sabato 10 febbraio 2024

Forme ceramiche greche: XVIII, Phiale

 

La phiale (φιάλη, plurale φιάλαι, phiàlai) è un antico vaso rituale greco, in ceramica o in metallo.
Ha la forma di un recipiente circolare, con bordi bassi, senza piede o maniglie (a differenza della kylix). Si trova inizialmente a Corinto e a Chio, all'inizio del VI secolo a.C. Gli esemplari metallici sono più diffusi, forse modellati a partire da lavori toreutici orientali.
Alcune phialai, dette mesonfaliche, presentano una depressione al centro della parete esterna dell'invaso, la quale si presenta all'interno come un elemento, più o meno elaborato, a rilievo.
Le phialai venivano usate per il rituale della libagione, cioè lo spargimento di vino, olio, latte o altra sostanza gradita offerta alla divinità.
L'uso della phiale durante la cerimonia è testimoniato da numerose rappresentazioni vascolari; l'omphalos aveva una funzione nella manipolazione della phiale la quale veniva tenuta con una sola mano inserendo il dito medio nella depressione esterna e tenendo il pollice sul bordo.
Tipologie di phialai (o patere a medaglione), sono presenti anche nella produzione ceramica calena.
Phialai si trovano anche in scultura riprodotte nei rilievi come elementi decorativi, per esempio al centro di festoni come nell'Ara Pacis.


Forme ceramiche greche: XVII, Olpe

 
L'olpe era una brocca, con corpo allungato e imboccatura rotonda, diffusa nella ceramica corinzia e attica, derivante da prototipi metallici (le due rotelle presenti all'attaccatura dell'ansa rappresentano le borchie necessarie al fissaggio). È un tipo di oinochoe con profilo continuo e con ansa unica e alta che si estende al di sopra dell'imboccatura. Veniva usata come le altre oinochoai per versare il vino.
In un sepolcro della necropoli Ara del Tufo a Tuscania, ne è stata ritrovata una di produzione etrusca, a figure nere attribuita al Pittore di Micali (VI secolo a.C.), comprovante l'influsso delle civiltà greca su quella etrusca.

Forme ceramiche greche: XVI, Stamnos

 

Uno stamnos (al plurale stamnoi) è un contenitore per liquidi, in argilla, creato in Grecia e prodotto dalla fine del VI secolo a.C. alla fine del V, in Etruria fino al IV. Ha corpo globulare, spalla larga, piede e collo bassi, con una larga apertura e anse orizzontali all'altezza della spalla. 
Gli esemplari più recenti tendono a snellirsi e ad alzarsi. L'esistenza di esemplari dotati di coperchio indica che la forma poteva essere utilizzata per la conservazione dei liquidi, come l'anfora, mentre fonti letterarie e rappresentazioni vascolari ne mostrano l'utilizzo per la mescita del vino nei banchetti, similmente al modo in cui venivano impiegati i crateri. Le fonti letterarie inoltre indicano che il nome veniva impiegato nell'antichità non esclusivamente per questa forma particolare, ma più generalmente per grandi vasi contenitori, tipologia entro la quale rientravano anche le anfore.
Benché se ne conoscano alcuni esemplari decorati a figure nere, lo stamnos è una delle forme vascolari impiegate e adattate soprattutto per la decorazione a figure rosse, nel periodo in cui nasceva il nuovo stile e venivano elaborati e sperimentati nuovi
rapporti tra forma e decorazione. Un esempio precoce e sperimentale è lo stamnos dipinto da Oltos (Londra, British Museum E437), mentre la decorazione diviene canonica e si stabilizza a partire dal Gruppo dei pionieri.

Forme ceramiche greche: XV, Pelike

 
La pelìke (πελίκη, al plurale πελίκαι, pelìkai) è un vaso, utilizzato come contenitore di liquidi, con imboccatura larga e profilo continuo e con il massimo diametro del corpo in prossimità del piede, al quale si unisce senza stelo (una forma simile all'anfora di tipo C). Ha due anse verticali a nastro o con costolatura centrale.
Comparve ad Atene nell'ultimo quarto del VI secolo a.C., solo in seguito all'introduzione della tecnica a figure rosse, benché ne esistano esemplari dipinti a figure nere, e la sua produzione continuò fino al IV secolo a.C. Sembra essere stata una creazione del Gruppo dei pionieri. Col tempo tende ad assumere un orlo più ampio il quale, nel IV secolo a.C., raggiunge il diametro massimo del ventre. Esiste una variante della pelike che presenta il collo distinto; è meno comune, ma si ritiene sia stata la variante più antica.
Il termine è impiegato dagli archeologi moderni per indicare questa particolare forma di anfora, ma era usato in antichità
per indicare una indifferenziata serie di oggetti a forma aperta.
Dal 450 a.C. circa vengono impiegate anche come contenitori per le ceneri dei defunti.
Fu particolarmente usata, in una versione di minori dimensioni, nella ceramica di Gnathia.

