Il
Museo di Archeologia
dell’Università di Pavia fu istituito nel 1819 ed è, insieme
a quello di Padova, uno dei più antichi d’Italia. Il museo è
situato all'interno dell'antico Ospedale San Matteo di Pavia.
Nel 1818 Pier Vittorio
Aldini partecipò al concorso per la prima cattedra
di Archeologia presso l'Università di Pavia, la più
antica in Italia, vinto l'incarico l’anno seguente prese servizio.
Il Museo di Archeologia dell’Università di Pavia nasce con il nome
di “Gabinetto numismatico e antiquario” per iniziativa di Pier
Vittorio Aldini, come parte integrante dell’Istituto di Archeologia
fondato nel 1819, uno dei più antichi, insieme a quello di Padova,
in Italia. La finalità prevalentemente didattica della raccolta,
alimentata inizialmente da un’oculata politica di acquisti e
concepita come campo di esercitazioni pratiche di archeologia e
storia dell’arte classica, dà ragione del suo carattere non
specialistico, ma articolato su una grande varietà di materiali,
distribuiti su un arco cronologico molto esteso (dal II millennio
a.C. fino alla tarda antichità).
Alle acquisizioni di Aldini risale
in gran parte la serie delle sculture in marmo, tra cui va segnalato
il pezzo di maggior pregio della collezione, la splendida testa
femminile (
nella foto a sinistra), replica romana dell’Afrodite Sosadra di Calamide.
Sempre negli stessi la collezione fu arricchita un gruppo di statue
in marmo di età romana provenienti da Velleia. Di notevole
qualità è un ritratto femminile privato di età
imperiale assegnato alla seconda metà del II secolo d.C.
Interessante per la storia della circolazione dei falsi nel commercio
antiquario è la presenza di alcuni pezzi di esecuzione moderna, tra
cui una copia settecentesca di un ritratto del Museo Nazionale
di Napoli, a lungo ritenuto originale ellenistico.
Il nucleo originario della raccolta
comprende inoltre elementi architettonici, epigrafi (tra
cui due iscrizioni su lamina bronzea con prescrizioni mediche
rinvenute presso la Vernavola) e oggetti appartenenti a
classi diverse di manufatti (ceramica, vetri, oggetti metallici,
gemme e anelli), acquisiti, anche localmente, nell’intento di
offrire agli studenti un’efficace campionatura della cultura
materiale dell’antichità, modernamente intesa come fonte per la
storia antica. La piccola bronzistica è rappresentata da
una serie di statuette di divinità provenienti da aree culturali
diverse (Egitto, Magna Grecia, Etruria, mondo romano):
accanto a tipi derivati dalla grande statuaria della Grecia
classica, sono rappresentate figure tipicamente romane, come le
statuette dei Lari, espressione del culto domestico.
Dall’acquisto, nel 1831, della collezione dello scultore
milanese Giovanni Battista Comolli provengono una serie di
vasi dipinti di produzione apula (IV secolo a.C.) e un
piccolo gruppo di ceramiche a vernice nera assegnabile a
fabbriche etrusche e sud-italiche. Nel 1845 risulta
già presente una piccola raccolta di materiale egizio e orientale.
Tra i meriti dell’Aldini va
ricordata l’acquisizione di una delle maggiori numismatiche
formatesi a Pavia tra XVII e XVIII secolo, quella dei
marchesi Bellisomi, esponenti dell’aristocrazia pavese aperti alla
cultura antiquaria e illuministica. Un incremento significativo
dei materiali del museo universitario si ebbe in seguito, negli anni
’30 del Novecento, con l’acquisizione di una serie di terrecotte
figurate etrusche, donate da papa Pio XI. Nel 1933 il museo
ricevette dalla Soprintendenza alle Antichità di Napoli un complesso
di vasellame bronzeo e un piccolo gruppo di terrecotte
architettoniche da Pompei. Nel 1940 Carlo
Albizzati acquistò per il Museo, con altri materiali, due
esempi interessanti di ceramografia della fine del IV secolo a.C.:
un cratere volterrano sovraddipinto e
un’idra campana a figure rosse. Una delle donazioni
più recenti, negli anni ’70 del Novecento (un gruppo di esemplari
di ceramica aretina), è dovuto ad Arturo Stenico. Nello
spazio del museo è attualmente conservata un’importante statua
marmorea del XV secolo raffigurante un santo vescovo
(forse Sant’Agostino), già collocata nel cortile del Leano
dell’Università, estranea per cronologia alla raccolta
archeologica, ma comunque meritevole di valorizzazione.
