Göbekli Tepe ("collina panciuta"
in turco, Portasar in armeno, Xerabreşkê,
"sacre rovine" in curdo) è un sito archeologico,
situato a circa 18 km a Nordest
dalla città di Şanlıurfa nell'odierna Turchia,
presso il confine con la Siria, risalente forse all'inizio
del Neolitico, (Neolitico preceramico A) o alla fine
del Mesolitico.
Vi è stato
rinvenuto un complesso di costruzioni in pietra datato al X
millennio a.C.. La datazione sarebbe stata ricavata da un esame
col metodo del carbonio-14 sullo stucco organico
(composto da fango impastato con paglia e fibre di fogliame) che
ricopre alcuni muri del sito. Esso potrebbe anche essere stato
applicato, o riapplicato, in un momento successivo, anche a grande
distanza di tempo dall'edificazione e, quindi, l'edificio potrebbe
essere anche più antico; successivamente sono stati analizzati altri
resti organici che hanno confermato le datazioni e in particolare si
sono ottenute date dai vari reperti dal 9700 a.C. al 8200 a.C. . La
sua costruzione avrebbe interessato centinaia di uomini in un arco
fra tre o cinque secoli. Le più antiche testimonianze
architettoniche note sono le ziqqurat sumere, datate 5.000
anni più tardi. Secondo i suoi fautori, è la più antica
testimonianza di una antica civiltà, assieme al sito
"gemello" Karahan Tepe.
La datazione
al X millennio a.C. metterebbe in discussione la storia delle civiltà
umane, così come finora conosciuta. Al 2023, il sito ospita infatti
il più antico luogo di culto mai scoperto. Fino ad allora, si
riteneva che la transizione verso l'agricoltura avesse segnato nel
Neolitico il passaggio da una vita nomade a una vita stanziale e
organizzata in gruppi; il sito attesta invece l'esistenza di una
comunità orbitante intorno a un centro religioso in un'epoca
antecedente alla transizione agricola.
I manufatti artistici, in pietra
scolpita, rivoluzionerebbero la dottrina che definisce tale era come
quella di popolazioni nomadi dedite alla caccia ed alla raccolta di
frutti selvatici. Non si è ancora scoperto il modo in cui i blocchi
di pietra, gli obelischi, i monoliti e soprattutto le
figure in altorilievo possano essere state scolpite
(la metallurgia ufficialmente è iniziata circa 5 millenni
dopo). Né si ha un'idea precisa sul modo di trasporto dei
giganteschi monoliti, estratti da una cava situata ad un chilometro
di distanza; pertanto l'ipotesi ufficiale, che si basa sulle
conoscenze che sono attualmente certe per quell'epoca, è che i
blocchi siano stati scolpiti con utensili di pietra e trasportati
facendoli rotolare su tronchi.
Inizialmente non si era trovata traccia
di insediamenti umani nei pressi del sito, pertanto lo scopritore
Klaus Schmidt aveva ipotizzato si trattasse di un luogo monumentale
assimilabile ad un tempio. L'agricoltura, ritenuta
indispensabile per superare il nomadismo, è sorta sì in questa area
del mondo, ma sicuramente dopo la costruzione del sito. Pertanto
resta tuttora inspiegato quali fossero le risorse utilizzate per
l'edificazione, che avrebbe impiegato un gran numero di persone per
un periodo di secoli.
Intorno all'8000 a.C. l'intero
complesso, per motivi a oggi ancora sconosciuti, fu abbandonato.
Secondo l'ipotesi iniziale di Schmidt, poi scartata in seguito a più
recenti scoperte, fu deliberatamente occultato coprendolo con terra
di riporto. Il sito, una collina in mezzo ad una vasta pianura, è
oggi chiamata Göbekli Tepe che, in turco, significa "collina
panciuta".
La stratigrafia ha
inizialmente suggerito che il luogo fosse stato intenzionalmente
riempito con terra di riporto, ossa di animali ed umane, frammenti di
attrezzi in selce e suppellettili, ciottoli e materiale calcareo, per
un ammontare di almeno 500 metri cubi. Un'ipotesi era che fosse stato
interrato per proteggerlo, forse dai cambiamenti climatici, così da
poter essere utilizzato dalle future generazioni, in quanto il sito
non è stato abbattuto o smantellato, ma semplicemente "nascosto".
In seguito il direttore dei lavori Lee Clare ha trovato
indizi che suggeriscono possa essersi trattato di eventi naturali o
catastrofici, come appare evidente in almeno due delle costruzioni
finora portate alla luce, nelle quali si riscontrano segni di
inondazione e frane.
