La
stele di Mesha (nota nel
XIX secolo come pietra moabita) è una pietra in basalto nero,
situata in Giordania, che riporta un'iscrizione effettuata nel
IX secolo a.C. da re Mesha dei Moabiti.
L'iscrizione, risalente all'840 a.C.,
ricorda le vittorie di Mesha su "Omri re di Israele" e
sul figlio, che aveva oppresso i Moabiti. È la più lunga iscrizione
mai rinvenuta tra quelle che si riferiscono all'antico Israele (la
"Casa di Omri"). Riporta quello che è generalmente
considerato come il più antico riferimento semitico extra-biblico al
nome Yahweh (YHWH), i cui beni del tempio furono
saccheggiati da Mesha e consegnati al proprio dio Chemosh. Lo
studioso francese André Lemaire ha ricostruito una parte
della riga 31 della stele, affermando che si tratta di un
riferimento alla "Casa di Davide".
La pietra è alta 124 cm e larga e
profonda 71 cm, arrotondata in alto. Fu scoperta sul sito
dell'antica Dibone (oggi Dhiban), nell'agosto del 1868
dal reverendo Frederick Augustus Klein (1827–1903), un
missionario tedesco della Church Mission Society. Gli abitanti
locali la ruppero durante un litigio riguardo alla sua
proprietà, ma uno schizzo (un calco in cartapesta) era stato
ottenuto da Charles Simon Clermont-Ganneau, e molti dei
frammenti sono stati in seguito recuperati ed uniti dallo stesso
Clermont-Ganneau. Lo schizzo (mai pubblicato)
e la stele riassemblata sono ora esposte presso il Museo del
Louvre.
La stele misura 124 per 71 cm. Le
sue 34 righe descrivono:
Come i Moabiti furono oppressi da
"Omri re di Israele", come risultato della rabbia del
dio Chemosh
La vittoria di Mesha sul figlio di
Omri (non citato) e sugli uomini di Gad ad Ataroth, ed a
Nebo e Jehaz
I suoi progetti per gli edifici,
il restauro delle fortificazioni della sua roccaforte e la
costruzione di un palazzo e di una cisterna per l'acqua
Le sue guerre contro gli Horonaim.
È scritta
in lingua moabita, con l'antico alfabeto fenicio, ed
è "molto simile" all'ebraico biblico standard.
L'iscrizione è coerente con gli eventi storici riportati
nella Bibbia. Eventi, nomi e luoghi citati nella stele di Mesha
corrispondono a quelli citati nella Bibbia. Ad esempio, Mesha viene
descritto come re di Moab nel secondo libro dei Re (3:4:
"Mesa re di Moab era un allevatore di pecore. Egli inviava al re
di Israele "centomila agnelli e la lana di centomila arieti"
e Chemosh viene citato in molti passi della Bibbia come dio locale di
Moab (primo libro dei re 11:33, 21:29, ecc.). Il regno di
Omri, re di Israele, è descritto nel primo libro dei Re (16), e
l'iscrizione cita numerosi territori (Nebo, Gad, ecc.) che appaiono
anche nella Bibbia. Infine, il secondo libro dei Re (3)
parla di una rivolta di Mesha nei confronti di Israele, a cui Israele
rispose alleandosi con Giuda ed Edom per sedarla.
Secondo
alcuni studiosi ci sarebbe un'incongruenza nei tempi della rivolta
tra la stele di Mesha e la Bibbia. L'ipotesi si basa sul
presupposto che la successiva frase della stele faccia riferimento al
figlio di Omri, Acab.
«Omri era re di Israele, ed oppresse
Moab per molti giorni, perché Chemosh era furioso con la sua terra.
E suo figlio lo sostituì; ed egli disse, "Anche io opprimerò
Moab"... E Omri prese possesso dell'intera terra di Madaba; e vi
visse nei suoi giorni e metà dei giorni del figlio: quaranta anni: e
Chemosh lo restaurò nei miei giorni»
In altre parole, secondo questi
studiosi l'iscrizione afferma che la rivolta di Mesha avvenne durante
il regno del figlio di Omri, Acab. Dato che la Bibbia parla di
rivolta avvenuta durante il regno di Jehoram (nipote di Omri), questi
studiosi affermano che i due racconti siano inconsistenti.
Altri studiosi hanno fatto notare che l'iscrizione non fa esplicito
riferimento ad Acab. Nell'italiano moderno, il termine
"figlio" fa riferimento ad un figlio maschio discendenza
diretta dei genitori. Nell'antico vicino Oriente, però, il termine
veniva utilizzato per indicare qualsiasi discendente
maschio. Inoltre, "figlio di Omri" era un titolo
comune per ogni discendente maschio di Omri e potrebbe anche fare
riferimento a Jehoram. Supponendo che "figlio" significhi
"discendente", i due racconti sarebbero consistenti. Ai
tempi la definizione di "discendente di Omri" era "bît
Humri", come confermato dai registri assiri.

