sabato 23 dicembre 2023

Museo archeologico regionale "Pietro Griffo", Agrigento (Sicilia)

 

Il Museo archeologico regionale "Pietro Griffo" di Agrigento raccoglie le collezioni di materiali archeologici statali, civiche e diocesane, e costituisce un insieme organico e di particolare importanza per la comprensione della storia della città di Agrigento e del suo territorio. L'architettura e l'assetto museografico si devono all'architetto Franco Minissi.
Il museo archeologico è organizzato su un doppio percorso di visita, nel primo (sale I- XI) sono esposti i reperti provenienti da Akrágas ad Agrigentum, nel secondo (sale XII- XVII) percorso sono esposti i reperti provenienti da territorio di Agrigento, Enna e Caltanissetta.
Sala I

Sala con documentazione cartografica e il repertorio delle fonti antiche.
Sala II
Materiale pre-protostorico, relativo alle culture di Serraferlicchio, eneolitica, di Monserrato e Cannatello, dell'età del bronzo, e di Sant'Angelo Muxaro, dell'età del ferro (notevole il vaso a staffa miceneo, proveniente da Cannatello); inoltre, materiali geloi più arcaici (Palma di Montechiaro e Licata), ivi collocati con lo scopo di far seguire il processo di penetrazione della cultura
greca (ossia dell'acculturazione al mondo greco) tra le culture indigene, tra l'epoca della fondazione di Gela e quella d'Agrigento. Infine, materiali dalla necropoli di Montelusa, con le tombe più antiche sinora note di Akrágas
Sala III
Ospita le collezioni ceramiche già nel Museo Civico e la collezione Giudice (materiali non tutti di provenienza agrigentina), con vasi dalle necropoli saccheggiate nell'Ottocento, oltre a materiali di recente rinvenimento. Il capolavoro della sezione è senza dubbio il cratere a fondo bianco con Perseo in procinto di
liberare Andromeda (450 a.C.), oltre al torso di guerriero in stile severo.
Sala IV
Ospita il materiale architettonico proveniente dai diversi santuari: oltre alla transizione dalla moda arcaica dei rivestimenti fittili a quella in pietra d'età classica, il visitatore potrà facilmente apprezzare, confrontando le gronde con teste leonine, le differenze stilistiche e cronologiche fra i templi da cui sono state recuperate le trabeazioni.
Sala V
Raccoglie i materiali votivi dei santuari agrigentini. Vi si riconoscono tipi di statuette arcaiche di divinità ed
offerenti ispirate ai modelli gelesi. Un tipico oggetto votivo dai santuari delle divinità ctonie agrigentine è il busto fittile con polos (una particolare acconciatura) – sviluppo verosimilmente delle caratteristiche maschere arcaiche – raffigurante Kore, con ricca tipologia che dalla prima età classica raggiunge l'ellenismo (fra queste va segnalato un tipo di busto anticonico della dea). Oltre alle statuette e ai busti, occorre ricordare prodotti vascolari caratteristici d'Agrigento, come i bracieri con l'orlo decorato a stampiglia con scene figurate e motivi decorativi, mentre tipici dei culti demetriaci d'Agrigento sono i vasi multipli composti da anello (per recare il vaso sulla testa) con vasetti sovrapposti (kernoi).
Sala VI
Vi sono conservati materiali dell’Olympeion, con il colossale Telamone dell'Olympeion ricostruito nella parete di fondo, e tre altre teste di Telamone, il plastico con l'ipotesi di ricostruzione del tempio, e sei
modelli con le ipotesi della posizione del telamone rispetto alle colonne del tempio.
Sala VII (seminterrato)
Materiali del cosiddetto Quartiere ellenistico-romano. Oltre a sezioni stratigrafiche e materiali d'uso e decorativi (si notino i frammenti d'affresco in II stile) recuperati nello scavo delle case, vi si conservano gli emblemata distaccati dalle pavimentazioni musive.
Sala VIII e IX (seminterrato)
Nella sala sono esposti esemplari delle monete rinvenute nel corso degli scavi sistematici della
Soprintendenza, ma anche raccolte provenienti dal Museo Civici e da donazioni; tutti si riconducono al periodo che dal VI giunge al III sec. a C..
Sala X
La sala ospita tre sculture greche: il kouros o "efebo" di Agrigento, l'Afrodite al bagno e un torso maschile. :Il kouros è un esempio di raffinata plasticità ed equilibrio realizzato in marmo greco e databile ai primi decenni del V sec a.C..
Panoramica
Questa è la sala espositiva dedicata alle epigrafi tra le quali si segnala quella di età romana imperiale con dedica "concordia agrigentinorum" erroneamente messa in rapporto con il tempio che da essa è stato chiamato della Concordia, dato che è stata trovata nelle sue vicinanze.
Sala XI
Dedicata alle necropoli agrigentine di recente esplorazione, dalla fase arcaica a quella tardo-antica; vi sono anche esposti sarcofagi a vasca (VI secolo a.C.) e ad altare (V secolo a.C.) d'epoca greca, e sarcofagi romani del II e III secolo.
Sale XII

In questa sala inizia il secondo percorso espositivo del museo i primi due ambienti sono esposti i reperti riconducibili alle età preistorica in un ideale percorso topografico che, dall'oriente della provincia, giunge alle estreme sue propaggini occidentali.
Sale XIII
In questa sala sono esposti i materiali rinvenuti nell'occidente della provincia agrigentina. in successione topografica e cronologica si susseguono i siti di Vanco del Lupo di Montallegro, Raffadali con le veneri di Cozzo Busonè, Favara con grotta Ticchiara e le ceramiche dello stile di Castelluccio della prima età del bronzo Sant'Angelo Muxaro e ancora Ribera e Sciacca.
Sale XIV
La storia del territorio della provincia agrigentina continua nella sala XIV dove sono esposti i reperti provenienti da Montagnoli, Eraclea Minoa, Monte Adranone, Rocca Nadore, siti che testimoniano quel lungo processo di ellenizzazione che dalle coste penetra verso l'interno dell'isola.
Sala XV

Vi si conserva il cratere attico a figure rosse con Amazzonomachia proveniente da Gela (450 a.C.).
Sala XVI
Questa sala è dedicata al territorio di Enna in particolare al sito archeologico di Montagna di Marzo, nell'esposizione si segnalano oltre ad armi strigili ed elmi, provenienti da una tomba di un guerriero; oltre ad alcuni vasetti policromi in pasta vitrea eoinochoai trilobate.
Sala XVII
Nell'ultima sala del percorso museale sono esposte le testimonianze dei siti della provincia di Caltanissetta

Casa Blanca - EL SALVADOR

 

Casa Blanca è un sito archeologico precolombiano legato alla civiltà Maya che si trova a Chalchuapa, El Salvador. Le sue origini risalgono al 500 a.C. Il sito che conserva le rovine si trova nel territorio di Chalchuapa. Gli insediamenti portano tracce che mostrano legami con gli Olmechi le popolazioni di Teotihuacan. La zona divenne sito governativo nel 1977 e il nome venne ricavato dalla piantagione di caffè che vi si trovava. Le rovine si trovano a nord del sito di Tazumal e a nord-est di Chalchuapa a circa 700 m sul livello del mare. Delle numerose piramidi presenti solo due sono in buono stato di conservazione e sono state restaurate.


Parco cerimoniale Caguana - PORTO RICO

 

Il parco cerimoniale Caguana (in spagnolo: centro ceremonial indígena de Caguana) è un sito archeologico situato ad Ángeles, circoscrizione del comune di Utuado, in Porto Rico.
Il centro risale approssimativamente al 1200, periodo di pieno splendore dalla cultura Taino sull'isola di Porto Rico. Gli scavi archeologici hanno portato alla luce numerosi manufatti Taino e oggi si possono osservare i campi rettangolari e circolari, chiamati batey, dove gli indigeni vi praticavano le loro cerimonie e giocavano a un particolare gioco con la palla, chiamato, per l'appunto, batey.
Nel parco sono inoltre presenti un museo, nel quale si possono ammirare parte dei manufatti rinvenuti, e alcune fedeli ricostruzioni di capanne indigene in mezzo a una vegetazione composta da esemplari di Ceiba e altri alberi tipicamente locali.