Gli edifici scoperti inizialmente sono
stati denominati con le lettere dell'alfabeto da A ad H, e gli
edifici C e D infatti mostrano evidenze di frane e allagamenti con
conseguenti riparazioni. Dal 2017 ad oggi sono state anche rinvenute
decine di abitazioni domestiche, alcune piccole ma anche a due piani,
circolari e rettangolari, con resti di magazzini, focolari, attrezzi
in selce e persino un sistema di condutture per la distribuzione
dell'acqua nelle abitazioni. Tutti gli edifici, sia monumentali che
abitativi, nel corso dei due millenni in cui sono stati utilizzati
mostrano un susseguirsi di modifiche, spostamenti di muri, aggiunte o
sottrazioni di monoliti, riciclo degli stessi monoliti, cambiamenti
di decorazioni e bassorilievi, riparazioni, demolizioni, rifacimenti
dei pavimenti ed opere di ampliamento, evidenziando come il complesso
abbia avuto una presenza umana continuativa per un lungo lasso di
tempo.
Göbekli
Tepe è costituita da una collina artificiale alta circa 15 m e con
un diametro di circa 300 m, situata sul punto più alto di
un'elevazione di forma allungata, che domina la regione circostante,
tra la catena del Tauro e il Karaca Dağ e
la valle dove si trova la città di Harran. Il
sito avrebbe avuto un'estensione da 300 a 500 m².
Il sito fu scoperto nel 1963 da
un gruppo di ricerca turco-statunitense, che notò diversi
consistenti cumuli di frammenti di selce, segno di attività
umana nell'età della pietra, ma fu superficialmente scambiato per un
complesso funerario medievale.
Fu "riscoperto" trent'anni
dopo da un pastore locale, che notò alcune pietre di strana foggia
spuntare dal terreno. La notizia arrivò al responsabile
del museo della città di Şanlıurfa, che contattò il
ministero, il quale a sua volta si mise in contatto con la sede
di Istanbul dell'Istituto archeologico germanico. Gli scavi
furono iniziati nel 1995 da una missione congiunta del
museo di Şanlıurfa e dell'Istituto archeologico germanico sotto la
direzione di Klaus Schmidt, che dall'anno precedente stava lavorando
in alcuni siti archeologici della regione. Nel 2006 i
lavori passarono alle università tedesche di Heidelberg e
di Karlsruhe.
Il sito archeologico è stato aperto
alle visite del pubblico nel marzo del 2019.
Gli scavi misero in luce una
costruzione monumentale megalitica, costituita da una collina
artificiale delimitata da muri in pietra grezza a secco.
Furono inoltre rinvenuti inizialmente
quattro recinti circolari, delimitati da pilastri in calcare pesanti
oltre 15 tonnellate ciascuno, cavati, s'ipotizza, con
l'utilizzo di strumenti in pietra. Secondo il direttore dello scavo
le pietre a "T" più piccole, drizzate in piedi e disposte
in circolo e decorate con bassorilievi di vari animali, motivi
geometrici e altre scene dal significato oscuro, avrebbero
simboleggiato culti sciamanici e riferimenti astronomici,
mentre le due più grandi poste al centro di ogni circolo, con una
stilizzazione antropomorfa (mani, braccia, testa e perizoma) sono
state definite da Klaus Schmidt "i vigilanti". In seguito
nel 2021 l'archeologo Lee Clare che ha preso l'eredità
degli scavi di Schmidt dopo la sua morte, ha rivelato che nel sito ci
sono ormai molte evidenze sia di sepolture che di edifici domestici,
un sistema di cisterne per la raccolta di acqua piovana e oggetti che
fanno scartare l'ipotesi che il sito sia stato solo un luogo di
culto, ma qualcosa che rappresenterebbe l'apice della civiltà degli
ultimi cacciatori-raccoglitori, una sorta di ultimo rifugio di quel
modus vivendi che sarebbe poi scomparso con l'arrivo
dell'agricoltura. Secondo lo studioso i monoliti antropomorfi
sarebbero stati volutamente senza testa, poiché in alcune statuette,
le teste e i volti erano ben rappresentati e quindi, se i costruttori
avessero voluto, avrebbero potuto scolpirle. Ciò non sarebbe stato
fatto perché queste "T" di pietra non avrebbero
rappresentato uomini bensì narrazioni che, combinandosi con gli
animali, forse avrebbero rappresentato miti da tramandare.
