sabato 27 gennaio 2024

Colonna di Marciano, Istanbul - TURCHIA

 

La colonna di Marciano è un monumento che fu eretto a Costantinopoli (moderna Istanbul) dal praefectus urbi Taziano (450-c.452) e dedicato all'imperatore Marciano (450-457).
Realizzata in granito egiziano grigio-rosso, la colonna ha una base quadrangolare, composta da quattro lastre di marmo bianco decorate con cristogrammi dentro clipei su tre lati e con due Vittorie alate (o Nikai) che reggono uno scudo. Sulla colonna è un capitello corinzio sormontato da un piedistallo con quattro aquile poste agli angoli, sul quale era probabilmente posta la statua di Marciano.
Sul lato settentrionale della base c'è la seguente iscrizione:
«Principis hanc statuam Marciani / cerne torumque / praefectus vovit quod Tatianus / opus»
(«Osserva questa statua del princeps Marciano / e la sua colonna, / [eretta] perché il prefetto Taziano fece voto / di questa opera»)
Il nome turco della colonna, Kıztaşı ("colonna della ragazza") è spiegato da due racconti tradizionali. Nel primo una ragazza si rifugia sulla sommità della colonna per proteggersi dai serpenti, in quanto le è stato profetizzato che morirà per il morso di uno di questi, ma un serpente passa per un foro e la uccide. Nella seconda versione il piedistallo della statua è un sarcofago per la figlia di un sultano; allo scopo di difendere i resti della ragazza da formiche e serpenti, la colonna è tramutata in un talismano. Probabilmente le leggende nascono dall'errata interpretazione del piedistallo come una fanciulla con davanti un grosso serpente, dal momento che la scena originale (due Vittorie che reggono uno scudo) è ormai quasi illeggibile.

Ponte dei Severi - TURCHIA

 

Il ponte dei Severi (noto anche come ponte Chabinas o ponte Cendere o ponte di Settimio Severo; in turco Cendere Köprüsü) è un ponte tardo romano situato nei pressi dell'antica città di Arsameia (oggi Eskikale), 55 km a nord-est di Adıyaman nel sud-est della Turchia. Attraversa il fiume Cendere Çayı (Chabinas Creek), un affluente del Kâhta Creek, sulla strada provinciale 02-03 da Kâhta a Sincik nella provincia di Adıyaman. Questo ponte è stato descritto e raffigurato nel 1883 dagli archeologi Osman Hamdi Bey e Osgan Efendi. Una sua foto insieme ad una sua descrizione compaiono nell'opera "Wandering Scholar in The Levant" di David George Hogarth, pubblicata nel 1896, nel capitolo 4. È anche presente una descrizione di una visita nel 1894.
Il ponte è costruito ad arco semplice, su due rocce nel punto più stretto del torrente. Con i suoi 34,2 m di luce, la struttura è molto probabilmente il secondo più grande ponte ad arco romano esistente. È lungo 120 m e largo 7 m.
Il ponte fu ricostruito dalla Legio XVI Gallica, che presidiava con una guarnigione l'antica città di Samosata (oggi Samsat), in previsione di una guerra con i Parti . Le città del Regno di Commagene innalzarono quattro colonne corinzie sul ponte, in onore dell'imperatore romano Lucio Settimio Severo (193-211), della sua seconda moglie Giulia Domna e dei loro figli Caracalla e Geta come indicato nell'inscrizione in latino sul ponte.. Tutte possiedono un'altezza di 9-10 metri. La colonna di Geta, tuttavia, fu rimossa dopo l'assassinio per volere di Caracalla, che ordinò che il nome del fratello fosse rimosso da tutte le iscrizioni.
Il ponte severiano è situato all'interno di uno dei parchi nazionali più importanti della Turchia, che contiene anche Nemrut Dağı, con i famosi resti del regno di Commagene, dichiarato Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO. Nel 1997 il ponte fu restaurato ed il traffico veicolare limitato a 5 tonnellate. Il ponte è ora chiuso ai veicoli ed è stato costruito un nuovo ponte stradale 500 m a est del vecchio ponte.

