala Colonia (odierna Chella), a sud, e di Iulia Valentia Banasa, a nord, sul percorso di una via tra Tingis (Tangeri) e Sala Colonia.
Il sito era stato frequentato in epoca preistorica e un piccolo insediamento berbero del Regno di Mauretania era sorto nel II secolo a.C., in corrispondenza di un guado sul fiume Sebou. Il fiume era navigabile e le ceramiche ed i bronzi rinvenuti testimoniano che vi arrivavano merci dalla Spagna (Cadice) e dall'Italia.
Al momento dell'occupazione romana e della creazione della provincia della Mauretania Tingitana (nel 40 d.C.), il villaggio venne distrutto. Poco dopo, in epoca flavia (seconda metà del I secolo d.C.) sul pianoro venne costruito un campo militare per un distaccamento dell'esercito, intorno al quale si sviluppò una piccola città, con templi, case e attività produttive. Nella seconda metà del II secolo fu costruito un campo militare più grande e la città venne cinta da mura. Il campo fu abbandonato alla fine del III secolo, ma la città continuò ad essere abitata e fu definitivamente abbandonata solo con la conquista araba, nel VII-VIII secolo. I materiali della città furono riadoperati nel XVII secolo per la costruzione alla foce del fiume della rocca di Mehdya da parte degli spagnoli e le rovine furono definitivamente distrutte da un terremoto nel secolo seguente.
I resti furono identificati con la città citata dalle fonti antiche nel 1874 dal diplomatico e archeologo Charles-Joseph Tissot. I primi scavi furono condotti da studiosi francesi negli anni 1932-1935, 1952-1955 e 1959-1962 e quindi da una cooperazione italo-marocchina a partire dal 1999.
Dell'insediamento berbero precedente alla conquista romana rimangono pochi resti, rinvenuti al di sotto delle strade della successiva città romana, con tracce di distruzione e incendio; le strutture erano probabilmente disposte con una certa regolarità. Un tratto delle mura che circondavano il villaggio fu riutilizzato in seguito come muro di un edificio romano.
Nella zona nord-ovest del sito sono state rinvenute delle fornaci tra cui sono stati individuati cinque forni per la produzione di anfore destinate al commercio del garum, attivi tra la fine del I secolo a.C. e la prima metà del I secolo d.C. e successivamente riutilizzati nella città romana come discariche o come calcara.
Al primo insediamento romano, di epoca flavia, risalgono i resti di un edificio ("Tempio a bugnato" o "Temple à bossages"), interpretato come un tempio con tre celle, di cui resterebbe il lato anteriore del podio, in blocchi bugnati.
Alle origini della città risale anche il primo impianto delle "Terme del fiume" ("Thermes du fleuve"), interamente riportate in luce dagli scavi francesi e che ebbero numerose fasi costruttive (età flavia, età severiana, prima metà del III secolo e seconda metà del III secolo), fino a raggiungere un'estensione di circa 3.000 m quadrati e che costituiscono il più grande impianto termale della provincia. Consistevano di due complessi giustapposti, forse utilizzati separatamente da uomini e donne.
Nel quartiere sud-est della città si trova un santuario di tipo punico, a pianta quadrata ("Temple carrè"), che sorse su un precedente tempio extraurbano del villaggio berbero. Doveva essere dedicato a Venus Caelestis (erede della dea punica Tanit) e al suo paredro, Saturno (erede del dio punico Baal Hammon). Consisteva in una cella quadrata innalzata su un basso podio con due basi per statue e un altare; una scalinata tra due colonne ornamentali precedeva l'altare. Intorno la cella era circondata da un porticato.
Un terzo tempio ("Tempio a tre celle"), lungo la riva del fiume, con la pianta del tipico santuario africano (cella con un porticato antistante) ebbe probabilmente una prima fase con un'unica cella, della fine del I secolo d.C. e fu successivamente trasformato a tre celle affiancate, probabilmente alla metà del II secolo, quando il "Tempio a bugnato" scomparve.
Nella seconda metà del II secolo fu realizzato un grande horreum lungo il fiume ("Bâtiment rectangulaire"), utilizzato come granaio. Ha una pianta leggermente trapezoidale (40,9 m a est e 39,3 m ad ovest per 23,15 m sui lati nord e sud) con una sola entrata sul lato nord verso il fiume. All'interno era articolato in tre navate separate da pilastri con arcate e il pavimento era costituito da un tavolato in legno rialzato.
Tra le abitazioni è stata rivenuta una sola domus ("Domus au dallage"), situata nel quartiere orientale e addossata alla cinta muraria. L'ingresso dà accesso ad un corridoio su cui si aprono quattro botteghe e il vestibolo che permette di entrare nel peristilio, con colonne in mattoni e con una fontana. Intorno al peristilio si aprono le diverse stanze e sul fondo un tablino (stanza di rappresentanza) fiancheggiato dagli appartamenti dei proprietari. Le altre abitazioni erano del tipo "a corridoio centrale", con un corridoio fiancheggiato da tre stanze per lato, alcune di maggiori dimensioni, probabilmente gli ambienti di rappresentanza. Da questo corridoio si accede ad un secondo disimpegno più piccolo, sul quale si aprono altre stanze, probabilmente gli alloggi privati. Esistevano anche case più semplici nei sobborghi della città, con basamenti in pietra e muri in terra, costituite da una o due stanze e in alcuni casi con un cortile con piccoli ambienti (mangiatoie o depositi), che si trovavano principalmente nei suburbi della città.
Il campo militare sorse intorno alla metà del I secolo d.C. sul pendio della collina sopra il pianoro[4] e fu rimaneggiato all'epoca di Marco Aurelio (165,85 m x 138.78 m): si tratta del campo militare più grande della Mauretania[13]. Il campo era circondato da un muro con 14 torri interne a pianta quadrata e con quattro porte, fiancheggiate ciascuna da due torri quadrate sporgenti all'esterno. Gli edifici sono allineati su due strade che si incrociano ad angolo retto e al centro si trovavano i principia (quartier generale), consistente in un cortile porticato con ambienti su tre lati; l'ambiente al centro del lato ovest, con un podio (alto 1.2 m e di 10 m x 7 m) accessibile da una serie di gradini, doveva essere il sacrario delle insegne e si presentava come un'edicola con due semicolonne e due lesene. Il sacrario fu costruito in epoca flavia e rimaneggiato all'epoca di Marco Aurelio.
Il lato nord dei principia fu trasformato in epoca severiana, con la costruzione di un ambiente a pianta basilicale che occupò parte del cortile: si tratta di una basilica exercitatoria, per lo svolgimento delle esercitazioni militari al coperto.
Gli edifici per l'alloggiamento delle truppe erano una dozzina: erano costituiti da un passaggio centrale scoperto sul quale si aprivano le stanze da letto, precedute da una tettoia poggiata su pilastri. Nella parte ovest dovevano trovarsi stalle e ambienti di servizio, tra cui un forno per la cottura del pane, e un granaio (10 m x 45 m) con pavimento in legno sopraelevato e intercapedine aerata per mezzo di aperture. Costruito in età flavia, la pavimentazione venne rifatta nella prima metà del II secolo, abbassando l'intercapedine.
La città romana fu cinta da mura nel II secolo (epoca di Commodo), nello stesso periodo in cui anche altri centri della provincia costruirono cinte difensive, a testimonianza di una situazione non tranquilla in corrispondenza della frontiera dell'impero in quest'epoca. Le mura hanno una pianta a forma di trapezio irregolare e sono dotate di torri semicircolari esterne. Sono orientate secondo i punti cardinali, con il lato nord lungo il fiume. Sul lato est inglobarono edifici precedenti.
Sui tre lati sud, est ed ovest si aprono tre porte principali e ci sono altre due postierle (sul lato est, all'angolo nord-ovest e probabilmente sul lato sud in corrispondenza di una strada. Anche sul lato nord è ipotizzabile un accesso verso il porto, forse in corrispondenza del granaio.
La porta est, la più monumentale, aveva due fornici, uno più grande e uno più piccolo, destinato ai pedoni, e all'interno un grande arco che chiudeva lo spazio tra le torri formando un cavedio.
Nel suburbio fuori dalle mura sorgevano abitazioni sparse e strutture produttive o commerciali. Nella zona est doveva sorgere la necropoli della città.



