Le fornaci romane di Alcamo sono parte di un complesso archeologico che si trova ad Alcamo Marina (in contrada Foggia) scoperto nel 2000.
Questo antico impianto produttivo ha una particolare importanza a livello internazionale, sia per l'estensione del sito che per la qualità della conservazione.
La prima fornace del sito è stata rinvenuta casualmente nel 2000 durante lo svolgimento di alcuni lavori di sbancamento per attività edilizie nella zona. Fermati subito i lavori, è stata stipulata una convenzione fra la facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'università di Bologna (sede di Ravenna), l'Assessorato dei Beni Culturali della Regione Siciliana e la soprintendenza di Trapani, che ha dato inizio alle ricerche archeologiche. A capo di questo progetto è stato scelto Dario Giorgetti, professore di storia romana e di topografia antica nell'Università di Bologna, che ha operato assieme agli allievi della facoltà di Ravenna e del corso di Archeologia Navale di Trapani.
Il professore Dario Giorgetti assieme ad dottor Antonio Filippi hanno effettuato il primo sopralluogo nel giugno 2002: si sono evidenziate delle tracce di una fornace dell'età romana, alquanto ben conservata, nonostante avesse subito gli interventi di scasso delle attività di lottizzazione.
Sono state fatte tre campagne di ricerca: ottobre 2003, ottobre 2004 e settembre 2005: in quella del 2005 sono stati scoperti, nel lato sud, i resti di una terza fornace.
Messa in sicurezza, l'area è stata aperta al pubblico il 23 maggio 2015 (per 2 giorni), grazie all'intesa tra Assessorato alla Cultura del comune di Alcamo, l'Archeoclub d'Italia Calatub (con i suoi volontari) e la soprintendenza dei Beni Culturali di Trapani.
Il 26 aprile 2016 è stato inoltre firmato un accordo tra comune di Alcamo e Archeoclub d'Italia Calatub per valorizzare in pieno il sito archeologico con attività di manutenzione, pulizia, agevolazione per la fruizione e ricerca.
La zona degli scavi, di proprietà del Comune di Alcamo, si trova al km 43,800 della Strada Provinciale 187, vicino al fiume San Bartolomeo al confine fra Alcamo e Castellammare del Golfo e a monte della linea ferroviaria Trapani–Palermo, nella zona Magazzinazzi.
L'area ha un'estensione di 2500 metri quadrati; si sono scoperte tre fornaci, due locali per la produzione e 5 strutture murarie che delimitano la zona produttiva, fatte con grandi blocchi di calcarenite locale; questi muri servivamo al contenimento della dilatazione del terreno, causato dal calore delle fornaci e maggiormente nelle fasi di riscaldamento e raffreddamento.
Le fornaci, datate fra il I secolo d.C. e la metà del V secolo d.C., sono disposte a "schiera", sull'asse nord-sud. La loro forma è circolare, con un diametro di circa 3 metri e presentano un insolito stato di conservazione.
La struttura della fornace "A" è del tipo "a muffola", di cui esistono pochi esemplari nell'Italia e in Europa di età romana. Risulta ben distinguibile la struttura del praefurnium e parte del corridoio che serviva per l'inserimento della legna.
Considerata la vastità dell'area di lavoro, probabilmente c'erano dei fossi utili per la depurazione dell'argilla, e diverse linee di produzione, magazzini di deposito. Si ritiene probabile perfino l'esistenza di addirittura 15 fornaci; ognuna dava lavoro a 8 persone, quindi è probabile che in quest'area esistesse un nucleo abitato.
L'impianto forse apparteneva a una o più famiglie di nobili imprenditori romani. Nella fornace "A" è stato ritrovato un coppo con il bollo Maesi e un segno a forma di croce, del V secolo d.C., e vicino ad Alcamo (in contrada Sirignano) in un'antica villa è stata rinvenuta una tegola con il bollo Maesi Anae. I Maesi erano presenti nella Sicilia dell'età imperiale tardo antica, e ci sono numerose iscrizioni a Termini Imerese, Palermo e Marsala.
Nel periodo di utilizzo delle fornaci di Alcamo ci sono state almeno due diverse fasi durante la dominazione romana, inoltre, lo scavo ha fatto ritrovare nel settore sud-orientale i resti di un'altra struttura destinata alla produzione della ceramica.
Queste fornaci erano utilizzate per la produzione di materiale di uso domestico e da costruzione (stoviglie, anfore, tegole e mattoni, embrici, ceramica comune) e fanno considerare a un possibile collegamento con l'attività commerciale del porto di Castellammare del Golfo, con diverse rotte in direzione della Spagna, Sardegna e Roma.
Il fiume San Bartolomeo, nelle cronache del '700, era ancora un fiume navigabile e a contatto con la vicina Segesta. Il suo delta è il frutto di detriti di due corsi d'acqua (il canale Molinello e il fiume San Bartolomeo), con una notevole presenza di un naturale deposito argilloso e di una fonte d'acqua, occorrenti entrambi per la produzione della ceramica.
Le anfore di tipo Dressel 21 e Dressel 22, scoperte nel sito, forse erano realizzate come contenitori per la frutta e per la conservazione e il trasporto del pesce, soprattutto tonno e sgombro, attestata dai diversi impianti di lavorazione del pesce presenti nel Golfo di Castellammare, a San Vito Lo Capo, a Marsala e nelle isole Egadi.
Nessun commento:
Posta un commento