Samsat - TURCHIA

 
Samsat 
è una piccola città situata nella provincia di Adıyaman in Turchia, lungo l'alto corso dell'Eufrate.
Le ricerche archeologiche svolte sulla collina di Şehremuz, a Samsat, hanno portato alla luce reperti risalenti al paleolitico (7000 a.C.), al neolitico (5000 a.C.), all'età del rame (3000 a.C.) ed all'età del bronzo (dal 3000 a.C. al 1200 a.C.). L'antica città di Ḫaḫḫum (Lingua ittita: Ḫaḫḫa) si trovava poco distante, ed è ricordata come fonte di oro per Sumer.
Samsat (Samosata) fu in seguito la capitale fortificata del Regno di Commagene fondato nel 69 a.C., la civiltà che costruì le statue sulla sommità del vicino monte Nemrut Dağı. La città di Samosata rimase un centro politico regionale anche durante il periodo ottomano.
La vecchia città di Samsat e la sua storia furono sommersi dalla diga di Atatürk nel 1989. La nuova città fu ricostruita accanto al nuovo bacino idrico per mano del governo, al fine di ospitare gli sfollati dell'antico centro.


Anazarbo - TURCHIA

 


Anazarbo fu un'antica città della Cilicia, nell'attuale Turchia, posta nella pianura aleiana a 15 chilometri a occidente del corso principale del fiume Piramo, nei pressi del fiume immissario Sempas Su. L'acropoli sorge su un saliente isolato.
La città era di epoca pre-romana; sotto l'Impero romano assunse il nome di Cesarea (Caesarea) e divenne la metropoli della provincia della Cilicia Secunda.
Nel 525 fu ricostruita a seguito di un terremoto per volere dell'imperatore Giustino I, che le cambiò il nome in Giustinopoli (Justinopolis), ma l'antico nome nativo resistette e, quando Thoros I d'Armenia ne fece la capitale del Regno armeno di Cilicia, all'inizio del XII secolo, era nota come Anazarva.
Dioscoride di Anazarbo, Giuliano di Anazarbo e Oppiano di Anazarbo erano originari di questa città.


Gonur Depe - TURCHIA

 

Gonur Depe è un sito archeologico, datato nel periodo compreso tra il 2400 e il 1600 a.C., che si trova a circa 60 km a nord di Mary (l'antica Merv), in Turkmenistan, costituito da un grande insediamento della prima età del bronzo, il principale della Civiltà dell'Oxus. Il sito, oggetto si scavi e studi decennali, ha riportato alla luce una zona dove si trovava un complesso di palazzi, un'altra di tipo religioso che ruotava intorno ad un temenos dove si celebravano riti dedicati al fuoco, oltre ad alcune necropoli.

foto di Kenneth Garrett, da National Geographic

Santuario di Yazılıkaya - TURCHIA

 

Il santuario di Yazılıkaya (in turco: "roccia incisa") era un importante santuario situato ad Ḫattuša, antica capitale dell'impero ittita. Operativo a partire almeno dal XVI secolo a.C., il santuario riflette le principali caratteristiche dell'architettura ittita, conservando a distanza di secoli vari monoliti, incisioni nella roccia e imponenti portali.
Suddiviso in due camere principali (A e B, quest'ultima nella foto sopra), ricavate in alcuni affioramenti rocciosi, l'accesso era consentito da diverse strutture d'ingresso, delle quali rimangono solo le fondamenta.

Stele di Xanto - TURCHIA

 

La stele di Xanto è uno dei più importanti reperti archeologici presenti nel sito archeologico di Xanto.
Si tratta di un elemento architettonico sovrastante un sepolcro, collocabile intorno al V secolo a.C. La stele reca un'iscrizione bilingue, in licio e greco antico, ricoprente tutte e quattro le sue facce. Le attuali conoscenze della lingua licia derivano in gran parte da queste iscrizioni.

Antica strada a Tarso - TURCHIA

 

Antica strada  è il tratto rinvenuto di un'antica strada nella storica città di Tarso, in Turchia.
Tarso, un'antica città conosciuta come il luogo di nascita dell'apostolo Paolo, è ad oggi un importante centro distrettuale nella provincia di Mersin, in Turchia. La strada è stata scoperta casualmente durante uno scavo edile nel 1993. La costruzione è stata bloccata e la strada è ora circondata da una rete metallica per protezione.
La strada fu costruita durante l'Impero Romano, probabilmente nel I secolo d.C.  La larghezza della strada è di 6,5 metri (21 ft). Il materiale usato per la costruzione è pietra basaltica e sotto la strada era stata realizzata una rete fognaria che la rende unica tra le altre strade anatoliche dell'epoca. A ovest e a est della strada ci sono degli stilobati. 
È presente una strada romana a nord di Tarso, ma non si sa se le due strade fossero collegate durante i tempi antichi.

