sabato 9 dicembre 2023

Pumapunku - BOLIVIA

 


Pumapunku, anche detto “Puma Pumku” o “Puma Puncu”, è parte di un ampio complesso o gruppo di monumenti del sito di Tiahuanaco, in Bolivia. In Aymara, il suo nome significa “La porta del Puma”. All'inizio del XX secolo l'ingegnere tedesco Arthur Posnansky (1873-1946) dedicò lunghi anni delle sue ricerche alle rovine di Tiwanaku, un antico villaggio indio situato sull'altipiano boliviano. L'ingegnere concentrò i suoi studi su una zona del villaggio, dove alcune pietre erano disposte verticalmente. Da questo lo studioso dedusse che in quel luogo, migliaia di anni prima sorgeva un osservatorio astronomico. Così il sito di Tiwanaku richiamò altri studiosi tra cui l'italiano Giampaolo Dionisi Piomarta, i quali scoprirono un altro sito presente a poche centinaia di metri di distanza, Pumapunku.
Nel campo di rovine si trovano blocchi che arrivano a pesare sino a 130 tonnellate. Pare quindi che ci si trovi davanti ai resti di parecchi edifici. Però è insolita la forma delle pietre, lavorate in modo così preciso da poter essere unite l'una all'altra in diversi modi, paragonabili a un moderno sistema modulare. Per fissare le pietre venivano infatti utilizzate delle cambrette di metallo, metodo conosciuto dagli archeologi dopo gli scavi di Delfi, città dell'antichità dove risiedeva uno tra i più famosi oracoli di tutti i tempi. I blocchi modulari del sito inoltre denominati "blocchi H" mostrano un grado di
precisione elevato sia nell'intaglio degli angoli retti, che nelle misure relative a ciascun blocco. Gli incavi dei blocchi H inoltre, presentano scanalature dalle pareti non parallele, per costituire degli incastri oggi conosciuti denominati "a coda di rondine".
Non è ancora stato possibile appurare come sia avvenuta la distruzione di Pumapunku e Tiahuanaco. Confrontando però la lavorazione delle pietre, si è riscontrato che i due siti non sono sorti nella stessa epoca, altrimenti lo scambio tra le "tecniche costruttive" sarebbe stato inevitabile data la breve distanza. Nel caso di Pumapunku inoltre le devastazioni sono ancora più estese. Infatti è quasi impossibile riconoscere la struttura degli edifici ed esistono solo poche pietre vicine l'una all'altra, mentre a Tiahuanaco sporadicamente è ancora possibile vedere alcuni muri.


Parco nazionale di Mesa Verde - STATI UNITI

 

Il parco nazionale di Mesa Verde è un'area naturale protetta degli Stati Uniti e patrimonio dell'umanità dell'UNESCO dal 1978. È situato nello stato del Colorado, nella contea di Montezuma. Ha una superficie 211 km2 e comprende un'area in cui sono presenti i resti di numerosi insediamenti costruiti dagli antichi Popoli Ancestrali, una volta denominati Anasazi. Si tratta di villaggi costruiti all'interno di rientranze della roccia, denominati cliff-dwellings. Il più noto e il più grande di questi insediamenti è quello denominato Cliff palace (nella foto in alto).
Il parco nazionale di Mesa Verde è situato nella sezione sudoccidentale dello stato del Colorado. Il territorio è formato da un altopiano con un'altitudine variabile tra 1860 m e 2560 m ed è attraversato da una serie di rilievi rocciosi e vallate disposte longitudinalmente.
Nonostante i più antichi insediamenti all'interno del parco nazionale di Mesa Verde risalgano a non oltre 800 anni fa, la regione era abitata dagli Anasazi già dal VI secolo. Questi primi abitanti di Mesa Verde, di cui non si conosce né l'origine né il nome con cui essi si definivano, vivevano inizialmente in abitazioni a pozzo (pit houses) formanti piccoli villaggi disposti su una superficie piuttosto vasta. Nell'arco di 500 anni essi affinarono le loro abilità costruttive e realizzarono grandi insediamenti con edifici su più livelli costruiti con fango e pietre. Questo tipo di insediamenti viene generalmente chiamato pueblo. In questi villaggi sono presenti oltre ad edifici ad uso abitativo e magazzini, anche delle costruzioni comunitarie ad uso cerimoniale chiamate kivas. A partire dall'inizio del XII secolo gli Anasazi iniziarono a costruire i loro villaggi all'interno di rientranze della roccia, realizzando gli insediamenti visibili oggi a Mesa Verde.
Gli Anasazi raggiunsero in quest'epoca il loro periodo di massimo splendore. Nonostante gli scavi archeologici non abbiano ancora fornito elementi tali per ricostruire nei dettagli la loro storia, i numerosi reperti consentono di avere un'idea abbastanza chiara del loro stile di vita e della loro cultura. Essi raggiunsero una notevole abilità nel realizzare manufatti in terracotta, come recipienti, ciotole e altri oggetti probabilmente con funzioni rituali, così come canestri e altri oggetti ottenuti intrecciando fibre vegetali. Si ritiene che queste attività artigianali fossero praticate soprattutto dalla donne, che si tramandavano le conoscenze tecniche di madre in figlia. Gli oggetti in terracotta erano decorati con motivi geometrici. Gli Anasazi praticavano l'agricoltura, coltivando prevalentemente mais e legumi.
Il motivo dell'abbandono degli insediamenti da parte degli Anasazi non è ancora stato chiarito. Tra le ipotesi possibili vi sono i mutamenti climatici che avrebbero causato una scarsità di risorse tali di impedire la sopravvivenza in quei luoghi, oppure il verificarsi di forti tensioni a livello sociale.
Dopo essere stati lasciati dai loro originari abitanti, i villaggi costruiti nella roccia caddero in uno stato di abbandono e furono riscoperti solo nel XVI secolo da popolazioni Navajo, a cui si deve anche il nome Anasazi, con cui si indicano le popolazioni che avevano in precedenza abitato la regione.


Gli esploratori spagnoli che cercavano una pista tra Santa Fe e la California furono i primi a raggiungere la regione di Mesa Verde, che chiamarono così per i suoi tavolati ricoperti di alberi. Essi comunque non videro i villaggi abbandonati costruiti nelle rientranze della roccia. Alcuni cacciatori e cercatori si inoltrarono nella regione e uno di questi riferì delle sue osservazioni nel 1873. L'anno seguente accompagnò il noto fotografo William Henry Jackson attraverso il Mancos Canyon ai piedi di Mesa Verde. Qui Jackson fotografò uno degli insediamenti nella roccia. Nel 1875 il geologo William H. Holmes rifece il percorso di Jackson e le sue osservazioni assieme a quelle di Jackson furono ricomprese nella relazione del Hayden Survey del 1876, uno di quattro progetti federali per l'esplorazione dell'Ovest americano. L'interesse suscitato da queste ed altre pubblicazioni portò a formulare proposte per uno studio sistematico dei siti archeologici del sud-ovest. Tuttavia tali proposte non furono realizzate se non anni dopo.
Nel frattempo alcuni allevatori iniziarono ad insediarsi nella Mancos Valley. Alcuni inoltrandosi a Mesa Verde osservarono un maggior numero di edifici in pietra e di maggiori dimensioni. Iniziò così l'asportazione incontrollata dei reperti che venivano conservati dai privati oppure rivenduti ai visitatori della regione. I membri della famiglia Wetherill furono i primi a comprendere le potenzialità turistiche della regione. Essi raccolsero numerosi reperti che in parte rivendettero alla Historical Society del Colorado e in parte conservarono come collezione privata ma furono i primi a documentare i loro ritrovamenti.