MAROCCO - Iulia Valentia Banasa

 

Iulia Valentia Banasa
 fu una delle tre colonie romane della Mauretania Tingitana (Marocco settentrionale) fondate da Augusto tra il 33 e il 25 a.C. per i veterani della battaglia di Azio.
Si trovava sulla riva meridionale del fiume Sebou, sul sito oggi noto come Sidi Ali Boujenoun. All'inizio del regno di Marco Aurelio, Banasa divenne la Colonia Aurelia. Nel 285 la provincia romana della Mauretania Tingitana si ridusse ai territori a nord di Lixus. Banasa fu quindi abbandonata.
Tra le rovine di Banasa si trovano i caratteristici elementi di una città romana: un forum con una basilica, a campidoglio ed i bagni, oltre a strade disposte regolarmente. Molti degli edifici risalgono all'inizio del III secolo. Il nome latino Valentia significa "giovane", "forte", e può essere paragonato a Valence (Francia) e Valencia (Spagna), anch'esse colonie. Augusto fondò almeno dodici colonie romane in Mauritania, nonostante fosse un regno assoggettato e non una vera provincia dell'impero. 
Alcune delle principali città romane contemporanee alla Iulia Valentia Banasa, furono Chella e Volubilis, con quest'ultima che condivide con Banasa la presenza di una basilica e di strade disposte regolarmente.
I reperti scavati a Banasa sono esposti presso il Museo archeologico di Rabat.


