«
Baalbek è il trionfo della pietra,
una magnificenza lapidaria il cui linguaggio, ancora visivo,
riduce New York a una dimora di formiche. [...] Lo sguardo
spazia oltre le mura, fino ai ciuffi verdi dei pioppi dai tronchi
bianchi; oltre ancora, al Libano scintillante in lontananza
di toni violacei, azzurri, oro e rosa. E poi scende seguendo le
montagne fino al vuoto: il deserto, solitario mare di pietra. Bevi
l'aria vibrante. Accarezza la pietra con mano delicata. Da' il tuo
addio all'Occidente, se lo possiedi, quindi volgiti a Oriente,
turista.» (Robert Byron, La via per
l'Oxiana)
Baalbek in Libano è uno
dei siti archeologici più importanti del Vicino Oriente,
dichiarato nel 1984 Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Si trova, in linea d'aria, a circa 65 km ad est di Beirut.
Oggi
Baalbek è una cittadina nella valle della Beqāʿ, capoluogo di un omonimo distretto libanese. Situata ad est
delle sorgenti del fiume Leonte, ad un'altitudine di 1170 metri
sul livello del mare, Baalbek è famosa per le monumentali rovine di
alcuni templi romani risalenti al II e III
secolo dopo Cristo, quando Baalbek, con il nome
di Heliopolis ospitava un importante santuario dedicato
a Giove Eliopolitano nella provincia romana di Siria.
.
Le origini conosciute delle costruzioni
di Baalbek risalgono a due insediamenti cananei che gli scavi
archeologici sotto il tempio di Giove hanno permesso di
identificare come databili all'età del bronzo antica (2900-2300
a.C.) e media (1900-1600 a.C.).
L'etimologia del toponimo è
legata al sostantivo báʿal o bēl che in varie
lingue dell'area semitica nord-occidentale (come l'ebraico,
il cananeo, e l'accadico) significa "signore". Il
termine Baalbek significherebbe dunque "signore della Beqa'"
e sarebbe probabilmente da correlarsi all'oracolo e al santuario
dedicato al dio Baal o Bēl (spesso identificato
come Hadad, dio del sole, della tempesta e della
fertilità della terra) e ad Anat, dea della violenza e
della guerra, sorella e consorte di Baal (più tardi
identificata con Astarte), forse associati a Tammuz (più
tardi identificato con Adone), dio della rigenerazione
primaverile. Le pratiche religiose di questi templi contemplavano
probabilmente, come in altre realtà culturali contigue,
la prostituzione sacra, i sacrifici animali (e forse anche
umani) e le offerte rituali di bevande alle divinità.
La città, pur situata in una
posizione favorevole dal punto di vista strategico, in prossimità
delle sorgenti dei fiumi Lītānī e Oronte, non ebbe
comunque, almeno inizialmente, un importante valore commerciale e
strategico, non venendo menzionata da fonti coeve egiziane o assire.
Anche l'identificazione con la biblica Baal-Gad (Libro di
Giosuè 11,17; 12,7), rammentata come il limite
settentrionale delle conquiste di Giosuè, viene oggi
contestata, sostenendo piuttosto che la località biblica si debba
identificare con la cittadina di Ḥāṣbayyā, nel sud-est
del Libano, oppure con Bāniyās (l'antica Cesarea di
Filippo), sulle alture del Golan.
Fase
ellenistica
Lo storico ebreo Giuseppe Flavio (I secolo) rammenta il
passaggio di Alessandro Magno a Baalbek nella sua marcia
verso Damasco. In epoca ellenistica, sotto il dominio
dei Tolomei, sostituito definitivamente dal 198 a.C. con
quello dei Seleucidi, la città fu ribattezzata con il nome
di Heliopolis ("città del sole"). I
sovrani tolemaici favorirono probabilmente l'identificazione del dio
Baal con il dio del sole egizio Ra e il dio del sole
greco Helios, allo scopo di cementare una maggiore fusione
culturale all'interno dei propri territori.
Il cortile del tempio fu
modificato e alla sua estremità occidentale venne iniziata la
costruzione di un tempio di forme greche.
Fase
romanaDopo la
conquista romana nel 64 a.C. ad opera di Pompeo, la
città di Baalbek-Heliopolis fu compresa nei domini
dei tetrarchi della Palestina (si confronti anche
in Lc 3,1).
