sabato 20 gennaio 2024

Stele di Raimondi - PERU'

La stele di Raimondi è il maggior reperto artistico della antica cultura Chavín, sviluppatasi prevalentemente nell'area dell'odierno Perù. L'oggetto attualmente è ospitato nel cortile del Museo Nazionale di Archeologia e Storia del Perù.
La stele misura 1950x740x170 mm, è realizzata in granito finemente lavorato, e rappresenta il disegno di una divinità tramite linee poco profonde. Perciò, allo stato attuale del manufatto, esse sono meglio visibili con luce radente.
Gli artisti della civiltà di Chavín facevano spesso uso della tecnica a contrasto di contorni nelle loro opere e la Stele di Raimondi è frequentemente considerata uno dei più raffinati esempi conosciuti. Tramite tale tecnica le linee che formano un disegno possono essere interpretate in vari modi a seconda della posizione dalla quale l'oggetto viene osservato. Nel caso della stele, quando osservata in una orientazione, l'immagine mostra una terrificante divinità che impugna due bastoni o scettri ed i suoi occhi guardano verso l'ampio ed elaborato copricapo formato da serpenti e volute.
La stessa immagine, quando viene capovolta, appare completamente differente: il copricapo diventa una pila di volti zannuti e sorridenti mentre il volto della divinità si è trasformato nel muso di un rettile, anch'esso sorridente. Anche i due scettri impugnati dalla divinità appaiono come una fila di facce.



Museo di antropologia e storia dello Yucatán - MESSICO


Il Museo di antropologia e storia dello Yucatán è il più importante museo della città di Mérida, capitale della regione dello Yucatán in Messico
Oggi il museo è ospitato all'interno delle sale di Palacio Cantón, tra i migliori esempi di architettura neoclassico-manierista oggi conservati nel centro storico della città.
L'edificio, in stile “manierista-neoclassico”, venne eretto tra il 1904 e il 1911 e prende il nome Generale Francisco Canton Rosado, Governatore dello Yucatán tra il 1898 e il 1902 e proprietario di aziende agricole e le ferrovie, che lo fece costruire come residenza personale della sua famiglia. Il generale vi abitò fino alla sua morte, avvenuta nel 1917, dopodiché il palazzo restò abitato dalla sua famiglia fino al 1932 quando, dopo un periodo di crisi economica, venne donato allo stato in cambio della cancellazione di alcuni debiti e tasse che la famiglia doveva versare, passando al governo dello Yucatán, allora guidato da Bartolomé García Correa.
Il palazzo divenne quindi prima sede della Scuola Statale delle Belle Arti, dal 1932 al 1937, dove studiò anche il celebre pittore messicano Fernando Castro Pacheco, poi sede della Scuola Hidalgo dal 1937 al 1949. Successivamente venne ristrutturato e convertito in residenza ufficiale dei governatori e restò tale fino al 1966, quando venne firmato un accordo tra il governo dello Stato e l'Istituto nazionale di antropologia e storia (INAH), per trasformare l'edificio nella sede dell'Istituto dello Yucatán di Antropologia e Storia. L'edificio ospitava una biblioteca, un centro di ricerca, l'Accademia di lingua maya e le collezioni del Museo archeologico e storico di Yucatán, che si trovava nel seminterrato.
L'apertura ufficiale del museo avverrà solo nel 1977, quando il governo dello Stato e l'Istituto nazionale di antropologia e storia conclusero l'accordo per l'installazione delle collezioni e il funzionamento del museo.
L'edificio è in stile neoclassico-manierista, ma mescola anche elementi ispirati all'architettura barocca e agli edifici della Parigi della fine del XIX secolo.
Il progetto architettonico del palazzo è opera dell'italiano Enrico Deserti, che contemporaneamente alla costruzione di Palacio Cantón progettò la costruzione del teatro Peón Contreras, mentre il lavoro è stato supervisionato dal tecnico Manuel G. Canton.
La ricchezza e lo splendore della struttura interna sono caratterizzate dall'utilizzo di marmi di diverse tonalità e dai delicati decori in gesso che caratterizzano le pareti e i soffitti.
Degne di nota sono la scalinata di marmo bianco che porta al secondo piano e le imponenti colonne doriche e ioniche che adornano le varie sale, che oltre a decorare rafforzano la divisione tra i vari spazi interni della struttura.
Il secondo piano è caratterizzato dalla presenza di un grande balcone-terrazzo dal quale si può ammirare dall'alto tutto il Paseo de Motejo, arteria centrale della vita cittadina di Mérida.
Il palazzo oggi si può considerare la costruzione più significativa di Paseo de Montejo, simbolo dell'opulenza e ricchezza economica di Mérida durante il boom dell'industria e delle haciendas di henequén (fibra tessile ottenuta dalle foglie di una pianta dell'Agave fourcroydes), ma anche testimonianza dell'arricchimento economico esploso grazie allo sfruttamento delle popolazioni maya a cavallo del '900.
La fondazione del museo dello Yucatán avvenne nel 1871 grazie al vescovo Crecencio Carrillo y Ancona che creò un'istituzione destinata a raccogliere i tesori archeologici e il patrimonio della cultura pre-ispanica, ma anche per valorizzare la flora, la fauna e i tesori naturali considerati pertinenti.
La prima sede del museo agli inizi del secolo fu la Biblioteca Centrale dell'Università dello Yucatán, sulla 50th Street, di fronte al lato occidentale della Cuartel de Dragones. Successivamente la collezione venne portata all'interno dell'edificio dell'Ateneo Peninsular ed infine alcuni anni più tardi andò ad occupare una sala adiacente alla chiesa di San Giovanni di Dio, dove rimase fino al 1958.
Nel decennio successivo, il museo archeologico dello Yucatán venne collocato nel seminterrato di Palacio Cantón e vi restò fino al 1977, quando si decise di portare le collezioni al piano terra e di adibire il palazzo a sede del museo e di mostre temporanee.
La collezione archeologica del museo è suddivisa in sette sale che danno una visione generale della vita delle popolazioni maya.
Le sale sono tematiche e si suddividono in ambiente e preistoria, l'evoluzione sociale, le città e gli stati, la visione del mondo, relazioni inter-regionali, lavoro e produzione, architettura e ingegneria civile.
La collezione raccoglie più di 500 pezzi originali provenienti da tutta la penisola dello Yucatán, tra cui sculture in pietra, compreso un importante Chac Mool, enormi monoliti istoriati, urne funerarie, oggetti rituali, vasellame, vetri, gioielli in giada e ossidiana, statuette rituali, tavole con disegni, mappe, fotografie, conchiglie e anche reperti umani.

Museo nazionale di archeologia, antropologia e storia - PERU'

 
Il Museo nazionale di archeologia, antropologia e storia del Perù è il più antico e importante museo del Perù, fondato nel 1822 da José Bernardo de Tagle, Don Bernardo de Monteagudo e il suo primo direttore, Don Mariano Eduardo de Rivero y Ustariz che assunse l'incarico di realizzarne il progetto nel 1826.
Ha sede a Lima, in Plaza Bolívar nel distretto Pueblo Libre e custodisce una enorme collezione di oltre 100.000 di reperti culturali e storici della civilizzazione peruviana.
Tra i più importanti spicca la Stele di Raimondi, l'Obelisco di Tello ed un mirabile modello in scala del sito archeologico di Machu Picchu.