Museo archeologico regionale di Gela (Sicilia)

 

Il Museo archeologico regionale di Gela è un museo archeologico situato a Gela. Il museo sorge accanto all'acropoli e fu costruito nel 1955 dal Ministero dei lavori pubblici su progetto dell'architetto Luigi Pasquarelli, con i fondi della Cassa del Mezzogiorno. L'inaugurazione fu il 21 settembre del 1958.
Nel 1984 il Museo fu oggetto di lavori di ampliamento resisi necessari in seguito ai nuovi reperti da esporre ad opera dell'architetto Franco Minissi. I percorsi espositivi e didattici furono interamente rinnovati nel 1995. Gli ultimi interventi effettuati a partire dal 1995 lo hanno interamente rinnovato nei percorsi espositivi e negli apparati didattici e didascalici. Il museo si divide in due piani, nei quali, attraverso reperti ceramici, bronzei e numismatici, si ripercorre la storia di Gela antica e del territorio circostante dall'età preistorica all'età medievale. Contiene circa
4200 reperti cronologicamente distribuiti dalla preistoria all'età medievale, provenienti dai siti limitrofi come Dessueri, Monte Bubbonia, e il sito di Sophiana.
Molto ampie le collezioni relative a Gela greca con materiali provenienti dall'acropoli, dalla zona di capo Soprano, dall'emporio di Bosco Littorio e dalle necropoli.
Sono da mettere in evidenza:
  • un integro elmo corinzio
  • le ampie collezioni di ceramica greca a figure nere e a figure rosse
  • i resti del carico del "relitto di Gela", una nave mercantile greca affondata davanti al porto della città
  • i dettagli architettonici provenienti da templi cittadini e le arule votive provenienti dall'emporio di Bosco Littorio
  • l'ampia collezione numismatica con monete provenienti dalle varie colonie greche
Le collezioni Navarra e Nocera costituiscono il nucleo espositivo più antico. La prima, comprende una considerevole quantità di vasi corinzi ed attici a figure nere e a figure rosse. Questi provengono dagli scavi clandestini delle necropoli e collezionati alla fine dell'Ottocento dal barone Giuseppe Navarra.
Tra i vasi attici a figure nere (fine VI, inizi V secolo a.C.) si ritrovano opere attribuite al Pittore di Gela e al Pittore di Eucharides, e molte lekythoi della "classe di Phanillys".
La collezione di vasi attici a figure rosse (prima metà del V secolo a.C.) presenta opere di grandi ceramografi attici. Si tratta del Pittore di Edimburgo, del Pittore di Boreas, del Pittore della Phiale di Boston, del Pittore dei porci, del Pittore di Berlino e del Pittore di Brygos.
Il circuito museale è strutturato secondo un ordine cronologico e si articola in otto grandi sezioni:
Piano terra
Sezione I - la storia, la preistoria, l'acropoli (dalla fondazione al V secolo a.C.) e l'acropoli (IV secolo a.C.), l'Emporio, la Nave.
Sezione II - l'Heraion, la città fra il IV e il III secolo a.C.
Sezione III - le Fornaci, l'Epigrafia.
- le Necropoli greche, la Collezione Navarra, la Collezione Nocera.
Primo piano
Sezione IV - le anfore.
Sezione V - i Santuari extraurbani.
Sezione VI - il territorio dalla Preistoria all'età greca.
Sezione VII - il territorio dall'età romana all'età medievale.



Museo archeologico regionale Paolo Orsi, Siracusa (Sicilia)

 
Il museo archeologico regionale Paolo Orsi di Siracusa è uno dei principali musei archeologici d'Europa. Nel 1780 il vescovo Alagona inaugurò il Museo del Seminario divenuto, nel 1808, Museo Civico presso l'Arcivescovado. Successivamente un decreto regio del 17 giugno 1878 sancì la nascita del Museo Archeologico Nazionale di Siracusa, inaugurato solo nel 1886 nella sua sede storica di piazza Duomo.
Dal 1895 al 1934 Paolo Orsi diresse il Museo e le campagne di scavo lungo il territorio orientale della Sicilia. Nel 1941 durante il periodo della seconda guerra mondiale a causa dei bombardamenti, il sovrintendente Bernabò Brea ordinò che i reperti venissero caricati a dorso di mulo e nascosti presso i tunnel del castello Eurialo.
Nel dopoguerra si operò un riordino delle collezioni di età preistorica e greca. Tuttavia a seguito dei notevoli ritrovamenti durante le svariate campagne di scavo, gli spazi del vecchio museo non furono più sufficienti decretando la necessità di creare un nuovo spazio espositivo presso l'attuale sede nel giardino di villa Landolina. Nel 1977 con le competenze dei beni culturali sono passate dallo Stato alla Regione siciliana, il museo nazionale è divenuto regionale.


Il nuovo spazio museale, affidato all'architetto Franco Minissi che applicò moderni criteri architettonici di musealizzazione. Al progetto espositivo e all'attuazione dell'allestimento contribuirono Luigi Bernabò Brea e Paola Pelagatti (entrambi già Soprintendenti di Siracusa e Direttori del Museo, nella sede precedente), Gerges Vallet e Francois Villard, Henry Tréziny, Elisa Lissi Caronna, Giovanna Bacci, Umberto Spigo ed altri giovani archeologi allora da poco entrati nei ruoli della Regione. Per la sezione numismatica dette un suo contributo il prof. Attilio Stazio. Il Museo venne inaugurato nel gennaio del 1988 presso la Villa Landolina su due piani espositivi di 9.000 m2, di cui inizialmente solo uno dei piani fu aperto al pubblico, e un seminterrato di 3.000 m2, dove è situato un auditorium e gli uffici.
La forma della struttura museale ruota attorno ad un corpo centrale utilizzato come sala conferenze al seminterrato e sala espositiva al piano terreno. L'illuminazione delle sale è ottenuta lasciando filtrare la luce solare direttamente dal tetto e dagli spazi laterali. L'allestimento è stato curato dall'architetto Franco Minissi. con il coordinamento dell'archeologo Giuseppe Voza.
Nel 2006 è stato inaugurato l'ampliamento espositivo del piano superiore dedicato alla Siracusa ellenistica.
Nel 2014 un ulteriore ampliamento al piano superiore consente la visione del Sarcofago di Adelfia e di altri reperti relativi alle catacombe di Siracusa e alla Siracusa paleocristiana.
Nel 2015 diviene il primo museo siciliano (e il primo museo archeologico a sud di Roma) a consentire la visione delle sue sale tramite Google Street View.
Inoltre, grazie a un progetto pilota, per la prima volta si possono effettuare dei virtual tour di alcuni reperti archeologici, cliccando direttamente su mappe interattive o sui punti di interesse nelle vetrine, approfondendone la descrizione con apposite schede descrittive, direttamente navigando all'interno del museo in modalità Street View: in questo modo il tour virtuale è stato "aumentato" grazie a specifici software. Al termine del 2015 il museo, oltre a registrare un sensibile aumento di visitatori è diventato il primo museo archeologico della Sicilia per numero di visitatori.
Nel 2016 il museo ha creato delle audioguide gratuite sulla piattaforma Izi travel per cui è possibile ottenere informazioni su molte delle opere esposte. Le sale sono state arricchite di elementi multimediali per spiegare le varie sezioni.
Le esposizioni temporanee
Il 23 ottobre 2015 viene inaugurata la mostra Tesori dalla Sicilia. Gli ori del British Museum a Siracusa dove vengono esposti alcuni dei reperti in possesso del British Museum.
Il museo
Il museo comprende reperti risalenti dai periodi della preistoria fino a quelli greco e romano provenienti da scavi della città e da altri siti della Sicilia.
Il piano terreno è diviso in 4 settori (A-B-C e D), mentre il corpo centrale (Area 1) è dedicato alla storia del Museo e vi sono presentati brevemente i materiali esposti nei singoli settori. Infine è presente un settore numismatico nel seminterrato.
Piano terreno
 