La
divinità del santuario fu identificata con Giove, che conservò
tuttavia alcuni dei caratteri dell'antica divinità indigena e
assunse la forma e il nome di Giove Eliopolitano. Il dio veniva
raffigurato con un copricapo svasato, con fulmini nelle
mani e inquadrato da due tori, l'animale che accompagnava il dio
Baal. Gli altri dei associati vennero identificati con Venere e
con Bacco. La triade eliopolitana ebbe altari e culto
anche in lontane regioni dell'impero (province balcaniche, Gallia,
province ispaniche, Britannia). Il culto assunse un
carattere mistico e forse misterico, che favorì probabilmente la sua
diffusione.
Nel 15 a.C. il santuario entrò a far parte
del territorio della Colonia Iulia Augusta Felix
Beritus, l'odierna Beirut. L'edificazione del tempio fu
nuovamente intrapresa sulla piattaforma ellenistica e si concluse in
diverse tappe: il tempio vero e proprio (tempio di Giove) fu
terminato nel 60 d.C., sotto Nerone, e contemporaneamente
venne edificato l'altare a torre che precede il tempio.
Sotto Traiano (98-117) si iniziò la sistemazione del
grande cortile. Sotto Antonino Pio (138-161) venne eretto
il tempio di Bacco. I lavori, inclusi quelli riguardanti il
tempio di Venere, vennero completati durante la dinastia
dei Severi, e in particolare sotto Caracalla (211-217).
Sotto Filippo l'Arabo (244-249), imperatore romano
nato nella vicina Damasco, fu infine costruito il cortile
esagonale del santuario.
In quest'epoca Heliopolis, elevata
da Settimio Severo (193-211) al rango di colonia di
diritto italico con il nome di Colonia Iulia Augusta Felix
Heliopolis, divenne il centro principale
della provincia della Syria-Phoenicia, istituita
nel 194 con capitale Tiro.
Fase paleocristiana e bizantinaCon l'avvento del Cristianesimo e
la promulgazione dell'Editto di Milano, il santuario iniziò una
lenta decadenza, accelerata probabilmente dai crolli dovuti
ai terremoti. Le prime trasformazioni si ebbero sotto Costantino
I (306-337), che secondo Eusebio di Cesarea vi istituì
una sede vescovile e decise la costruzione di una chiesa.
L'imperatore Teodosio I (379-395) distrusse
le statue pagane, fece radere al suolo l'altare-torre per
erigere nel grande cortile una basilica cristiana e
trasformò in chiese sia la corte esagonale che il tempio di Venere.
Alcuni studiosi ritengono tuttavia che Baalbek continuò a costituire
un centro di culto pagano.
L'imperatore
bizantino Giustiniano (527-565) ordinò infine di asportare
otto delle colonne del tempio di Giove affinché fossero riutilizzate
nella basilica di Santa Sofia a Costantinopoli.
Fase
arabo-islamicaIn seguito alla
conquista araba del 637 da parte di Abū
ʿUbayda ibn al-Ğarrāḥ, l'acropoli del complesso templare
venne trasformata in cittadella fortificata (
ﻗﻠﻌﺔ, qalʿa)
e venne costruita la grande moschea in stile omayyade,
oggi in rovina. La città passò, dopo l'età omayyade e
quella abbaside, sotto l'amministrazione fatimide che
la scelse come capitale di governatorato (wilāya) nel 972, all'epoca
del terzo Imām, al-Muʿizz li-dīn Allāh.
Occupata per breve tempo
dai Bizantini di Giovanni Zimisce nel 974,
Baalbek divenne nel 1025 dominio dei Mirdasidi, guidati
dal principe di Aleppo Ṣāliḥ ibn Mirdās, e
infine dei Selgiuchidi di Tutush nel 1075.
Fu poi la volta del dominio zengide, prima di essere conquistata
da Ṣalāḥ al-Dīn ibn Ayyūb nel 1187. La
cittadina rimase dominio ayyubide fino al 1282 quando
venne conquistata dal sultano mamelucco Sayf al-Dīn
Qalāwūn al-Alfī, detto al-Malik al-Manṣūr ("il
sovrano reso vittorioso da Dio").
La città fu saccheggiata dalle
truppe mongole guidate da Hülegü Khan durante
le incursioni mongole in Palestina nel 1260 e
ancora dall'esercito di Timur nel 1401.