giovedì 27 marzo 2025

SCULTORI - Eutichide

 
Eutichide
 (in greco antico: Εὐτυχίδης, Eutychides; Sicione, ... – ...; fl. 300 a.C. circa) è stato uno scultore e pittore greco antico, allievo di Lisippo e attivo intorno al 300 a.C. circa, soprattutto come bronzista.
La data entro la quale Plinio indica il floruit di Eutichide (la 121ª Olimpiade) corrisponde alla commissione che egli dovette ricevere per la creazione della statua commemorativa della fondazione di Antiochia. L'opera ci è nota attraverso riproduzioni su gemme, monete e opere di toreutica, grazie alle quali è stato possibile identificarla in alcune copie di epoca romana: tra queste la statuetta marmorea ai Musei vaticani (nella foto). La Tyche, personificazione della città, era un colosso bronzeo ed era rappresentata seduta su una roccia con ai piedi il fiume Orontes. Doveva essere una figura potente e monumentale, dotata di un ritmo chiuso e spiraliforme, movimentato dalle pieghe del manto, dall'incrociarsi delle gambe e dalla torsione del busto.
Gli si attribuiscono anche una statua del fiume Eurotas (Nat. hist., XXXIV, 78), descritta anche in un epigramma della Antologia palatina (IX, 709), la statua di un atleta fanciullo vincitore a Olimpia (Pausania, VI, 2, 6), un Dioniso confluito in seguito nella collezione di Asinio Pollione (Nat. hist., XXXVI, 34) e il dipinto di una Nike su una quadriga (Nat. hist., XXXV, 141).

SCULTORI - Damofonte di Messene

 
Damofonte di Messene
(Messene, II secolo a.C. – II secolo a.C.) è stato uno scultore greco antico appartenente al periodo del medio ellenismo.
Fu uno dei primi classicisti e la sua attività segna il momento in cui la perdita di vitalità della scultura ellenistica cede il passo alla rievocazione delle opere di epoca classica, quella che le fonti di Plinio definirono "la rinascita dell'arte" datata alla metà del II secolo a.C. (v. Neoatticismo). Le opere di Damofonte sono state descritte da Pausania, la più nota è il gruppo scultoreo colossale eseguito per il tempio di Despoina a Licosura in Arcadia, i cui frammenti, rinvenuti nel 1889, sono conservati in parte nel museo locale e in parte nel Museo archeologico nazionale di Atene. L'opera, riprodotta su monete, rappresentava Despoina con la madre Demetra alla presenza di Artemide e del titano Anytos, tutore di Despoina.

SCULTORI - Mirone di Elètuere

 