Settore A - Preistoria e protostoria 
Il settore A, è preceduto da una sezione dedicata alla geologia del territorio ibleo e Mediterraneo con un'esposizione di rocce e fossili che testimoniano le varie forme di animali nel Quaternario della Sicilia nonché dei fenomeni di nanismo di cui sono esposti i famosissimi elefanti nani della Grotta Spinagallo a Siracusa. Seguono i manufatti litici dei centri del Paleolitico superiore e del Mesolitico della Sicilia sud-orientale (Fontana Nuova, Canicattini Bagni ecc.).
Del Neolitico (IV-III millennio a.C.) sono riportati i reperti (armi di selce o ossidiana) dai villaggi a capanna di Stentinello, Petraro, Paternò, Matrensa, Biancavilla, Palikè, Megara Hyblaea, Gioiosa Marea e Calaforno. Dell'età del Rame (fine III e inizio II millennio a.C.) vi sono i reperti di Piano Notaro, grotta Zubbia, Calaforno, Malpasso, S. Ippolito e altre grotte come Palombara, Conzo e Chiusazza. Della prima età del Bronzo (inizio del II millennio e fine del XV secolo a.C.) vi sono i ritrovamenti di Castelluccio, Palazzolo Acreide, Monte Casale, Monte San Basilio, Monte Tabuto ecc. Sono un esempio le armi in selce, i primi oggetti in metallo, la ceramica bruna su sfondo giallastro o rosso, gli ossi a globuli. Della media età del Bronzo (fine XV-XIII secolo a.C.) vi sono i reperti di Thapsos soprattutto ma anche le necropoli del Plemmirio, Floridia, Matrensa, Molinello di Augusta e Cozzo Pantano.
L'importanza di questi reperti risiede nell'evidenza dei rapporti commerciali con Micene, Cipro e Malta, allora dei centri di produzione ceramica.
Della parte finale dell'età del bronzo (XIII-IX secolo a.C.) appartengono i reperti di Pantalica, Caltagirone, Disueri, Cassibile e Madonna del Piano. Di questi si evidenzia proprio Pantalica, importante epicentro culturale dell'area. Ma vi sono anche alcuni ritrovamenti del medesimo periodo provenienti da Niscemi, Noto Antica, Monte San Mauro, Tre Canali a Vizzini, San Cataldo, Giarratana e Mendolito.
Settore B - Colonie greche, Siracusa in età arcaica
 
Nel settore B, dedicato alle colonie greche della Sicilia del periodo ionico e dorico, è possibile identificare l'ubicazione delle colonie greche in Sicilia e le rispettive città di provenienza. Sono inoltre esposte: una statua marmorea di Kouros acefala proveniente da Leontinoi (Lentini) datata agli inizi del V secolo a.C. È anche presente la kourotrophos ossia una statua femminile acefala che allatta due gemelli proveniente da Megara Hyblaea. I reperti della colonia dorica di Megara Hyblaea, statuette votive di Demetra e Kore e una Gorgone, una testa di Augusto proveniente da Centuripe. Vi sono inoltre
le ricostruzioni dei templi di Athena (attuale duomo di Siracusa) e Olympeion, le grondaie a testa leonina del castello Eurialo e l'Efebo di Adrano una statuetta del 460 a.C.
Settore C - subcolonia di Siracusa, Gela e Agrigento 
Nel settore C sono esposti reperti delle sub-colonie di Siracusa: Akrai (664 a.C.), Kasmenai (644 a.C.), Camarina (598 a.C.), Eloro. Nonché reperti provenienti da altri centri della Sicilia orientale e da Gela ed Agrigento.
Primo piano 
Settore D - Siracusa in età ellenistico romana 
Il settore D, posto al primo piano, è stato inaugurato
nel 2006 e contiene i reperti di epoca ellenistico-romana. Al suo interno sono contenuti alcuni tra i reperti più celebri del museo: la Venere Landolina, una statua di Eracle in riposo e uno spazio dedicato ai culti di epoca ellenistica a Siracusa. Vi sono inoltre alcuni oggetti d'oreficeria e monete Siracusane. Uno spazio per consentire il contatto con reperti ricostruiti e un plastico con l'ubicazione dei monumenti di Siracusa.
Settore F - I reperti paleocristiani 
Nel 2014 è stata aperta un'apposita sala dedicata al Sarcofago di Adelfia e ai ritrovamenti delle catacombe di Siracusa. Lo stesso settore è stato
arricchito di elementi e reperti in esposizione nell'aprile del 2018. Questo settore completa il quadro cronologico della lunga storia della città.
Seminterrato 
Settore N - Medagliere 
Nel piano interrato è presente il medagliere dell'epoca antica aperto nel 2010, con preziosissime monete siracusane, gioielli e altre monete provenienti dalle aree limitrofe. Il medagliere è di assoluto valore vista la fattura e la qualità delle monete siracusane antiche. Tuttavia la collezione non si ferma solo all'epoca greca ma giunge anche all'età moderna.
La sala conferenze 

Nel corpo centrale del museo, sempre nel seminterrato, vi è una sala conferenze utilizzata per la presentazione di eventi e conferenze del museo o di altre associazioni.
La Villa Landolina 
Il museo è all'interno dell'antica Villa Landolina che risale alla fine del XIX secolo, ed era proprietà della famiglia Landolina di cui si ricorda Saverio Landolina. La villa oggi è sede della biblioteca ed è circondata dal parco che è stato dichiarato di interesse pubblico con la legge 1497/39.
Il parco ospita piante secolari e si ispira ai giardini arabi con reperti di epoca romana e greca esposti, alcuni accessi di alcuni ipogei pagani e cristiani, una necropoli di età greca arcaica e tratti di viabilità antica. Il parco ospita anche un piccolo cimitero acattolico dove vi è la tomba del poeta August von Platen.






Nelle immagini, dall'alto:
- Sileno
- Settori del Museo Paolo Orsi
- Avancorpo di ariete in bronzo, forse terminazione di timone di carro, 520 ac. circa
- Torso di kouros da Lentini, fine VI-inizio V secolo a.C.
- Scodellone quadriansato con decorazione incisa. Necropoli sud di Pantalica
- Cavalluccio bronzeo
- Pithoi di Thapsos
- Gorgone
- Cavaliere, forse acroterio, da Kamarina, VI secolo a.C.
- Olla sferica con anse, rinvenuta a Paternò è famosa per i manici con decori a spirale da cui è tratto il simbolo dell'Assemblea Regionale Siciliana.
- Monete di varie poleis della Sicilia: nello specifico monete di Siracusa e Akragas
- Kourotrophos Dea Madre in calcare che allatta due gemelli, da Megara Hyblaea necropoli ovest, 550 ac.  