Uno dei più primi visitatori della regione fu una giornalista del New York Times, Virginia McClug, la quale si impegnò a fondo per l'istituzione del parco nazionale. Un altro fotografo, Frederick H. Chapin, visitò Mesa Verde nel 1889 e 1890, accompagnato da membri della famiglia Wetherill. Egli pubblicò un articolo nel 1890 e nel 1892 un libro le cui fotografie fecero conoscere al grande pubblico Mesa Verde.
Forse il più importante tra i primi visitatori di Mesa Verde fu Gustaf Nordenskiöld, figlio dell'esploratore finlandese Adolf Erik Nordenskiöld. Nel 1891 Nordenskiöld iniziò a condurre esplorazioni e scavi con metodo scientifico, producendo una grande quantità di dati tecnici e fotografici e mettendo in relazione quanto veniva via via scoperto con la letteratura scientifica esistente e con le osservazioni e l'esperienza maturata dai Wetherill. Presto i metodi dello scienziato finlandese suscitarono una crescente opposizione da parte della popolazione e delle autorità locali, e quando si seppe che i reperti avrebbero costituito una collezione in un museo scandinavo, Nordenskiöld fu arrestato con l'accusa di aver devastato le rovine. Egli fu comunque liberato grazie all'intervento di funzionari di Washington e al suo ritorno in Svezia nel 1893 pubblico il primo studio scientifico sulle rovine di Mesa Verde. Questo lavoro diede a Mesa Verde notorietà a livello internazionale. Attualmente la collezione di reperti raccolti da Nordenskiöld è conservata a Helsinki.


Il 29 giugno 1906 al fine di proteggere gli insediamenti degli antichi Anasazi, fu istituito il parco nazionale di Mesa Verde. Dopo Yellowstone fu il secondo parco statunitense ad essere istituito. Dal 1978 il parco nazionale di Mesa Verde è stato inserito anche nella lista dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.
All'interno del parco nazionale di Mesa verde sono presenti circa 600 cliff dwellings. Si tratta per la stragrande maggioranza di insediamenti molto piccoli. I più grandi sono appena una dozzina e tra questi rientrano i più celebri, tra cui Spruce Tree House, Balcony House e Cliff Palace.
  • Il Cliff Palace è il più grande insediamento costruito nella roccia di tutto il Nordamerica. Si trova in una rientranza profonda 27 m e alta 18 ed è costituito da 220 ambienti (tra cui 23 kivas), dei quali solo una trentina conservano le tracce di un focolare. Questo fa presupporre che le abitazioni fossero costituite da più ambienti tra loro collegati e che alcuni di essi fossero adibiti a magazzini (foto di apertura).
  • Long House è il secondo insediamento di Mesa Verde per dimensioni. È situato sulla Wetherill Mesa nel settore occidentale del parco (seconda foto dall'alto).
  • Spruce Tree House è sicuramente l'insediamento che si trova nel migliore stato di conservazione ed è il terzo più grande villaggio presente a Mesa verde. È costituito da 130 ambienti e 8 kivas. Si ritiene che possa essere stato abitato da circa 80 persone (terza foto dall'alto).
  • Balcony House fu scoperto nel 1881. Per poter visitare l'insediamento è necessario scendere all'interno del canyon per 30 metri per poi risalire verso gli edifici costruiti nella cavità della roccia mediante una scala a pioli di 10 m (quarta foto dall'alto).
  • Square Tower House: la torre che dà il nome all'insediamento è la più elevata costruzione di Mesa Verde. Fu occupato tra il 1200 e il 1300 d.C. (foto in basso)
  • Il sito di Mug House si trova sulla Wetherill Mesa e fu scavato e studiato negli anni '60 dall'archeologo Arthur Rohn. È Formato da 94 ambienti posti su quattro livelli e comprende una grande kiva.



Cueva de las Manos - ARGENTINA

 


La Cueva de las Manos (che in spagnolo significa Caverna delle Mani) è una caverna situata nella provincia argentina di Santa Cruz, 163 chilometri a sud della città di Perito Moreno, all'interno dei confini del Parco Nazionale Perito Moreno che comprende altri siti di importanza archeologica e paleontologica. La Caverna si trova nella valle del fiume Pinturas, in un luogo isolato della Patagonia a circa 100 chilometri dalla strada principale. Essa è famosa (e infatti a questo deve il suo nome) per le incisioni rupestri rappresentanti mani, che appartenevano al popolo indigeno di questa regione (probabilmente progenitori dei Tehuelche), vissuto fra i 9.300 e i 13.000 anni fa. Gli inchiostri sono di origine minerale, quindi l'età delle pitture rupestri è stata calcolata dai resti degli strumenti (ricavati da ossa) usati per spruzzare la vernice sulla roccia.
La caverna principale è profonda 24 metri, con un ingresso largo 15 metri ed un'altezza iniziale di 10 metri. All'interno della caverna il terreno è inclinato, in salita, mentre l'altezza si riduce a non più di 2 metri.

Le immagini delle mani sono spesso in negativo, e oltre a queste ci sono scene di caccia, esseri umani, lama, nandù, felini ed altri animali, nonché figure geometriche e rappresentazioni del sole. Dipinti simili, anche se in numero minore, sono presenti anche nelle caverne circostanti. Sul soffitto si trovano puntini rossi, ottenuti probabilmente da quelle popolazioni immergendo nell'inchiostro le bolas e tirandole successivamente verso l'alto. I colori usati per dipingere le scene variano dal rosso (ottenuto dall'ematite) al bianco, nero e giallo.
La maggior parte delle mani sono sinistre, il che suggerisce che i "pittori" tenessero gli strumenti che spruzzavano l'inchiostro con la destra. Le dimensioni delle mani sembrano quelle di un ragazzino di 13 anni ma, considerando che probabilmente esse sono più piccole di quanto non fossero in realtà, si pensa che le mani appartenessero a persone di qualche anno più vecchie: in questo caso potremmo trovarci di fronte ad un rito, lasciare l'impronta della propria mano sul muro della caverna (probabilmente sacra) poteva significare il passaggio dall'età infantile all'età matura.
Nel 1999 la Cueva de las Manos è stata inserita nell'elenco dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.
Nel film documentario Nomad - In cammino con Bruce Chatwin (Nomad: In the Footsteps of Bruce Chatwin) (2019) di Werner Herzog, il regista mostra delle fotografie di Cueva de las Manos.

Eridu - IRAQ

 

Eridu (oppure Eridug o Urudug, accadico: Irîtu) fu un'antica città sumera della bassa Mesopotamia, corrispondente all'odierno Tell Abu Shahrain (Governatorato di Dhi Qar, Iraq), posta a undici chilometri a sud-ovest di Ur.
Eridu fu per lungo tempo considerata la città più antica della Mesopotamia meridionale e tuttora si discute se sia stata la città più antica del mondo.
Eridu era la più meridionale di un gruppo di città sumere che crebbero attorno a templi, quasi in vista l'una dell'altra.
Nella mitologia sumera, Eridu era la patria di Enki, che era considerato il suo fondatore e che fu noto agli Accadi come Ea. Il suo tempio era chiamato E-Abzu, per il fatto che si riteneva che Enki vivesse nell'Abzu ("acqua profonda"), un acquifero dal quale si credeva traesse origine tutta la vita.
Eridu era la più meridionale fra le città che si erano sviluppate attorno ai templi nella bassa Mesopotamia. Molto probabilmente fu fondata vicino al golfo Persico, alla foce del fiume Eufrate, ma, a causa dell'accumulo di fango e detriti sulla linea costiera avvenuti attraverso i millenni, oggi i resti della città si trovano ad una certa distanza dal golfo, nella località di Abu Shahrain, in Iraq.
Eridu sembra essere il primo agglomerato urbano dei Sumeri, cresciuto probabilmente attorno al V o IV millennio a.C. Secondo Gwendolyn Leick, la città di Eridu era disposta alla confluenza di tre ecosistemi separati che avevano dato vita a tre culture differenti:
Da una parte le prime comunità di contadini che sembra si basassero su un'agricoltura di sussistenza supportata da un'intensa irrigazione. Questi derivavano dalla civiltà di Samarra a nord, caratterizzata dalla costruzione di canali e di edifici con mattoni di fango.
La cultura dei pescatori-cacciatori del litorale arabo, installata in capanne di canne.
La terza cultura che contribuì ad erigere la città di Eridu fu quella dei pastori nomadi di greggi di pecore e capre, che vivevano in tende nelle zone semideserte.
Tutte e tre le culture sembrano implicate nei primi sviluppi della città. Lo stabilimento urbano si concentrava attorno ad un imponente complesso templare costruito in mattoni, all'interno di una piccola depressione che permetteva all'acqua di accumularsi.
Negli strati più antichi di Eridu (strati 17-15, appartenenti alla fase detta appunto "di Eridu", ca. 5000 a.C.) è stata rintracciata un'importante novità in ambito urbanistico: è infatti qui che si hanno le prime evidenze di una sistemazione apposita, in spazi dedicati, dell'attività cultuale. Si tratta di piccoli edifici, di "cappelle", un inizio modesto ma certamente rivoluzionario rispetto alla tipologia abitativa, ad esempio, di Çatalhöyük, dove il culto veniva effettuato dentro le abitazioni private, caratterizzandosi come culto "familiare".
Kate Fielden afferma: "Il primo insediamento (ca. 5000 a.C.) si era sviluppato fino a divenire una stabile città di mattoni e case di canne nel 2900 a.C., avente un'estensione di circa 8-10 ettari (20-25 acri). Dal 2050 a.C. la città cadde in declino; ci sono alcune prove di una occupazione dopo questa data. Diciotto templi di mattoni sovrapposti sono alla base della ziggurat non finita di Amar-Sin (ca. 2047-2039 a.C.). L'apparente continuità dell'occupazione e dei riti religiosi ad Eridu, forniscono la prova convincente per l'origine indigena della civiltà sumerica. Il sito è stato scavato principalmente fra il 1946 e il 1949 dal dipartimento di antichità dell'Iraq."
Queste indagini archeologiche hanno dimostrato, secondo Oppenheim, che "alla fine l'intero sud decadde in ristagno rinunciando all'iniziativa politica in favore dei re delle città del nord" e la città venne abbandonata nel 600 a.C.