Mirone di Elètuere (Eleutere, ... – V secolo a.C.) è stato uno scultore greco antico attivo tra il 480 e il 440 a.C. Fu uno dei più elogiati rappresentanti dello stile severo. Originario di Eleutere, in Beozia (Plinio il Vecchio, Nat. hist., XXXIV. 57-58), e specializzato nella lavorazione del bronzo, Mirone viene vagamente indicato dalle fonti come allievo di Agelada di Argo, stabilendo un collegamento con la scuola peloponnesiaca effettivamente riscontrabile nel Discobolo, ossia nell'opera più antica tra quelle identificate. Visse ad Atene dove ottenne la cittadinanza (Pausania, VI.2.2) ed eseguì i suoi capolavori, destinati a varie città, negli anni tra il 460 e il 440 a.C. I riferimenti cronologici, più sicuri per l'attività di Mirone sono dati dalle statue degli atleti vittoriosi ai giochi olimpici, ricordate da Plinio e da Pausania.
Nessuna sua opera è giunta fino a noi in forma diretta, ma possiamo avere idea dell'arte di Mirone attraverso copie romane in marmo, che dimostrano la popolarità di cui godeva sin dai tempi antichi.
Citato da Luciano e Cicerone, venne ricordato da quest'ultimo (Brut., XVIII.70) come capace di eseguire opere belle ma non ancora abbastanza vicine alla realtà, sottintendendo un giudizio che riconosceva alla sua opera ancora molti elementi dell'arte arcaica. Il Discobolo è un'opera indiscutibilmente nuova, ma è possibile collegare l'atteggiamento di Mirone verso il movimento a simili tentativi tardo arcaici esemplificati nelle figure dei frontoni di Egina inserendolo in quella linea di ricerca, percorsa anche da Pitagora di Reggio, che sarà abbandonata in favore di una più naturale e piana ricerca ritmica. Oltre alle due opere principali identificate nelle copie di età romana, il Discobolo e il gruppo di Atena e Marsia (ai Musei Vaticani, foto di apertura in alto), altre e numerose sono quelle menzionate dalle fonti: rappresentazioni di divinità e di eroi mitologici, la Mucca consacrata originariamente sull'acropoli di Atene (foto qui in alto, a destra), ricordata da Procopio e celebrata in diversi epigrammi dell'Antologia greca, i quattro tori bronzei attribuiti a Mirone da Properzio (II.21.7). Tentativi di identificazione sono stati effettuati per il Perseo ricordato da Pausania (I.23.7).
Non sono mancati i tentativi di attribuzione su base esclusivamente stilistica, come l'attribuzione dei Bronzi di Riace da parte di Vagn Häger Poulsen, estremamente variabili e sempre ridimensionati.
Anche il figlio e allievo di Mirone, Licio, fu un apprezzato scultore e bronzista.
La sua opera più nota è il Discobolo (a sinistra: Copia in marmo del II secolo d.C. - provenienza: scavi dell'Esquilino, 1871 - da originale bronzeo di Mirone datato al 450 a.C. circa. Roma, Museo nazionale romano, Palazzo Massimo, Collezione Lancellotti) le cui copie di età romana furono identificate grazie alla descrizione fornita da Luciano (Philops., XVIII, 45-46). L'originale bronzeo, forse fuso per Sparta, viene datato verso il 460 a.C. per la vicinanza stilistica con le teste dei Lapiti nel frontone occidentale del tempio di Zeus in Olimpia. Rappresenta l'atleta nudo nel momento del massimo sforzo e della massima concentrazione, quando raccoglie tutte le sue energie prima di lanciare il disco. Con il suo perfetto congegno di moti, il Discobolo appare immobile, in una posa fuori del tempo. L'interesse per il naturalismo e la contingenza che domineranno l'arte greca in età ellenistica sono esclusi non appena si considerino i rapporti geometrici che governano l'intera composizione: l'artista non ha voluto rappresentare il movimento di un singolo uomo in un dato attimo, ma l'idea stessa di movimento. Le proporzioni geometriche non collimano con quelle del corpo umano, creando delle impercettibili imprecisioni.
L'identificazione del Satyrum admirantem tibias et Minervam ricordato da Plinio (Nat. hist., XXXIV.57) con il Marsia Laterano venne effettuata da Heinrich Brunn nel 1858 attraverso riproduzioni su monete di epoca romana e su un chous a figure rosse di Berlino; l'Atena venne invece identificata nella copia marmorea ora conservata a Francoforte (Liebieghaus, 195) da Oscar Pollak. Il gruppo è generalmente datato fra il 457 ed il 447 a.C. e ritenuto inerente alla propaganda ateniese contro la Beozia (il flauto era ritenuto invenzione beotica), in un periodo di inimicizia tra le due popolazioni; nel 1940 Rhys Carpenter mise in discussione l'attribuzione a Mirone tramite confronto con opere della fine del V secolo a.C.




Discobolo Lancellotti. 

SCULTORI - Menelao

Menelao
 (I secolo a.C. – I secolo) è stato uno scultore greco antico, di cittadinanza romana.
Allievo di Stefano e quindi membro della scuola dello scultore e scrittore greco antico Pasitele, Menelao fu attivo sotto i regni di Augusto e di Tiberio.
Realizzò e firmò il celebre «Gruppo Ludovisi» raffigurante Oreste ed Elettra, conservato al Museo nazionale romano di palazzo Altemps.
L'opera evidenziò tutti i caratteri della scuola accademica classicheggiante e arcaizzante, come l'eclettismo influenzato dalle sculture del IV secolo a.C., l'elegante equilibrio compositivo, la correzione accademica del modellato, che manifestano energia espressiva.
Oreste ed Elettra, fratello e sorella,vengono raffigurati in un momento emozionante, forse un addio o un ricongiungimento, con la figura di Elettra in una pura espressione di dolce devozione, e in un pregevole abbigliamento.
Menelao eseguì anche altre opere contraddistinte dallo stesso stile: una statua maschile e una femminile da Palazzo Doria-Pamphili; una testa da Villa Mattei, conservata al Museo delle Terme; una statua proveniente da Ercolano