venerdì 26 gennaio 2024

Nicomedia - TURCHIA

 

Nicomedia era un'antica città dell'Anatolia (dal greco Νικομήδεια, oggi la moderna İzmit in Turchia). Fu fondata attorno al 712/711 a.C. come colonia megarese con il nome di Astacus. Dopo la sua distruzione ad opera di Lisimaco fu ricostruita intorno al 264 a.C. dal re ellenistico Nicomede I, che le diede il nome. Nicomedia fu fondata nel 264 a.C. dal re Nicomede I, re di Bitinia, vicino al sito dell'antica città di Astacos, colonia di Megara, poi distrutta da Lisimaco. Qui Annibale trascorse i suoi ultimi anni (attorno al 183 a.C.), suicidandosi nei pressi di Libyssa (Gebze). Qui a Nicomedia si rifugiò Prusia II, re di Bitinia dal 181 a.C., il quale, dopo essersi scontrato tra il156 e il 154 a.C. con Attalo II, re di Pergamo, era stato costretto da Roma a rinunciare alle proprie conquiste, oltre a pagare un pesante tributo. A Nicomedia egli fu ucciso presso il tempio di Giove nel 149 a.C. dal figlio Nicomede II, che Prusia aveva tentato di escludere dalla successione. Nell'85 a.C. il consolare Lucio Valerio Flacco fu costretto a fuggire da Bisanzio ed a rinchiudersi a Nicomedia, dove poco dopo fu raggiunto dal rivoltoso Gaio Flavio Fimbria, il quale lo fece catturare e decapitare, gettando la sua testa in mare e lasciando il corpo senza sepoltura. Nel corso della terza guerra mitridatica, Mitridate VI si rifugiò nella città di Nicomedia con parte della flotta, mentre il generale romano Lucio Licinio Lucullo stava assediando Lampsaco (nel 73 a.C.). Sesto Pompeo dopo essere stato sconfitto nella battaglia di Nauloco dalle forze navali di Marco Vipsanio Agrippa, generale di Ottaviano, si rifugiò in Oriente, dove chiese aiuti finanziari e militari dalle città di Nicea e Nicomedia, ottenendoli (nel 36-35 a.C.).
Lo storico Arriano nacque in questa città. Nel 64 a.C. divenne capitale della provincia di Bitinia e Ponto. La città fu probabilmente visitata dall'Imperatore Marco Aurelio nel corso del suo viaggio in Oriente del 175-176, a seguito della ribellione di Avidio Cassio; dall'Imperatore Settimio Severo durante il periodo delle campagne partiche degli anni 197-198. Vi trascorse l'inverno del 214/215 l'imperatore Caracalla in vista delle campagne contro i Parti e pochi anni più tardi anche Elagabalo nel 218/219. Ancora potrebbe essere stata visitata dall'Imperatore Gordiano III durante il periodo delle campagne sasanidi degli anni 242-244.
Nel 256 una nuova invasione di Goti percorse il Mar Nero via mare, avanzando fino al lago di Fileatina (l'attuale Durusu) ad occidente di Bisanzio. Da qui proseguirono fin sotto le mura di Calcedonia. Molte altre importanti città della Bitinia, come Prusa, Apamea e Cio furono saccheggiate dalle armate gotiche, mentre Nicomedia e Nicea furono date alle fiamme. Pochi anni più tardi, nel 261-262, la città fu nuovamente devastata ed incendiata da un'invasione di armate gotiche.
Qui fu elevato al rango di Augusto, Diocleziano il 20 novembre del 284, tanto che lo stesso la scelse come una delle sue capitali del nuovo sistema tetrarchico della parte orientale dell'Impero per la sua posizione strategica, nelle vicinanze dello stretto dei Dardanelli e del Bosforo. E infatti sotto Diocleziano venne molto arricchita e nel 305 vi fu costruito un ippodromo, un anno dopo i Decennalia di regno. Nel 311 la città vide promulgare un editto di tolleranza verso i Cristiani. Tale editto concedeva una indulgenza ai Cristiani, ovvero i cittadini che avendo "assecondato un capriccio erano stati presi da follia e non obbedivano più alle antiche usanze". Il documento affermava che:
«in nome di tale indulgenza, essi farebbero bene a pregare il loro Dio per la Nostra salute, per quella della Repubblica e per la loro città, affinché la Repubblica possa continuare ad esistere ovunque integra e loro a vivere tranquilli nelle loro case.»
Il 25 luglio del 325 furono, invece, celebrati i Decennalia di Costantino I, in occasione dei suoi vent'anni di regno.