Arco di Adriano, Gerasa - GIORDANIA

 

L'Arco di Adriano è un'antica struttura romana di Gerasa, in Giordania. Si tratta di un arco a tre arcate alto 11 metri eretto per onorare la visita dell'imperatore romano Adriano alla città nell'inverno del 129-130 d.C. L'arco originariamente si trovava a quasi 22 m e probabilmente aveva porte di legno.[1] Presenta alcune caratteristiche architettoniche non convenzionali, forse nabatee, come le basi di acanto. Le colonne sono decorate con capitelli in basso anziché in alto. Il monumento serviva sia come arco commemorativo che come ingresso a Gerasa. La relativa lontananza dell'arco dalle mura della città indica un piano per l'espansione verso sud di Gerasa durante il suo massimo splendore. L'espansione, tuttavia, non è stata portata avanti.
Nel 2005, l'arco era in restauro. La ricostruzione è stata completata nel 2007 e l'arco è ora alto circa 21 metri, lungo 37,45 metri e largo 9,25 metri.
Ogni faccia dell'arco ha quattro colonne erette su piedistalli e basi. Ogni piedistallo è alto 2,20 metri, largo 2,25 metri e profondo 1,20 metri. La base di ogni colonna è sormontata da una fila di foglie d'acanto.
Ci sono tre passaggi a volta al piano inferiore e ciascuno di questi è fiancheggiato da due colonne con capitelli corinzi. Le due arcate fiancheggiate sono sormontate da nicchie. Ogni nicchia è posta sopra una piccola trabeazione, che si erge su due pilastri coronati da capitelli.
L'arco era coronato da un attico, che avrebbe potuto contenere un'iscrizione dedicatoria. La parte inferiore dell'attico era decorata con un fregio di foglie d'acanto e la parte centrale era coronata da una cornice triangolare.
C'era un pannello di marmo in tabula ansata che era alto 1,03 metri e largo 7,14 metri, con lettere alte 12–13 cm.


Bulla Regia - TUNISIA


Bulla Regia era una città romana, situata nel nord della Tunisia, vicino all'attuale città di Jendouba.
È nota per il suo complesso abitativo sotterraneo di età adrianea, inteso come una protezione dal caldo e dagli effetti del sole. Molti dei suoi pavimenti mosaicati si trovano tuttora sul luogo; altri possono essere visti al museo del Bardo, a Tunisi. Presso il sito archeologico è presente un piccolo museo.
Le origini berbere di Bulla Regia sono probabilmente precedenti al suo periodo punico: sono state ritrovate ceramiche greche di importazione datate alla fine del V secolo a.C.; la città si ritrovò sotto l'egemonia di Cartagine durante il III secolo a.C.; le iscrizioni risalenti a quel periodo rivelano che gli abitanti veneravano Baal Hammon e seppellivano i defunti in urne, caratteri tipici dell'ambiente punico. Un capitello del tempio punico dedicato alla dea Tanit è conservato presso il locale museo.
La città fece parte del territorio conquistato per Roma nel 203 a.C. da Scipione l'Africano, ma nel 156 a.C. divenne capitale della Numidia, regno satellite di Massinissa, il quale "riunì i territori degli avi", secondo un'iscrizione, e conferì alla città il titolo di "Regia"; in seguito, anche suo figlio ebbe residenza nella città. Sotto il regno dei Numidi, un impianto urbanistico a strade ortogonali alla maniera ellenistica venne parzialmente sovrapposto al precedente sistema di vie e insulae dallo schema irregolare.
I romani assunsero il controllo diretto della regione nel 46 a.C., quando Gaio Giulio Cesare organizzò la provincia di Africa Nova. In tale occasione la condotta neutrale della città durante le guerre civili fu premiata e resa città libera. Sotto Adriano, la città fu rifondata come Colonia Aelia Adriana Augusta Bulla Regia, e venne concessa ai cittadini la piena cittadinanza romana.
Bulla Regia decadde lentamente sotto il dominio bizantino. Come in altre città del Tardo Impero, l'aristocrazia locale ebbe la possibilità di aumentare l'estensione delle proprie abitazioni a scapito dello spazio pubblico.
Infine, un terremoto distrusse Bulla Regia, facendo crollare gli edifici all'interno dei piani sotterranei. La sabbia ricoprì e protesse i luoghi abbandonati, che vennero dimenticati fino al tempo dei primi scavi, nel 1906. Questi furono in parte accelerati dalla distruzione dell'ingresso monumentale della città romana. Il foro venne scavato nel periodo 1949-52.
Nella Chiesa cattolica Bulla Regia sopravvive come sede titolare, con il titolo di Bullensis Regiorum.
Il suo piccolo anfiteatro, oggetto di una reprimenda in un sermone di Sant'Agostino di Ippona, ha mantenuto i dettagli architettonici e le gradinate grazie al fatto di essere stato sepolto fino al 1960-61.
Sul foro, circondato da portici, si apriva la basilica del foro, con un'abside sui due lati minori. Come cattedrale possiede un'inusuale fonte battesimale, inserito al centro della parte terminale (occidentale) della navata.
Nella particolare architettura di abitazione sviluppata nella città, un edificio a livello del terreno, esposto al tiepido sole invernale, risiedeva su un livello sotterraneo, sviluppato attorno ad un atrio a due piani. Recipienti di terracotta dal fondo aperto erano situati nelle volte, in modo che l'acqua spruzzata sul pavimento, oltre a rendere vividi i colori dei mosaici, evaporasse rinfrescando l'ambiente.
Nella Casa della Caccia, a forma di basilica con abside su un lato, un transetto e alcuni spazi collegati si aprivano su quella che in una chiesa sarebbe la navata: questa architettura è stata definita come un esempio di congiunzione fra architettura pubblica e domus della classe dirigente del IV secolo. Questi spazi sarebbero presto stati cristianizzati come chiese e cattedrali. La Casa del Pescatore venne ristrutturata in modo da collegare due insulae separate, trasformando un passaggio in un vicolo cieco.
Le abitazioni conservano mosaici con colori raffinati e accurata resa delle ombre e delle forme a tutto tondo. Il mosaico di Anfitrite con aureola (nella Casa di Anfitrite) viene spesso portato ad esempio. La Casa del Pescatore venne ristrutturata in modo da collegare due insulae separate, trasformando un passaggio in un vicolo cieco.