Forme ceramiche greche: XIV, Cratere

 
Il cratere (κρατήρ, plurale κρατῆρες, kratḕres; dal verbo greco κεράννυμι kerànnymi, "mischiare") era un grande vaso utilizzato per mescolare vino e acqua nel simposio greco. Nel corso del banchetto i crateri venivano posti al centro della stanza e venivano riempiti di vino, a cui veniva aggiunta acqua per diluirlo ed abbassare il contenuto alcolico. La distinzione che si effettua tra il lebes o dinos a fondo tondeggiante e il cratere dotato di piede è una convenzione moderna.
Presenta un corpo tondeggiante, con corte anse per il trasporto e una larga imboccatura. Se ne conoscono numerose varianti. Le forme più antiche presentano forma simile allo skyphos, una coppa per bere, e sono conosciute già in epoca micenea. In epoca protogeometrica le anse si
impostavano sul ventre; nella forma diffusa durante il periodo geometrico il corpo si ergeva talvolta su di un piedistallo svasato e le anse potevano collegarsi all'orlo. Nel tardo geometrico e nel protoattico il corpo si allungava e stringeva assumendo una forma ad uovo; inoltre, nei grandi crateri funerari del tardo geometrico si aggiungeva un collo che allontanava le anse dall'orlo del vaso. Una forma particolare inventata ad Atene e diffusa nella seconda metà del VII secolo a.C. era lo skyphos-krater o kotyle-krater, dotato di alto piedistallo svasato e coperchio (esemplari celebri sono quelli rinvenuti a Vari). Cratere a colonnette (kelébe)
Inventato a Corinto nell'ultimo quarto del VII secolo a.C., si sviluppa dal
cratere geometrico e sembra fosse conosciuto in antichità come cratere corinzio; ha corpo di forma globulare, corto piede a doppio gradino, largo collo e orlo piatto e sporgente. Le anse, la cui forma ha dato il nome al tipo, sono costituite da due elementi cilindrici verticali che partono dal corpo e si uniscono superiormente alla sporgenza sagomata dell'orlo, senza superarla in altezza. Era particolarmente comune nel periodo delle figure nere.
Cratere a volute
Forse originato nel VII secolo a.C. da modelli bronzei peloponnesiaci[1] fu adottato dai ceramisti attici tra il 570 a.C. e il IV secolo a.C. e fu particolarmente apprezzato nel periodo delle figure rosse. A forma di anfora con corto piede e ampio collo svasato e distinto dalla spalla, il cratere a volute si caratterizza per le anse che, impostate orizzontalmente sulla
spalla, proseguono verticalmente oltrepassando l'orlo e assumendo una forma a voluta. Un esempio celebre è il vaso François. Si parla anche di cratere a mascheroni, quando nelle anse sono inserite appunto delle testine.
Cratere a calice
Si diffonde a partire dalla seconda metà del VI secolo a.C., l'esemplare più antico conosciuto appartiene ad Exekias (Atene, Agorà AP1044) che si pensa sia l'inventore della forma, ma diviene comune nel periodo delle figure rosse. Presenta un corpo alto e svasato, talvolta a profilo convesso come il calice di un fiore, le piccole anse, leggermente oblique, sono impostate nella parte inferiore del corpo. Il piede è allungato e a doppio gradino.
Cratere a campana
È una variante che ha origine nel periodo delle figure rosse, all'inizio del V secolo a.C.; si presenta con forma di campana rovesciata e con orlo svasato, rialzato su un piede con corto stelo e ha due piccole anse orizzontali nella parte superiore del corpo.

Nelle foto, dall'alto:
Cratere a calice
Cratere a colonnette con Dioniso e due satiri
Cratere a volute con donna seduta, Apulia, 320 a.C.
Cratere a calice, da Attica o Beozia, Museo di Marseille
Cratere a campana con Cadmo che assale il dragone, Saticula, Museo archeologico di Napoli

Qal'at ar-Rum - TURCHIA

 

Il Qal'at ar-Rum  ,in curdo Hromkla , chiamata Rumkale in turco e Hromgla in armeno, sempre con il significato di "castello romano" (nel senso di bizantino), fu una potente fortezza sul fiume Eufrate, 50 km a nord-est di Şanlıurfa, il capoluogo della omonima provincia della Turchia.
La sua posizione strategica era già conosciuta dagli Assiri, sebbene la presente struttura sia soprattutto di origine ellenistica e romana. Durante il medioevo il sito fu occupato da vari signori della guerra bizantini ed armeni. Qal'at ar-Rum fu il seggio di un patriarca armeno dal XII secolo. Dal 1203 al 1293 fu la residenza del capo supremo (catholicos) della Chiesa armena. Nel 1293 fu espugnata dai mamelucchi d'Egitto a seguito di un lungo assedio.
La fortezza è attualmente una rovina accessibile per battello solo dalla vicina cittadina di Halfeti nella provincia di Şanlıurfa.


Ostia, domus di Amore e Psiche (Lazio)


