L'
Atleta di Fano, Atleta
vittorioso, Atleta che si incorona o Lisippo di Fano,
conosciuto negli Stati Uniti anche come Victorious
Youth (Giovane vittorioso), è una scultura bronzea,
datata tra il IV e il II secolo a.C., attribuita, su base
esclusivamente stilistica, allo scultore greco Lisippo o
a un suo allievo.
Il bronzo fu ripescato casualmente al
largo di Fano, il 14 agosto 1964, da un peschereccio italiano e
fu acquistato dal Getty Museum di Malibù nel
1977. La storia critica ebbe inizio nel 1978 con la pubblicazione di
Jiri Frel che attribuì l'opera a Lisippo, attribuzione contestata a
partire dal 1983 da Frédéric Louis Bastet e nel 1993 da
Luigi Todisco i quali preferirono assegnare il bronzo ad ambito
lisippeo piuttosto che al maestro stesso.
Le dimensioni della statua sono in
altezza (misurata dal capo al polpaccio, dato che i piedi non sono
presenti) 151,5 cm, in larghezza 70,0 cm e in profondità
28,0 cm. Quindi le dimensioni erano proporzionate al vero.
Il giovane atleta è rappresentato
in nudità eroica. La statua si presenta con la base mancante
sino all'altezza delle caviglie, forse i piedi si sono
staccati nel momento in cui la statua si è impigliata nella rete del
peschereccio che ne ha effettuato il recupero, ma non è escluso che
la rottura sia da ricondurre in età antica al momento del naufragio
della nave che trasportava l'opera verso occidente. Gli occhi,
mancanti, furono probabilmente realizzati separatamente in pietra
colorata o pasta vitrea e inseriti a fusione ultimata, mentre i
capezzoli sono in rame.
Anche se la parte inferiore
ai polpacci è mancante, dalla postura della statua si
deduce che il piede ponderale, quello su cui la statua scarica il
peso, è il destro. Mentre la gamba destra è diritta, la gamba
sinistra è leggermente piegata in avanti e sembra che il piede
sinistro poggiasse in punta. L'asse del tronco ha una conformazione a
S, il collo ripiega verso destra con la testa che, in opposizione,
ricade verso sinistra, ossia verso il lato a riposo, come è tipico
nella costruzione antitetica delle figure lisippee. Lo
sguardo, con espressione fiera ma composta, sembra rivolgersi diritto
avanti a sé ad altezza d'uomo.
Mentre il braccio sinistro si distende
lungo il fianco, il braccio destro è alzato, con il gomito
all'altezza della spalla e la mano all'altezza della fronte. Questo
gesto è stato interpretato come l'atto, appena compiuto, di
incoronarsi con la corona del vincitore, apparentemente quella in
olivo selvatico usata per i vincitori a Olimpia. Indice e medio sono
infatti appena scostati e in opposizione del pollice,
mentre anulare e mignolo sono ripiegati su sé
stessi. I capelli corti sono raggruppati in ciocche fluenti e
ondulate che si dipartono uniformemente verso destra e sinistra a
partire dall'altezza dell'occhio sinistro.
La struttura rigorosamente geometrica
dell'opera, riscontrabile nell'anatomia del corpo e del viso, rimanda
ad ambiente peloponnesiaco e sicionio in particolare.
L'impostazione antitetica delle due metà del corpo conduce
a Lisippo e alla sua scuola. Si rileva, da parte degli studiosi che
attribuiscono l'opera a un allievo, la non corrispondenza delle
proporzioni dell'atleta con le più frequenti proporzioni
riscontrabili nelle opere di Lisippo. Gli studiosi che datano invece
la statua a una fase di elaborazione nella carriera di Lisippo,
intorno al 340 a.C., immediatamente precedente l'Agias, ritengono di
poter desumere l'attribuzione, con una qualche certezza, dal
pentimento in corso d'opera visibile all'altezza del collo, che ne ha
allungato la misura, segno del lavoro di un maestro tendente a
modificare e rinnovare canoni preesistenti, e non di un discepolo.
La scultura avrebbe potuto far parte di
un gruppo scultoreo-celebrativo di alcuni atleti vittoriosi, posto in
un santuario greco-panellenico come a Delfi o Olimpia. A
questo proposito è interessante notare che le analisi delle fibre
trovate internamente alla statua hanno rivelato la presenza
di lino; dal geografo Pausania il Periegeta ci
è noto che nel II secolo d.C. l'unico luogo in cui
cresceva il lino in Grecia era attorno ad Olimpia.