Un'altra interpretazione, più pratica
e non ideologica, ipotizza invece che la particolare forma dei
pilastri centrali avrebbe potuto sostenere una piattaforma il cui uso
e la cui composizione restano sconosciuti.
Fino al maggio 2020, sono stati scavati
8 circoli di pietra tra loro vagamente simili, delimitati da
imponenti colonnati di monoliti, di 6 metri di altezza e pesanti 15
tonnellate, ma prospezioni geologiche farebbero presumere che questi
circoli di pietra siano presenti a centinaia nella zona.
Gli edifici scoperti hanno in
maggioranza una pianta ovale, ma ce ne sono anche alcuni
quadrangolari. Non hanno alcun orientamento geografico ed il numero e
il posizionamento dei monoliti esterni non sembra seguire alcun
ordine, monoliti che sono molto precisi e curati nei particolari.
Si è dedotto che le costruzioni
avevano un tetto poiché non riportano segni d'intemperie e si
ipotizza che tale tetto poggiasse sulle "T" più alte e che
si accedesse al loro interno calandosi dal tetto, come era in uso in
quell'epoca e come è stato scoperto in altri siti simili in quella
zona della Turchia.
Dopo avere geometricamente calcolato il
centro degli insediamenti B, C e D, i ricercatori israeliani Gil
Haklay ed Avi Gopher dell'Università di Tel Aviv hanno scoperto
che, unendo i tre punti centrali, si ottiene un triangolo equilatero.
Inoltre hanno verificato che i punti centrali delle strutture cadono
sempre tra la linea che congiunge i lati minori dei due pilastri
centrali, presenti all'interno di tutti i circoli. Queste scoperte,
se confermate, dimostrebbero le notevoli capacità ingegneristiche e
matematiche di chi ha costruito il complesso.
Sono state riportate alla luce circa 40
pietre a forma di "T" con altezze comprese tra i 3 e i 6
metri. Per la maggior parte sono incise e vi sono raffigurati
diversi animali (serpenti, anatre, gru,
tori, volpi, leoni, cinghiali, vacche, scorpioni, formiche).
Alcune incisioni vennero volontariamente cancellate, forse per
preparare la pietra a riceverne di nuove. Sono inoltre presenti
elementi decorativi, come insiemi di punti, motivi geometrici ed
animali selvaggi (coccodrilli ed altre fiere) in alto rilievo. Alcuni
elementi, essendo ripetuti senza uno schema fisso, fanno balenare
l'ipotesi che potrebbe trattarsi di una forma di scrittura.
Indagini geomagnetiche avrebbero
indicato la presenza di almeno altre 250 pietre monolitiche ancora
sepolte nel terreno.
Un'altra pietra a forma di "T",
estratta solo a metà dalla cava, fu rinvenuta a circa 1 km dal
sito. Misura circa 9 m di lunghezza ed era probabilmente destinata al
complesso, ma forse una rottura costrinse ad abbandonare il lavoro.
Dopo tale rinvenimento furono effettuati degli scavi sia a lato che
sotto, allo scopo di cercare eventuali utensili, ma senza successo.
Si scoprì invece, che sotto il monolite ce ne era uno ancora più
grande, misurante circa 15 metri di lunghezza, anch'esso in fase di
taglio.
Oltre alle pietre sono state
trovate sculture in argilla isolate, molto
rovinate dal tempo, che rappresentano probabilmente un cinghiale o
una volpe. Confronti possono essere fatti con statue del
medesimo tipo rinvenute nei siti di Nevalı Çori e
di Nahal Hemar. Gli scultori dovettero svolgere la loro opera
direttamente sull'altopiano del sito archeologico, dove sono
state rinvenute anche pietre non terminate e cavità a forma di
scodella nella roccia argillosa, secondo una tecnica già utilizzata
durante l'epipaleolitico per ottenere argilla per le sculture o
per il legante argilloso utilizzato nelle murature.
Nella roccia sono anche presenti
raffigurazioni di forme falliche, che forse risalgono ad epoche
successive, trovando confronti nella
cultura sumera e mesopotamica (siti
di Byblos, Nemrik, Helwan e Tell Aswad).
Molte scene raffigurate hanno
significati ignoti, come ad esempio la stele #43 in cui, sulla parte
superiore appaiono dei cigni, un avvoltoio con una sfera fra gli
artigli e 3 oggetti che ricordano quelli che talvolta sono presenti
in alcune raffigurazioni Mesopotamiche più tarde di vari millenni.