La domus di Amore e Psiche è una domus tardoantica della città romana di Ostia, costruita in opera listata nel secondo quarto del IV secolo, su una precedente fila di taberne di II secolo.
L'ingresso si apre su un diverticolo di via del tempio di Ercole, nel settore a nord di via della Foce, poco fuori dalla porta occidentale dell'antico castrum. Nella numerazione data dagli scavatori l'edificio è il n.5 dell'isolato XIV della regione I (I,XIV,5).
Prende il nome da un piccolo gruppo statuario con Amore e Psiche, rinvenuto in uno dei cubicoli (stanze da letto) e sostituito da un calco in gesso danneggiato da azioni vandaliche.
Due delle taberne sul lato ovest, con ingresso indipendente su via del tempio di Ercole, sono rimaste in attività, espandendosi anche nel portico che in origine le precedeva.
L'accesso è da un vestibolo sul lato sud, con banchi in muratura rivestiti in marmo, addossati alle pareti. Il vestibolo si apre con una porta laterale su un ambiente centrale con banco addossato all'estremità sud e pavimentato con un mosaico geometrico policromo. Di fronte all'ingresso un corridoio accede ad una piccola latrina privata.
A sinistra si aprono tre piccole stanze (probabilmente cubicoli, o stanze da letto). Le due laterali sono pavimentate con mosaico geometrico in bianco e nero e una aveva pareti affrescate. Il cubicolo centrale aveva pavimento in opus sectile e rivestimento in lastre di marmo della parte bassa delle pareti; al centro un sostegno marmoreo reggeva un piccolo gruppo scultoreo sempre in marmo con Amore e Psiche, che ha dato il nome alla casa.
Sul lato opposto dell'ambiente centrale, quattro arcate su colonne danno su un piccolo giardino interno, con ninfeo (fontana monumentale) sul lato di fondo. Il ninfeo presenta un podio con cinque nicchie semicircolari, con un piccolo scivolo scalettato in marmo per far scendere l'acqua; al di sopra la parete presenta altre cinque nicchie per statue, alternativamente rettangolari e semicircolari, in origine rivestite a mosaico, inquadrate da colonnine in marmo lunense.
Sul fondo sopraelevata con un gradino, si apre la sala di rappresentanza, che probabilmente doveva avere un'altezza di due piani, con pavimento in opus sectile di grande qualità e con parte inferiore delle pareti rivestita in marmo. Sulla parete di ingresso è una nicchia con fontana. Dalla sala si apre sul lato sinistro l'accesso alla scala interna per il piano superiore che probabilmente si estendeva solamente sulle quattro stanze più piccole.

Ponte romano di S. Dionysen - AUSTRIA

 

Il ponte romano di S. Dionysen si trova a Oberdorf, sulla strada verso Sankt Dionysen, località del comune di Bruck an der Mur che si trova a suo volta nel distretto di Bruck-Mürzzuschlag del Land Stiria, in Austria.
Il ponte ad arco in pietra fu costruito probabilmente in epoca romana (si presume intorno al II secolo d.C). Questa struttura è ora un bene culturale tutelato.
Il ponte viene nominato per la prima volta in un documento del 1454. Tale bene apparteneva probabilmente all'antica via postale romana che partiva da Flavia Solva (nei pressi dell'odierna Wagna), attraversava il Mura, arrivava a Poedicum e da qui proseguiva ancora fino a Stiriate.
La datazione del ponte è incerta. Nell'opera Roman Bridges del 1993, l'ingegnere australiano O'Connor suggerisce che il ponte sia un edificio di epoca romana, facendo riferimento a sua volta ad una pubblicazione precedente degli anni '60.  Tuttavia, il ponte non compare nel catalogo molto più ampio dello studioso italiano Galliazzo del 1994. 
Nei pressi di Badl si è conservata parte della stessa strada romana ed anche un ponte, oggi bene architettonico protetto.

San Lorenzo Tenochtitlán - MESSICO

 

San Lorenzo Tenochtitlán (o San Lorenzo) è il nome dato a un gruppo di siti archeologici — San Lorenzo, Tenochtitlán, e Potrero Nuevo — situati nello stato messicano di Veracruz. Dal 1200 a.C. al 900 a.C. fu il centro più importante della cultura degli Olmechi. San Lorenzo Tenochtitlán è conosciuto per le teste di pietra ritrovate in diversi scavi, le più grandi delle quali pesano 20 tonnellate e misurano 3 metri in altezza. I turisti possono accedere al sito dal lunedì alla domenica, dalle ore 8 alle ore 9.
San Lorenzo fu la città più grande nel mesoamerica dal 1200 a.C. al 900 a.C., periodo in cui La Venta cominciò ad espandere la propria influenza. Nell'800 a.C. a San Lorenzo erano rimasti pochi abitanti, e la zona venne ripopolata con frequenza solo nel 600-400 a.C. e di nuovo dall'800 al 1000. A differenza di La Venta, situato in una zona paludosa, San Lorenzo si trovava in una area adatta alla coltivazione. San Lorenzo era principalmente un sito cerimoniale, senza mura, con la popolazione principalmente dedita all'agricoltura. Il centro della zona e le costruzioni circostanti potevano ospitare circa 5500 persone, arrivando a circa 13.000 con l'inclusione degli hinterland.
Mentre San Lorenzo controllava molto del bacino di Coatzacoalcos, le zone a est (dove La Venta si sviluppò come potenza regionale) e nord-nord-est (le montagne di Tuxtla) ospitavano delle città stato indipendenti. Costruita su 700 ettari di terreno compreso tra gli allora fluenti tributari, il nucleo di San Lorenzo copre 55 ettari modificati in seguito tramite riempimenti e livellamenti.
San Lorenzo mostrava un sistema di drenaggio complesso che usava pietre sepolte incanalate come sistema di tubazione. Alcuni ricercatori stimano che lo scopo del sistema era di fornire acqua potabile alla popolazione e di svolgere un compito di tipo rituale, in quanto il regno era "strettamente collegato alla figura di un padrone supernaturale dell'acqua".
Matthew Stirling fu il primo archeologo a iniziare gli scavi nel sito dopo una visita nel 1938. Tra il 1946 e il 1970 vennero portati a termine quattro progetti di scavi, con una interruzione fino al 1990. Gli scavi ricominciarono nel 1990. Il nome originale dell'area in lingua olmeca è sconosciuto. Il nome "San Lorenzo Tenochtitlán" venne coniato da Stirling nel 1955, riferendosi ai nomi dei villaggi circostanti, per indicare l'intero complesso di siti archeologici della zona.