Dopo il 1516, Baalbek entrò a far
parte dell'Impero ottomano, all'interno dell'eyalet (governatorato)
di Damasco. Nei secoli successivi, come in altre aree della
Beqāʿ, la popolazione, prevalentemente musulmana sciita e
divisa in clan patrilineari chiamati ʿashāʿīr, fu soggetta
all'autorità de facto di due famiglie di proprietari
terrieri, gli Ḥamāda e gli Harfūsh, i cui
privilegi feudali vennero erosi, a partire dalla fine del
diciottesimo secolo, dai tentativi di modernizzazione amministrativa
sperimentati dalle autorità ottomane.
Riscoperta
del sitoNel XVIII secolo gli
esploratori europei iniziarono a visitare le rovine e a riportarne
dettagliate descrizioni, piante e vedute a disegno. Nel 1751 Robert
Wood descrisse le rovine come tra le più audaci opere
di architettura dell'antichità. Erano ancora in piedi nove
colonne del tempio di Giove, ma tre crollarono, probabilmente in
occasione del terremoto del 1759. Altri viaggiatori
furono Volney (1781), Cassas (1785), Laborde[non chiaro] (1837), David
Roberts (1839). I blocchi crollati dalle antiche costruzioni
venivano all'epoca ancora riutilizzati per la costruzione
di edifici moderni della cittadina.
Una prima spedizione scientifica fu
condotta nel 1873 dal Fondo di Esplorazione della Palestina
e in seguito alla visita dell'imperatore Guglielmo II di
Germania vi venne condotta una missione archeologica tedesca
(1898-1905), guidata da Otto Puchstein, durante la quale furono
effettuati i primi restauri. Dopo la prima guerra
mondiale altre missioni si ebbero durante il Mandato francese ad
opera di C. Virolleaud, R. Dassaud, S. Ronzevalle, H. Seyrig, D.
Schlumberger, F. Anus, P. Coupel e P. Collard.
Dopo l'indipendenza
del Libano nel 1943 le operazioni di restauro e
conservazione passarono sotto l'egida del Servizio delle Antichità
del Libano (H. Kalayan).
Nel 1984 il sito archeologico
di Baalbek venne inserito nella lista dei Patrimoni
dell'umanità dell'UNESCO.
Descrizione del santuario
BasamentoAlla base del complesso di Baalbek
esiste una gigantesca piattaforma in pietra (88 x 48 m) la cui
costruzione costituisce un enigma in quanto neppure con la tecnologia
attuale si riuscirebbe a trasportare ed a mettere in loco pietre
tanto colossali[senza fonte]. Per questa costruzione furono
impiegati infatti enormi blocchi di pietra tagliati: i tre che
costituiscono il cosiddetto τρίλιθον (trilithon) misurano
rispettivamente 19,60 m, 19,30 m e 19,10 m di lunghezza, per 4,34 m
di altezza e 3,65 m di profondità e raggiungono un peso di circa
800 tonnellate ciascuno, mentre un quarto blocco, di
dimensioni ancora maggiori (21.5 m di lunghezza con una sezione
quadrata di 4,30 m di lato), oggi conosciuto con il nome di
ḥaǧar al-ḥublā o "pietra
della gestante", fu abbandonato nella cava. Non ci sono
indicazioni precise sul periodo in cui fu edificata la piattaforma,
né esistono reperti organici su cui effettuare il test del Carbonio
14. Pertanto non si ha a tutt'oggi alcuna informazione circa il
popolo che lo costruì ed i mezzi che impiegò.
Nei primi studi archeologici del XIX secolo, la piattaforma era
ritenuta appartenere a una fase di edificazione precedente a quella
romana. I moderni rilievi sembrano indicare che la
piattaforma è orientata con le Pleiadi, importanti nella
tradizione greca e orientale, ma non in quella romana: questo,
insieme alle somiglianze strutturali col secondo tempio di
Gerusalemme, farebbe propendere per la realizzazione sotto Erode
il Grande. Quanto alla tecnica di costruzione impiegata,
l'architetto Jean-Pierre Adam ha ipotizzato un sistema con un gran
numero di argani a trazione umana, concludendo tuttavia che
non è noto da quale popolo o in quale epoca tali macchine sarebbero
state introdotte[14].