Dongola - SUDAN

 

Dongola
 (antico nubiano: Tungul; arabo: Dunqulah al-ʿAjūz) è un sito archeologico del Sudan, situato sulla riva orientale del Nilo, di fronte a Wadi Al-Malik. Importante città della Nubia medievale, e punto di partenza per le carovane dirette ad ovest verso Darfur e Kordofan, dal IV al XIV secolo Antica Dongola fu la capitale del Regno di Makuria. La popolazione si è spostata 80 km a nord lungo il Nilo, sulla riva opposta, durante il XIX secolo, trasformandosi nell'odierna Dongola.
Una squadra archeologica polacca sta scavando la città dal 1964.
Antica Dongola fu fondata nel V secolo come fortezza, ma in poco tempo attorno a lei si sviluppò una città. In seguito, con l'avvento del cristianesimo, divenne la capitale del regno di Makuria, e vi furono costruite numerose chiese. Tra queste vi è l'Edificio X (come viene chiamato dagli archeologi contemporanei) e la Chiesa dai pavimenti di pietra. Queste due strutture furono erette a circa 100 metri dal centro della città murata, il che fa capire che già a quei tempi la città si estendeva oltre le mura originarie della fortezza. L'Edificio X fu poco dopo rimpiazzato dalla Vecchia Chiesa.
A metà del VII secolo le due chiese principali furono distrutte, e ricostruite poco dopo. La Vecchia chiesa fu smantellata per recuperare materiale edile per riparare le mura della città. Gli archeologi credono che questa distruzione sia il risultato della prima (642) e seconda battaglia di Dongola (652).
Alla fine del VII secolo fu eretta la Chiesa dalle colonne di granito, nel punto in cui prima sorgeva la Vecchia Chiesa. Ornata con 16 colonne di granito, ognuna decorata con capitelli in granito, la Chiesa dalle colonne di granito era forse la cattedrale di Antica Dongola.
L'apogeo di Antica Dongola fu nel X secolo. In questo periodo la Chiesa dai pavimenti di pietra fu sostituita dalla Chiesa cruciforme. Tra gli altri edifici di Antica Dongola vi erano molte altre chiese, almeno due palazzi, ed un ragguardevole monastero sul lato settentrionale. Molte case erano fornite di bagni e mura dipinte.
Il libro della conoscenza è un diario di viaggio scritto da un monaco spagnolo poco dopo il 1348, in cui vengono citati mercanti genovesi stabilitisi in Antica Dongola. Questi possono esservi giunti grazie al trattato commerciale stipulato nel 1290 tra Genova e l'Egitto. In ogni caso, durante il XIII e XIV secolo la città cadde in declino. Fu attaccata dagli Arabi numerose volte, e la sala del trono del palazzo fu trasformata in moschea. Un'inscrizione che Sayf al-Din Abdullah Barshambu fece incidere ad Antica Dongola, e che porta la data del 1317, è comunemente interpretata come registrazione di una spedizione militare inviata dal sultano dell'Egitto per insediare sul trono un proprio uomo, Abdullah, forse un musulmano nubiano.
Sotto i Fung, Antica Dongola divenne la capitale delle province settentrionali. Il viaggiatore Charles Jacques Poncet visitò la città nel 1699, e la descrisse come posizionata sulle pendici di una collina di sabbia. La sua descrizione di Dongola prosegue: «Le case sono mal costruite, e le strade sono semideserte e piene di cumuli di sabbia portata dalle alluvioni provenienti dalle montagne. Il castello è al centro perfetto della città. È grande e spazioso, ma le fortificazioni sono risibili. Mantiene in soggezione gli Arabi, che sono maestri degli spazi aperti»
(Charles Jacques Poncet in The Red Sea and Adjacent Countries, William Foster, editor (Londra: Hakluyt Society, 1949)

Musawarat es Safra - SUDAN

 


Musawarat es Safra (trascritto anche come Al-Musawarat Al-Sufra, e in altre varianti) è un sito archeologico del Sudan, a venti miglia da Meroe. Vi si trovano i ruderi di un edificio del periodo meroitico del Regno di Kush, risalente al I secolo d.C., che potrebbe essere un palazzo reale o un tempio. Dell'edificio rimangono le fondazioni e parte delle mura, e una ventina di colonne. Fra le regine kushite che probabilmente vissero a Musawarat ci sono Amanirena, Manaishakhete, Naldamak e Amanitere.

Kerma - SUDAN

 
Kerma è una località della Nubia situata nei pressi dell'attuale Karmah (Sudan). Fu la capitale del Regno di Kerma che si estendeva tra i confini dell'attuale Egitto e Sudan. Kerma è uno dei più estesi siti archeologici della Nubia. In decenni di scavi archeologici e ricerche vi sono stati ritrovati numerosissimi oggetti, migliaia di antichi sepolcri e quartieri residenziali. Gli archeologi concordano che il sito risale ad oltre 9.500 anni fa. Kerma è stata sede di una cultura neolitica attestata da un campo di sepolture databile al 7500 a.C. ed è uno dei campi di sepolture più antichi dell'Africa.
Alla cultura di Kerma sono anche legati alcuni reperti attestanti la domesticazione dei bovini nell'area sudanese. Fino a poco tempo fa, la civiltà di Kerma era conosciuta unicamente per il sito della sua capitale, la necropoli nei suoi pressi ed alcuni altri piccoli centri verso nord. Recenti scoperte archeologiche hanno identificato numerosi altri siti a sud di Kerma, lungo l'antico corso del Nilo.
Kerma era un grande centro urbano costruito attorno ad un centro templare, conosciuto come Deffufa.
Alcuni aspetti di questa cultura sono i vasi di ceramica, l'allevamento del bestiame, un particolare sistema di difesa e la camera per le udienze del re (che non esisteva nell'antico Egitto e che fu ricostruita 10 volte). In base ai reperti archeologici la storia del sito, dopo il neolitico e nel periodo del regno di Kerma, può essere suddivisa in varie fasi: periodo pre-Kerma (3200 a.C. - 2500 a.C. con la formazione dei primi aggregati preurbani), periodo Kerma iniziale (2500 a.C. - 2050 a.C. che comprende la fondazione della città, la costruzione del quartiere religioso e la trasformazione dei territori ad est in necropoli), periodo Kerma intermedio (2050 a.C. - 1750 a.C. durante il quale saranno erette le mura della città ed i palazzi) e periodo Kerma classico (1750 a.C. - 1480 a.C. che comprende il periodo di massimo sviluppo con la costruzione dei templi e delle tombe reali fino alla invasione egizia). Dopo l'invasione egiziana e la successiva riconquista dell'indipendenza della Nubia, la città continuerà ad esistere come importante centro commerciale ma non sarà più la capitale di un regno indipendente. Ora il sito si trova nello Stato del Sudan ed è oggetto di scavi da parte di missioni archeologiche svizzere.
Il regno di Kerma (il più antico conosciuto della zona di Kush) fu uno Stato nubiano esistito tra il 2500 a.C. ed il 1520 a.C. il suo centro fu appunto la città di Kerma il cui momento di maggiore splendore coincise con il medio regno egizio anche se la civiltà nubiana mantenne sempre i suoi caratteri distintivi (come ad esempio la ceramica).
Il sito di Kerma include sia una vasta città che una necropoli consistente in grandi tumuli.
L'archeologo George Reisner riteneva che Kerma fosse stata in origine un governatorato egizio che si sarebbe poi sviluppato verso una monarchia indipendente. Harvard African Studies Volume V. Peabody Museum of Harvard University, Cambridge Mass. Gli studiosi moderni ritengono invece che all'origine Kerma sia stata un avamposto commerciale essendo troppo lontana dai confini dell'Egitto del tempo. Anche la presenza di oggetti e statue recanti iscrizioni egizie viene ora interpretata come effetto degli scambi commerciali.
Durante il primo periodo intermedio la presenza egizia nella Bassa Nubia scomparve del tutto e quando le fonti egizie tornano a citare Kerma la descrivono avere il controllo dell'Alta e della Bassa Nubia.
Il regno di Kerma raggiunse il suo massimo sviluppo territoriale durante il secondo periodo intermedio arrivando a sfiorare il confine meridionale dell'Egitto.
Il regno di Kerma finisce con l'avvento del nuovo regno e dei suoi sovrani alla ricerca di successi militari. Sotto Thutmose III il confine giunge alla IV cateratta del Nilo e Kerma si trova inglobata nell'impero egizio. Si conoscono i nomi di alcuni sovrani del regno di Kerma: Awawa che regnò fra il 2000 ed il 1850 a.C., Utatrerses che regno fra il 1850 ed il 1650 a.C. e Nedjeh che regnò fra il 1650 ed il 1550 a.C.