Nella foto, la Testa Colossale 1, attualmente al Museo de Antropologia a Xalapa; la scultura riale ad un periodo compreso tra il 1200 e il 900 a.C.


The Younger Lady - EGITTO

 
The Younger Lady
 è il nome con cui è informalmente nota una mummia femminile scoperta nella Valle dei Re, nel 1898, da parte dell'archeologo francese Victor Loret. Attraverso esami del DNA, questa mummia è stata identificata come madre del faraone Tutankhamon, figlia di Amenofi III e Tiy, nonché sorella di Akhenaton. È anche designata con le sigle KV35YL (YL sta per Younger Lady) e 61072. Si trova al Museo egizio del Cairo. Un tempo si credeva che si trattasse della mummia della regina Nefertiti, ma gli esami del DNA hanno confutato questa ipotesi.
La mummia fu scoperta giacente accanto ad altre due mummie, nella tomba KV35: un ragazzino morto intorno ai 10 anni, forse il principe Ubensenu, e un'altra donna, più anziana (soprannominata The Elder Lady), identificata come la grande regina Tiy grazie agli esami del DNA compiuti sui resti dei congiunti di Tutankhamon. Le tre salme furono rinvenute una accanto all'altra, denudate e private di ogni oggetto identificativo in una piccola anticamera della tomba; tutte e tre mostrano danni inflitti con particolare violenza da parte dei tombaroli.
La maggior parte delle teorie identificative si raccolse intorno alla Younger Lady. Al momento della scoperta, Victor Loret credette che si trattasse del corpo di un giovane uomo, a causa del capo rasato. Una quindicina d'anni dopo, l'analisi dell'anatomista G. Elliot Smith accertò il sesso femminile dei resti; fino ad allora l'asserzione di Loret non era mai stata confutata.
Gli esami del DNA autosomico e mitocondriale ne hanno definitivamente dimostrato il sesso femminile. Ciò portò anche alla scoperta che era sorella (non sorellastra) di suo marito, la mummia della tomba KV55, e che entrambi erano figli di Amenofi III e Tiy. Il matrimonio fra fratelli era pratica assai comune all'interno della famiglia reale egizia, riprendendo il mito di Osiride e Iside, fratelli e sposi. Anche l'identità della mummia maschile della KV55 è oggetto di dibattiti fin dalla sua scoperta, nel 1907. I resti sono attribuiti da alcuni studiosi ad Akhenaton, da altri a Smenkhara. Tale legame di parentela attenuerebbe la possibilità che la Younger Lady (vale a dire, la madre di Tutankhamon) fosse Nefertiti oppure Kiya, una importante moglie secondaria di Akhenaton, dato che né Nefertiti né Kiya furono sorelle di Akhenaton o figlie di Amenofi III, come attesta invece il DNA della Younger Lady. La possibilità che si tratti di Sitamon, Iside o Henuttaneb, figlie di Amenofi III, è ritenuta improbabile, poiché queste tre erano già andate in mogli al loro padre Amenofi III, assumendo così il titolo di Grandi Spose Reali: qualora fossero andate in spose al fratello Akhenaton, con il loro rango avrebbero surclassato Nefertiti; invece soltanto Nefertiti è nota come Grande Sposa Reale di Akhenaton e regina d'Egitto. Si potrebbe concludere che la mummia apparterrebbe a Nebetah o Baketaton, figlie di Amenofi III che non pare abbiano sposato il loro padre. Tuttavia è noto che Amenofi III ebbe dalla regina Tiy 8 figlie.
Vi è anche la teoria secondo cui la Younger Lady sarebbe Merytaton, primogenita di Akhenaton e Nefertiti, oltre che sposa di Smenkhara. Tale teoria si basa sullo studio degli alleli ereditati da Tutankhamon; Merytaten avrebbe sposato Smenkhara, ritenuto suo zio, rendendo così Tutankhamon pronipote di Akhenaten da parte materna.
La teoria prende corpo dalla difficoltà di distinguere fra le generazioni, causata dalle continue unioni fra famigliari.
Ma questa ipotesi ha un problema. Merytaton dovette essere una discendente mitocondriale della regina Tiy, o della di lei madre Tuia, siccome il DNA mitocondriale della Younger Lady combacia con il suo essere figlia di Tiy. L'ascendenza di Nefertiti non è conosciuta e, qualora Merytaton fosse la Younger Lady, allora Nefertiti dovrebbe discendere da Tuia.
È stato anche suggerito che la Younger Lady sarebbe Nefertiti, siccome l'incesto era pratica molto comune all'interno della famiglia reale (per preservare l'ascendenza, considerata divina). Ciò significherebbe che Akhenaton avrebbe sposato la propria sorella, come aveva già fatto quasi ogni sovrano della XVIII dinastia, e che con lei avrebbe generato Tutankhamon. Una difficoltà che si pone a tale interpretazione è l'età della donna al momento della sua morte: Nefertiti diede alla luce una figlia nell'anno 1 del regno di Akhenaton, e sicuramente era ancora viva nell'anno 16; visse quasi sicuramente fino a dopo i 30 anni. Ciò rende quest'ultima ipotesi piuttosto improbabile.
L'anatomista Grafton Elliot Smith ha redatto per primo agli inizi del XX secolo un'attenta descrizione della mummia nel corso dei suoi studi sulle mummie reali dell'Egitto faraonico. Alle sue misurazioni, la mummia risultò alta 158 centimetri e non più vecchia di 25 anni al momento della morte. Elliot Smith prese inoltre nota dei danni maggiori arrecati alla salma dai razziatori di tombe, che ne fracassarono il torace e sottrassero il braccio destro all'altezza della spalla. Già Elliot Smith ipotizzò che si trattasse di un membro della famiglia reale.
In passato anche la grave ferita sul lato sinistro del viso, che distrusse parte della bocca, della mandibola e della guancia, fu ritenuta un risultato dei tombaroli, ma un ri-esame della mummia, svoltosi nell'ambito dei test genetici e delle tomografie computerizzate del 2010, ha rivelato che la ferita fu provocata prima della morte e che costituì probabilmente la causa del decesso della giovane.