venerdì 8 dicembre 2023

Göbekli Tepe - TURCHIA

 

Göbekli Tepe ("collina panciuta" in turco, Portasar in armeno, Xerabreşkê, "sacre rovine" in curdo) è un sito archeologico, situato a circa 18 km a Nordest dalla città di Şanlıurfa nell'odierna Turchia, presso il confine con la Siria, risalente forse all'inizio del Neolitico, (Neolitico preceramico A) o alla fine del Mesolitico.
Vi è stato rinvenuto un complesso di costruzioni in pietra datato al X millennio a.C.. La datazione sarebbe stata ricavata da un esame col metodo del carbonio-14 sullo stucco organico (composto da fango impastato con paglia e fibre di fogliame) che ricopre alcuni muri del sito. Esso potrebbe anche essere stato applicato, o riapplicato, in un momento successivo, anche a grande distanza di tempo dall'edificazione e, quindi, l'edificio potrebbe essere anche più antico; successivamente sono stati analizzati altri resti organici che hanno confermato le datazioni e in particolare si sono ottenute date dai vari reperti dal 9700 a.C. al 8200 a.C. . La sua costruzione avrebbe interessato centinaia di uomini in un arco fra tre o cinque secoli. Le più antiche testimonianze architettoniche note sono le ziqqurat sumere, datate 5.000 anni più tardi. Secondo i suoi fautori, è la più antica testimonianza di una antica civiltà, assieme al sito "gemello" Karahan Tepe.
La datazione al X millennio a.C. metterebbe in discussione la storia delle civiltà umane, così come finora conosciuta. Al 2023, il sito ospita infatti il più antico luogo di culto mai scoperto. Fino ad allora, si riteneva che la transizione verso l'agricoltura avesse segnato nel Neolitico il passaggio da una vita nomade a una vita stanziale e organizzata in gruppi; il sito attesta invece l'esistenza di una comunità orbitante intorno a un centro religioso in un'epoca antecedente alla transizione agricola.
I manufatti artistici, in pietra scolpita, rivoluzionerebbero la dottrina che definisce tale era come quella di popolazioni nomadi dedite alla caccia ed alla raccolta di frutti selvatici. Non si è ancora scoperto il modo in cui i blocchi di pietra, gli obelischi, i monoliti e soprattutto le figure in altorilievo possano essere state scolpite (la metallurgia ufficialmente è iniziata circa 5 millenni dopo). Né si ha un'idea precisa sul modo di trasporto dei giganteschi monoliti, estratti da una cava situata ad un chilometro di distanza; pertanto l'ipotesi ufficiale, che si basa sulle conoscenze che sono attualmente certe per quell'epoca, è che i blocchi siano stati scolpiti con utensili di pietra e trasportati facendoli rotolare su tronchi.
Inizialmente non si era trovata traccia di insediamenti umani nei pressi del sito, pertanto lo scopritore Klaus Schmidt aveva ipotizzato si trattasse di un luogo monumentale assimilabile ad un tempio. L'agricoltura, ritenuta indispensabile per superare il nomadismo, è sorta sì in questa area del mondo, ma sicuramente dopo la costruzione del sito. Pertanto resta tuttora inspiegato quali fossero le risorse utilizzate per l'edificazione, che avrebbe impiegato un gran numero di persone per un periodo di secoli.
Intorno all'8000 a.C. l'intero complesso, per motivi a oggi ancora sconosciuti, fu abbandonato. Secondo l'ipotesi iniziale di Schmidt, poi scartata in seguito a più recenti scoperte, fu deliberatamente occultato coprendolo con terra di riporto. Il sito, una collina in mezzo ad una vasta pianura, è oggi chiamata Göbekli Tepe che, in turco, significa "collina panciuta".
La stratigrafia ha inizialmente suggerito che il luogo fosse stato intenzionalmente riempito con terra di riporto, ossa di animali ed umane, frammenti di attrezzi in selce e suppellettili, ciottoli e materiale calcareo, per un ammontare di almeno 500 metri cubi. Un'ipotesi era che fosse stato interrato per proteggerlo, forse dai cambiamenti climatici, così da poter essere utilizzato dalle future generazioni, in quanto il sito non è stato abbattuto o smantellato, ma semplicemente "nascosto". In seguito il direttore dei lavori Lee Clare ha trovato indizi che suggeriscono possa essersi trattato di eventi naturali o catastrofici, come appare evidente in almeno due delle costruzioni finora portate alla luce, nelle quali si riscontrano segni di inondazione e frane.
Gli edifici scoperti inizialmente sono stati denominati con le lettere dell'alfabeto da A ad H, e gli edifici C e D infatti mostrano evidenze di frane e allagamenti con conseguenti riparazioni. Dal 2017 ad oggi sono state anche rinvenute decine di abitazioni domestiche, alcune piccole ma anche a due piani, circolari e rettangolari, con resti di magazzini, focolari, attrezzi in selce e persino un sistema di condutture per la distribuzione dell'acqua nelle abitazioni. Tutti gli edifici, sia monumentali che abitativi, nel corso dei due millenni in cui sono stati utilizzati mostrano un susseguirsi di modifiche, spostamenti di muri, aggiunte o sottrazioni di monoliti, riciclo degli stessi monoliti, cambiamenti di decorazioni e bassorilievi, riparazioni, demolizioni, rifacimenti dei pavimenti ed opere di ampliamento, evidenziando come il complesso abbia avuto una presenza umana continuativa per un lungo lasso di tempo.
Göbekli Tepe è costituita da una collina artificiale alta circa 15 m e con un diametro di circa 300 m, situata sul punto più alto di un'elevazione di forma allungata, che domina la regione circostante, tra la catena del Tauro e il Karaca Dağ e la valle dove si trova la città di Harran. Il sito avrebbe avuto un'estensione da 300 a 500 m².
Il sito fu scoperto nel 1963 da un gruppo di ricerca turco-statunitense, che notò diversi consistenti cumuli di frammenti di selce, segno di attività umana nell'età della pietra, ma fu superficialmente scambiato per un complesso funerario medievale.
Fu "riscoperto" trent'anni dopo da un pastore locale, che notò alcune pietre di strana foggia spuntare dal terreno. La notizia arrivò al responsabile del museo della città di Şanlıurfa, che contattò il ministero, il quale a sua volta si mise in contatto con la sede di Istanbul dell'Istituto archeologico germanico. Gli scavi furono iniziati nel 1995 da una missione congiunta del museo di Şanlıurfa e dell'Istituto archeologico germanico sotto la direzione di Klaus Schmidt, che dall'anno precedente stava lavorando in alcuni siti archeologici della regione. Nel 2006 i lavori passarono alle università tedesche di Heidelberg e di Karlsruhe.
Il sito archeologico è stato aperto alle visite del pubblico nel marzo del 2019.
Gli scavi misero in luce una costruzione monumentale megalitica, costituita da una collina artificiale delimitata da muri in pietra grezza a secco.
Furono inoltre rinvenuti inizialmente quattro recinti circolari, delimitati da pilastri in calcare pesanti oltre 15 tonnellate ciascuno, cavati, s'ipotizza, con l'utilizzo di strumenti in pietra. Secondo il direttore dello scavo le pietre a "T" più piccole, drizzate in piedi e disposte in circolo e decorate con bassorilievi di vari animali, motivi geometrici e altre scene dal significato oscuro, avrebbero simboleggiato culti sciamanici e riferimenti astronomici, mentre le due più grandi poste al centro di ogni circolo, con una stilizzazione antropomorfa (mani, braccia, testa e perizoma) sono state definite da Klaus Schmidt "i vigilanti". In seguito nel 2021 l'archeologo Lee Clare che ha preso l'eredità degli scavi di Schmidt dopo la sua morte, ha rivelato che nel sito ci sono ormai molte evidenze sia di sepolture che di edifici domestici, un sistema di cisterne per la raccolta di acqua piovana e oggetti che fanno scartare l'ipotesi che il sito sia stato solo un luogo di culto, ma qualcosa che rappresenterebbe l'apice della civiltà degli ultimi cacciatori-raccoglitori, una sorta di ultimo rifugio di quel modus vivendi che sarebbe poi scomparso con l'arrivo dell'agricoltura. Secondo lo studioso i monoliti antropomorfi sarebbero stati volutamente senza testa, poiché in alcune statuette, le teste e i volti erano ben rappresentati e quindi, se i costruttori avessero voluto, avrebbero potuto scolpirle. Ciò non sarebbe stato fatto perché queste "T" di pietra non avrebbero rappresentato uomini bensì narrazioni che, combinandosi con gli animali, forse avrebbero rappresentato miti da tramandare.