l Museo è diviso in diverse
collezioni:
Le collezioni di monete e di gemme incise
Il patrimonio numismatico conta circa 8.000 pezzi divisi
tra monete greche, romane repubblicane e imperiali, celtiche,
tardoantiche e bizantine. La collezione di intagli (scarabei,
gemme, paste vitree incise e cammei) e di anelli digitali
annovera in tutto 66 esemplari di provenienza non nota. Un primo
nucleo però fu acquisito dallo stesso fondatore del Museo, Pier
Vittorio Aldini, mentre altri giunsero tramite donazioni, ricordiamo
in particolare quella del rettore Arcangelo Spedalieri (1779-
1823) che volle lasciare nel 1820 al neonato “Gabinetto numismatico
e antiquario” la sua piccola (29 monete d’oro, 300 d’argento e
solo 76 di bronzo) ma ricca collezione di monete greche, romane,
bizantine, medievali e moderne, quasi tutte di provenienza siciliana.
Il collezionismo numismatico settecentesco a Pavia è
rappresentato bene dalla raccolta di monete formata lungo tutto il
Settecento da tre generazioni di rappresentanti della famiglia
Bellisomi e infine donato all’Università nel 1821, essa è
costituita prevalentemente da monete romane, sia repubblicane sia
imperiali. Sempre tramite donazione giunse ad arricchire il
patrimonio del museo anche la collezione del Marchese Stefano
Bernardo Majnoni, originario di Intignano e probabilmente
il più attivo e colto collezionista della prima metà dell’Ottocento
in Lombardia. In particolare il Majnoni studiò e raccolse
monete cufiche, sassanidi e delle zecche greche
d’oriente e lasciò all’università un nucleo di monete
arcaiche di Sibari, delle città greche d’Asia e romane
provinciali.
Collezione di reperti preistoriciSi tratta di reperti provenienti da
vari insediamenti lombardi: strumenti in pietra e
osso, selci scheggiate e levigate, lame-raschiatoi, punte
di freccia. La ceramica protostorica è di impasto
grossolano e lavorata a mano. Sono poi conservati anche una punta di
lancia e fibule, bracciali e anelli in bronzo, alcuni decorati a
globetti. Questi reperti rappresentano il substrato di culture
indigene dell'Italia settentrionale, poi soggette al processo
di romanizzazione.
Collezione egizia e orientale
La collezione egizia, iniziata intorno
al 1845, è formata da due mummie (una femminile integra e
una maschile di cui si possiede solo la testa) e oggetti provenienti
da contesti funerari: ushabti, un papiro dell'Amduat,
che racconta il viaggio notturno del Sole e figure in legno dipinto
ricomposte in fase di restauro in una mummy board lavorata
a intaglio, quasi un unicum nelle collezioni egittologiche
italiane. Estranea al mondo egizio è la figurina fittile, di
provenienza siriana, databile tra il 2000 e il 1800 a.C.
Collezione di ceramica magnogreca, etrusca e romanaLa collezione è formata da un gruppo
di vasi apuli, di probabile provenienza funeraria, appartenuti
allo scultore milanese Giovanni Battista Comolli e
acquisiti nel 1831 e da due hydriai campane, giunte tra il
1929 e il 1948 grazie a Carlo Albizzati, docente
di Archeologia nell’Ateneo pavese. Ma si conservano
anche ceramica a vernice nera etrusco-italica e un
grande cratere volterrano, senza dimenticare la produzione
romana, testimoniata da ceramica da mensa, terra
sigillata e anfore.
Collezione di ex-voto fittili etruschi
La civiltà dell'Italia
peninsulare prima della conquista romana è testimoniata in
Museo oltre che dalla ceramica, da un prezioso bronzetto umbro di
guerriero (metà del V sec. a.C.) e dalla straordinaria serie di
terrecotte votive, donata di papa Pio XI nel 1934
all’Università di Pavia, in forma di teste e parti anatomiche,
databili in età ellenistica, provenienti da Caere,
odierna Cerveteri. Tali reperti, originariamente depositati
nei Musei Vaticani, giunsero a Pavia grazie
all’impegno di Carlo Albizzati.
Gipsoteca
Appartiene al Museo Archeologico anche
la Gipsoteca (una trentina di pezzi circa) che conserva calchi in
gesso in scala 1:1 di opere famose della scultura classica,
dall’età arcaica fino all’ellenismo, come il Discobolo,
l’Apollo Sauroktònos, la Nike di Samotracia o l’Afrodite
di Milo. I calchi, recentemente restaurati, furono acquistati nella
prima metà del Novecento in Francia e presso il
laboratorio milanese di Carlo Campi, che operò al servizio
dell’Accademia di Brera.