venerdì 9 febbraio 2024

Forme ceramiche greche: XIII, Anfora

 


L'anfora (dal greco ἀμφορεύς, da ἀμφί + φέρομαι, "esser portato da entrambe le parti", attraverso il latino amphora) è un vaso di terracotta a due manici, definiti anse, di forma affusolata o globulare utilizzato nell'antichità per il trasporto di derrate alimentari liquide o semiliquide, come vino, olio, salse di pesce, conserve di frutta, miele, ecc. Si possono classificare in fenicie o puniche, greche, etrusche, della Magna Grecia (greco-italiche antiche) e romane.
L’anforologia è la disciplina che si occupa di studiare le anfore per migliorare le conoscenze archeologiche e storiche dei popoli antichi che le utilizzarono; le anfore, infatti, costituiscono una ricca testimonianza del proprio tempo: attraverso di esse si possono capire le tecniche di fabbricazione utilizzate, si
possono individuare i centri di produzione dei contenitori e dei contenuti, si possono ricostruire le antiche rotte commerciali e così via.
Per comodità le anfore vengono catalogate secondo “tipi” definiti dalla somma delle caratteristiche di alcuni elementi morfologici, considerati nel loro insieme; tuttavia, bisogna considerare che il concetto di “tipo anforico” è abbastanza elastico: di uno stesso tipo esistono numerose varianti dovute alla fabbricazione manuale, all’evoluzione locale e a quella imitativa di questi contenitori. La denominazione dei tipi anforici può discendere: dal nome di una località (es. Camuludunum 184), dal nome di uno studioso (es. Keay VI), dal nome di un inventario o da quello del contesto di scavo (es. Agora M273), o ancora da caratteristiche fisiche dell'anfora stessa (es. "hollow foot amphora")
o dall'arco cronologico di diffusione (es. "Late Roman Amphora 2").
Per quanto riguarda le anfore di età romana, il primo studioso che si occupò di classificare tutti questi recipienti fu Heinrich Dressel. Nel 1872, con l'aiuto di padre Luigi Bruzza, iniziò a classificare i frammenti di anfore rinvenute sul monte Testaccio (Roma) e aventi almeno un bollo o un titulus pictus.
L'anfora come unità di misura 
Nell'antica Grecia le misure di capacità variavano a seconda che fossero destinate ai liquidi (μέτρα ὑγρά) o ai solidi (μέτρα ξηρά); nel caso dei liquidi, ad esempio, si utilizzava l'anfora (in greco antico: ἀμφορεύς?): un'unità di misura del volume che nel sistema attico di Solone corrispondeva a 72 cotili o a 1/2 metreta (19,44 litri).
Con il termine anfora veniva indicata nel Cinquecento un'unità di peso e di capacità, utilizzata dai commercianti italiani, soprattutto veneziani. Veniva abbreviata con il segno @. 
L'anfora nella ceramica greca 
Il termine anfora (dal greco amphorèus) è utilizzato per una forma ceramica greca decorata, caratterizzata da un corpo rastremato inferiormente, con collo più stretto e due anse impostate sul collo e sulla spalla. A differenza dei contenitori da trasporto sopra descritti, che presentavano un piede appuntito atto a facilitare l'immagazzinamento sulle navi, le anfore avevano un fondo piatto che permetteva ad esse di sostenersi. Erano destinate a contenere liquidi o granaglie ed in alcuni periodi furono destinate ai rituali di sepoltura,
impiegate come urne cinerarie o come segnacoli tombali.
Già conosciute in epoca micenea, in epoca greca se ne distinguono due principali tipi in base al profilo tra spalla e collo che può seguire una curva continua, ovvero presentare uno stacco netto. Per ciascuna forma sono osservabili sistemi decorativi precipui e determinati dalla tecnica di decorazione impiegata e dal periodo storico.
Anfore a profilo continuo
Questa forma è raramente presente al di fuori dell'Attica e compare già nel VII secolo a.C. divenendo comune in una forma rimodellata nel VI secolo a.C. Viene prodotta fino all'ultimo quarto del V secolo a.C. Se ne distinguono tre standard tipologici:
- il più antico (diffuso nella prima metà del VI secolo a.C.) e più comune tra