Un'altra interpretazione, più pratica e non ideologica, ipotizza invece che la particolare forma dei pilastri centrali avrebbe potuto sostenere una piattaforma il cui uso e la cui composizione restano sconosciuti.
Fino al maggio 2020, sono stati scavati 8 circoli di pietra tra loro vagamente simili, delimitati da imponenti colonnati di monoliti, di 6 metri di altezza e pesanti 15 tonnellate, ma prospezioni geologiche farebbero presumere che questi circoli di pietra siano presenti a centinaia nella zona.
Gli edifici scoperti hanno in maggioranza una pianta ovale, ma ce ne sono anche alcuni quadrangolari. Non hanno alcun orientamento geografico ed il numero e il posizionamento dei monoliti esterni non sembra seguire alcun ordine, monoliti che sono molto precisi e curati nei particolari.
Si è dedotto che le costruzioni avevano un tetto poiché non riportano segni d'intemperie e si ipotizza che tale tetto poggiasse sulle "T" più alte e che si accedesse al loro interno calandosi dal tetto, come era in uso in quell'epoca e come è stato scoperto in altri siti simili in quella zona della Turchia.
Dopo avere geometricamente calcolato il centro degli insediamenti B, C e D, i ricercatori israeliani Gil Haklay ed Avi Gopher dell'Università di Tel Aviv hanno scoperto che, unendo i tre punti centrali, si ottiene un triangolo equilatero. Inoltre hanno verificato che i punti centrali delle strutture cadono sempre tra la linea che congiunge i lati minori dei due pilastri centrali, presenti all'interno di tutti i circoli. Queste scoperte, se confermate, dimostrebbero le notevoli capacità ingegneristiche e matematiche di chi ha costruito il complesso.
Sono state riportate alla luce circa 40 pietre a forma di "T" con altezze comprese tra i 3 e i 6 metri. Per la maggior parte sono incise e vi sono raffigurati diversi animali (serpenti, anatre, gru,
tori, volpi, leoni, cinghiali, vacche, scorpioni, formiche). Alcune incisioni vennero volontariamente cancellate, forse per preparare la pietra a riceverne di nuove. Sono inoltre presenti elementi decorativi, come insiemi di punti, motivi geometrici ed animali selvaggi (coccodrilli ed altre fiere) in alto rilievo. Alcuni elementi, essendo ripetuti senza uno schema fisso, fanno balenare l'ipotesi che potrebbe trattarsi di una forma di scrittura.
Indagini geomagnetiche avrebbero indicato la presenza di almeno altre 250 pietre monolitiche ancora sepolte nel terreno.
Un'altra pietra a forma di "T", estratta solo a metà dalla cava, fu rinvenuta a circa 1 km dal sito. Misura circa 9 m di lunghezza ed era probabilmente destinata al complesso, ma forse una rottura costrinse ad abbandonare il lavoro. Dopo tale rinvenimento furono effettuati degli scavi sia a lato che sotto, allo scopo di cercare eventuali utensili, ma senza successo. Si scoprì invece, che sotto il monolite ce ne era uno ancora più grande, misurante circa 15 metri di lunghezza, anch'esso in fase di taglio.
Oltre alle pietre sono state trovate sculture in argilla isolate, molto rovinate dal tempo, che rappresentano probabilmente un cinghiale o una volpe. Confronti possono essere fatti con statue del medesimo tipo rinvenute nei siti di Nevalı Çori e di Nahal Hemar. Gli scultori dovettero svolgere la loro opera direttamente sull'altopiano del sito archeologico, dove sono state rinvenute anche pietre non terminate e cavità a forma di scodella nella roccia argillosa, secondo una tecnica già utilizzata durante l'epipaleolitico per ottenere argilla per le sculture o per il legante argilloso utilizzato nelle murature.
Nella roccia sono anche presenti raffigurazioni di forme falliche, che forse risalgono ad epoche successive, trovando confronti nella cultura sumera e mesopotamica (siti di Byblos, Nemrik, Helwan e Tell Aswad).
Molte scene raffigurate hanno significati ignoti, come ad esempio la stele #43 in cui, sulla parte superiore appaiono dei cigni, un avvoltoio con una sfera fra gli artigli e 3 oggetti che ricordano quelli che talvolta sono presenti in alcune raffigurazioni Mesopotamiche più tarde di vari millenni.
Le raffigurazioni di animali hanno permesso di ipotizzare un culto di tipo sciamanico, antecedente ai culti organizzati in pantheon di divinità delle culture sumera e mesopotamica.
Lo studio degli strati di detriti accumulati sul fondo del lago di Van in Anatolia ha prodotto importanti informazioni sui cambiamenti climatici del periodo, individuando una consistente crescita della temperatura intorno al 9500 a.C. I resti di pollini presenti nei sedimenti hanno permesso di ricostruire una flora composta da querce, ginepri e mandorli. Fu forse il cambiamento climatico a determinare una progressiva sedentarizzazione delle genti che avrebbero costruito il sito. All'inizio degli anni novanta del secolo scorso, è stato ipotizzato che lo sviluppo delle concezioni religiose avrebbe costituito una spinta alla sedentarizzazione, spingendo gli uomini a raggrupparsi per celebrare riti comunitari. Questa ipotesi ribaltava completamente la concezione secondo cui la religione si sarebbe sviluppata solo in seguito al formarsi di insediamenti stabili causati dalla nascita dell'agricoltura.
La presenza di una così grande struttura monumentale dimostrerebbe che, anche nell'ambito di un'economia di caccia e raccolta, i costruttori hanno posseduto mezzi sufficienti per erigere strutture monumentali. Secondo il primo direttore dello scavo, Schmidt, sarebbe stata proprio l'organizzazione sociale necessaria alla creazione di questa struttura a favorire uno sfruttamento pianificato delle risorse alimentari e di conseguenza lo sviluppo delle prime pratiche agricole, ribaltando quindi di nuovo ipotesi consolidate. Secondo il secondo direttore dello scavo, Clare, questo villaggio invece sarebbe il culmine della civiltà dei cacciatori-raccoglitori che si sarebbe poi esaurita nei 2 millenni seguenti. Il sito si trova nella regione della Mezzaluna fertile, dove era presente naturalmente il grano selvatico, che poi gli uomini addomesticarono dando vita ai primi esperimenti agricoli nei seguenti millenni.
Nessuna traccia di piante o animali domestici è stata rinvenuta negli scavi, dimostrando come sia stata un'opera costruita da cacciatori-raccoglitori. A circa quattro metri di profondità, ossia ad un livello corrispondente a quello della primigenia costruzione del sito, sono state rinvenute tracce di strumenti in pietra (raschiatoi e punte per frecce), insieme ad ossa di animali selvatici (gazzelle e lepri), semi di piante selvatiche e legno carbonizzato (focolari) ed alcune edificazioni domestiche, come pure un sistema di raccolta in cisterne e distribuzione di acqua attraverso canaline. Ciò testimonierebbe , assieme all'esistenza di sepolture (sotto il livello del pavimento delle abitazioni), la presenza in questo periodo di un insediamento stabile abitativo domestico.
Il primo direttore degli scavi, come proposta di tipo speculativo, ha lasciato intendere che la civiltà sviluppata nella provincia di Urfa, che avrebbe avuto qui uno dei suoi principali templi (definibile anche come archetipo di anfizionia, o "anfizionia dell'età della pietra"), sarebbe stata trasfigurata nel mito dei monti di Du-Ku della cosmogonia sumera. In questi monti avrebbero abitato le prime divinità, non dotate di nomi individuali, ma semplici spiriti, retaggio degli spiriti sciamanici. I Sumeri ritenevano che fu tramite essi che l'uomo avesse appreso l'agricoltura, l'allevamento e la tessitura e vi sarebbero indizi che almeno i primi due di questi elementi fossero forse comparsi in questa zona durante la costruzione del complesso megalitico). Lo studioso Lee Clare, che ha lavorato con Schmidt ed ora gli è succeduto dopo la sua morte nel 2014 come direzione del lavoro archeologico, invece spiega che, viste le attuali evidenze, l'ipotesi del "Tempio" abbia ormai perso l'aderenza con le prove archeologiche oggi disponibili; le evidenze rivelano infatti che potrebbe essere stato un luogo dove risiedeva una comunità di cacciatori-raccoglitori che legavano ambienti anche domestici con la loro mitologia .
Ian Hodder, del programma archeologico della Stanford University, è uno dei sostenitori dell'autenticità del sito.