Llactapata - PERU'

 

Llactapata (a volte scritto Llaqtapata) è la combinazione di due parole quechua. Hiram Bingham, scopritore di Machu Picchu e molti altri siti inca, afferma che Llacta Pata è un termine descrittivo: "llacta" significa "città" e "pata" significa "un'altura". Più di un sito, quindi, veniva chiamato con questo nome.
Hiram Bingham scoprì per primo Llactapata nel 1912. "Abbiamo trovato prove del fatto che alcuni capi Inca avessero costruito la loro casa qui, includendo nel progetto una decina o una dozzina di edifici".
Bingham posiziona il sito "sulla cime di una cresta tra le vallate dell'Aobamba e del Salcantay, circa 500 piedi [1500 metri, NdT] sopra a Huaquina". "Qui abbiamo scoperto molte rovine e due o tre rifugi moderni. Gli indiani dicono che questo posto era chiamato Llacta Pata". Bingham non esaminò a fondo le rovine, che rimasero non studiate per altri 70 anni.
Nel 2003 fu condotto uno studio sul sito da Thomson e Ziegler, il che permise di ipotizzare che il posizionamento sul cammino inca per Machu Picchu lo rendesse una stazione di posta durante il viaggio. Questo complesso si trova quattro chilometri ad ovest di Machu Picchu, sulla cresta che divide i bacini idrici di Aobamba e Santa Teresa. Questo studio e quelli successivi portarono alla luce un'ampia struttura complessa, e caratteristiche che legavano il sito a Machu Picchu come continuazione del percorso che portava a Vilcabmba. Llactapata potrebbe essere stato un componente della rete di luoghi cerimoniali ed amministrativi che caratterizzavano il centro regionale di Machu Picchu. Probabilmente giocò un importante ruolo astronomico durante i solstizi e gli equinozi.
Bingham trova un altro sito "a Qquente, e vicino alla foce del fiume Pampaccahuana, sopra una serie di terrazze". Il suo collega Herman Tucker afferma che il nome del luogo fosse Patallacta e che contenesse un centinaio di case. "Al di sopra c'erano molti siti importanti tra cui Huayllabamba. Questo sito si trova a 1,5 chilometri dall'inizio del "Tragitto Inca Classico", che inizia al chilometro 88.
Questo sito ospitava numerosi abitanti, tra cui viaggiatori e soldati che dovevano gestire la collina fortificata di
Willkaraqay. Un santuario con mura arrotondate, noto come Pulpituyoc, serviva per le funzioni cerimoniali e religiose.
Llactapata fu incendiata da Manco II, il quale distrusse numerosi insediamenti lungo il cammino inca nel corso della ritirata da Cuzco del 1536, per scoraggiare l'inseguimento degli spagnoli. In parte per questo motivo, gli spagnoli non trovarono mai il percorso inca o gli insediamenti disposti lungo il tragitto.
Un terzo sito composto da pietre scolpite ed edifici, Q'enqo, sopra a Cuzco, potrebbe essere stata la casa in cui morì Pachakuti, chiamato Chinchaysuyu o Patallacta.


Chavín de Huantar - PERU'


Chavín de Huantar è un sito archeologico contenente rovine e originali manufatti realizzati dai Chavín, una cultura precedente agli Inca, attorno al 900 a.C. Il sito si trova 250 chilometri a nord di Lima, in Perù, ad un'altezza di 3150 metri, tra le catene montuose della Cordillera Negra e della Cordillera Blanca. Chavín de Huantar è stato inserito tra i patrimoni dell'umanità dall'UNESCO. Alcuni reperti Chavín provenienti da questo sito sono esposti presso il Museo de la Nación a Lima.
Chavin de Huantar venne costruito attorno al 900 a.C. Buona parte della popolazione era dedita all'agricoltura.
I ritrovamenti indicano che l'instabilità politica e i tumulti iniziarono tra il 500 ed il 300 a.C., in corrispondenza del declino della cultura Chavin. Molti luoghi religiosi vennero abbandonati, alcuni ancora incompleti, e furono rimpiazzati da villaggi e campi. Prima del 500 a.C., un piccolo villaggio aveva sostituito la Piazza Circolare. Le pietre della piazza furono riutilizzate in seguito per la costruzione delle case. I vari strati di reperti mostrano che il villaggio è stato occupato senza interruzioni fino al 1940.
Il sito contiene numerose strutture, tra cui tre templi (chiamati A, B e C), la piazza circolare, il vecchio ed il nuovo tempio.

La piazza circolare sembra un luogo sacro situato all'interno di una zona cerimoniale. Prima dell'800-700 a.C. quest'area venne usata per molti motivi, tra cui l'uso come atrio per l'accesso al tempio A attraverso la scala nord. Nel periodo classico, dopo il 700 a.C., la piazza venne chiusa su tre lati dai templi A, B e C. La piazza è perfettamente circolare, con un diametro di 20 metri ed un pavimento fatto di pietre a forma di cuscino in diatomite gialla. Sembra che una linea in calcare nero corra lungo l'asse est-ovest. Le mura della piazza vennero costruite con pietre tagliate, posate in strisce di diverso spessore. Le due vie principali conducono ad archi vicini alla scala occidentale ed a due coppie di pietre che fiancheggiano la scala orientale.