le varianti della forma è il tipo "B" che presenta anse cilindriche e piede "ad echino rovesciato";
- il tipo "A", successivo (intorno alla metà del secolo), presenta un orlo svasato (trapezoidale) con anse quadrangolari solitamente decorate con foglie d'edera e piede a doppio scalino;
- la variante meno diffusa è il tipo "C", utilizzato tra il 580 e il 470 a.C. circa. Si caratterizza per l'orlo a profilo rotondo invece che trapezoidale, mentre anse e piede variano.
Anfore a collo distinto
Furono le più antiche, ereditate dalla ceramica micenea. Per il periodo protogeometrico se ne conoscono con anse orizzontali, impostate sul ventre, e con anse verticali; queste ultime sono le più diffuse e danno origine
alla forma più allungata che diviene comune durante il periodo geometrico.
Per i periodi orientalizzante e a figure nere l'anfora a collo distinto assume diverse forme, ma la più diffusa resta quella tipica del periodo geometrico. Una nuova forma viene modellata a metà del VI secolo a.C. ad Atene, dove diviene la forma tipica nelle figure nere del periodo maturo: il corpo assume forma ovoidale e la spalla si appiattisce. La forma tipica del periodo a figure rosse si presenta smagrita e frequentemente con anse intrecciate.
Anfore panatenaiche
Tra le anfore con il collo distinto una variante è rappresentata dall'anfora panatenaica, con collo sottile e corpo largo fortemente rastremato verso il piede, creata ai tempi di Pisistrato e offerta come premio per le competizioni nelle Panatenee di Atene: presenta una decorazione dipinta tipica, sempre a
figure nere (la dea Atena su un lato e la gara vinta sull'altro), fino al II secolo a.C. A partire dal IV secolo a.C. le anfore panatenaiche sono datate dall'iscrizione del nome dell'arconte eponimo. La forma tende a smagrire e ad allungarsi col tempo fino a perdere nel IV secolo a.C. l'aspetto originario dell'anfora a collo distinto. Furono prodotte anche anfore della medesima forma ma con diverse decorazioni, a volte più piccole, forse come souvenir.
Anfore nicosteniche
Un'altra variante particolare era l'anfora nicostenica, che prende il nome dal suo creatore, il vasaio Nikosthenes, il quale ne produceva esemplari destinati unicamente al mercato etrusco. Presenta anse piatte che partono dall'orlo e collo a profilo tendenzialmente conico che raggiunge alla base quasi la larghezza massima del ventre. La forma dell'anfora nicostenica deriva da quella dell'anforetta a spirale, una tipologia vascolare frequentemente
rinvenuta nelle sepolture villanoviane e orientalizzanti.
Anfore nolane
Prendono il nome da Nola, luogo di rinvenimento di numerosi esemplari; sono una versione più piccola dell'anfora a collo distinto, frequenti nella prima metà del V secolo a.C. Presentano collo svasato, ampio orlo convesso e anse crestate; la versione con anse doppie, ciascuna composta da due sezioni cilindriche, è chiamata doubleen.
Anfora tirrenica
È una variante con corpo meno espanso prodotta a partire dal 575 a.C. circa e destinata all'esportazione in Etruria.
Anforisco
È un'anfora di piccole dimensioni con piede a punta usata per la conservazione degli oli profumati.


Nelle foto, dall'alto:
    Parete di anfore al Macquarie University History Museum
    Anfora a profilo continuo di tipo B del Pittore di Nesso
    Anfora a profilo continuo di tipo A, Atena ed Ercole, Staatliche Antikesammlungen
    Anfora a profilo continuo di tipo A, La partenza dei guerrieri, Louvre
    Anfora a collo distinto di tipo ovoide, diffusa nel secondo quarto del VI secolo a.C, Morte del       Minotauro, Atene
    Anfora panatenaica
    Anfora nicostenica, Louvre
    Anfora nolana con donna con mantello, Pittore di Achille
    Anforisco con animali e sirene, Louvre
    Anforisco per olio
    Vari tipi di anfore, esposte nei Mercati di Traiano - Museo dei Fori Imperiali, Roma.  

Forme ceramiche greche: XII, Lekanis

 

La lekanis (pl. lekanides) è una forma vascolare in uso nella Grecia antica. Era una coppa bassa, con piede ad anello e due anse orizzontali a nastro impostate sotto l'orlo, quest'ultimo dotato di una modanatura adatta ad accogliere il coperchio con il quale forma una parete continua. A parte alcuni precedenti in epoca geometrica, la forma compare stabilmente nella seconda metà del VI secolo a.C. e diviene frequente nel periodo a figure rosse.
Gli esemplari a figure nere e a vernice nera possono essere privi di coperchio, mentre quelli a figure rosse sono tipicamente dotati di un coperchio decorato. Col tempo il coperchio a cupola tende ad appiattirsi e a formare un angolo retto tra la superficie superiore e le pareti verticali.
La lekanis veniva usata per contenere diverse sostanze e oggetti; era un vaso da toilette, un contenitore per unguenti o per piccoli oggetti. Come risulta anche da alcune rappresentazioni vascolari la lekanis rientrava nella complicata meccanica del matrimonio antico (così in qualche circostanza è chiamato il vaso in cui venivano posti i gioielli che il
padre donava alla sposa) e Luciano di Samosata ne descrive una d'argento posta fra gli oggetti di una donna. Nel periodo a figure rosse la decorazione della parte superiore del coperchio è frequentemente a tema nuziale e le immagini possono proseguire lungo la parete del contenitore senza soluzione di continuità.
Il coperchio della lekanis è dotato di una impugnatura con stelo che, quando sufficientemente ampia, fungeva da piede per il coperchio che diveniva a sua volta contenitore se rovesciato. Su queste lekanides reversibili, a causa dell'ingombro creato dall'impugnatura, la decorazione del coperchio si
limita a fregi animalistici.
Esiste una versione ad uso domestico della lekanis, usata per contenere o servire piccole quantità di cibo, formalmente più semplice, decorata con semplici bande orizzontali o priva di decorazione.