Myra - TURCHIA

 

Myra (o Mira) è un'antica città ellenica, nella Licia in Asia minore, oggi situata nei pressi di Demre (Kale fino al 2005), nell'attuale Turchia meridionale.
Era situata nella fertile pianura alluvionale del fiume Myros (oggi Demre Cay), a circa 3 km dal mare, ove sorgeva il porto chiamato Andriake.
È la città di cui fu vescovo san Nicola.
Le prime notizie sull'esistenza della città risalgono al VI secolo a.C., dove assieme alle città di Xanthos, Patara e Phaselis costituì una federazione di città stato, la confederazione licia. Secondo Strabone era una delle più importanti città di questa alleanza. Nel II secolo a.C. visse il suo periodo di maggiore splendore. Prospero centro commerciale in età romana, è ricordata come scalo nel viaggio che san Paolo intraprese verso Roma (Atti 27,5) e fu in gran parte ricostruita dopo un devastante terremoto nel 141.
Fu sede vescovile a partire dal IV secolo ed uno dei primi vescovi fu san Nicola, che si batté contro l'arianesimo e forse partecipò nel 325 al Concilio di Nicea. Divenne nel V secolo capoluogo della provincia bizantina di Licia.
Venne conquistata dagli Arabi per la prima volta nell'809, dalle truppe di Hārūn al-Rashīd dopo un lungo assedio. Da questo momento la città perse d'importanza ed iniziò un inesorabile declino.
Nel 1087 le spoglie di san Nicola vennero traslate a Bari e in questa città si trovano tuttora, deposte nella Basilica di San Nicola. Ritornata all'impero bizantino sotto Alessio I Comneno, passò poi definitivamente ai Selgiuchidi.
Patrona della città era Artemide, alla quale era dedicato il maggiore santuario, ma vi si veneravano anche Zeus, Atena e Tyche. Le rovine della città sono coperte da materiale alluvionale, ma sono stati parzialmente riportati alla luce il teatro romano (nella foto), ricostruito dopo il terremoto del 141, le terme e una basilica bizantina dell'VIII secolo dedicata a san Nicola.
La necropoli (foto in alto), collocata su una scogliera a strapiombo sul mare, conserva le facciate delle tombe scavate nella roccia, con colonne e frontone. Il primo ad investigare la città, l'archeologo inglese Charles Fellows (1799-1860), quando visitò le tombe nel corso della sua seconda spedizione nel 1840, le trovò ancora colorate a tinte vive: rosso, giallo e azzurro.



Cibira - TURCHIA

 

Cibira (in greco antico: Κιβύρα, in latino: Cibyra), nota anche col nome di Cibyra Magna (in greco antico: ἡ μεγάλη Κιβύρα), in contrapposizione a un'altra città, chiamata Cibyra Parva e situata in Panfilia, è un'antica città e un sito archeologico nella Turchia sud-occidentale, vicino alla moderna città di Gölhisar, nella provincia di Burdur. Era la città principale del distretto cibirate. Strabone non dà la posizione esatta di Cibira. Dopo aver menzionato Antiochia sul Meandro come città sita in Caria, egli dice che verso sud si incontra prima Cibyra Magna, poi Sinda, la regione della Cabalis, arrivando infine al Tauro e alla Licia. Tolomeo colloca Cibira nella Grande Frigia e assegna le tre città di Bubon, Balbura e Oenoanda alla Cabalis della Licia, descrizione coerente con quella di Strabone. L'altezza della pianura cibirate è stimata a 1070 m.s.l.m.. Essa oggi produce mais. Essendo ora accertata l'ubicazione dei siti di Balbura, Bubon e Oenoanda, che si trova sullo Xanto, possiamo farci un'idea abbastanza corretta dell'estensione della Cibiratide. Essa comprendeva la parte più alta del bacino dello Xanto e tutta la parte superiore e probabilmente la parte centrale del bacino dell'Indo (l'odierno Dalaman Çayı), poiché Strabone dice che la Cibiratide raggiungeva la Perea Rodia. La lunga dorsale dell'antico Mons Cadmus (di cui è parte l'odierno Babadağ), la cui vetta è alta quasi 2000 metri, la delimitava a ovest separandola dalla Caria. La parte superiore del bacino dell'Indo consiste di numerose piccole valli, ognuna delle quali ha il suo piccolo corso d'acqua. La breve descrizione di Plinio è stata ricavata da buone fonti: il fiume Indo, che sorge sulle colline dei Cibirati, riceve sessanta fiumi perenni e più di cento torrenti. Il luogo è stato infine identificato grazie a iscrizioni sul posto, e si trova 3 km a nordovest del villaggio di Gölhisar.
La fondazione di Cibira da parte di Sparta è leggendaria. La città diventò potente a causa dei suoi buoni ordinamenti: i villaggi su cui dominava si estendevano dalla Pisidia e l'adiacente Milias sino alla Licia e alla Perea Rodia. Quando nel secondo secolo a.c. le tre città vicine di Bubon, Balubura e Oenoanda si unirono ad essa, si formò una confederazione di quattro città (Tetrapolis) detta "Cibiratide" (Cibyratis). Ogni città aveva un voto, ma Cibira ne aveva due, in quanto solo essa poteva radunare 30000 fanti e 2000 cavalieri. Fu sempre governata da tiranni, ma il governo rimase moderato. La tetrapolis formata sotto la guida di Cibira fu sciolta dal generale romano Lucio Licinio Murena nell'83 a.C., al tempo della prima guerra mitridatica. In quell'occasione Balbura e Bubon furono assegnate ai Lici. Il conventus iuridicus di Cibira, tuttavia, rimase ancora uno dei più grandi in Asia. Cibira viene menzionata per la prima volta da Tito Livio nel suo racconto delle operazioni militari del console Gneo Manlio Vulsone, che vi arrivò discendendo il corso superiore del Meandro e attraversando la Caria. Probabilmente egli avanzò lungo la valle dell'odierno Karaook, attraverso la quale la strada attuale conduce dalla Cibiratide a Laodicea al Lico. Manlio pretese e ottenne da Moagete, tiranno di Cibira, 100 talenti e 10000 medimni di grano. Livio dice che Moagete aveva sotto di lui Syleum e Alimne, oltre a Cibira. Alimne può essere identificata con i resti di una grande città su un'isola nel lago di Gule Hissar, isola che è collegata alla terraferma da un'antica strada rialzata. Questo lago si trova nell'angolo tra il fiume Caulares e il fiume di Cibira. Moagete, che fu l'ultimo tiranno di Cibira, era figlio di Pancrate. Esso fu deposto da Lucio Licinio Murena, probabilmente nell'84 a.C., quando il suo territorio fu diviso, e Cibira fu unita alla Frigia.
Plinio il Vecchio afferma che venticinque città appartenevano alla iurisdictio o conventus di Cibira; e aggiunge che la città di Cibira apparteneva alla Frigia. Questo, come molti altri degli assetti politici romani, era piuttosto in disaccordo con le divisioni fisiche del paese. Laodicea al Lico era una delle città principali di questo conventus. Sotto i Romani, Cibira era un luogo di grande commercio, come sembra. La sua posizione, tuttavia, non sembra molto favorevole per gli scambi, perché non è né sul mare né su una grande strada. Si può concludere, tuttavia, che i negoziatori e i mercanti romani trovavano qualcosa da fare qui, e probabilmente il grano della valle dell'Indo e la lana e il ferro di Cibira potevano fornire articoli di commercio. Il minerale di ferro è abbondante nella Cibiratide. Durante il regno di Tiberio, Cibira fu molto danneggiata da un terremoto: per aiutarla, l'imperatore raccomandò la promulgazione di un Senatus consultum che la sollevava dal pagamento del tributum (la tassa sulla proprietà) per tre anni. Nel brano di Tacito relativo a ciò, la città viene chiamata civitas cibyratica apud Asiam.
Strabone dice che i suoi abitanti, detti Cibirati, erano considerati discendenti di quella parte dei Lidi che un tempo occuparono la Cabalis: questi ultimi, espulsi in seguito dai vicini Pisidi, che qui si stabilirono, spostarono la loro città in un'altra posizione in un luogo fortificato, che aveva un perimetro lungo circa 100 stadi.
A Cibira si parlavano quattro lingue: il pisidico, il greco, la lingua dei Solimi e il lidio. Essa era anche il luogo in cui, secondo Strabone, ancora ai suoi tempi (primo secolo a.C.) il lidio era ancora parlato tra una popolazione multiculturale, rendendo così Cibira l'ultima località dove la cultura lidia era ancora attestata, mentre in quel tempo secondo le fonti a nostra disposizione era già estinta nella Lidia propriamente detta. Era una particolarità di Cibira che i suoi artigiani sapessero lavorare facilmente il ferro con uno scalpello o con uno strumento appuntito. È anche menzionata una corporazione di fabbricanti di scarpe.
Non conosciamo alcun artista di Cibira, eccetto due, menzionati da Cicerone: questi erano però più famosi per la loro furfanteria che per l'abilità artistica.
Le rovine di Cibira coprono il ciglio di una collina a una quota posta tra i 90 e i 120 metri sopra il livello della pianura sottostante. Il materiale per gli edifici venne ricavato dal calcare che si trova nelle vicinanze; e molti di loro sono in buone condizioni. Uno degli edifici principali è un teatro, in buono stato di conservazione, con un diametro di 81 metri. I suoi posti godono della vista della pianura cibirate e delle montagne verso la Milias. Sulla piattaforma vicino al teatro si trovano le rovine di diversi grandi edifici che si suppone fossero templi, alcuni di dorici e altri corinzi. Su un blocco c'è un'iscrizione che recita: "Καισαρεων Κιβυρατων ἡ βουλη και ὁ δημος", da cui risulta che nel periodo romano la città aveva anche il nome di Cesarea. Il nome Καισαρεων appare su alcune delle monete di Cibira. Un grande edificio a circa 90 metri dal teatro dovrebbe essere un Odeon o un teatro musicale. Non ci sono tracce di mura cittadine.
Lo stadio, con i suoi 200 metri di lunghezza e 24 di ampiezza, si trova all'estremità inferiore del costone su cui sorge la città. Il fianco della collina fu in parte scavato per far posto a esso; e sul lato formato dal pendio della collina erano disposte 21 file di sedili, che all'estremità superiore dello stadio giravano in modo da realizzare un fondale teatrale. Questa parte dello stadio è perfettamente conservata, mentre i posti sul lato della collina sono stati divelti dagli arbusti che sono cresciuti tra loro. Questi posti si affacciano sulla piana di Cibira. I sedili sul lato opposto della collina erano fatti da blocchi di marmo posti su un muretto costruito lungo il bordo della terrazza, formato tagliando il fianco della collina. Vicino all'ingresso dello stadio corre verso est una cresta, coronata da una strada lastricata: essa è delimitata su ciascun lato da sarcofagi e monumenti sepolcrali. All'ingresso di questo viale sepolcrale c'era un enorme arco trionfale di stile dorico, ora in rovina.
Tre epigrafi di Cibira in lingua greca sono riportate nell'Appendice dell'opera Lycia di Spratt. Tutte contengono il nome della città e appartengono tutte al periodo romano. Una di essa sembra destinata a ricordare una statua o un monumento commemorativo in onore di Lucio Elio Cesare, il figlio adottivo di Adriano, e menziona il suo essere in quel momento nel secondo consolato, permettendo così di datare l'epigrafe al 137 d.C..