Il vecchio tempio, tra i primi edifici costruiti, era una struttura composta principalmente da passaggi locati attorno ad una corte circolare. L'edificio conteneva obelischi e monumenti in pietra complete di sculture raffiguranti giaguari, caimani e varie forme antropomorfiche. La galleria di Lanzón, vicino al centro, conteneva una scultura del Lanzón, che si suppone essere la divinità principale di Chavin de Huantar. La figura rappresenta un essere umano con una testa felina. Mortai, pestelli e trombe di conchiglie vennero rinvenuti qui assieme ad altri oggetti. Molti reperti hanno soggetti o decorazioni antropomorfiche, il che li fa risalire alla cultura Chavin.
Il nuovo tempio, costruito tra il 500 ed il 200 a.C., è anch'esso costituito da una galleria ed una piazza, e contiene numerose sculture. Il Lanzón rappresentato nella scultura al suo interno tiene la conchiglia di un mollusco (Strombus) nella mano destra, ed un'altra (Spondylus) nella sinistra.
Gli scavi delle tombe misero in mostra una piccola classe privilegiata che utilizzava tombe di buona fattura. Queste sepolture contenevano metalli preziosi, tessuti colorati ed altri oggetti di valore. La maggior parte delle tombe è semplice, con i corpi interrati in piccoli pozzi, vestiti in cotone ed un insieme di oggetti umili.
Lo stile artistico di arte e decorazioni include l'uso di rotoli, curve semplici, linee rette ed immagini di animali selvatici. Le sculture sono solitamente fatte in granito bianco e calcare nero. Gli oggetti di uso quotidiano comprendono mortai e pestelli, tubi fatti in osso e spatole in metallo, oltre a tessuti, compreso alcuni arazzi. La ceramica veniva lavorata per produrre bottiglie e bocce.
Pedro Cieza de León (1520-1554), cronista spagnolo, è il primo occidentale a menzionarne l'esistenza e Toribio de Mogrovejo, nella sua visita pastorale alle città del nord del Perù nel 1594, lo descrive sommariamente. Nel 1616, Antonio Vázquez de Espinosa realizza una descrizione del tempio basandosi sulle indicazioni degli abitanti vicini. Nel 1873, l'esploratore italiano Antonio Raimondi visita il sito, rimanendone impressionato ma allo stesso tempo rammaricandosi dello stato in cui si trova e nota che i coloni lo usano come cava per rifornirsi di pietre per la costruzione delle loro case. Lo stesso Raimondi, osservando il sito, intuisce inoltre che questo non ha nulla a che fare con la civiltà Inca, come si supponeva fino ad allora. Charles Wiener nel 1880 realizza il primo disegno della divinità nell'antico tempio. Successivamente, nel 1883, il tedesco Ernst W. Middendorf (1830-1908) esplora il sito scoprendo la grande scalinata che da Plaza Cuadrada conduce al Templo Mayor e nota il nome usato dai coloni per nominare quella divinità: Huanca. 
A partire dal 1919 viene studiato dall'archeologo peruviano Julio C. Tello, che ne sottolinea l'importanza e lo considera la sede della più antica cultura peruviana, che dará poi origine alla civiltà andina. Il 17 gennaio 1945 un'alluvione causata dallo straripamento della laguna di Rúrec ricopre e danneggia le strutture del santuario, producendo accumuli fino a quattro metri in alcuni settori. Per questo motivo, Jorge C. Muelle commissiona a Marino Gonzales la rimozione degli strati alluvionali dal sito (1955). Questo lavoro dura fino al 1965 e porta alla luce aree fino ad allora sconosciute, come la parte anteriore del Castello, battezzata “Portada de las Falcónidas”. Tra il 1966 e il 1973, una squadra dell'Universidad Nacional Mayor de San Marcos guidata da Luis Lumbreras e Hernán Amat Olazábal, scava nel sito e amplia le conoscenze sui passaggi e le stanze interne del santuario. Negli anni '70 e '80, Richard Burger effettua scavi stratigrafici, che portano a chiarire le sequenze dello sviluppo della ceramica nel sito. Dal 1980 al 1982 si sviluppa il Progetto Archeologico Chavín dell'Università Nazionale Federico Villarreal, sponsorizzato dalla Fondazione Volkswagenwerk e diretto da Federico Kauffmann Doig. Recenti indagini e scavi effettuati al centro della Piazza Piazza, danno prova di sepolture cerimoniali, permettendo di ritrovare il vecchio letto del fiume Mosna, il che significa che il corso dello stesso è stato deviato per consentire la costruzione di questa piazza. Nel 1985 il sito viene dichiarato Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO.

Pietra di Ingá - BRASILE

 


La Pietra di Ingá (Pedra do Ingá in lingua portoghese) è un grande monolite scolpito e decorato che si trova nel fiume Ingá vicino alla piccola città di Ingá, a 96 km da João Pessoa, nello stato di Paraíba, nel nord-est del Brasile.
La Pietra Ingá è anche chiamata Itacoatiara do Ingá. La parola Ita significa "pietra" nella lingua tupi degli indigeni che abitavano quella zona. Si tratta di una formazione rocciosa in gneiss che copre un'area di circa 250 m 2 che comprende un muro verticale lungo 46 metri per 3,8 metri di altezza.
Le pietre sono ricoperte di simboli e glifi (se ne contano circa 450) che fino ad oggi risultano indecifrabili. Gli studiosi ritengono che sia stato creato da indigeni che hanno vissuto nella zona fino al XVIII secolo. La maggior parte dei glifi rappresenta animali, frutti, esseri umani, costellazioni e altre immagini irriconoscibili.
La maggioranza degli studiosi ritiene che si tratti di antichi simboli sacri scolpiti da un'antica cultura precolombiana, ancora non identificata, che ha abitato la regione in tempi remoti; altri hanno ipotizzato che rappresenti la loro scrittura. La maggior parte delle figure sembra astratta e gli studiosi vorrebbero tentare una traduzione ma il problema principale è che mancano paralleli su cui operare un confronto.
Tuttavia, fino ad oggi, non è stato possibile stabilire in modo definitivo chi fossero gli autori dei segni e quali sarebbero state le motivazioni per la realizzazione del monumento. Gli archeologi, come Dennis Mota e Vanderley de Brito, ritengono che le iscrizioni siano state fatte nel corso di molte generazioni, da comunità seminomadi in passaggi attraverso la regione, utilizzando scalpelli di pietra.

L'intero terreno roccioso presenta iscrizioni dalle forme più diverse, realizzate con varie tecniche di incisione su pietra . Le diverse parti sono state chiamate "Pannelli" dai professori Thomas Bruno Oliveira e Vanderley de Brito, per scopi di ricerca:
Pannello Verticale - È il più conosciuto e studiato dell'insieme dell'area rocciosa, è lungo 46 metri per 3,8 m di altezza, 15 metri di lunghezza per 2,3 m di altezza sono quasi completamente occupate da iscrizioni. La maggior parte di esse si trova al di sotto di una linea orizzontale leggermente ondulata di 112 incisioni capsulari. Queste iscrizioni sono molto pulite, presentano scanalature larghe (fino a 5 cm), relativamente profonde (fino a 8 mm) e ben levigate.
Pannello inferiore - Si trova sul pavimento della lastra di fronte al pannello verticale. Copre un'area di 2,5 m² con diverse iscrizioni arrotondate da cui emergono striature, simili a stelle . Gli studiosi ipotizzano che vi venga rappresentata la costellazione di Orione o delle Pleiadi, poiché sono le costellazioni che si possono vedere guardando il cielo notturno da quella posizione.
Pannello Superiore - Situato sopra il Pannello Verticale, in cima alla roccia, alto 3,8 metri. È composto da segni sparsi di minore profondità e larghezza e realizzati anche con meno cura di quelli sottostanti. L'iscrizione che più attira l'attenzione su questo pannello è un grande cerchio a forma di spirale , attraversato da un'iscrizione a forma di freccia che punta ad ovest .
Sono presenti anche le cosiddette Iscrizioni Marginali , che sono sparse in tutta l'area dell'insieme rupestre e hanno un aspetto più rustico rispetto alle altre iscrizioni, molti di loro sono appena stati raschiati via dalla superficie rocciosa. Il motivo per cui queste iscrizioni differiscono dalle altre, per la loro semplicità, è un altro dilemma per i ricercatori. Vanderley de Brito propone che potrebbero essere stati prodotti da culture precedenti a quella che ha prodotto le iscrizioni principali. Dennis Mota ipotizza invece che le iscrizioni marginali avrebbero potuto servire da schizzo per le iscrizioni più elaborate sui pannelli.

Ipotesi archeoastronomica 

C'è un'ipotesi che attribuisce ai petroglifi di Ingá un'importanza dal punto di vista archeoastronomico. Nel 1976, l'ingegnere spagnolo Francisco Pavía Alemany iniziò uno studio matematico di questo monumento archeologico. I primi risultati sono stati pubblicati nel 1986 dall'Istituto di Arqueologia Brasileira (Pavía Alemany F. 1986). Egli Individuò in Inga una serie di "ciotole" e un altro petroglifo inciso sulla superficie verticale del muro di pietra che formava un "calendario solare", sul quale uno gnomone proiettava l'ombra dei primi raggi solari di ogni giorno. L'Agrupación Astronómica de la Safor ha pubblicato nel 2005 una sintesi di questo lavoro nel suo bollettino ufficiale Huygens n. 53 (Pavía Alemany F. 2005).
Successivamente F. Pavia ha proseguito lo studio, concentrandosi questa volta su una serie di segni incisi sulla superficie rocciosa, che ha interpretato come un gran numero di "stelle" raggruppate a formare "costellazioni". Si ritiene che la coesistenza delle "ciotole" e delle "costellazioni" nella stessa roccia le conferisca un significato archeoastronomico.
Nel 2006, l'egittologo e archeoastronomo Jose Lull ha coordinato la pubblicazione di un libro intitolato Trabajos de Arqueoastronomía. Ejemplos de Africa, America, Europe y Oceania , un compendio di tredici articoli scritti da archeoastronomi. Tra questi ci sono "L'insieme archeoastronomico di Inga" dove è esposto lo studio sia delle coppe che delle costellazioni menzionate prima e le ragioni che giustificano Inga come un monumento archeoastronomico eccezionale.