Nelle foto, dall'alto:
- Lekanis nuziale, 370-360 a.C., Museo della ceramica, Atene
- Lekanis attica a vernice nera, 450-440 a.C., Louvre
- Lekanis da Chios del Gruppo di Afrodite, British Museum
- Lekanis con decorazione vegetale

Forme ceramiche greche: XI, Epinetron

 

L'epinetron (plurale - epinetra) era un semi cilindro cavo, chiuso ad una estremità, utilizzato dalle donne greche durante la filatura della lana. 
Gli strumenti realmente utilizzati dovevano essere costruiti in materiali meno nobili, mentre i preziosi epinetra in ceramica, decorati a figure nere o figure rosse con temi a soggetto mitologico o di vita quotidiana, restituiti da contesti tombali e dall'acropoli di Atene dovevano essere considerati come offerte o doni preziosi che potevano essere ulteriormente impreziositi da una testa o un busto di Afrodite sulla parte chiusa del cilindro.

Forme ceramiche greche: X, Psykter

 
Lo psyktèr (ψυκτήρ, plurale ψυκτῆρες, psyktḕres) è un tipo di vaso greco caratterizzato da un corpo bulboso posizionato sopra un piede alto e stretto che veniva usato per refrigerare il vino. Il nome è antico, derivato dalla funzione del vaso e applicato a ogni tipologia vascolare similmente utilizzata. Sembra essere stato inventato verso la fine del VI secolo a.C., nel periodo di formazione dello stile a figure rosse. Uno dei più antichi psyktèr conosciuti reca la firma del vasaio Nicostene, e se ne hanno esempi fino alla metà del V secolo a.C.
La forma particolare consentiva al vaso di galleggiare all'interno del cratere riempito di liquido o di reggersi autonomamente sul proprio piede. Esistono rappresentazioni dipinte che mostrano questo vaso immerso in crateri (ad esempio l'oinochoe al Museo archeologico nazionale di Atene 1045) e la decorazione degli psyktèr sembra essere eseguita in funzione dell'utilizzo del vaso che ne avrebbe consentito la vista solo per metà (il piede e una striscia nella parte inferiore del corpo sono di colore uniforme).
Non è chiaro se fosse lo psyktèr a contenere il vino e il cratere ghiaccio, neve o acqua fredda, o viceversa. Esistono esemplari di vasi aventi la stessa funzione che, in luogo dell'utilizzo di due vasi, sono dotati di una propria camera interna e possono avere una conformazione simile al cratere o simile all'anfora (prevalentemente a collo distinto).

Forme ceramiche greche: IX, Loutrophòros 

 
La loutrophòros (greco antico: λουτροφόρος; etimologia greca: λουτρόν/loutròn e φέρω/pherō, tradotto in italiano: "acqua del bagno" e "portare") è un vaso greco antico in ceramica, di forma allungata, caratterizzato da un collo alto, generalmente della stessa misura della pancia, e da due anse impostate sulla spalla e appena sotto l'orlo. La loutrophoros è una forma vascolare ben attestata, restituitaci da numerosi siti archeologici del mediterraneo interessato dalla colonizzazione greca.
La loutrophoros è presente ad Atene dal tardo VIII secolo a.C. (come dimostrano le decorazioni in stile geometrico) e perdura sino al compimento dell'età ellenistica; acquisisce particolare rilevanza nell'area magno-greca dove a livello artistico si assiste ad un'evoluzione della forma vascolare che interessa soprattutto le anse, sempre più elaborate e barocche, e in generale la forma del vaso, più longilinea e slanciata.
Durante il primo periodo delle figure nere venne utilizzata come segnacolo tombale e per questa ragione alcuni esemplari si presentano privi di fondo. Nel V secolo a.C. venne impiegata principalmente per conservare l'acqua lustrale, acqua purificata destinata ad uso rituale, per la pulizia del corpo prima del matrimonio, o per la pulizia del corpo delle donne decedute ancora nubili. 
Le decorazioni della loutrophoros frequentemente sono connesse a queste destinazioni e rappresentano processioni o altri dettagli relativi alla preparazione della cerimonia nuziale, lamentazioni ed esposizioni dei defunti.
Il nome utilizzato per designare questa forma sembra essere ben attestato dalle fonti letterarie, dalle rappresentazioni vascolari e dai soggetti prevalentemente rappresentati sui vasi stessi.
Ne esisteva una variante a forma di hydria che presentava una terza ansa sul retro del vaso.








Nelle foto, dall'alto:
- Loutrophoros protoattica del Pittore di Analato, 680 a.C. circa, Louvre
- Loutrophoros attica a figure nere, Atene 510-500 a.C., Antikensammlung Berlin/Altes Museum

Museo Paul e Alexandra Kanellopoulos, Atene - GRECIA

 