L'ipotesi dell'appartenenza della
statua a un gruppo è stata avanzata anche da Antonietta Viacava che,
evidenziando la minore elaborazione del lato sinistro della statua,
ha immaginato la presenza di una seconda figura: un giudice, che
avrebbe incoronato il giovane secondo un'iconografia diffusa, mentre
quest'ultimo con la mano destra avrebbe potuto semplicemente indicare
la corona o accingersi a sistemarla. Riproposizioni più tarde del
tipo (su monete del II secolo a.C. e soprattutto nella Stele di
Plauzio, proveniente dal Pireo e ora al Musée
archéologique de Nice-Cimiez) mostrano anche la presenza del ramo di
palma nella mano sinistra dell'atleta, attributo del quale resta
traccia nell'incavo interno del braccio. Ancora a Viacava si deve
l'ipotesi dell'identificazione del giovane con Seleuco Nicatore,
ipotesi che concorda con una datazione al 340 a.C. e con la forte
caratterizzazione del volto.
La statua è stata realizzata con la
tecnica della fusione a cera persa, cioè con un modello
positivo cavo in cera a perdere, su cui veniva appoggiata la terra da
fonderia che creava il negativo, all'atto della colata la cera
evapora per l'alta temperatura del metallo e lascia spazio a questo.
Questa tecnica permetteva un'ottima modellabilità e la possibilità
di rifinire minuziosamente i particolari, oltre che di ottenere
superfici accuratamente levigate. Con questa tecnica non si poteva
ottenere la statua in un'unica colata ma le varie parti, come tronco,
testa, braccia e gambe, venivano realizzate separatamente e solo
successivamente unite per saldatura.
La lega metallica utilizzata è
un bronzo con la seguente
composizione: rame 89%, stagno 10,7% e piccole
percentuali di piombo, arsenico e cobalto.
Tracce della terra da fonderia a
volte permangono all'interno del fuso e le analisi chimiche
permettono di conoscere la composizione della terra e quindi
ipotizzare con buona approssimazione il luogo in cui la statua è
stata formata e colata. A volte, nella terra da fonderia rimangono
incluse anche piccole parti organiche come ossi o, come successo in
questo caso, gusci di nocciole e noccioli di olive,
che hanno permesso l'analisi e la datazione con il metodo del
carbonio-14. Allo stato attuale delle conoscenze è comunemente
accettata la datazione tra la fine del IV secolo a.C. e
il II secolo a.C. ricavata con questo metodo. Non si può
restringere ulteriormente questo intervallo temporale a causa
dell'incertezza di misura intrinseca del metodo.
Questo elemento cronologico e
soprattutto considerazioni di tipo stilistico hanno portato la statua
ad essere forse attribuibile allo scultore greco Lisippo. Già nella
sua prima ispezione Bernard Ashmole e altri studiosi
l'attribuirono a Lisippo, grande nome della storia dell'arte
greca. Il metodo attuale considera meno importante l'attribuzione
tradizionale dell'opera rispetto al contesto sociale in cui è stata
concepita: il luogo dove è stata modellata, per quale scopo e chi
doveva rappresentare.
L'ipotesi più accreditata è che in
antichità la statua sia naufragata nel medio Adriatico insieme alla
nave che la stava trasportando dalla Grecia verso la penisola
italiana, probabilmente puntava al porto di Ancona. Essa fu
rinvenuta nell'estate del 1964 nel mare Adriatico al
largo di Fano catturata dalle reti
del peschereccio italiano "Ferruccio Ferri".
Il
luogo del ritrovamento del bronzo, a sentire le testimonianze dei
pescatori, è una zona del mar Adriatico chiamata "Scogli di
Pedaso", ma di questo non c'è stata certezza per molti anni: in
particolare, si è molto discusso se l'oggetto fosse stato ritrovato
in acque italiane o internazionali.