Ipotesi Pseudoscientifiche 

Vista la mancanza di notizie certe sui costruttori della Pietra di Ingà, sono state formulate delle ipotesi riconducibili alla cosiddetta "archeologia misteriosa" che non trovano alcun riscontro presso la maggioranza degli studiosi.
Il ricercatore italo-brasiliano Gabriele D’Annunzio Baraldi, studioso di lingue antiche che ha trascorso molti anni allo studio della Pietra di Ingá, sostiene che i glifi presenti sul monolite sono simili a quelli delle culture mesopotamiche primordiali. Sempre a suo parere, la lingua Tupi – Guarani, parlata da alcuni gruppi etnici sudamericani, sembra avere una lontana assonanza con la lingua ittita. Baraldi trova in questa comunanza una prova dell’esistenza di una grande civiltà globale esistita in tempi remoti, nota più comunemente con il nome di Atlantide. Se la tesi di Baraldi è corretta, la Pietra di Ingá rappresenta un messaggio che gli antichi superstiti di quella civiltà avrebbero lasciato ai posteri, come memoria del passato e come monito per il futuro. A sostegno dell’ipotesi di Baraldi vi sarebbe la somiglianza dei glifi della Pietra di Ingá con la scrittura utilizzata dagli antichi abitanti dell'Isola di Pasqua, il Rongorongo. Si tratta di una scrittura che è stata solo parzialmente decifrata e che non utilizza geroglifici. L’isola di Pasqua è l’unica nell’area del Sud Pacifico ad aver sviluppato nella propria storia una scrittura propria.
Molti sostengono che la Pedra do Ingá abbia origini fenicie. Il professore padre Inácio Rolim, vissuto nel XIX secolo, è stato uno dei primi promotori di questa tesi, facendo analogie tra i simboli scritti su Pedra do Ingá e i caratteri della scrittura fenicia. La ricercatrice Fernanda Palmeira, all'inizio del XX secolo , viaggiò attraverso diverse regioni dell'entroterra nord- orientale, studiando presunti resti fenici in questa regione. Oltre a diversi articoli, scrisse anche il libro "Storia antica del Brasile", in cui associava non solo le iscrizioni rupestri di Ingá ai Fenici, ma anche alla scrittura demotica egizia.
Esiste anche una corrente che sostiene che i segnali di Ingá siano opera di ingegneria extraterrestre. L'ufologo Cláudio Quintans ha suggerito che delle astronavi aliene sarebbero atterrate nella regione di Pedra do Ingá. L'ufologo ha persino raccolto campioni del suolo dove, secondo lui, sarebbe atterrato tale veicolo. Un altro ricercatore, Gilvan de Brito, nel libro Viagem ao Desconhecido , afferma che esistono, in Ingá, formule per la produzione di energia quantistica e persino combinazioni matematiche che potrebbero indicare la distanza tra la Terra e la Luna.


Písac - PERU'


Písac è un villaggio peruviano situato nella Valle sacra, sul fiume Urubamba. Il villaggio è famoso soprattutto per il mercato che si tiene ogni domenica, martedì e giovedì, un evento che attrae molti turisti dalla vicina Cuzco. Una delle principali attrazioni è un grande albero pisonay che domina la piazza centrale. Anche il santuario di Huanca, sede di pellegrinaggi in settembre, si trova vicino a questo villaggio. L'area è famosa anche per le sue rovine inca, note come Písac Inca, situate in cima ad una collina all'entrata della valle. Le rovine sono divise in quattro blocchi: Pisaqa, Intihuatana, Q'allaqasa e Kinchiracay. Intihuatana comprende numerosi bagni e templi.
Il Tempio del Sole, affioramento vulcanico scolpito in onore del Sole (o Inti), è il suo centro, e gli angoli alla sua base fanno ipotizzare che avesse una qualche funzione astronomica. Q'allaqasa, eretta su uno sperone naturale che domina la valle, è nota come la cittadella.
Sul fianco della collina si trovano terrazze costruite dagli Inca ed ancora attualmente in uso. Queste terrazze furono costruite prelevando a mano il terreno più ricco dalle pianure sottostanti. Questo meccanismo permise alle antiche popolazioni di produrre molto più cibo di quanto sarebbe normalmente possibile ad un'altitudine di 3600 metri. Grazie a strutture militari, religiose ed agricole, il sito aveva un triplice obbiettivo. Si crede che Písac difendesse l'entrata meridionale della Valle sacra, mentre Choquequirao controllava l'ingresso occidentale e la fortezza di Ollantaytambo quello settentrionale.
La Pisac inca controllava una strada che collegava l'impero inca al confine della foresta pluviale. Secondo Kim MacQuarrie, i Pachacuti costruivano molti centri dopo aver conquistato altri popoli, per ricordare le vittorie. Tra questi centri ci sarebbero Pisac (a memoria della vittoria sui Cuyos), Ollantaytambo (per quella sui Tambos) e Machu Picchu (per la conquista della valle di Vilcabamba). Altri storici ipotizzano che Pisac sarebbe stata fondata per proteggere Cuzco dai possibili attacchi degli Antis. In verità non si conosce la data di fondazione di Pisac. Non sembra essere stata abitata da etnie pre-incaiche, per cui la sua nascita è probabilmente posteriore al 1440. Fu distrutta da Francisco Pizarro e dai conquistadores verso il 1530. L'attuale città di Pisac fu fondata dal viceré Toledo più in profondità nella valle, attorno al 1570. Si pensa che le più strette terrazze presenti sotto alla cittadella rappresentino l'ala di una starna (pisaca), da cui deriverebbe il nome del villaggio e delle relative rovine. Questi stessi uccelli sono molto comuni nella zona, soprattutto al crepuscolo.


Pedra Furada - BRASILE

 
Pedra Furada è un sito archeologico preistorico ricavato in un riparo sotto roccia nelle arenarie Siluro-devoniane dello Stato del Piauí, Nordeste del Brasile, in quello che ora è il Parco nazionale della Serra da Capivara dove, dal 1974 furono scoperti oltre 1.200 siti dall'équipe dell'archeologa brasiliana Niède Guidon. Nel sito della Pedra Furada vi sono oltre 900 pitture rupestri risalenti datate tra 11.000 e 5.000 anni fa. Lo scavo è stato condotto da Niéde Guidon (1978-1987), per il 35% della superficie, e da Fabio Parenti (1987-1988) per la porzione rimanente. Un piccolo blocco-testimone rimane a disposizione degli studiosi. La sequenza stratigrafica è spessa 5,5 m ed è composta di sedimenti sabbiosi e ghiaie derivanti dallo smantellamento del tetto del riparo. Le 54 datazioni radiocarboniche sono comprese tra 60.000 (limite del metodo) e 5.000 anni da oggi.
Il riempimento contiene 158 tra focolari e strutture archeologiche, di cui 87 negli strati del Pleistocene finale. Le industrie litiche sono ricavate da ciottoli di quarzo presenti in loco e da blocchetti di selce provenienti dai vicini affioramenti carbonatici. L'origine antropica delle industrie degli strati pleistocenici è oggetto di controversia ed è contestata da molti archeologi, perlopiù statunitensi.
A causa della forte acidità del sedimento, ricco di silice, non si sono conservati resti organici più antichi di 6.000 anni, ciò che rende impossibile conoscere le faune accompagnanti i reperti archeologici. Sono stati tuttavia datati e studiati molti coproliti umani, che hanno fornito utili indicazioni sulla paleobotanica della zona nell'Olocene medio.
La controversia principale riguarda l'origine antropica dei manufatti e dei focolari dei livelli pleistocenici.
La monografia che descrive dettagliatamente il sito, la sua geologia, i manufatti e le strutture rinvenute è un libro di Fabio Parenti, cui si rimanda per approfondimenti.
Il sito della Pedra Furada, con le sue datazioni molto antiche, è uno dei giacimenti più discussi della preistoria mondiale anche perché obbliga a una radicale revisione del modello "Clovis first" relativo al popolamento delle Americhe, secondo il quale si postula che i primi gruppi a giungere nel nuovo mondo furono i portatori delle industrie a cuspidi bifacciali dette di Clovis, non più vecchie del 13000 anni fa.