Tabula Cortonensis (Toscana)

 
La Tabula Cortonensis è un manufatto in bronzo ritenuto dell'inizio del II secolo a.C. e ritrovato a Cortona in località Le Piagge nel 1992. Nel 1992 vennero consegnati al comando dei Carabinieri di Camucia sette frammenti in bronzo, destinati a diventare famosi sotto l'unico nome di Tabula Cortonensis. Sottoposti ad una pulitura piuttosto drastica, furono dati come rinvenuti in località le Piagge, presso Camucia; tuttavia, alla luce del fatto che ulteriori ed approfondite ricerche nella zona non portarono al ritrovamento di altre testimonianze archeologiche, si dubita fortemente del luogo di rinvenimento. Questi sette frammenti costituiscono una tabula di forma rettangolare sulla quale vi è un'iscrizione incisa tramite un'affilatissima sgorbia. Sulla sommità, si nota un manubrio a due ganasce con un pomello sferoidale. Molto probabilmente, la tabula, forse parte di un archivio notarile privato, un tabularium posto nella parte più sacra della casa o forse esposta per qualche tempo in un luogo pubblico, era appesa mediante questo manubrio ad un binario che ne consentiva la lettura fronte-retro. Dopo essere stata asportata dal luogo della sua originaria collocazione, venne rotta in otto pezzi — l'ottavo non ci è pervenuto, ma questo non pregiudica in alcun modo dal momento che il pezzo era situato nell'estremità inferiore destra della tavola e si ritiene contenesse solo nomi di persona di una lista trascritta alle righe 24-32 della prima faccia e prolungata sulla prima riga della seconda faccia — e destinata all'occultamento. Probabilmente l'ottavo pezzo andò perduto durante le vicissitudini che portarono alla frantumazione della tavola.
Conservata in un ambiente umido, la tabula riporta macchie e incrostazioni dovute alla compresenza di oggetti in ferro. L'incisione è stata evidentemente facilitata dal fatto che il bronzo utilizzato fosse alquanto tenero, perché contenente una percentuale piuttosto consistente di piombo. L'iscrizione è opistografa, occupa, cioè, tutta una faccia, con 32 righe di scrittura (recto), per proseguire sull'altra faccia con 8 righe (verso). Le lettere risultano essere state incise con grande peculiarità; l'alfabeto è quello usato nel cortonese tra la fine del III e il II secolo a.C. Dunque, nel complesso il documento presenta 40 righe di testo per 260 parole, guadagnandosi così il pregio di essere il terzo testo etrusco per lunghezza, dopo quello della Mummia di Zagabria e della Tabula Capuana. Misura 28,5×45,8 cm ed è spessa circa 2–3 mm.
Si riconoscono chiaramente due mani diverse: uno scriba principale ha inciso le prime 26 righe del recto e le prime otto del verso; a un secondo scriba si attribuiscono le ultime sei righe del verso. Nel testo della tabula si riconosce unanimemente un importante atto giuridico, cosa desumibile dalla presenza del zilath mechl rasnal, ovvero il pretore di Cortona, sommo magistrato della città.
La faccia A della tavola contiene 32 righe di testo, mentre la faccia B ne contiene solo 8. Si pensa che ad incidere la tavola siano stati due scribi, il primo autore delle righe 1-26 delle faccia principale (faccia A) e dell'intera faccia opposta (faccia B), il secondo invece responsabile delle righe 27-32 della faccia A. Entrambi gli scribi usano un alfabeto particolare, proprio di Cortona, nel quale il segno per E retrogrado occorre in sillaba iniziale o finale per sostituire un antico dittongo.
L'iscrizione fa particolare riferimento ad una compravendita di terreni tramite rivendicazione pubblica fatta dall'acquirente sulla cosa alla presenza del venditore e del pretore che ne sanzionava, a fine processo, la transazione. Di fatto, si testimonia la cessione da parte di Petru Scevas, uomo di umili origini ma arricchitosi con la mercatura, di terreni collinari affacciati sul lago Trasimeno ai membri di una famiglia aristocratica, i Cusu, in cambio di un miglioramento della posizione sociale. Come si desume dalla Tanella di Pitagora, la figlia di Petru Scevas avrebbe effettivamente sposato un membro della famiglia Cusu.


Eraclea (Basilicata)

 



Eraclea (in greco Ἡράκλεια, Herakleia; in latino Heraclea o Heracleia) fu un'antica città della Magna Grecia lucana, situata nei pressi dell'attuale Policoro, provincia di Matera.
Fu fondata dai coloni Tarantini e Thurioti intorno al 434 a.C., dopo una guerra che le aveva viste nemiche. La città è situata su un'altura tra i fiumi Agri e Sinni sui resti della città di Siris, e nel 374 a.C. fu scelta come capitale della Lega Italiota al posto di Thurii che era caduta in mano ai Lucani. Successivamente verrà creato un agglomerato urbano sulla costa con il nome di Siris, che però con l'antica Siri (Lucania) ha solo continuità onomastica ma non topografica. Secondo altre differenti interpretazioni storico-archeologiche[1], Siris si situava nello stesso territorio di Eraclea. Infatti, secondo tali ricostruzioni storico-archeologiche, la fondazione di Eraclea avvenne nei pressi dello stesso abitato della florida e ricca Siris. Queste nuove interpretazioni sono successive alle recenti ricerche archeologiche dirette dall'archeologo francese Stéphane Verger in collaborazione con l'Università degli Studi della Basilicata e l'École pratique des hautes études di Parigi.
Nel 280 a.C. la città fu teatro della battaglia di Eraclea tra Taranto e Roma. Sempre intorno al 280 a.C. i Romani proposero alla città di Eraclea uno speciale trattato di alleanza, riuscendo a sottrarla all'influenza di Taranto e facendola diventare città confederata di Roma. A questo periodo risalgono anche le tavole di Eraclea, attualmente conservate al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che sono tavole di bronzo con testi in greco riguardanti l'ordinamento pubblico e costituzionale della città. Sul retro di queste è trascritta, in latino, la lex Iulia Municipalis. Alla fine della guerra tra Romani e Tarantini, Eraclea, come tutta la Lucania e la Puglia, cadde sotto il dominio romano. Nel 212 a.C. la città fu assediata e conquistata da Annibale. Successivamente diventò nuovamente una città fiorente, e i suoi abitanti furono descritti come Nobiles Homines da Cicerone nel Pro Archia, l'apologia del poeta Aulo Licinio Archia, cittadino di Eraclea.
Nell'89 a.C. fu data agli Eraclidi la cittadinanza romana con la lex Plautia Papiria. Durante tutta l'età repubblicana, Eraclea viene turbata da tumulti sociali, giunti al culmine nel 72 a.C. con il passaggio di Spartaco. I recenti scavi archeologici, della missione italo-francese, hanno portato alla luce le testimonianze che attestano il passaggio di Spartaco ad Eraclea[2]. Dalle testimonianze archeologiche è emerso che la parte ricca dell'acropoli venne assediata attraverso l'utilizzo di armi da guerra[3]. Durante l'età imperiale cominciò invece la sua decadenza. Vi hanno risieduto il poeta Archia e il grande pittore Zeusi, forse originario della città.
Le rovine sono attualmente visitabili insieme al Museo archeologico nazionale della Siritide di Policoro che custodisce la maggior parte dei reperti lì trovati. Dell'antica città nella parte bassa si possono notare il Tempio di Atena, di cui restano le fondamenta, e il Tempio di Demetra. Sull'acropoli invece i resti della città si sono meglio conservati ed è visibile l'impianto urbano costituito da assi viari ortogonali. A ovest è situato il quartiere dei ceramista con le case con fornaci annesse. A sud e a ovest sono situate le necropoli.