Perse il ruolo di centro dell'Impero nel 330, con il trasferimento della capitale a Costantinopoli, sebbene Costantino I morisse in una villa imperiale non molto distante da Nicomedia nel 337. Qui si trasferì Costanzo Gallo nel settembre del 354. Fu distrutta da un terremoto nella primavera del 357, pochi anni prima che qui vi facesse visita l'imperatore Flavio Claudio Giuliano (inizi del 362). Ecco come viene descritta la città e le sue rovine, dallo storico Ammiano Marcellino, contemporaneo agli eventi: «[...] dopo aver attraversato lo stretto [...] venne a Nicomedia, città famosa fin dall'antichità, che fu tanto ampliata dagli imperatori precedenti con un gran numero di edifici pubblici e privati, tanto da essere considerata da buoni giudici, come una delle regioni, per così dire, della Città Eterna. Quando [Giuliano] vide che le sue mura erano sprofondate in un mucchio di cenere pietose, mostrò la sua angoscia con lacrime silenziose e si diresse verso il palazzo imperiale con passo lento: in particolare, pianse sullo stato miserabile della città, perché il senato ed il popolo, che in precedenza era stato in una condizione più fiorente, gli andava incontro vestito a lutto. E alcuni di essi egli riconobbe, quando egli era stato portato in quella città, al tempo del vescovo Eusebio, di cui egli era lontano parente. Avendo anche qui, in un modo simile e generosamente [a ciò che aveva fatto in altre città], sistemate molte cose che erano necessarie per riparare i danni causati dal terremoto, si diresse verso Nicea.» (Ammiano Marcellino, Storie, XXII, 9.3-5.)
Poco dopo la città fu distrutta nuovamente da un altro terremoto il 2 dicembre del 362. Nel V secolo fu un centro dell'arianesimo. Della città antica oggi resta solo qualche rovina del Palazzo imperiale di Diocleziano, tracce dell'acquedotto, una fontana del II secolo e resti nelle vicinanze del porto.
Il 24 agosto del 358, un terribile terremoto provocò ampi danni alla città, a cui seguì un devastante incendio che ne completò la distruzione. Nicomedia fu ricostruita, anche se su scala più ridotta.
Nicomedia fu centro per la lavorazione del marmo bitinio e seppure tra le rovine, ci sono rimaste numerose testimonianze del periodo dioclezianeo e tetrarchico, come i bagni di Caracalla, ingranditi da Diocleziano quando elesse Nicomedia a sua capitale in Oriente. Fu inoltre costruito un circo, inaugurato un anno dopo i vicennalia di regno di Diocleziano (vent'anni, festeggiati il 20 novembre del 304), come ci racconta anche lo stesso Lattanzio: «[...] a Nicomedia c'era una basilica, un circo, una zecca, una fabbrica di armi, una casa per sua moglie e una per la figlia. Improvvisamente egli fece abbattere una gran parte della città.» (Lattanzio. De mortibus persecutorum, XVII, 4.)
Nel VI secolo, sotto l'imperatore Giustiniano, la città tornò ad essere ampliata con nuovi edifici pubblici. Posizionata sulla strada che conduceva alla capitale Costantinopoli, la città rimase un importante centro militare, giocando un ruolo importante nelle campagne tra l'Impero bizantino ed i vicini Arabi. Dall'840 in poi, Nicomedia divenne la capitale della thema Optimaton seppure la popolazione continuasse ad invecchiare e la città venisse gradualmente abbandonata, come viene descritto dal geografo arabo, Ibn Khordadbeh. L'insediamento andava così progressivamente restringendosi fino a limitarsi alla sola cittadella in collina. Nel 1080, la città servì come base militare ad Alessio I per le sue campagne contro il turchi Selgiuchidi, durante la prima e la seconda crociata. La città rimase nel possesso dell'Impero latino tra il 1204 ed il 1240, quando fu recuperato da Giovanni III Vatatze. Rimase così sotto il controllo dell'Impero bizantino per più di un secolo, ma dopo la sconfitta bizantina nella battaglia di Bafeo del 1302, rimase sotto la continua minaccia delle armate ottomane. La città fu assediata per due volte da parte degli Ottomani (nel 1304 e 1330) prima di soccombere definitivamente nel 1337.
Le rovine di Nicomedia sono sepolte sotto la moderna città densamente popolata di İzmit, cosa che ha ampiamente ostacolato lo scavo completo. Prima che si verificasse l'urbanizzazione del XX secolo, si potevano vedere rovine selezionate della città di epoca romana, in particolare sezioni delle mura difensive romane che circondavano la città e molteplici acquedotti che un tempo fornivano l'acqua di Nicomedia. Altri monumenti includono le fondamenta di un ninfeo in marmo del II secolo d.C. in via Istanbul, una grande cisterna nel cimitero ebraico della città e parti del muro del porto.
Il terremoto di İzmit del 1999, che ha seriamente danneggiato la maggior parte della città, ha portato anche a importanti scoperte dell'antica Nicomedia durante la successiva rimozione dei detriti. È stata scoperta una ricchezza di statue antiche, comprese le statue di Ercole, Atena, Diocleziano e Costantino.
Negli anni successivi al terremoto, la Direzione culturale provinciale di Izmit si è appropriata di piccole aree per lo scavo, tra cui il sito identificato come Palazzo di Diocleziano e un vicino teatro romano. Nell'aprile 2016 è stato avviato uno scavo più ampio del palazzo sotto la supervisione del Museo di Kocaeli, che ha stimato che il sito copre 60000 metri quadrati.