El Abra - COLOMBIA


El Abra è un sito archeologico, situato nella valle che porta lo stesso nome, a est della città di Zipaquirá, nel dipartimento di Cundinamarca in Colombia. Questo sistema di caverne è uno dei primi luoghi di abitazione nelle Americhe, usate dall'Homo sapiens del periodo tardo pleistocene. Le prime ricerche nella zona vennero effettuate nel 1967, e la stratigrafia degli strumenti fatti in pietra, le ossa, e i fossili vegetali hanno permesso di accertare una datazione intorno al 12.400 a.C. circa.
Stadiale Fúquene 
Va dal 15.000 a.C. al 12.500 a.C. È caratterizzato dal clima freddo, la flora tipica dell'ecosistema di páramo, e da oggetti di pietra.
Interstadiale Guantiva 
Circa 12.500 anni fa ci fu un aumento della temperatura nella zona, che permise la proliferazione della foresta nebulosa delle Ande e la proliferazione di diverse specie animali, che rese la caccia più semplice. Con il clima che diventava più gradevole, le caverne cominciarono ad essere abbandonate.
Stadiale Tibitó 

Gli scavi di questo periodo, vicino al villaggio di Tocancipá, sono datati intorno all'11.400 a.C. Vi sono resti di ossa e della fauna del Pleistocene, come il mastodonte (Haplomastodon e Cuvieronius hyodon), il cavallo americano (Equus amerhipuus lasallei), e il cervo (Odocoileus virginianus), e vi sono anche tracce di cerimonie rituali.
Stadiale El Abra 
Datato intorno all'11.000 a.C., è caratterizzato da un raffreddamento del clima, dalla riduzione della regione forestale, e da una glaciazione. A partire da questo periodo, nella zona archeologica delle cascate di Tequendama degli Soacha, vi erano degli strumenti in pietra creati in forma più liscia, fatti di materiale proveniente dal fiume Magdalena, come la quarzite.
Olocene 
Quando intorno al 10.000 a.C. l'ultima glaciazione finì, le foreste andine cominciarono a riapparire. Ci fu un aumento della caccia ai roditori e del consumo di verdura. Le caverne di Abra vennero progressivamente abbandonate.
Aguazuque 
Nel 5.000 a.C. vennero a stabilirsi delle terrazze per la coltivazione.



Baalbek - LIBANO

 


«Baalbek è il trionfo della pietra, una magnificenza lapidaria il cui linguaggio, ancora visivo, riduce New York a una dimora di formiche. [...] Lo sguardo spazia oltre le mura, fino ai ciuffi verdi dei pioppi dai tronchi bianchi; oltre ancora, al Libano scintillante in lontananza di toni violacei, azzurri, oro e rosa. E poi scende seguendo le montagne fino al vuoto: il deserto, solitario mare di pietra. Bevi l'aria vibrante. Accarezza la pietra con mano delicata. Da' il tuo addio all'Occidente, se lo possiedi, quindi volgiti a Oriente, turista.» (Robert Byron, La via per l'Oxiana)

Baalbek in Libano è uno dei siti archeologici più importanti del Vicino Oriente, dichiarato nel 1984 Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO. Si trova, in linea d'aria, a circa 65 km ad est di Beirut.
Oggi Baalbek è una cittadina nella valle della Beqāʿ, capoluogo di un omonimo distretto libanese. Situata ad est delle sorgenti del fiume Leonte, ad un'altitudine di 1170 metri sul livello del mare, Baalbek è famosa per le monumentali rovine di alcuni templi romani risalenti al II e III secolo dopo Cristo, quando Baalbek, con il nome di Heliopolis ospitava un importante santuario dedicato a Giove Eliopolitano nella provincia romana di Siria. .
Le origini conosciute delle costruzioni di Baalbek risalgono a due insediamenti cananei che gli scavi archeologici sotto il tempio di Giove hanno permesso di identificare come databili all'età del bronzo antica (2900-2300 a.C.) e media (1900-1600 a.C.).
L'etimologia del toponimo è legata al sostantivo báʿal o bēl che in varie lingue dell'area semitica nord-occidentale (come l'ebraico, il cananeo, e l'accadico) significa "signore". Il termine Baalbek significherebbe dunque "signore della Beqa'" e sarebbe probabilmente da correlarsi all'oracolo e al santuario dedicato al dio Baal o Bēl (spesso identificato come Hadad, dio del sole, della tempesta e della fertilità della terra) e ad Anat, dea della violenza e della guerra, sorella e consorte di Baal (più tardi identificata con Astarte), forse associati a Tammuz (più tardi identificato con Adone), dio della rigenerazione primaverile. Le pratiche religiose di questi templi contemplavano probabilmente, come in altre realtà culturali contigue, la prostituzione sacra, i sacrifici animali (e forse anche umani) e le offerte rituali di bevande alle divinità.
La città, pur situata in una posizione favorevole dal punto di vista strategico, in prossimità delle sorgenti dei fiumi Lītānī e Oronte, non ebbe comunque, almeno inizialmente, un importante valore commerciale e strategico, non venendo menzionata da fonti coeve egiziane o assire.
Anche l'identificazione con la biblica Baal-Gad (Libro di Giosuè 11,17; 12,7), rammentata come il limite settentrionale delle conquiste di Giosuè, viene oggi contestata, sostenendo piuttosto che la località biblica si debba identificare con la cittadina di Ḥāṣbayyā, nel sud-est del Libano, oppure con Bāniyās (l'antica Cesarea di Filippo), sulle alture del Golan.
Fase ellenistica

Lo storico ebreo Giuseppe Flavio (I secolo) rammenta il passaggio di Alessandro Magno a Baalbek nella sua marcia verso Damasco. In epoca ellenistica, sotto il dominio dei Tolomei, sostituito definitivamente dal 198 a.C. con quello dei Seleucidi, la città fu ribattezzata con il nome di Heliopolis ("città del sole"). I sovrani tolemaici favorirono probabilmente l'identificazione del dio Baal con il dio del sole egizio Ra e il dio del sole greco Helios, allo scopo di cementare una maggiore fusione culturale all'interno dei propri territori.
Il cortile del tempio fu modificato e alla sua estremità occidentale venne iniziata la costruzione di un tempio di forme greche.
Fase romana