Propilei
Furono costruiti agli inizi del III
secolo, all'epoca di Caracalla in cima ad una scalinata
monumentale e costituivano l'accesso all'area sacra del tempio di
Giove. Erano in origine costituiti da una facciata di 12 colonne (10
delle quali rialzate nel corso dei restauri tedeschi), tra due torri
più alte, sormontate da un frontone.
Nel muro retrostante si aprivano un
ingresso centrale ad arco e due passaggi laterali, che più tardi
furono murati. Il muro era decorato da due piani di nicchie che
in origine dovevano ospitare delle statue, inquadrate da edicole con
frontoni alternativamente triangolari e arcuati, sostenuti da
lesene corinzie al piano terra e ioniche al piano
superiore.
Cortile
esagonaleDai propilei si accedeva ad una corte a
pianta esagonale (metà del III secolo, sotto Filippo
l'Arabo, 244-249), circondata da portici che si aprivano sul
fondo con esedre rettangolari, un tempo riccamente decorate. Il
cortile subì pesanti modifiche all'epoca in cui vi fu installata
la cappella dedicata alla Vergine e successivamente per la
trasformazione in bastione difensivo della cittadella
araba.
Grande
Cortile
Il cortile (135 x 113 m) (età traianea)
ospitava il grande altare a torre di età neroniana e
bacini laterali per le abluzioni. I portici laterali (128
colonne con fusti in granito di Aswān) sono sostenuti
da criptoportici voltati e sul fondo si aprivano esedre a
pianta alternativamente rettangolare e semicircolare, queste coperte
da semicupole in pietra. Iscrizioni dipinte in alcune
delle esedre testimoniano il loro uso per i pasti sacri di
confraternite e comunità, che dovevano far parte del culto
eliopolitano.
Nella corte venne costruita
la basilica teodosiana, dedicata a san Pietro.
Tempio
di Giove
Il tempio (prima metà del I
secolo), che ospitava la statua di Giove Eliopolitano, dominava la
Grande Corte, sopraelevato sopra una scalinata a tre rampe.
Presumibilmente costruito sopra le fondamenta di una costruzione più
antica, si trattava del più grande tempio romano conosciuto, in
origine un periptero con 10 colonne sulla fronte
("decastilo") e 19 sui lati lunghi. Restano in piedi sei
colonne colossali, con fusti di 2,20 m di diametro (pari a 75 piedi
romani) e alte circa 20 m con la base e il capitello, realizzate con
tre rocchi di pietra. La trabeazione, che raggiunge i 5 m di altezza
comprendeva un fregio decorato con protomi (teste) di tori e di leoni
e con ghirlande.
Tempio
di Bacco
Elevato su un podio di 5 m di altezza,
misura 69 x 36 m e vi si accede da una scalinata con 33 gradini. Era
preceduto da un cortile porticato con un monumentale accesso. Risale
alla metà del II secolo (Antonino Pio, 138-161) e si tratta di
un tempio periptero con 8 colonne sulla fronte ("ottastilo")
e 15 sui lati lunghi, molto ben conservato (manca solo il tetto della
cella e parte delle colonne laterali). Le colonne raggiungevano con
basi e capitelli un'altezza di 19 m e anche in questo caso
il fregio era decorato da protomi di tori e leoni. La peristasi
(lo spazio tra le colonne e i muri della cella) era coperta da un
soffitto cassettonato: i cassettoni poligonali e triangolari, erano
decorati con busti di divinità (tra cui Marte, la
Vittoria, Diana, Hygeia) e una ricca decorazione vegetale.
L'incorniciatura del portale d'ingresso
della cella presenta fregi figurati e una decorazione di tralci di
vite che riferiscono il tempio al dio Bacco, ma il soffitto del
portale mostra un'aquila con un caduceo, attributo tipico
del dio Mercurio. Il culto del dio locale, con caratteristiche
simili a quelle del greco Adone, aveva comportato l'utilizzo
del vino, dell'oppio e di altre droghe per il
raggiungimento dell'estasi religiosa.
All'interno della cella le pareti
laterali sono decorate da nicchie su due ordini: quelle inferiori
sono sormontate da frontoni arcuati e quelle superiori da frontoni
triangolari; le nicchie sono inquadrate da semicolonne corinzie. Sul
fondo del tempio un adyton (sacrario) ospitava la statua
del dio.