Alba Docilia (Liguria)

 

Alba Docìlia è il nucleo romano di Albisola. Si trova segnata sulla Tabula Peutingeriana, "carta" stradale dell'Impero risalente al IV secolo. Il termine Docilia è un aggettivo stante ad indicare la tribù di appartenenza che era appunto quella dei Liguri Docilii, diffusi tra la zona di Albisola e Sassello. La parola Alba indica invece in generale un abitato più o meno grande, città,[1] anche se il significato preciso pare sia collina, montagna o altura in genere. Dalla stessa radice deriverebbe anche il nome Alpi. Il termine è molto diffuso nel nord Italia in diverse denominazioni di città o paesi come Alba Pompeia (Alba), Albium Intemelium (Ventimiglia), Albium Ingaunum (Albenga). Non manca comunque anche in altre zone come nel Lazio, ad esempio nel caso di Alba Longa. I resti oggi visibili in Piazza Giulio II, di fronte all'uscita della stazione ferroviaria di Albisola Superiore, furono in gran parte messi in luce nel corso degli scavi che il religioso G. B. Schiappapietra condusse nell'Ottocento nell'area degli orti e dei frutteti che circondavano la chiesetta di S. Pietro. Tali scavi portarono anche all'identificazione del toponimo Alba Docilia / Decelia citato dagli itinerari antichi. Altri scavi, condotti negli anni cinquanta del secolo scorso, in occasione della costruzione della stazione, e negli anni settanta, permisero di esporre il perimetro completo dell'area.
Il complesso è stato interpretato come i resti di una villa rustica di età romana. Il quartiere abitativo comprende diversi ambienti e una vasta zona termale organizzata intorno a due peristili mentre il settore rustico-produttivo si sviluppa attorno alla grande corte centrale. Alcuni vani, attualmente nascosti dalla stazione, dovevano essere destinati alla produzione del vino. La villa ebbe il suo massimo periodo di splendore tra il I secolo e il III secolo. Su di essa si insediò l'antica chiesetta di San Pietro. Nel 2008 furono rinvenute nelle vicinanze tre tombe risalenti all'età del Ferro.
Una certa monumentalità della struttura, i numerosi ambienti della parte residenziale e l'estensione del cortile e degli spazi produttivi inducono a pensare che i resti, piuttosto che a una villa, si possano riferire ad una mansio, una stazione di sosta in prossimità della via Julia Augusta.

(foto di Karloskarate)

Anfiteatro romano di Lecce (Puglia)

 

L'anfiteatro romano di Lecce è un monumento di epoca romana situato in piazza Sant'Oronzo. Risale all'età augustea.
Dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali lo gestisce tramite il Polo museale della Puglia, nel dicembre 2019 divenuto Direzione regionale Musei.
L'anfiteatro romano, insieme al teatro, è il monumento più espressivo dell'importanza raggiunta da Lupiae
l'antenata romana di Lecce, tra il I e il II secolo d.C. Augusto, ancor prima di diventare imperatore, passò da Lupiae in un momento particolarmente turbolento.Dopo l’uccisione di Giulio Cesare, cercando in qualche modo di sdebitarsi con l’ospitalità ricevuta si ricordò di Lupiae finanziando la costruzione di 2 grandi edifici da spettacolo: l’anfiteatro romano e il teatro romano di Lecce.
La datazione del monumento è ancora oggetto di discussione e oscilla tra l'età augustea e quella traiano-adrianea.
Il monumento venne scoperto durante i lavori di costruzione del palazzo della Banca d'Italia, effettuati nei primi anni del '900. Le operazioni di scavo per riportare alla luce i resti dell'anfiteatro iniziarono quasi subito, grazie alla volontà dell'archeologo salentino Cosimo De Giorgi e si protrassero sino al 1940.
Attualmente è possibile ammirare solo un terzo dell'intera struttura, in quanto il resto rimane ancora nascosto nel sottosuolo di piazza Sant'Oronzo dove si ergono alcuni edifici e la chiesa di Santa Maria della Grazia. Di fatto l'altezza dell'arena originale era ben superiore rispetto a quella odierna.
L'anfiteatro misurava all'esterno 102×83 m, con l'arena di 53×34 m, e poteva contenere circa 25 000 spettatori.
Del monumento, realizzato in parte direttamente nella roccia e in parte costruito su arcate in opera quadrata, rimangono allo scoperto, oltre ad una parte dell'arena ellittica, intorno alla quale si sviluppano le gradinate dell'ordine inferiore, due corridoi anulari, uno che corre sotto le gradinate, l'altro, esterno, porticato, cui appartengono i numerosi e robusti pilastri, sui quali era imposto l'ordine superiore scandito, al pari di altri similari monumenti, dal Colosseo all'Arena di Verona, in una galleria di fornici.
L'arena, nella quale si tengono spettacoli teatrali e rappresentazioni sceniche di autori antichi e moderni, era divisa dalla cavea da un alto muro che era ornato da un parapetto (podium) adorno di rilievi marmorei a bauletto figuranti scene di combattimento tra uomini ed animali. Anche nel muro di divisione tra l'arena e la cavea si aprivano diversi passaggi di comunicazione col corridoio centrale ed un più angusto corridoio, scavato immediatamente dietro l'arena, era adibito ai servizi del monumento.

Apollo del Tevere, Roma (Lazio)


L'Apollo del Tevere è una statua in marmo, più grande della grandezza naturale, raffigurante Apollo. Si tratta di una copia romana di epoca adrianea o antonina di un originale greco del 450 a.C., ripescata a Roma dal Tevere durante i lavori di costruzione del Ponte Garibaldi (avvenuti tra il 1885 e il 1888). Attualmente è conservata al Museo Nazionale Romano presso il Palazzo Massimo alle Terme di Roma. Dallo stile dell'opera traspare l'influenza della scuola di Fidia, forse si tratta di un'elaborazione dello stesso Fidia, nei suoi anni giovanili, così come suggerisce Jiří Frel; Kenneth Clark afferma che "se questa rappresentazione, al posto dell'Apollo del Belvedere, fosse stata nota al Winckelmann, la sua intuizione e il suo bellissimo dono di ri-creazione letteraria sarebbero stati sostenuti meglio dalle qualità scultoree del soggetto."Di quest'ultimo, inoltre, Brian A. Sparkes ricorda che "l'effetto generale delle copie tende sempre alla dolcezza, ed è così anche qui."
La figura, con i suoi ricci femminili, potrebbe aver avuto un ramo di alloro e l'arco, considerando che non si tratta di un citarista. La pensierosa, malinconica riservatezza di questo Apollo servì da ispirazione per il modello iconografico delle teste raffiguranti Antinoo, soggetto simbolo dell'arte adrianea del secolo successivo.

Un'altra versione della stessa tipologia è stata scoperta nelle rovine di Cherchell, in Algeria, nella provincia romana di Mauretania.
Una copia era presente in passato nei giardini di Villa Borghese.

venerdì 22 dicembre 2023

Museo Arqueológico Rafael Larco Herrera - PERU'

 

Il Museo Larco (nome ufficiale Museo Arqueológico Rafael Larco Herrera) è un museo privato di arte precolombiana situato nel distretto di Pueblo Libre a Lima, in Perù. Il museo è ospitato all'interno di un edificio di epoca coloniale costruito sopra una piramide risalente al VII secolo ed è noto per la più vasta collezione di ceramiche a carattere erotico del mondo.
Rafael Larco Hoyle inizia il processo di formazione delle collezioni del Museo Arqueológico Rafael Larco Herrera a partire da un pezzo che gli venne regalato dal padre nel 1923. Larco Hoyle amplia la propria collezione con l'acquisto di quella di Alfredo Hoyle, poi con la collezione Mejía e, a seguire, con collezioni private provenienti dalle valli di Chicama, Moche, Virú e Santa. Il museo, intitolato al padre di Larco Hoyle, viene fondato nel 1926. La collezione del museo cresce con l'acquisizione della collezione Carranza (all'incirca 3000 pezzi), nel 1933 con la collezione Roa (8000 pezzi circa, tra cui vasellame, ceramiche e oggetti di metallo) e in seguito con ulteriori collezioni provenienti da diverse parti del paese. Negli anni cinquanta, Rafael Larco decide di trasferirsi a Lima e sposta nella capitale anche il suo museo. L'edificio che ospita il museo apparteneva alla famiglia Luna Cartland, potente famiglia del XVIII secolo.
Il museo ha diverse esposizioni permanenti di manufatti delle culture dell'antico Perù come Mochica, Civiltà Chimú, Chincha, Chavín, Huari e Inca. La Galería de Oro y Joyas espone la più vasta collezione di manufatti d'oro e d'argento del Perù precolombiano. Comprende una serie di corone, orecchini, ornamenti nasali, braccialetti, maschere e vasi finemente lavorati e decorati da pietre semipreziose. La Galería de Arte Erótico, per la quale il Museo Larco è particolarmente noto, è caratterizzata da ceramiche che rappresentano dettagliatamente scene di atti sessuali. Alcune di esse sono la rappresentazione di episodi mitici mentre altre hanno una connotazione rituale. Le rappresentazioni sessuali sono in relazione con altri temi della vita quotidiana come la produzione agricola, le pratiche funerarie o le cerimonie sacrificali. La Galería de las Culturas copre tre sale ed ospita oggetti di ceramica e pietra delle culture dell'antico Perù, disposti in sequenza cronologica regionale (costa nord, costa centrale, costa sud e sierra) per un arco temporale di oltre cinquemila anni di storia precolombiana.