Dopo la conquista romana nel 64 a.C. ad opera di Pompeo, la città di Baalbek-Heliopolis fu compresa nei domini dei tetrarchi della Palestina (si confronti anche in Lc 3,1).
La divinità del santuario fu identificata con Giove, che conservò tuttavia alcuni dei caratteri dell'antica divinità indigena e assunse la forma e il nome di Giove Eliopolitano. Il dio veniva raffigurato con un copricapo svasato, con fulmini nelle mani e inquadrato da due tori, l'animale che accompagnava il dio Baal. Gli altri dei associati vennero identificati con Venere e con Bacco. La triade eliopolitana ebbe altari e culto anche in lontane regioni dell'impero (province balcaniche, Gallia, province ispaniche, Britannia). Il culto assunse un carattere mistico e forse misterico, che favorì probabilmente la sua diffusione.
Nel 15 a.C. il santuario entrò a far parte del territorio della Colonia Iulia Augusta Felix Beritus, l'odierna Beirut. L'edificazione del tempio fu nuovamente intrapresa sulla piattaforma ellenistica e si concluse in diverse tappe: il tempio vero e proprio (tempio di Giove) fu terminato nel 60 d.C., sotto Nerone, e contemporaneamente venne edificato l'altare a torre che precede il tempio. Sotto Traiano (98-117) si iniziò la sistemazione del grande cortile. Sotto Antonino Pio (138-161) venne eretto il tempio di Bacco. I lavori, inclusi quelli riguardanti il tempio di Venere, vennero completati durante la dinastia dei Severi, e in particolare sotto Caracalla (211-217). Sotto Filippo l'Arabo (244-249), imperatore romano nato nella vicina Damasco, fu infine costruito il cortile esagonale del santuario.
In quest'epoca Heliopolis, elevata da Settimio Severo (193-211) al rango di colonia di diritto italico con il nome di Colonia Iulia Augusta Felix Heliopolis, divenne il centro principale della provincia della Syria-Phoenicia, istituita nel 194 con capitale Tiro.
Fase paleocristiana e bizantina

Con l'avvento del Cristianesimo e la promulgazione dell'Editto di Milano, il santuario iniziò una lenta decadenza, accelerata probabilmente dai crolli dovuti ai terremoti. Le prime trasformazioni si ebbero sotto Costantino I (306-337), che secondo Eusebio di Cesarea vi istituì una sede vescovile e decise la costruzione di una chiesa. L'imperatore Teodosio I (379-395) distrusse le statue pagane, fece radere al suolo l'altare-torre per erigere nel grande cortile una basilica cristiana e trasformò in chiese sia la corte esagonale che il tempio di Venere. Alcuni studiosi ritengono tuttavia che Baalbek continuò a costituire un centro di culto pagano.
L'imperatore bizantino Giustiniano (527-565) ordinò infine di asportare otto delle colonne del tempio di Giove affinché fossero riutilizzate nella basilica di Santa Sofia a Costantinopoli.
Fase arabo-islamica

In seguito alla conquista araba del 637 da parte di Abū ʿUbayda ibn al-Ğarrāḥ, l'acropoli del complesso templare venne trasformata in cittadella fortificata (ﻗﻠﻌﺔ, qalʿa) e venne costruita la grande moschea in stile omayyade, oggi in rovina. La città passò, dopo l'età omayyade e quella abbaside, sotto l'amministrazione fatimide che la scelse come capitale di governatorato (wilāya) nel 972, all'epoca del terzo Imām, al-Muʿizz li-dīn Allāh.
Occupata per breve tempo dai Bizantini di Giovanni Zimisce nel 974, Baalbek divenne nel 1025 dominio dei Mirdasidi, guidati dal principe di Aleppo Ṣāliḥ ibn Mirdās, e infine dei Selgiuchidi di Tutush nel 1075. Fu poi la volta del dominio zengide, prima di essere conquistata da Ṣalāḥ al-Dīn ibn Ayyūb nel 1187. La cittadina rimase dominio ayyubide fino al 1282 quando venne conquistata dal sultano mamelucco Sayf al-Dīn Qalāwūn al-Alfī, detto al-Malik al-Manṣūr ("il sovrano reso vittorioso da Dio").
La città fu saccheggiata dalle truppe mongole guidate da Hülegü Khan durante le incursioni mongole in Palestina nel 1260 e ancora dall'esercito di Timur nel 1401.
Dopo il 1516, Baalbek entrò a far parte dell'Impero ottomano, all'interno dell'eyalet (governatorato) di Damasco. Nei secoli successivi, come in altre aree della Beqāʿ, la popolazione, prevalentemente musulmana sciita e divisa in clan patrilineari chiamati ʿashāʿīr, fu soggetta all'autorità de facto di due famiglie di proprietari terrieri, gli Ḥamāda e gli Harfūsh, i cui privilegi feudali vennero erosi, a partire dalla fine del diciottesimo secolo, dai tentativi di modernizzazione amministrativa sperimentati dalle autorità ottomane.
Riscoperta del sito

Nel XVIII secolo gli esploratori europei iniziarono a visitare le rovine e a riportarne dettagliate descrizioni, piante e vedute a disegno. Nel 1751 Robert Wood descrisse le rovine come tra le più audaci opere di architettura dell'antichità. Erano ancora in piedi nove colonne del tempio di Giove, ma tre crollarono, probabilmente in occasione del terremoto del 1759. Altri viaggiatori furono Volney (1781), Cassas (1785), Laborde[non chiaro] (1837), David Roberts (1839). I blocchi crollati dalle antiche costruzioni venivano all'epoca ancora riutilizzati per la costruzione di edifici moderni della cittadina.
Una prima spedizione scientifica fu condotta nel 1873 dal Fondo di Esplorazione della Palestina e in seguito alla visita dell'imperatore Guglielmo II di Germania vi venne condotta una missione archeologica tedesca (1898-1905), guidata da Otto Puchstein, durante la quale furono effettuati i primi restauri. Dopo la prima guerra mondiale altre missioni si ebbero durante il Mandato francese ad opera di C. Virolleaud, R. Dassaud, S. Ronzevalle, H. Seyrig, D. Schlumberger, F. Anus, P. Coupel e P. Collard.
Dopo l'indipendenza del Libano nel 1943 le operazioni di restauro e conservazione passarono sotto l'egida del Servizio delle Antichità del Libano (H. Kalayan).
Nel 1984 il sito archeologico di Baalbek venne inserito nella lista dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.

Descrizione del santuario
Basamento
Alla base del complesso di Baalbek esiste una gigantesca piattaforma in pietra (88 x 48 m) la cui costruzione costituisce un enigma in quanto neppure con la tecnologia attuale si riuscirebbe a trasportare ed a mettere in loco pietre tanto colossali[senza fonte]. Per questa costruzione furono impiegati infatti enormi blocchi di pietra tagliati: i tre che costituiscono il cosiddetto τρίλιθον (trilithon) misurano rispettivamente 19,60 m, 19,30 m e 19,10 m di lunghezza, per 4,34 m di altezza e 3,65 m di profondità e raggiungono un peso di circa 800 tonnellate ciascuno, mentre un quarto blocco, di dimensioni ancora maggiori (21.5 m di lunghezza con una sezione quadrata di 4,30 m di lato), oggi conosciuto con il nome di ḥaǧar al-ḥublā o "pietra della gestante", fu abbandonato nella cava. Non ci sono indicazioni precise sul periodo in cui fu edificata la piattaforma, né esistono reperti organici su cui effettuare il test del Carbonio 14. Pertanto non si ha a tutt'oggi alcuna informazione circa il popolo che lo costruì ed i mezzi che impiegò.
Nei primi studi archeologici del XIX secolo, la piattaforma era ritenuta appartenere a una fase di edificazione precedente a quella romana. I moderni rilievi sembrano indicare che la piattaforma è orientata con le Pleiadi, importanti nella tradizione greca e orientale, ma non in quella romana: questo, insieme alle somiglianze strutturali col secondo tempio di Gerusalemme, farebbe propendere per la realizzazione sotto Erode il Grande. Quanto alla tecnica di costruzione impiegata, l'architetto Jean-Pierre Adam ha ipotizzato un sistema con un gran numero di argani a trazione umana, concludendo tuttavia che non è noto da quale popolo o in quale epoca tali macchine sarebbero state introdotte[14].
Propilei