All'angolo sud-est del tempio venne in
seguito edificata una torre che nel XV secolo, all'epoca
dei Mamelucchi ospitava la residenza del governatore
locale.
Tempio rotondo o tempio di VenereAl di là di una strada, è orientato
verso gli altri due templi. Era racchiuso in un recinto sacro che
ospitava anche un altro piccolo tempio, oggi in rovina, conosciuto
come "tempio delle Muse". Si trova a Sud-Est dell'Acropoli
e fu costruito nel III secolo.
Il tempio, a cui si accede da una
scalinata, era preceduto in origine un pronao rettangolare
tetrastilo, le cui due successive file di quattro colonne
presentavano un'ampia spaziatura centrale: intercolunnio doppio
rispetto ai due alle estremità. Ne risultò, di conseguenza, un
pronao coperto a botte sull'asse d'ingresso, architravato e sorretto
nelle ali da gruppi di quattro colonne su disposizione quadrata. La
cella rotonda era decorata all'esterno da nicchie coperte da
semicupole a conchiglia. Le colonne che circondano la cella
presentano la trabeazione che non segue la linea del colonnato, ma si
incurva verso l'interno fino a toccare il muro esterno della cella,
creando un'insolita forma stellare e inquadrando in tal modo le
nicchie.
La testimonianza di Eusebio di
Cesarea, che attesta la continuità del culto agli inizi dell'epoca
cristiana, ci informa della sua natura orgiastica e della presenza,
probabilmente, della prostituzione sacra.
Il tempio era stato trasformato in
chiesa di Santa Barbara, ma restò al di fuori della cittadella
araba e l'intero complesso venne in seguito coperto da una fitta rete
di abitazioni. I resti del tempio furono smontati e rimontati a poca
distanza in uno spazio libero.
Il marcato carattere locale del culto
si riflette nelle grandi corti che precedono i templi (come
nel tempio di Gerusalemme), nell'altare a torre del santuario di
Giove e nella presenza del sacrario edificato a parte all'interno
della cella (adyton); tuttavia ovunque le forme architettoniche sono
quelle proprie dell'architettura romana.
Negli anni successivi all'indipendenza
libanese, la valle della Beqāʿ soffrì per la relativa
marginalità economica e politica, anche se Baalbek poté contare sui
proventi legati al crescente afflusso di visitatori locali e
stranieri. Dopo l'avvio saltuario di spettacoli estivi all'aperto
nel 1922, a partire dal 1955 iniziò ad essere
organizzato in maniera sistematica il Festival di Baalbek,
comprendente nel suo programma un misto di spettacoli teatrali, opera
lirica, musical, concerti di musica classica e musica
leggera e organizzato solitamente nella cornice del grande
cortile. Direttori d'orchestra, interpreti e gruppi del calibro
di Herbert von Karajan, Mstislav
Rostropovitch, Fairouz, Umm Kulthum, Ella
Fitzgerald, Joan Baez (e ultimamente Sting, Gilberto
Gil e Massive Attack) hanno tenuto memorabili concerti in
questa sede monumentale.
Il festival fu interrotto nel 1975,
con lo scoppio della guerra civile libanese (1975-1990),
quando la cittadina di Baalbek divenne una roccaforte della
milizia sciita Hezbollah (ossia "Partito di Dio"). La milizia, con la
probabile approvazione del governo siriano, fu sostenuta
dal governo iraniano tramite il Corpo delle guardie
della rivoluzione islamica (che forniva addestramento militare e
indottrinamento) e si distinse per la politica estremamente ostile
nei confronti degli Stati Uniti e di Israele, che
all'epoca occupava militarmente una parte del territorio libanese.
Dopo la fine della guerra civile
libanese nel 1990 (in seguito agli accordi di Ṭā'if
del 1989), la situazione si è lentamente ma progressivamente
normalizzata e oggi la visita al sito archeologico e alla cittadina è
possibile senza alcun tipo di pericolo. Nel 1997 sono
riprese le serate del Festival di Baalbek, mentre nel 1998 è
stata inaugurata la collezione permanente che costituisce il nucleo
centrale del nuovo Museo archeologico.
La cittadina è stata oggetto di
pesanti bombardamenti israeliani nel luglio 2006.