Comunque sia l'esportazione è stata
illegale secondo le leggi dell'epoca, in particolare la legge
1089/39, che stabilisce che i beni archeologici ritrovati sono
di proprietà dello Stato italiano. Infatti, nel primo caso il
reperto apparterrebbe allo Stato italiano, nel secondo caso essendo
l'Atleta issato su un'imbarcazione battente bandiera italiana e
successivamente sbarcato a Fano, in Italia, sarebbe dovuto
ricadere sotto la legislazione italiana che impedisce l'esportazione
di opere archeologiche e avrebbe dovuto essere soggetto
all'obbligo di notifica al ministero competente (in questo caso
il Ministero della cultura).
Sul motopesca italiano si trovavano il
capobarca Romeo Pirani, i tre marinai Derno Ferri (motorista), Athos
Rosato (murea) e Durante Romagnoli (marò), inoltre Valentino
Caprara, Nello Ragaini e Benito Burasca. L'armatrice era la signora
Valentina Magi.
Athos Rosato ha confermato quanto
sempre sostenuto dal capobarca Pirani, cioè che la statua è stata
ritrovata a «circa 43 miglia a levante del monte
Conero e circa 27 miglia dalla costa croata, un punto di
mare chiamato "Scogli di Pedaso"» «In quel tratto,
secondo il mozzo, la profondità del mare era circa di
43-44 braccia», cioè a circa 75 metri di profondità.
La rete si è impigliata nelle braccia
della statua, che è stata sollevata dal fondo del mare;
probabilmente i piedi, verosimilmente incastrati o insabbiati, si
sono staccati in quest'occasione per lo strattone ricevuto.
Successivamente, la statua è stata
trasportata su un carretto e riposta in un sottoscala nella casa
della proprietaria della barca Valentina Magi, nei giorni
successivi molte persone poterono vederla. Così i pescatori,
preoccupati che la voce si spargesse e di un'eventuale ispezione
della Guardia di Finanza, chiesero e ottennero di nascondere la
statua, sotterrandola in un campo coltivato a cavoli di
proprietà di Dario Felici, un loro amico.
Lo stesso Berardi racconta che, al
momento del dissotterramento della statua dal campo di cavoli, si
staccò una concrezione che fu regalata a Elio Celesti,
professionista e politico fanese, il quale, su segnalazione di
Berardi, la consegnò al procuratore della Repubblica
di Pesaro Savoldelli Pedrocchi. Le analisi di questa
concrezione hanno dimostrato che è stata a contatto con
una lega metallica di stagno e rame,
cioè bronzo.
La notizia del ritrovamento di
un'antica statua arrivò a Pietro Barbetti, un industriale di Gubbio,
che l'acquistò per 3.500.000 lire. In seguito, la statua fu
portata da Pietro Barbetti e da Fabio Barbetti nella canonica di don
Giovanni Nargni e qui custodita per diverso tempo. Questa
circostanza, confermata poi dal sacerdote stesso, è stata notata
dalla perpetua di don Nargni, che denunciò anonimamente il fatto
ai Carabinieri, quali intervennero. Si arrivò a un processo,
con l'accusa di acquisto e occultamento di un'antica opera d'arte a
danno dello Stato italiano. Accusati furono Pietro Barbetti, con i
parenti Fabio e Giacomo Barbetti, e il prete Giovanni Nargni. In
primo grado furono assolti per insufficienza di prove, in secondo
grado la Corte di Appello condannò i Barbetti a 4 mesi di
reclusione e don Nargni a 2 mesi. Poi la Cassazione rimise
i 4 nuovamente al giudizio della Corte d'Appello, che li assolse con
formula piena.
La statua nel frattempo era già stata
venduta da Giacomo Barbetti, cugino di Pietro, a un
antiquario milanese di cui non si conosce il nome. Secondo
altre ipotesi, da confermare, la statua fu invece esportata in una
cassa di medicinali verso una missione religiosa in Brasile, in
cui operava un conoscente dei Barbetti.
La statua nel 1971 fu
acquistata da Heinz Herzer, un commerciante di Monaco di
Baviera aderente all'Artemis Group, e venne sottoposta alle
prime analisi e a restauri. Nel 1974 l'esame
del radiocarbonio datò la statua approssimativamente al IV
secolo a.C. e fu attribuita per la prima volta a Lisippo.
Dopo alcune trattative e tentativi di
offerta al mercato nero e una forte competizione contro
il Metropolitan Museum of Art, fu acquistata nel 1977 dal Getty
Museum per 3,98 milioni di dollari.
La statua è attualmente esposta
alla Getty Villa di Malibù, California.