giovedì 21 dicembre 2023

Museo archeologico nazionale di Venezia (Veneto)

 

Il Museo archeologico nazionale di Venezia è un museo statale dedicato all'archeologia, situato in piazza San Marco, presso le Procuratie Nuove. Ospita una raccolta d'antichità, frutto del collezionismo veneziano, con esempi di sculture greche del V-IV secolo a.C., i Galati Grimani, ritratti di epoca romana, rilievi, iscrizioni, ceramiche, avori, gemme e una raccolta numismatica.
Nel 2013, col circuito museale dei musei di piazza San Marco, è stato il diciannovesimo sito statale italiano più visitato, con 265.034 visitatori. Nel 2015 ha fatto meglio con 298.380 visitatori, migliorando ulteriormente nel 2016 con 344.904 visitatori, risultando il diciottesimo sito statale per numero di visitatori.
Dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali lo gestisce tramite il Polo museale del Veneto, nel dicembre 2019 divenuto Direzione regionale Musei.
Il Museo archeologico nazionale ha avuto origine nel Cinquecento, per le donazioni di famiglie veneziane, acquistando in questo modo carattere collezionistico.
Nel 1523, il cardinale Domenico Grimani (1461-1523) lasciò in eredità alla Repubblica di Venezia un gruppo di sculture antiche provenienti dalla sua collezione privata. La maggior parte di queste opere proveniva da una vigna nei pressi del Quirinale a Roma, dove il cardinale stava edificando la propria residenza.
Il nipote, Giovanni Grimani (1500-1593), a partire dal 1563 si dedicò all'ampliamento e alla decorazione delle sale del palazzo di famiglia a Santa Maria
Formosa, con lo scopo di creare un allestimento scenico per accogliere la propria collezione. Questa fu ospitata al primo piano del palazzo: quasi duecento sculture greche e romane furono ordinatamente collocate nella sala centrale. La raccolta comprendeva sculture provenienti dai possedimenti romani della famiglia, un nucleo di marmi giunto dalla terraferma veneziana e dalla costa istriana e sculture antiche provenienti dalla Grecia. Nel 1587 anche questa raccolta venne donata alla Repubblica di Venezia e il 3 febbraio il collegio dei senatori, d'accordo con Giovanni, stabilì che tutti i marmi Grimani fossero ospitati nell'antisala della Libreria Marciana.
Nel 1593, alla morte di Giovanni Grimani senza che l'allestimento della collezione fosse completato, i senatori della Repubblica incaricarono di curare l'allestimento della collezione Federico Contarini. Questi, contando sul Consiglio dei Dieci e giungendo ad un accordo con alcuni nipoti del patriarca, decise di lasciare nel palazzo Grimani alcune sculture mentre altre vennero trasportate nello "Statuario pubblico". Questo allestimento fu completato nel 1596, grazie anche ad alcune donazioni dello stesso Federico Contarini.
Altre donazioni di opere si ebbero nel 1683 (medagliere di Pietro Morosini) e nel 1795 (gemme e vasi antichi di Girolamo Zulian). Nel Settecento Anton Maria Zanetti redasse un inventario, grazie al quale conosciamo la disposizione dello Statuario e il suo aspetto.
Nel 1811 le ulteriori donazioni avevano accresciuto le opere dello Statuario a tal punto che alcune di esse dovettero essere esposte presso il Palazzo Ducale.
Durante la prima guerra mondiale le opere ospitate nel Palazzo Ducale vennero spostate a Firenze, per poi ritornare a Venezia tra il 1919 e il 1920. In quegli anni fu realizzata un'adeguata sistemazione delle opere nelle Procuratie Nuove, dove furono organizzate per epoche e per correnti artistiche. Per tutto il secolo il numero delle opere ha continuato ad aumentare.
Percorso espositivo
La sala I ospita iscrizioni greche, tra le quali alcuni decreti appartenenti a città dell'isola di Creta e l'iscrizione funeraria per Sokratea (II secolo a.C.), un frammento di piede di una statua colossale, un altorilievo con Mitra nell'atto di uccidere il toro e due monumenti funerari attici (II secolo). Sono anche presenti ritratti e frammenti di epoca romana.
La sala II, un lungo corridoio, espone sulle pareti la collezione numismatica del museo, con oltre 9000 esemplari di monete dal periodo greco a quello bizantino.
La sala III conserva copie romane di originali greci della prima metà del V secolo a.C., tra le quali la replica romana della testa di Ermes attribuita alla scuola dello scultore Agoracrito, una testa di kore attribuita alla scuola dello scultore Calamide, una statuetta di Artemide in marcia del I secolo a.C., la cui testa è stata ricostruita in gesso sul modello di una copia di età pompeiana, e due Cariatidi, una delle quali (quella di sinistra) proveniente dall'isola di
Cherso.
La sala IV ospita originali greci di età classica (fine del V-prima metà del IV secolo a.C.), in gran parte di ispirazione fidiaca, appartenenti alle collezioni di Giovanni Grimani e di Federico Contarini e provenienti da diverse località del mar Egeo (Grecia, Creta, Asia Minore). Tra queste le statue di dimensioni inferiori al vero delle peplophoroi ("portatrici di peplo"). Forse provenienti da un santuario greco sono due statue di Demetra di produzione attica (prima metà del IV secolo a.C.), del tipo della statua attribuita a Cefisodoto il Vecchio, una statua di kore di scuola ionica (inizi del IV secolo a.C.), nota come Abbondanza Grimani e restaurata in epoca rinascimentale e una statua di Atena di scuola attica (410 a.C. circa), con testa romana non pertinente del II secolo ricomposta con il corpo in epoca rinascimentale.
Nella sala V sono esposte copie romane di sculture greche del V-IV secolo a.C., tra cui le copie dell'Atena di Kresilas e dell'Apollo Liceo di Prassitele, la copia di una testa di Meleagro della scuola di Skopas e di una testa di Dioniso della scuola di Lisippo. Sono anche presenti due teste di Atena,
entrambe originali attici del IV secolo a.C.: la prima, datata alla prima metà del secolo, riprende la testa della Atena Parthenos di Fidia, priva di elmo, mentre la seconda, realizzata nella seconda metà dello stesso secolo, è riconducibile a uno scultore della scuola di Skopas. Alla sinistra della porta d'ingresso è collocata una statua acefala di Atena Nike proveniente da Creta (II secolo a.C.). Accanto alla porta verso la sala successiva sono rilievi votivi e funerari.
La sala VI è dedicata alle opere dello scultore Lisippo e alle testimonianze della scultura ellenistica, con ritratti greci dall'Asia Minore e dall'Egitto del III-I secolo a.C., tra i quali quello di un fanciullo e quello di Tolomeo III Evergete). Vi è conservata anche la copia romana di un Dioniso con satiro della seconda metà del II secolo a.C. Al centro della sala è esposta l'Ara Grimani, forse il basamento di una statua, decorata con satiri e menadi a rilievo e con modanature e decorazioni vegetali di epoca augustea.
La sala VII ospita manufatti in bronzo dell'età del bronzo e del ferro (V secolo a.C.-III secolo), rinvenuti nella zona di Treviso. Nelle vetrine sono esposte gemme e cammei, tra i quali il Cammeo Zulian, in onice raffigurante Zeus Egioco. Vi si trova anche parte della collezione numismatica, con monete
greche provenienti dalla Dalmazia e monete romane della Roma repubblicana; e la stele funeraria di Lisandro, proveniente da Smirne, databile attorno al II secolo a.C.
Nella sala VIII sono ospitate copie romane di originali ellenistici, tra i quali Ulisse, i tre Galati Grimani (raffigurati nell'atto di cadere, in ginocchio e morto), da originali della scuola di Pergamo databili al III e II secolo a.C. e statue raffiguranti Eros e Psyche, l'Ermafrodito e satiri. Sul lato destro è presente la statua di una musa, originale del II secolo a.C. proveniente dall'Asia Minore che venne trasformata in Cleopatra nel restauro rinascimentale attribuibile alla bottega dei Lombardo.
Nella sala IX sono ospitati ritratti romani, soprattutto di personaggi della famiglia imperiale (Pompeo, Silla, Augusto, Tiberio, Domiziano, Traiano e Adriano. Altri ritratti sono repliche rinascimentali di modelli romani, come il Caracalla Farnese.
La galleria di ritratti romani prosegue nella sala X (cosiddetto Balbino, Caracalla giovinetto, Filippo il giovane e Lucio Vero e ritratti femminili, tra cui due dame di età flavia e Plautilla). Una vetrina ospita la capsella di Samagher, un reliquiario in avorio e argento del V secolo con scene e simbologie di carattere cristiano. Alle pareti sono presenti rilievi di epoca romana.
La sala XI ospita una collezione di sarcofagi, tra cui parte di un esemplare a ghirlande con il ratto di Proserpina, la fronte di un altro con la strage dei Niobidi (entrambi del II secolo) e un frammento di sarcofago attico con la scena della battaglia presso le navi (III secolo). A sinistra sono presenti due lastre appartenenti al cosiddetto trono di Saturno (I secolo), provenienti da Ravenna e collocate nella
veneziana chiesa di Santa Maria dei Miracoli, da dove furono spostate al museo nel 1812 per
interessamento di Antonio Canova.
Le sale XIII e XIV ospitano monumenti funerari romani, urne e altari. Tra questi un rilievo sepolcrale raffigurante la storia dei fratelli argivi Kleobis e Biton (metà del II secolo) e un'urna cineraria doppia, decorata a rilievo con festoni e sfingi.
Nella sala XV è conservata una collezione di ceramica micenea, cipriota e greca a figure nere e a figure rosse, prodotta in Attica, Magna Grecia e Lazio, oltre ad un frammento di bucchero etrusco.
La sala XVII ospita due mattoni con iscrizioni in alfabeto cuneiforme dell'epoca di Nabucodonosor II; rilievi assiri raffiguranti scene di corte, di guerra e di caccia del I millennio a.C., rinvenuti nell'attuale Iraq in scavi ottocenteschi dell'archeologo Inglese e scopritore di Ninive, Austen Henry Layard ed entrati nel museo nel 1891, precedentemente esposti nella galleria Layard a Ca' Cappello; e sculture egizie di epoca tarda (712-332 a.C.), tra cui una statua-cubo in basalto e due naofori. Di fronte si trovano un candelabro di epoca romana e alcune raffigurazioni di divinità egizie. In
una vetrina dedicata al tema "religione e magia" si trovano reperti di epoca greco-romana in stile egizio, scarabei egizi e altri amuleti, due stele magiche e un pilastrino di sostegno di una piccola statua con un testo geroglifico.
La sala XVIII conserva statuette femminili acefale, originali di epoca greca classica, ritratti maschili, copie romane di originali greci (tra cui una testa dall'Hermes Propylaios). Sulla parete destra sono tre teste di scuola alessandrina in pietra nera (I secolo a.C.).
Nella sala XX si trovano antichità egizie e assiro-babilonesi, con opere di ambito funerario o templare, tra cui due mummie (I-II secolo), una delle quali conservava un frammento di papiro sul quale era riportata parte del "Libro delle respirazioni", statuette di "ushabti", vasi canopi e statuette e bronzetti raffiguranti divinità egiziane. Sulla parete di sinistra sono esposti rilievi funerari dalla Grecia orientale.