Furono costruiti agli inizi del III secolo, all'epoca di Caracalla in cima ad una scalinata monumentale e costituivano l'accesso all'area sacra del tempio di Giove. Erano in origine costituiti da una facciata di 12 colonne (10 delle quali rialzate nel corso dei restauri tedeschi), tra due torri più alte, sormontate da un frontone.
Nel muro retrostante si aprivano un ingresso centrale ad arco e due passaggi laterali, che più tardi furono murati. Il muro era decorato da due piani di nicchie che in origine dovevano ospitare delle statue, inquadrate da edicole con frontoni alternativamente triangolari e arcuati, sostenuti da lesene corinzie al piano terra e ioniche al piano superiore.
Cortile esagonale
Dai propilei si accedeva ad una corte a pianta esagonale (metà del III secolo, sotto Filippo l'Arabo, 244-249), circondata da portici che si aprivano sul fondo con esedre rettangolari, un tempo riccamente decorate. Il cortile subì pesanti modifiche all'epoca in cui vi fu installata la cappella dedicata alla Vergine e successivamente per la trasformazione in bastione difensivo della cittadella araba.
Grande Cortile

Il cortile (135 x 113 m) (età traianea) ospitava il grande altare a torre di età neroniana e bacini laterali per le abluzioni. I portici laterali (128 colonne con fusti in granito di Aswān) sono sostenuti da criptoportici voltati e sul fondo si aprivano esedre a pianta alternativamente rettangolare e semicircolare, queste coperte da semicupole in pietra. Iscrizioni dipinte in alcune delle esedre testimoniano il loro uso per i pasti sacri di confraternite e comunità, che dovevano far parte del culto eliopolitano.
Nella corte venne costruita la basilica teodosiana, dedicata a san Pietro.
Tempio di Giove

Il tempio (prima metà del I secolo), che ospitava la statua di Giove Eliopolitano, dominava la Grande Corte, sopraelevato sopra una scalinata a tre rampe. Presumibilmente costruito sopra le fondamenta di una costruzione più antica, si trattava del più grande tempio romano conosciuto, in origine un periptero con 10 colonne sulla fronte ("decastilo") e 19 sui lati lunghi. Restano in piedi sei colonne colossali, con fusti di 2,20 m di diametro (pari a 75 piedi romani) e alte circa 20 m con la base e il capitello, realizzate con tre rocchi di pietra. La trabeazione, che raggiunge i 5 m di altezza comprendeva un fregio decorato con protomi (teste) di tori e di leoni e con ghirlande.
Tempio di Bacco

Elevato su un podio di 5 m di altezza, misura 69 x 36 m e vi si accede da una scalinata con 33 gradini. Era preceduto da un cortile porticato con un monumentale accesso. Risale alla metà del II secolo (Antonino Pio, 138-161) e si tratta di un tempio periptero con 8 colonne sulla fronte ("ottastilo") e 15 sui lati lunghi, molto ben conservato (manca solo il tetto della cella e parte delle colonne laterali). Le colonne raggiungevano con basi e capitelli un'altezza di 19 m e anche in questo caso il fregio era decorato da protomi di tori e leoni. La peristasi (lo spazio tra le colonne e i muri della cella) era coperta da un soffitto cassettonato: i cassettoni poligonali e triangolari, erano decorati con busti di divinità (tra cui Marte, la Vittoria, Diana, Hygeia) e una ricca decorazione vegetale.
L'incorniciatura del portale d'ingresso della cella presenta fregi figurati e una decorazione di tralci di vite che riferiscono il tempio al dio Bacco, ma il soffitto del portale mostra un'aquila con un caduceo, attributo tipico del dio Mercurio. Il culto del dio locale, con caratteristiche simili a quelle del greco Adone, aveva comportato l'utilizzo del vino, dell'oppio e di altre droghe per il raggiungimento dell'estasi religiosa.
All'interno della cella le pareti laterali sono decorate da nicchie su due ordini: quelle inferiori sono sormontate da frontoni arcuati e quelle superiori da frontoni triangolari; le nicchie sono inquadrate da semicolonne corinzie. Sul fondo del tempio un adyton (sacrario) ospitava la statua del dio.
All'angolo sud-est del tempio venne in seguito edificata una torre che nel XV secolo, all'epoca dei Mamelucchi ospitava la residenza del governatore locale.
Tempio rotondo o tempio di Venere

Al di là di una strada, è orientato verso gli altri due templi. Era racchiuso in un recinto sacro che ospitava anche un altro piccolo tempio, oggi in rovina, conosciuto come "tempio delle Muse". Si trova a Sud-Est dell'Acropoli e fu costruito nel III secolo.
Il tempio, a cui si accede da una scalinata, era preceduto in origine un pronao rettangolare tetrastilo, le cui due successive file di quattro colonne presentavano un'ampia spaziatura centrale: intercolunnio doppio rispetto ai due alle estremità. Ne risultò, di conseguenza, un pronao coperto a botte sull'asse d'ingresso, architravato e sorretto nelle ali da gruppi di quattro colonne su disposizione quadrata. La cella rotonda era decorata all'esterno da nicchie coperte da semicupole a conchiglia. Le colonne che circondano la cella presentano la trabeazione che non segue la linea del colonnato, ma si incurva verso l'interno fino a toccare il muro esterno della cella, creando un'insolita forma stellare e inquadrando in tal modo le nicchie.
La testimonianza di Eusebio di Cesarea, che attesta la continuità del culto agli inizi dell'epoca cristiana, ci informa della sua natura orgiastica e della presenza, probabilmente, della prostituzione sacra.
Il tempio era stato trasformato in chiesa di Santa Barbara, ma restò al di fuori della cittadella araba e l'intero complesso venne in seguito coperto da una fitta rete di abitazioni. I resti del tempio furono smontati e rimontati a poca distanza in uno spazio libero.

Il marcato carattere locale del culto si riflette nelle grandi corti che precedono i templi (come nel tempio di Gerusalemme), nell'altare a torre del santuario di Giove e nella presenza del sacrario edificato a parte all'interno della cella (adyton); tuttavia ovunque le forme architettoniche sono quelle proprie dell'architettura romana.

Negli anni successivi all'indipendenza libanese, la valle della Beqāʿ soffrì per la relativa marginalità economica e politica, anche se Baalbek poté contare sui proventi legati al crescente afflusso di visitatori locali e stranieri. Dopo l'avvio saltuario di spettacoli estivi all'aperto nel 1922, a partire dal 1955 iniziò ad essere organizzato in maniera sistematica il Festival di Baalbek, comprendente nel suo programma un misto di spettacoli teatrali, opera lirica, musical, concerti di musica classica e musica leggera e organizzato solitamente nella cornice del grande cortile. Direttori d'orchestra, interpreti e gruppi del calibro di Herbert von Karajan, Mstislav Rostropovitch, Fairouz, Umm Kulthum, Ella Fitzgerald, Joan Baez (e ultimamente Sting, Gilberto Gil e Massive Attack) hanno tenuto memorabili concerti in questa sede monumentale.
Il festival fu interrotto nel 1975, con lo scoppio della guerra civile libanese (1975-1990), quando la cittadina di Baalbek divenne una roccaforte della milizia sciita Hezbollah (ossia "Partito di Dio"). La milizia, con la probabile approvazione del governo siriano, fu sostenuta dal governo iraniano tramite il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (che forniva addestramento militare e indottrinamento) e si distinse per la politica estremamente ostile nei confronti degli Stati Uniti e di Israele, che all'epoca occupava militarmente una parte del territorio libanese.
Dopo la fine della guerra civile libanese nel 1990 (in seguito agli accordi di Ṭā'if del 1989), la situazione si è lentamente ma progressivamente normalizzata e oggi la visita al sito archeologico e alla cittadina è possibile senza alcun tipo di pericolo. Nel 1997 sono riprese le serate del Festival di Baalbek, mentre nel 1998 è stata inaugurata la collezione permanente che costituisce il nucleo centrale del nuovo Museo archeologico.
La cittadina è stata oggetto di pesanti bombardamenti israeliani nel luglio 2006.


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