SCULTORI - Mirone di Tebe

  
Mirone di Tebe
 (Tebe, III secolo a.C. – III secolo a.C.) è stato uno scultore greco antico. Mirone di Tebe fu uno scultore attivo intorno alla metà del III secolo a.C. alla corte di Pergamo, dove fu rintracciata la sua firma nel Tempio di Atena Poliàs, assieme a quelle di Isigono, Genocrate e di altri scultori che realizzarono le statue in bronzo per commemorare le vittorie degli Attalidi sui Galati.
Plinio il Vecchio (Naturalis historia, XXXVI, 32) attribuisce la statua della Vecchia ubriaca al Mirone più celebre, di Eleutère, attivo tra il 480 e il 440 a.C., ma la statua, in marmo, ch'era a Smirne, conosciuta anche grazie alle copie della Gliptoteca di Monaco di Baviera e dei Musei Capitolini, è sicuramente stata realizzata nel III secolo a.C.
Il soggetto è aderente alla mentalità realistica ellenistica, in particolare a quella alessandrina, nella quale prevale il gusto per la rappresentazione della vita reale di tutti i giorni, anche degradata, tendente al particolare e non all'universale, anche arrivando al grottesco: la figura di anziana, seduta al suolo, tiene in grembo spasmodicamente la lagena, recipiente usato per il vino, cinta di edera, e gli storici dell'arte attribuiscono l'opera a Mirone di Tebe, anche se ci furono molti omonimi tra i discendenti del più antico e più famoso Mirone, di Eleutère.
La statua di Smirne ebbe molto successo, perché fu copiata anche per bottiglie di terracotta.
Tra le altre attribuzioni riguardanti Mirone di Tebe, menzioniamo il Guerriero di Delo, la statua del pugile vincitore olimpico Filippo di Pellene, quella di Ladas da Aigai, corridore ad Argo, e lo Pseudo-Seneca.

SCULTORI - Peonio di Mende

Peonio di Mende
(in greco antico: Παιώνιος, Paiónios; Mende in Calcidica, V secolo a.C. – ...) è stato uno scultore greco antico attivo tra il 430 e il 420 a.C.
L'unica opera che può essergli attribuita con certezza è la statua di Nike trovata negli scavi di Olimpia nel 1875, originariamente posta su un pilastro marmoreo a sezione triangolare ancora presente sul posto. Secondo l'iscrizione posta sulla base, la statua fu dedicata dai cittadini di Messenia e Naupatto dopo una vittoria riportata in una non specificata battaglia. È Pausania (V, 26, 1) ad aggiungere che, secondo i Messeni, l'occasione della dedica fu la battaglia di Sfacteria.
L'iscrizione sulla base della Nike in volo indica Peonio anche come vincitore della gara per la realizzazione degli acroteri del Tempio di Zeus ad Olimpia (circa 430-420 a.C.), mentre la presunta partecipazione di Peonio alla decorazione del frontone occidentale è un errore di Pausania.

SCULTORI - Menofanto

Menofanto
 (in greco antico Μηνόϕαντος) (fl. I secolo a.C.-I secolo) è stato uno scultore greco antico, attivo a Roma tra la fine del I secolo a.C. e gli inizi del I secolo d.C..
Lo scultore è noto solo per aver firmato con il suo nome una statua del tipo della Afrodite pudica, simile alla Venere capitolina.
L'iscrizione, in lingua e caratteri greci ("ἀπὸ τῆc / ἐν Τρῳάδι / Ἀφροδίτηc / Μηνόφαντοc / ἐποίει"", trascritta "Apo tes / en troadi / Afrodites / Menofantos / epoiei"), riferisce inoltre che si tratta di una copia da un originale di Alessandria Troade, probabilmente dell'inizio dell'epoca ellenistica (fine del IV - inizi del III secolo a.C.).
La statua, rinvenuta presso il monastero di San Gregorio Magno al Celio nel 1760, fu in possesso del principe Chigi e venne descritta dal Winckelmann. In seguito sarà esposta presso il Museo nazionale romano di palazzo Massimo.