Nel 1994, dopo aver esaminato sia la stele di Mesha che la cartapesta
del Louvre, lo studioso francese André Lemaire disse che
la riga 31 della stele di Mesha riportava la frase "la casa
di Davide". Lemaire dovette immaginare una lettera
distrutta, la prima "D" di [D]VD ("di [D]avide")
per ricostruire la frase. La frase completa della riga 31 sarebbe
quindi "Riguardo a Horonen, qui vi visse la casa di [D]avid",
וחורננ.
ישב.
בה.
בת[
ד]
וד.
(le parentesi quadre [ ] racchiudono le lettere o le parole inserite
dove furono distrutte e dove i frammenti sono tuttora irreperibili).
Baruch Margalit ha tentato di utilizzare una lettera diversa, la "m",
trasformandola in: "Ora Horoneyn fu occupata alla fin[e] del
[regno del mio pre]decessore dagli [Edom]iti". Nel 2001
un altro francese, Pierre Bordreuil, scrisse che egli ed altri
studiosi non potevano confermare l'ipotesi di Lemaire. Se
Lemaire avesse ragione, esisterebbero due antichi riferimenti alla
dinastia di Davide, uno sulla stele di Mesha (metà del IX secolo
a.C.) e l'altra sulla stele di Tel Dan (metà del
IX secolo a.C. - metà dell'VIII secolo a.C.).
Nel 1998 un altro studioso, Anson Rainey, tradusse una difficile
coppia di parole nella riga 12 della stele di Mesha,
אראל.
דודה, come ulteriore riferimento a
Davide. La riga in questione recita: "Io (Mesha) portai da qui
(la città di Ataroth) l'ariel del suo DVD (o: il suo ariel
di DVD) ed io lo trascinai davanti a Chemosh a Qeriot". Il
significato di "ariel" e "DWDH" non è chiaro.
"Ariel" potrebbe derivare etimologicamente da
"leone d'oro" o "altare-cuore"; "DWDH"
significa letteralmente "il suo amato", ma può anche
significare "il suo (X) di Davide". L'oggetto preso da
Mesha nella città israelita potrebbe quindi essere "l'immagine
leonina del loro amato (dio)", identificando "ariel"
con il culto del leone associato all'amato dio Ataroth; o,
secondo la lettura di Rainey, "il suo altare-cuore
davidico".
Nel 2019 gli studiosi Israel Finkelstein, Nadav
Na'aman e Thomas Römer pubblicarono uno studio nel
quale sostennero invece che la riga 31 non si riferisse a Davide,
bensì a Balak, leggendario re di Moab menzionato nel Libro
dei Numeri. Rispondendo a tale proposta, lo studioso di
epigrafi Michel Langlois ha invece pubblicato un suo studio, nel
quale ha sostenuto la originaria teoria di Lemaire.
Charles
Montagu Doughty, nel suo studio pubblicato nel 1888, dice che gli fu
detto che lo sceicco di Kerak, Mohammed Mejelly, aveva venduto
la pietra ai crociati Franchi a Gerusalemme, e che il Beni
Haneydy, il clan sulla cui terra si trovava Dibone,
chiesero a Mejeely una quota del ricavato. Quando la richiesta fu
rifiutata, i Beni Haneydy attaccarono la spedizione che stava
trasportando la pietra a Gerusalemme, uccidendo cinque componenti
della scorta e perdendo tre dei loro uomini. Riportarono la pietra a
casa loro. A Doughty fu anche detto che i Franchi pagarono 40
sterline per la morte dei cinque uomini.
Sei anni
dopo il reverendo Archibald Henry Sayce disse che il
consolato francese di Gerusalemme aveva saputo della scoperta del
reverendo F. Klein e che, l'anno successivo, il
loro dragomanno Clemont-Ganneau inviò Selim el-Qari a
fare un calco in cartapesta e ad offrire 375 sterline per la pietra.
Sfortunatamente era già stato raggiunto un accordo con
i Prussiani per 80 sterline. Sentendo che la pietra era
aumentata di valore, il governatore di Nablus minacciò di
riprenderne il possesso. Piuttosto che non avere niente, la pietra fu
scaldata e poi distrutta bagnandola con acqua fredda. I vari pezzi
finirono in famiglie diverse, che le nascosero nei granai per
"fungere da talismani per proteggere il grano dal degrado".
Nel 1958 i resti di
un'iscrizione simile furono trovati nei pressi di Al-Karak.