mercoledì 6 dicembre 2023

Old Scatness - REGNO UNITO


Old Scatness è un sito archeologico della località scozzese di Scatness, nell'isola di Mainland, risalente a varie epoche (Età del ferro, Età del Bronzo e in parte Medioevo) e riconducibile alle civiltà dei Pitti e dei Vichinghi: riportato alla luce nel 1975, comprende i resti di un villaggio e di un broch.
Il sito è candidato dall'Unesco ad entrare nella lista dei patrimoni dell'Umanità.
Il sito venne scoperto casualmente nel 1975 durante i lavori per la realizzazione di una nuova strada che garantisse l'accesso all'aeroporto di Sumburgh.
Alla metà degli anni novanta, a vent'anni di distanza dalla sua scoperta, il sito venne acquistato dallo Shetland Amenity Trust. In seguito, vennero effettuati degli scavi in loco da membri dell'Università di Bradford.
Il sito si trova a 40 km dal capoluogo di Mainland Lerwick , a ovest dell'aeoporto di Sumburgh e poco a nord del villaggio di Scatness. La parte più antica del sito è rappresentata dai resti di un broch risalente a un periodo compreso tra il 400 e il 200 a.C. (Età del Ferro). Il broch ha uno spessore di 4 metri ed è circondato da un fossato largo 7 metri e profondo 4-5 metri.
Il sito comprende poi i resti di un villaggio, con case erette dai Pitti e riutilizzate in seguito anche dai Vichinghi. In una delle case, restaurata nel 1994, alloggiò alla fine del XIX secolo la celebre tessitrice Betty Mouat.
All'interno del sito è stato inoltre rinvenuto del vasellame risalente a un periodo compreso tra la fine dell'Età del Ferro e gli inizi dell'Età del Bronzo, oltre a manufatti considerati di epoca vichinga.


Jarlshof - REGNO UNITO

 

Lo Jarlshof è un sito archeologico del villaggio scozzese di Sumburgh, nell'isola di Mainland (Shetland), costituito da varie strutture di epoche diverse e comprendente un insediamento dell'Età del Bronzo, un insediamento dell'Età del Ferro, un villaggio vichingo, una fattoria medievale e una residenza del XVI-XVII secolo.
Il nome del sito si deve ad un'invenzione dello scrittore Walter Scott, che nel suo racconto The Pirate combinò due termini che significano "case del conte" (in inglese earl's house).
Parte del sito venne alla luce nel corso del XIX secolo dopo una tempesta. In seguito a quest'evento, emersero delle mura risalenti ad alcuni millenni prima di Cristo.
In seguito, furono intrapresi tra il 1897 e il 1905 degli scavi da parte di un proprietario locale, John Bruce.
Un'importante opera di scavi ebbe però inizio solamente a partire dal 1925, dopo che l'area era divenuta oggetto di studio da parte di importanti archeologi quali A.E. Curle, V.G. Childe, J.S. Richardson e J.R.C. Hamilton.
A quest'ultimo si deve la descrizione del sito, che fu riportato alla luce nel 1957. Il sito si estende in un'area di 3 acri.
Il villaggio dell'Età del Bronzo comprende alcune capanne all'interno delle quali sono state rinvenute varie suppellettili, quali asce, coltelli e spade. Il villaggio dell'Età del Ferro è databile al 200 a.C. ca. L'insediamento comprende un broch dell'altezza di 2,4 metri. Il villaggio vichingo comprende risale probabilmente al IX secolo e comprende 7 case. L'insediamento annovera la prima casa lunga rinvenuta nel Regno Unito.
L'edificio più recente del complesso archeologico è la Jarlshof House, fatta costruire probabilmente da Robert Stewart, primo conte delle Orcadi. L'edificio venne in seguito occupato dalla famiglia Bruce di Symbister e fu in seguito ricostruita nel 1604 da Patrick Stewart, secondo conte delle Orcadi. La casa divenne in seguito nota come The Old House of Sumburgh.