SCULTORI - Firomaco

Firomaco
 (in greco antico: Φυρόμαχος) di Atene (Atene, ... – ...; fl. III secolo a.C.) è stato uno scultore e pittore greco antico, attivo a Cizico, a Delo e a Pergamo, frequentemente in collaborazione con Nicerato, come testimoniato da rinvenute iscrizioni su basi marmoree.
La cronologia di Firomaco è dibattuta e posta variamente dagli studiosi tra la fine del IV secolo a.C. e l'inizio del II, ma le datazioni più basse sono improbabili: nel II secolo a.C. egli è già inserito da una fonte anonima (Laterculi Alexandrini) tra i grandi bronzisti dopo Mirone, Policleto e Lisippo.
Plinio ne pone il floruit alla 121ª olimpiade (296-293 a.C.), negli anni in cui «l'arte decadeva» (Nat. hist., XXXIV, 51), secondo la fonte di Plinio, ossia si allontanava dallo stile classico sviluppando nuove forme che nella conquista dello spazio, nell'eccentricità della struttura, univano alla scuola attica gli insegnamenti sicioni e lisippei; innovazioni formali che sarebbero state sviluppate in seguito dalla scuola di Pergamo. Poco oltre Plinio nomina Firomaco insieme a Epigono, Stratonico di Cizico e Antigono di Caristo come autore delle galatomachie eseguite per gli Attalidi a Pergamo (Nat. hist., XXXIV, 84).
Lo si dice autore della statua di Asclepio per il santuario di Pergamo che Prusia I di Bitinia portò via nel 156 a.C., un'attribuzione che lo lega alla politica culturale di Filetero (282-263 a.C.). Un suo Priapo in ginocchio davanti a una Carite è ricordato in un epigramma di Apollonide (Antologia greca, II, 120, 9) e Plinio ne ricorda una quadriga con Alcibiade, realizzata forse in collaborazione con Nicerato (Nat. hist., XXXIV, 8o).
Della sua attività come pittore Plinio ne ricorda gli insegnamenti ad un altrimenti sconosciuto Milone di Soli (Nat. hist., XXXV, 146).
La copia di età repubblicana di un'iscrizione che ricorda Firomaco come autore del ritratto di Antistene, noto attraverso diverse copie, è stata ritrovata a Ostia nel 1969. L'iscrizione doveva appartenere alla base di una statua bronzea. Le copie del ritratto, una delle quali riportando il nome del filosofo ne ha permesso l'identificazione, rimandano a influenze di tradizione lisippea, con quell'esasperazione dei tratti fisionomici che darà vita al barocco pergameno.

SCULTORI - Glicone

Glicone (in greco antico: Γλύκων, Glykon; Atene, I secolo a.C. – ...) è stato uno scultore greco antico, attivo nel I secolo a.C.
È conosciuto dalla firma su una famosa copia della statua di Ercole di Lisippo (originale del IV secolo a.C.). La copia potrebbe tuttavia essere anche un lavoro romano del III secolo d.C.; le altre firme di Glicone sono considerate dei falsi.
La statua, rinvenuta nel 1546 alle Terme di Caracalla a Roma, entrò nella collezione Farnese e da allora è conosciuta come Ercole Farnese. Assieme al resto della collezione, l'Ercole fu trasferito nel 1787 da Roma a Napoli dove tuttora si trova, al Museo Archeologico Nazionale.
Johann Wolfgang von Goethe, che si trovava a Roma nel 1787, descrisse l'Ercole Farnese come «una delle più perfette opere del tempo antico» (Goethe, Viaggio in Italia)
Copie dell'Ercole Farnese furono create nel XVII e XVIII secolo in varie parti d'Europa, tra cui il monumentale Ercole di Kassel.