nelle foto, all'alto in basso:
- Mummia con maschera e copripiedi in cartonnage, I-II sec. d.C. Collezione Salvatore Arbib, 1899
- Nereide su Delfino, Replica di epoca romana da modello greco del 390 a.C. Da Ierapetra (Creta) Collezione Federico Contarini, 1596
- Demetra, Scuola attica, metà del IV sec. a.C. Collezione Giovanni Grimani, 1587
- Epichysis sovradipinta, con tralcio di vite fine IV sec. a.C. Deposito dei Civici Musei Veneziani, 1939
- Statuetta di Ercole con i pomi delle Esperidi Fine II – inizio III sec. d.C. Rinvenuta al largo di Malamocco (Venezia), 1983
- Statua cubo di dignitario, Età saitica, XXV – XXVI dinastia (VIII-VII secolo a.C) Collezione Girolamo Zulian, 1795
- Cammeo con Giove Egioco, Prima metà del II sec. d.C. Da Efeso Collezione Girolamo Zulian, 1795
- Frammento di sarcofago con scena di battaglia, Officina attica, inizi del II sec. d.C. da Roma Collezione Giovanni Grimani 1587



Statuine olmeche - MESOAMERICA

 

Le statuine olmeche sono una serie di statuette archetipiche prodotte dagli abitanti della Mesoamerica durante il cosiddetto periodo formativo o periodo preclassico. Benché molte di queste statuine possano o no essere state prodotte direttamente da popoli dell'area nucleare olmeca, esse presentano le caratteristiche e i motivi della cultura olmeca. Anche se l'estensione del controllo olmeco sulle aree al di là della loro area centrale non è ancora nota, le statuine del periodo formativo con motivi olmechi erano diffuse nei secoli dal 1000 al 500 a.C., mostrando una coerenza di stile e di soggetti per quasi tutta la Mesoamerica.
Queste statuine si trovano di solito tra i rifiuti delle case, nei riporti di antiche costruzioni e (al di fuori dell'area nucleare olmeca) nelle tombe, sebbene molte statuine in stile olmeco, in particolare quelle etichettate come stile di Las Bocas o di Xochipala, siano state recuperate dai saccheggiatori e siano perciò prive di indizi sulla loro provenienza.
La grande maggioranza delle statuine sono con un disegno semplice, spesso nude o con indumenti ridotti al minimo, e fatte di terracotta locale. La maggior parte di questi ritrovamenti sono semplici frammenti: una testa, un braccio, un torso o una gamba. Si pensa, in base ai busti di legno recuperati dal sito invaso dall'acqua di El Manatí, che le statuine fossero anche scolpite nel legno, ma, se così, nessuna è sopravvissuta.
Più durature e meglio conosciute dal grande pubblico sono quelle statuine scolpite, di solito con una certa abilità, nella giada, nel serpentino, nella pietra verde, nel basalto e in altri minerali e pietre.
Statuine "volto di bambino"
Le statuine "volto di bambino" (baby-face) sono un indicatore esclusivo della cultura olmeca, costantemente rinvenute in siti che mostrano l'influenza olmeca, anche se sembrano essere limitate al periodo iniziale degli Olmechi e sono in gran parte assenti, per esempio, a La Venta.
Queste figurine di ceramica sono facilmente riconoscibili dal corpo paffuto, la faccia col doppio mento simile a un bambino, la bocca rivolta verso il basso e gli occhi gonfi a fessura. La testa è leggermente a forma di pera, probabilmente a causa della deformazione cranica artificiale. Spesso indossano un casco aderente non dissimile da quelli indossati dalle colossali teste olmeche. Le statuine volto di bambino di solito sono nude, ma senza organi genitali. I loro corpi sono raramente resi con lo stesso dettaglio mostrato sui loro volti.
Chiamate anche "bambini vuoti", queste statuette sono in genere alte da 25 a 35 cm e presentano una ceramica molto brunita color bianco o crema. Solo raramente si trovano nel contesto archeologico.
L'archeologo Jeffrey Blomster divide le statuine volto di bambino in due gruppi in base alle diverse caratteristiche. Tra i molti fattori distintivi, le statuine del Gruppo 1 rispecchiano più strettamente le caratteristiche dei manufatti olmechi della Costa del Golfo. Le statuine del Gruppo 2 sono inoltre più sottili di quelle del Gruppo 1, manca la faccia col doppio mento o il corpo carnoso ed i loro corpi sono più grandi in proporzione alla testa.
Dato l'elevato numero di statuine volto di bambino portate alla luce, esse svolgevano senza dubbio qualche ruolo speciale nella cultura olmeca. Che cosa rappresentassero, tuttavia, non è chiaro. Michael D. Coe dice: "Uno dei grandi enigmi nell'iconografia degli Olmechi è la natura e il significato dei grandi, cavi, bambini di ceramica".
Uomo allungato
Un altro stile comune delle statuette le presenta in piedi in una rigida posa artificiale; le figurine sono caratterizzate da arti sottili, allungati, teste calve, piatte, occhi a mandorla e bocche rivolte verso il basso. Le gambe delle statuine di solito sono separate, spesso dritte, a volte piegate. Le dita dei piedi e delle mani, se mostrate, sono spesso rappresentate da linee.
È stato teorizzato che le teste piatte, allungate, siano un'indicazione della pratica della deformazione cranica artificiale, come si trova nelle sepolture di Tlatilco dello stesso periodo o tra i Maya di un'epoca successiva. Nessuna prova diretta di questa pratica è però stata trovata nell'area nucleare olmeca.
Le orecchie hanno spesso piccoli fori per svasature delle orecchie o altri ornamenti. Queste figurine possono pertanto avere avuto un tempo orecchini e anche vestiti realizzati in materiali deperibili. È stato proposto che queste figurine avessero differenti abbigliamenti per le diverse occasioni rituali - come dice Richard Diehl, "una versione pre-colombiana di Ken di Barbie".