Cerchio di Goseck - GERMANIA


Il cerchio di Goseck è una struttura neolitica sita presso Goseck, Burgenlandkreis, Sassonia-Anhalt, Germania. È costituito da un insieme di fossati concentrici di 75 metri di diametro e da due palizzate sempre circolari con entrate in punti ben definiti. Si ritiene che sia il più antico osservatorio solare attualmente conosciuta in Europa. Le ricerche sul sito hanno messo in evidenza il fatto che in Europa, durante il neolitico e l'età del bronzo, l'osservazione del cielo fosse molto più evoluta di quanto pensavano gli studiosi. Il sito è stato reso pubblico nel mese di agosto 2003. I media tedeschi hanno chiamato il sito "Stonehenge tedesca", anche se l'uso del termine henge al di fuori della Gran Bretagna è contestato. Il cerchio di Goseck è sicuramente quello che è stato maggiormente studiato tra i 250 siti simili rinvenuti tra la Germania, l'Austria e la Croazia; in realtà solo il 10% di questi è stato oggetto di interesse accademico. Goloring, vicino a Coblenza, è un sito molto simile a questo, anche se più tardo. In precedenza si pensava che questi complessi fossero delle fortezze, ma il fatto che all'interno di essi non si rinvenissero edifici lasciava molto perplessi gli archeologi.
Nell'Europa preistorica, non tutti i luoghi adibiti a culto, o utilizzati a fini calendariali o per osservazioni del cielo, erano realizzati con megaliti; Stonehenge è un esempio atipico. Infatti anche nel sito inglese fu costruito prima un fossato con strutture lignee, solo successivamente si passò ad utilizzare i grandi megaliti; questo si è scoperto quando sono venute alla luce le buche che ospitavano i pali in legno.
Il cerchio di Goseck è uno dei meglio conservati e il sito meglio esaminato rispetto agli altri simili realizzati nei paraggi più o meno nel medesimo periodo. Il suo stato di conservazione ha indotto gli studiosi a ritenerlo un osservatorio solare, anche se alcuni archeologi non sono del tutto convinti. Quando il sito fu aperto al pubblico per la prima volta, Harald Meller, un archeologo, lo definì una pietra miliare nella ricerca archeologica.
Gli scavi effettuati rivelano che il sito di Goseck consisteva in quattro cerchi concentrici, un tumulo, un fossato e due palizzate in legno. Le palizzate avevano tre serie di porte a sud-est a sud-ovest e nord. Al solstizio d'inverno, gli osservatori situati al centro del sito avrebbe visto il sole sorgere e tramontare attraverso le porte di sud-est e sud-ovest. Frammenti di ceramica rinvenuti in situ hanno permesso di datare l'osservatorio al 4.900 a.C.
La cultura che ha realizzato il monumento è quella chiamata dagli studiosi ceramica decorata "a punzone". La maggior parte degli archeologi concorda sul fatto che il sito fu utilizzato per osservazioni astronomiche. Si pensa che fosse utilizzato per calcoli calendariali e per armonizzare tra loro il calendario lunare e quello solare (più richiesto per usi pratici). Comunque gli studiosi non sono d'accordo sul fatto che tutto il sito abbia avuto un solo tipo di utilizzo.
Gli scavi hanno portato alla luce evidenti tracce di focolai e reperti ossei bruciati appartenenti ad animali e a uomini. Vicino all'ingresso di sud-est è stato rinvenuto un teschio umano, risultato forse di un sacrificio di consacrazione.
Non vi è alcun segno di incendio o di distruzione, quindi il motivo dell'abbandono del sito non è noto. Più tardi gli abitanti del villaggio scavarono un fossato difensivo attorno al vecchio recinto.
Il primo indizio dell'esistenza del monumento lo ha fornito una foto eseguita da un aereo, la quale metteva in evidenza delle fasce circolari in un campo di grano. Francois Bertemes e Peter Biehl dell'Università di Halle-Wittenberg iniziarono un importante scavo del sito nel 2002. Successivamente gli studiosi misero in relazione la posizione delle porte con i dati GPS e si resero conto dell'importanza del sito come strumento di osservazione celeste.
Bertemes e Biehl hanno continuato gli scavi per un paio di settimane ogni anno. Nel 2004 un gruppo di studiosi della Università della California, Berkeley, ha aderito agli scavi in corso, dandogli importanza in ambito internazionale.
Gli archeologi e funzionari statali hanno ricostruito la palizzata di legno del sito. Il legno è stato lavorato a mano in modo da apparire più autentico. Il sito è stato aperto al pubblico il 21 dicembre 2005, al solstizio d'inverno.

The Hurlers - REGNO UNITO


The Hurlers 
è un sito megalitico situato nei pressi del villaggio inglese di Minions, nell'area della brughiera di Bodmin, in Cornovaglia, e costituito da tre cerchi di pietra risalenti con ogni probabilità a un periodo compreso tra la fine del Neolitico e gli inizi dell'età del Bronzo.
Il sito è gestito dal Cornwall Heritage Trust.
Il nome del sito deriva da una leggenda secondo cui alcuni uomini vennero trasformati in pietra da San Cleer per aver praticato lo hurling (uno sport locale) durante il Sabbath o di domenica.
Nel corso dei secoli, il sito fu danneggiato sia dalla frequente presenza di animali da pascolo nella zona, sia dalle continue escavazioni nelle vicine miniere.
Scavi all'interno del sito furono condotti tra il 1935 e il 1936 da Raleigh-Radford. Durante gli scavi, venne riportato alla luce all'interno del sito un pavimento in granito risalente a 4000 anni prima, che congiungeva il cerchio settentrionale con il cerchio centrale. Ulteriori scavi furono poi effettuati nel 2013.
Il sito si trova ai piedi di un celebre tor, il Cheesewring, e si estende per una lunghezza complessiva di 162 metri.
I cerchi più settentrionali sono allineati con la camera sepolcrale di Rillaton Barrow, mentre i due cerchi più meridionali sono allineati con un altro cairn.
Il sito si trova nella vicinanza di due pietre, The Pipers, associate solitamente a The Hurlers anche in virtù della simile leggenda sulle origini del loro nome: secondo la leggenda, si tratterebbe infatti di due uomini trasformati in pietra per aver accompagnato musicalmente una partita di hurling.
Il cerchio settentrionale è costituito da 15 pietre. Gli scavi hanno però suggerito la presenza di altre dieci pietre e si suppone che il cerchio fosse in origine costituito da 30 pietre.
Il cerchio centrale è il più grande e il meglio conservato dei tre. Di forma quasi ovale, misura 137x132 piedi (43x42 metri) ed è costituito da 14 pietre (in origine forse 28 o 29).
Il cerchio meridionale è il più piccolo dei tre cerchi che compongono il sito: è costituito da nove pietre e ha un diametro di 108 piedi. Si tratta anche del cerchio maggiormente danneggiato.

Antiquarium di Francavilla di Sicilia (Sicilia)

 

L'Antiquarium di Francavilla di Sicilia è un antiquarium sito nel territorio della città metropolitana di Messina, in Sicilia..
È stato inaugurato il 24 marzo 2007 dal Servizio Archeologico della Soprintendenza di Messina e dall'Amministrazione Comunale di Francavilla di Sicilia e si trova in una palazzina di Via Liguria, una volta adibita a scuola.
Conserva alcuni reperti greci ritrovati dal 1979 ad oggi a Francavilla di Sicilia, e forse appartenenti all'antico sito di Kallipolis, su cui gli archeologi indagano ancora.
L'antiquarium si sviluppa in cinque sale: nella prima viene introdotta la storia della Valle dell'Alcantara tramite pannelli didattici, nelle seguenti quattro sale si possono studiare i reperti riferiti all'Antica Necropoli, al santuario di Demetra e Kore e all'antico nucleo abitato greco.


Via Lauretana (Toscana)

  La  via Lauretana  è un'antica strada etrusco-romana della Val di Chiana che collegava Cortona a Montepulciano e Siena. Venne realizza...