SCULTORI - Prassitele


Prassitele (in greco antico: Πραξιτέλης, Praxitélēs; Atene, 400/395 a.C. – 326 a.C.) è stato uno scultore greco antico vissuto nell'età classica e attivo dal 375 a.C. alla sua morte. Viene considerato uno dei grandi maestri della scultura greca del IV secolo a.C. insieme a Skopas e Lisippo.
Le fonti più antiche relative a Prassitele sono di età ellenistica. Esse riferiscono di opere variamente diffuse nel territorio greco e in Asia Minore. Benché lavorasse anche il bronzo, egli era conosciuto soprattutto per i suoi lavori in marmo (Plinio, Nat. hist., XXXIV, 69) che il pittore Nicia trattava per lui con cere colorate le quali creavano una particolare patina lucente detta gànosis (Nat. hist., XXXV, 133). Gli sono stati attribuiti almeno ventisette tipi scultorei in uso in epoca romana, il più ammirato dei quali fu l'Afrodite di Cnido.
Prassitele visse ad Atene in un'epoca caratterizzata da una vera e propria crisi, sia del modello della polis sia per quanto riguarda l'identità della popolazione ateniese. Questa cominciò a percepire il mondo in una dimensione più isolata rispetto al periodo classico di Pericle, quando la vittoria contro i Persiani, nel 480 a.C. a Salamina, aveva determinato un sentimento di superiorità capace di coinvolgere gran parte della civiltà greca. Il mutamento causato dalle guerre peloponnesiache diede origine ad una nuova interpretazione della realtà.
Scultore ateniese, probabilmente figlio di Cefisodoto il Vecchio ebbe a sua volta due figli entrambi scultori, Cefisodoto il Giovane e Timarco. Plinio (Nat. hist., XXXIV, 50) riferisce che la sua arte fiorì negli anni intorno al 364-361 a.C. L'elenco delle sue opere attestate dalle fonti letterarie è superiore alle possibilità consentite dalla vita di un solo uomo, occorre quindi immaginare l'esistenza di un'officina ad Atene dotata di numerosi collaboratori, ereditata dal padre già entrato a far parte di importanti ambiti sociali. Se l'esegesi delle iscrizioni sulla base in calcare che doveva reggere la colonna di acanto dedicata a Delfi dagli ateniesi nel 375 a.C. recante la firma di Prassitele è corretta, l'opera sarebbe tra le prime importanti commissioni affidate a Prassitele all'interno dell'officina di Cefisodoto I; l'attribuzione tuttavia non è concorde. La data indicativa per la morte dello scultore invece si deduce dai numerosi documenti epigrafici che attestano il pagamento da parte di Cefisodoto II di ingenti liturgie navali, i quali starebbero ad indicare l'avvenuto passaggio di proprietà dell'eredità di famiglia.
Opere, copie e attribuzioni
Pochi sono i reperti scultorei originali datati al IV secolo a.C. e collegati alla bottega di Prassitele. Il cosiddetto Efebo di Maratona, statua in bronzo di giovane atleta, è datato al 340-330 a.C. circa (Atene, Museo archeologico nazionale 15118); le teste Leconfield a Petworth (forse collegabile al tipo della Afrodite di Alessandria al Latmo in Caria) e Aberdeen a Londra (British Museum, Sculpture 1600), sono datate a partire dalla fine del IV secolo a.C. Attribuibile alla bottega di Prassitele si ritiene anche la testa di Eubuleo (Atene, Museo archeologico nazionale 181), datata al 330-320 a.C. circa, della quale si conoscono numerose copie; l'opera di Atene è stata trovata nei pressi della Grotta di Eubuleo a Eleusi nel 1885, apparteneva forse ad una statua completa perduta e presenta segni di rilavorazione. I tre pannelli marmorei trovati a Mantinea nel 1887, reimpiegati nella pavimentazione di una chiesa bizantina, ora al Museo archeologico nazionale di Atene (nn. inv. 215-217), sono collegati a Prassitele tramite l'attribuzione a quest'ultimo, da parte di Pausania (VIII, 9.1), di una triade apollinea per il tempio di Leto a Mantinea, con base decorata a rilievo. I pannelli datati alla metà del IV secolo a.C. vengono considerati opera di bottega.


Satiro versante

È ritenuta una delle prime opere di Prassitele; l'originale era in bronzo e ne esistono diverse copie di età romana. A descrivere l'opera è Pausania che riferisce di averlo visto sulla via dei Tripodi ad Atene e che lo lega cronologicamente, tramite un aneddoto, all'Eros di Tespie (Paus., I, 20.1), così chiamato dalla città di Thespies in Beozia, patria di Frine, ricordata in letteratura come amante di Prassitele.


Eroti

Stando alle fonti letterarie l'Eros marmoreo condotto da Frine a Tespie (Paus., I, 20.1) andò distrutto in un incendio a Roma e fu sostituito a Tespie dalla copia eseguita dallo scultore ateniese Menodoros (Paus., IX, 27.3); Adolf Furtwängler riconobbe il tipo dell'Eros di Tespie nella copia romana di Centocelle (Roma, Musei Capitolini 1092). Un secondo Eros in marmo dedicato a Pario, di cui narra Plinio (Nat. hist., XXXVI, 22), è stato riprodotto sul verso delle monete del luogo in età romana e l'immagine numismatica è stata collegata con l'Eros Borghese del Louvre (n.inv. MR 140).