Queste statuine sono di solito scolpite in giada e ben inferiori ai 30 cm di altezza. 
Offering 4 a La Venta
Nel sito archeologico di La Venta, gli archeologi hanno trovato quello che in seguito è stato chiamato "Offering 4". Queste statuine erano state sepolte ritualmente in un profondo buco stretto e ricoperte con tre strati di argilla colorata. Ad un certo punto dopo la sepoltura originale, qualcuno ha scavato un piccolo foro giù al livello delle loro teste e poi lo ha ricoperto.
L'Offering 4 è costituito da sedici statuette maschili posizionate a semicerchio di fronte a sei utensili primitivi di giada, forse rappresentanti stele o colonne di basalto. Due delle statuine sono state fatte di giada, tredici di serpentino, e una di granito rossastro. Questa statuetta in granito è stata posizionata con le spalle alle stele, di fronte alle altre. Tutte le statuine avevano caratteristiche olmeche classiche simili, comprese le teste allungate calve. Avevano piccoli fori per gli orecchini, le gambe erano leggermente piegate e non erano decorate - insolito se le statuine erano dei o divinità - ma invece ricoperte di cinabro.
Le interpretazioni abbondano. Forse questa particolare formazione rappresenta un consiglio di qualche tipo, le altre quindici statuette sembrano essere in ascolto di quella rossa di granito, con le colonne che formano uno sfondo. In una delle "offering" più sorprendenti trovate a La Venta, le colonne nell'offerta numero 4, raffigurano una persona con un copricapo cerimoniale "volante" e anche la divinità del mais. Sembra che ci sia un collegamento simbolico preciso qui, ma non è chiaro se è legato al rudimentale sistema di scrittura olmeco. Alla destra delle statuetta di granito rosso, sembra che ci sia una linea di tre statuette in fila davanti ad essa. Un altro ricercatore ha suggerito che la figura in granito sia un iniziato.
Come suggerisce il nome, Offering 4 è una delle tante offerte rituali scoperte a La Venta, comprese le quattro offerte massive (Massive Offerings) e quattro mosaici. Il motivo per cui tali opere sarebbero state sepolte continua a generare molte speculazioni.
Motivo dell'"uomo-giaguaro"

Il cosiddetto motivo dell'uomo-giaguaro attraversa gran parte dell'arte olmeca, dalla più piccola in giada ad alcune delle più grandi statue di basalto. Il motivo si trova inciso su utensili primitivi, assi votive, maschere e sulle statuine "uomo allungato".
Definito anche, in modo più neutrale, l"antropomorfo composito" o il "bambino della pioggia", il corpo dell'uomo-giaguaro, se visibile, è un bambino o simile a un bambino. Gli occhi sono a mandorla, od occasionalmente a fessura. Il naso è umano. La bocca rivolta verso il basso è aperta, come se fosse a metà di un urlo. Il labbro superiore è estroflesso e le gengive sdentate sono spesso visibili. I motivi olmechi associati all'uomo-giaguaro comprendono una fenditura sulla testa o un copricapo, una fascia intorno alla testa e traverse
La maggior parte delle figure dell'uomo-giaguaro mostrano un bambino di uomo-giaguaro inerte che è tenuto da un adulto.
Figure con trasformazione
Molte altre statuine olmeche combinavano caratteristiche umane e animali, compresa questo uomo-aquila (a sinistra). Anche se le statuine che mostrano tali combinazioni di caratteristiche sono generalmente chiamate "figure con trasformazione", alcuni ricercatori sostengono che esse rappresentano esseri umani con maschere di animali o costumi animali, mentre altri affermano che esse rappresentano probabilmente sciamani.
La figura con trasformazione visibile qui mostra caratteristiche simili a un pipistrello. Più comuni, tuttavia, sono le statuine con la trasformazione in giaguaro, che mostrano una grande varietà di stili, che vanno da statuine simili a uomini a quelle che sono quasi completamente giaguari e parecchie in cui il soggetto appare mentre è in una fase di trasformazione.
Statuine naturalistiche
Nonostante le molte statuette stilizzate, gli artigiani e gli artisti del periodo olmeco ritraevano naturalisticamente anche esseri umani con "una tecnica realistica estremamente straordinaria". La foto in cima a questa voce mostra un certo numero di piccole statuette naturalistiche.
Statuine di nani o in stile fetale
Un altro tipo di statuina olmeca molto diffusa presenta figure accovacciate con corpi sottili e teste ovali molto grandi con nasi piccoli e menti sfuggenti. Alcuni ricercatori come Miguel Covarrubias descrivono generalmente queste statuine come "nani". Molti altri, tra cui anche Covarrubias, vedono la prova di "quello che sembra la postura pre-natale". In un articolo del 1999, Carolyn Tate e Gordon Bendersky analizzarono i rapporti fra testa e corpo e conclusero che queste figurine sono sculture naturalistiche di feti e discussero la possibilità di infanticidio e di sacrificio infantile.

Le foto, dall'alto in basso:
Una selezione di minuscole statuine olmeche naturalistiche in ceramica dal Metropolitan Museum of Art. Il gobbo al centro è alto meno di 7 cm.
Una statuina archetipica con volto di bambino da Las Bocas.
Statuetta di uomo allungato in serpentino verde scuro. Alcuni intarsi, andati perduti, vivacizzavano un tempo gli occhi, le orecchie, il naso e la bocca.
Offering 4 a La Venta
Statuina di uomo-giaguaro
Statuina olmeca con trasformazione in aquila, X-VI secolo a.C. Giada (albite), con cinabro.
Una statuina in stile fetale in giada da Guerrero, Messico. Altezza: 9,5 cm. 


Via Lauretana (Toscana)

  La  via Lauretana  è un'antica strada etrusco-romana della Val di Chiana che collegava Cortona a Montepulciano e Siena. Venne realizza...