Il Museo Paul e Alexandra Kanellopoulos è un museo di antichità ad Atene , in Grecia . Si trova sul versante nord dell'Acropoli, nel quartiere di Plaka (via Theorias 12). Fondata nel 1976, ospita la collezione di Paul e Alexandra Kanellopoulos, che iniziò ad essere costituita nel 1923 e fu donata allo Stato greco nel 1972.  La collezione comprende ca. 6500 reperti di arte preistorica, greca antica, bizantina e post-bizantina, che abbracciano quasi sei millenni di storia (dal Neolitico al XIX secolo).
Il museo è ospitato in due edifici, che condividono un ingresso comune in via Theorias. L'edificio cronologicamente più antico è un palazzo neoclassico costruito nel 1894 come residenza della famiglia Michaleas. Ha tre piani, con bellissimi dipinti sui soffitti di quello superiore. La villa Michaleas fu espropriata dallo Stato greco negli anni '60 -'70 e fu restaurata per ospitare permanentemente la collezione Canellopoulos. Nel 2007, la Nuova Ala del Museo è stata costruita dall'architetto P. Kalligas, su iniziativa di Alexandra Canellopoulos e della Fondazione Paul e Alexandra Kanellopoulos. 
Gli scavi archeologici condotti prima della costruzione dell'ala nuova hanno portato alla luce resti di una casa tardo bizantina e parte della fortificazione medievale di Atene (il cosiddetto Rizokastro), costruita nel XIII secolo. Questi resti sono stati conservati nel seminterrato dell'Ala Nuova e sono accessibili al pubblico.
La collezione Paul e Alexandra Kanellopoulos comprende ca. 6500 oggetti di arte preistorica, greca antica, bizantina e post-bizantina. Includono figurine e vasi del Neolitico e dell'età del bronzo, vasi classici, una vasta gamma di manufatti in metallo (vasi, armi, statuette, pesi, attrezzature rituali), sculture in marmo, gioielli di tutti i periodi (oro, argento, bronzo, vetro), monete , ritratti in stile Fayum, tessuti, manoscritti, prime edizioni a stampa e più di 350 icone risalenti al periodo dal XIV al XIX secolo. 
Tra questi, particolarmente notevole è il folto gruppo di vasi a figure nere e a figure rosse , che raffigurano scene mitologiche, rituali e attività quotidiane del periodo arcaico e classico. Importante è anche il grande insieme di lekythoi attici a fondo bianco , che raffigurano scene funerarie imitando lo stile della pittura classica su larga scala. 
La collezione è rinomata soprattutto per la pregevole serie di icone bizantine e post-bizantine. Particolare enfasi è posta sulla scuola di pittura cretese , che combinava elementi della tradizione bizantina con aspetti del Rinascimento europeo. La collezione comprende opere eccellenti degli artisti cretesi Nicolaos Tzafouris, Michael Damaskenos, Emmanuel Lambardos, Frangias Kavertzas, Ieremias Palladas, Victor ed Emmanuel Tzanes. 

Ponte di Oberzeiring - AUSTRIA

 

Il ponte di Oberzeiring attraversa il fiume Blabach a Oberzeiring, 20 km a nord-ovest di Judenburg (Stiria, Austria). Il cosiddetto "Ponte Romano", che presenta una struttura ad arco ed è costituito in pietra, risale probabilmente all'epoca romana  ed è un monumento preservato dal programma di Protezione dei beni culturali. Il ponte collega i comuni di Oberzeiring e Pöls-Oberkurzheim, attraversando il fiume Blabach.
La datazione del ponte è incerta. Oberzeiring è stata fondata ben prima dell'epoca romana. Un'antica strada principale romana, la "Via Norica", conduceva direttamente all'insediamento di Unterzeiring . Alcuni autori hanno fatto riferimento a Unterzeiring con il toponimo romano Viscella, il quale tuttavia non è probabilmente corretto.


Tomba di Hochdorf - GERMANIA

 

La tomba di Hochdorf è la tomba principesca di un guerriero celtico della prima età del ferro, scoperta nel 1977 a Hochdorf an der Enz, un villaggio nel Baden-Württemberg a nord di Stoccarda, in Germania.
La sepoltura era all'interno di un tumulo che aveva un diametro di circa 60 metri ed un'altezza di 10, e risale alla prima metà del VI secolo a.C. Al centro c'era una camera, costituita da due cassoni con le pareti rivestite di legno separati da circa 50 tonnellate di pietre, forse per ostacolare i saccheggiatori: quello esterno misurava 7,4 × 7,5 m, mentre quello interno 4,7 × 4,7 m. L'interno della tomba era tappezzato di stoffe, mentre sul pavimento c'era uno strato di fiori. Nel corso degli anni il
soffitto, sorretto da travi in legno di quercia, crollò, proteggendo la tomba dai saccheggi.
Il defunto era un uomo di circa quarant'anni alto 1,83 m, sullo scheletro si sono conservate tracce dei vestiti e un copricapo conico in corteccia di betulla, forse un simbolo del rango; delle calzature a punta resta solo la decorazione in oro. Numerosi gli oggetti d'oro: sul corpo due fibule, una torque, un bracciale e una cintura, a parte un pugnale placcato d'oro. Il corredo comprendeva inoltre un rasoio, un paio di forbici, tre ami e una faretra con le frecce.
All'interno della sepoltura sono stati rinvenuti:
- una sorta di triclinio di bronzo sul quale giaceva il defunto. Lo schienale è decorato ai lati con carri a quattro ruote, mentre al centro ci sono alcune figure stilizzate danzanti. Il letto è sorretto da otto figure umane in bronzo su rotelle;
- un carro a quattro ruote rivestito di lamine di ferro con un giogo per due cavalli. Sopra il carro c'erano nove piatti e tre grandi vassoi di bronzo, un'ascia in ferro, una punta di lancia e un coltello. Si sono conservati anche i morsi, la bardatura dei cavalli ed un pungolo;
- otto corni potori in corno bovino decorati con oro e bronzo ed un altro grande corno lungo un metro in ferro. I corni erano appesi alla parete meridionale della tomba;
- un cratere in bronzo importato dalla Magna Grecia con una capienza di circa 500 litri con tracce di idromele sul fondo. Il bordo è decorato da tre leoni, uno dei quali è una copia prodotta da artigiani celtici. All'interno era stata posta una coppa d'oro.

Via Lauretana (Toscana)

  La  via Lauretana  è un'antica strada etrusco-romana della Val di Chiana che collegava Cortona a Montepulciano e Siena. Venne realizza...