Afrodite di Cnido

Questo tipo scultoreo deriva dalla statua di culto eretta presso il tempio di Afrodite Euploia a Cnido. Il collegamento tra l'originale descritto in letteratura e le numerose copie riconosciute venne effettuato sulla scorta di riproduzioni monetali cnidie di epoca romana. Seguendo Plinio (Nat. hist., XXXVI, 20) due statue in marmo di Afrodite erano state scolpite da Prassitele e offerte per lo stesso prezzo agli abitanti di Coo che scelsero di acquistare l'Afrodite vestita, mentre quella priva di vesti fu acquistata dagli abitanti di Cnido. Da questo racconto ci giunge l'immagine (non l'unica) di una officina in cui i lavori venivano condotti non esclusivamente su ordinazione; si deduce inoltre l'aspetto innovativo della statua acquistata dagli Cnidi: il nudo integrale nella rappresentazione di una divinità femminile in dimensioni più grandi del vero è una innovazione prassitelica e così la creazione di una sorta di narrazione ai fini di un maggiore coinvolgimento da parte dell'osservatore. Attraverso elementi incorporati nella struttura della statua, in questo caso la veste e l'hydria, Prassitele introduce aspetti narrativi che dovevano essere posti in relazione al culto della dea e ai rituali ed esso connessi. L'opera sopravvive nelle numerose e diffuse copie, le più antiche delle quali, in dimensioni ridotte, sono datate al II secolo a.C. La replica più famosa è la Venere Colonna nei Musei Vaticani (n. inv. 812) che Hans von Steuben in un lavoro del 1989 ha descritto come copia di una rielaborazione di epoca ellenistica.


Apollo sauroctono

Questo tipo viene attribuito a Prassitele in base ad un passo di Plinio (Nat. hist., XXXIV, 70) che si riferisce all'originale come ad un'opera bronzea. Il concetto originario dell'opera potrebbe essere collegato all'Apollo alexikakos, ossia "che allontana il male" e si tratterebbe dunque di una statua di culto.


Hermes con Dioniso

Trovato nell'Heraion di Olimpia nel 1877, durante una campagna di scavo tedesca, fu ritenuto a lungo l'opera originale in marmo vista da Pausania nello stesso luogo 17 secoli prima (Paus., V, 17). L'unica testimonianza che collega questa scultura a Prassitele è Pausania, nessun altro autore la menziona nei propri scritti e non se ne conoscono altre copie. Il primo studioso a porre in dubbio l'originalità dell'opera fu Carl Blümel: fu evidenziato infatti come alcune parti, la schiena in particolare, presentassero tracce di rielaborazione. La scultura viene generalmente datata al 100 a.C. circa, ma non sembra siano ancora stati evidenziati dati considerati unanimemente conclusivi.


Satiro in riposo
(anapauomenos)
Il tipo del Satiro in riposo (Roma, Musei Capitolini S 739), caratterizzato da una posizione particolarmente instabile e dotata di necessario supporto laterale, potrebbe corrispondere a quello che Plinio (Nat. hist., ΧΧΧΙV, 69) chiama Satiro periboetos, ossia particolarmente noto perché conosciuto attraverso un numero altissimo di riproduzioni in Italia, Grecia, nord Africa e Asia Minore. Essa è stata attribuita a Prassitele sostanzialmente per l'affinità stilistica con l'Ermes di Olimpia.


Venere di Sinuessa

La Venere di Sinuessa (o Venere Sinuessana o, più propriamente, Afrodite di Sinuessa) è una scultura antica dell'età classica, rinvenuta nel 1911 nell'area archeologica dell'antica città di Sinuessa, nei pressi dell'attuale Mondragone (CE).
È di stile ellenistico ed è tradizionalmente attribuita allo scultore greco Prassitele o alla sua bottega, facendo così risalire la sua datazione al IV secolo a.C..
Tuttavia, il Museo archeologico nazionale di Napoli, nella quale la scultura è custodita col numero di inventario 321153, la riporta come "scultura di Afrodite, da Sinuessa, Mondragone, villa romana, marmo, II secolo a.C.".

La peculiarità attribuite da una tradizione critica ormai secolare all'arte prassitelica vengono indicate solitamente nella dolcezza del modellato delle statue marmoree, caratterizzate da una sorta di languore, spossatezza ed abbandono. Queste caratteristiche in realtà sono proprie dell'Hermes di Olimpia e le attribuzioni a Prassitele dei tipi scultorei diffusi in epoca romana sono state effettuate in base a collegamenti stilistici con questa statua; solo in alcuni casi sono supportate dai riferimenti letterari. Tra queste attribuzioni si possono citare quasi tutte le figure maschili, gli eroti, i satiri, l'Apollo sauroctono e l'Apollo Licio o Liceo.
In queste opere il baricentro della figura si sposta su un lato, rendendo necessaria nelle opere marmoree la presenza del sostegno. Rispetto al Doriforo di Policleto (V secolo a.C.), maestro d'equilibrio, si è di fronte ad un mutamento essenziale, che caratterizza la nuova tendenza artistica; allo stesso tempo l'espansione della figura nello spazio sembra mantenersi nell'ambito della frontalità senza coinvolgere approfondimenti tridimensionali.