Le raffigurazioni di animali hanno
permesso di ipotizzare un culto di tipo sciamanico,
antecedente ai culti organizzati in pantheon di divinità delle
culture sumera e mesopotamica.
Lo studio degli strati di detriti
accumulati sul fondo del lago di Van in Anatolia ha
prodotto importanti informazioni sui cambiamenti climatici del
periodo, individuando una consistente crescita
della temperatura intorno al 9500 a.C. I resti
di pollini presenti nei sedimenti hanno permesso di
ricostruire una flora composta
da querce, ginepri e mandorli. Fu forse il
cambiamento climatico a determinare una
progressiva sedentarizzazione delle genti che avrebbero
costruito il sito. All'inizio degli anni novanta del secolo scorso, è
stato ipotizzato che lo sviluppo delle concezioni religiose
avrebbe costituito una spinta alla sedentarizzazione, spingendo gli
uomini a raggrupparsi per celebrare riti comunitari. Questa ipotesi
ribaltava completamente la concezione secondo cui la religione si
sarebbe sviluppata solo in seguito al formarsi di insediamenti
stabili causati dalla nascita dell'agricoltura.
La presenza di una così grande
struttura monumentale dimostrerebbe che, anche nell'ambito di
un'economia di caccia e raccolta, i costruttori hanno
posseduto mezzi sufficienti per erigere strutture monumentali.
Secondo il primo direttore dello scavo, Schmidt, sarebbe stata
proprio l'organizzazione sociale necessaria alla creazione di questa
struttura a favorire uno sfruttamento pianificato delle risorse
alimentari e di conseguenza lo sviluppo delle prime pratiche
agricole, ribaltando quindi di nuovo ipotesi consolidate. Secondo il
secondo direttore dello scavo, Clare, questo villaggio invece sarebbe
il culmine della civiltà dei cacciatori-raccoglitori che si sarebbe
poi esaurita nei 2 millenni seguenti. Il sito si trova
nella regione della Mezzaluna fertile, dove era
presente naturalmente il grano selvatico, che poi gli uomini
addomesticarono dando vita ai primi esperimenti agricoli nei seguenti
millenni.
Nessuna traccia di piante o
animali domestici è stata rinvenuta negli scavi, dimostrando come
sia stata un'opera costruita da cacciatori-raccoglitori. A circa
quattro metri di profondità, ossia ad un livello corrispondente a
quello della primigenia costruzione del sito, sono state rinvenute
tracce di strumenti in pietra (raschiatoi e punte
per frecce), insieme ad ossa di animali selvatici
(gazzelle e lepri), semi di piante selvatiche
e legno carbonizzato (focolari) ed alcune edificazioni
domestiche, come pure un sistema di raccolta in cisterne e
distribuzione di acqua attraverso canaline. Ciò testimonierebbe ,
assieme all'esistenza di sepolture (sotto il livello del pavimento
delle abitazioni), la presenza in questo periodo di un insediamento
stabile abitativo domestico.
Il primo direttore degli scavi, come
proposta di tipo speculativo, ha lasciato intendere che la
civiltà sviluppata nella provincia di Urfa, che avrebbe avuto qui
uno dei suoi principali templi (definibile anche come archetipo
di anfizionia, o "anfizionia dell'età della pietra"),
sarebbe stata trasfigurata nel mito dei monti di Du-Ku
della cosmogonia sumera. In questi monti avrebbero abitato
le prime divinità, non dotate di nomi individuali, ma semplici
spiriti, retaggio degli spiriti sciamanici. I Sumeri ritenevano che
fu tramite essi che l'uomo avesse appreso l'agricoltura,
l'allevamento e la tessitura e vi sarebbero indizi che almeno i primi
due di questi elementi fossero forse comparsi in questa zona durante
la costruzione del complesso megalitico). Lo studioso Lee Clare,
che ha lavorato con Schmidt ed ora gli è succeduto dopo la sua morte
nel 2014 come direzione del lavoro archeologico, invece
spiega che, viste le attuali evidenze, l'ipotesi del "Tempio"
abbia ormai perso l'aderenza con le prove archeologiche oggi
disponibili; le evidenze rivelano infatti che potrebbe essere stato
un luogo dove risiedeva una comunità di cacciatori-raccoglitori che
legavano ambienti anche domestici con la loro mitologia .
Ian Hodder, del programma archeologico
della Stanford University, è uno dei sostenitori
dell'autenticità del sito.