Teatro di Hierapolis - TURCHIA

 

Il teatro di Hierapolis è un teatro romano della antica città di Hierapolis, in Frigia (oggi Pamukkale nella provincia di Denizli, in Turchia). La prima edificazione del Teatro avvenne probabilmente in età giulio-claudia, come testimoniato dalla raffinata decorazione architettonica conservata, sfruttando in parte le pendici della collina in un'area non distante dal complesso del santuario di Apollo.
La struttura era affine ai modelli di tradizione ellenistica: i sedili della cavea, in travertino, scendevano sino ai limiti dell'orchestra sui quali erano collocati seggi di proedria in marmo, collegati da un balteo; l'orchestra era circolare, definita dal muro del logheion di cui si sono trovate le fondazioni in recenti scavi sotto l'attuale palcoscenico. Le due parodoi oblique erano definite dal muro di analemma - che appartiene alla prima fase - e dai muri obliqui laterali del logheion stesso.
In età severiana il teatro fu oggetto di una radicale trasformazione e monumentalizzazione complessiva.
L'edificio scenico venne ricostruito e ingigantito per sostenere l'imponente facciata della frontescena, ornata da una decorazione marmorea articolata in tre ordini sovrapposti con statue e rilievi figurati sui diversi livelli, anche nei due aerei parasceni colonnati. La nuova struttura dovette essere certamente una delle più imponenti per dimensione, numero di livelli, impegno decorativo e per i diversi marmi pregiati impiegati nella costruzione.
Nella stessa fase vennero sostituiti anche i sedili di travertino con nuovi sedili in marmo, sia nel meniano inferiore, sia in un cuneo del meniano superiore; inoltre, le file inferiori dei sedili in travertino verso l'orchestra vennero inglobate in un alto podio in marmo, per permettere lo svolgimento di spettacoli con combattimenti di fiere e di gladiatori, molto diffusi in età imperiale: il podio impediva così il contatto diretto degli spettatori delle prime file con le attività venatorie, com'è attestato anche in diversi altri edifici teatrali in Asia Minore.
Il nuovo palcoscenico venne ricostruito più profondo, andando a sfruttare anche lo spazio prima occupato dai parodoi: la nuova struttura poggiava su archi che reimpiegavano i blocchi dei sedili in travertino provenienti dalla demolizione della vecchia cavea. Il logheion venne quindi decorato da una ricca facciata ipostile con nicchie e incrostazioni di marmi colorati.
È da collocare nel corso del IV secolo la trasformazione dell'orchestra in una grande vasca d'acqua o kolymbethra per potervi realizzare spettacoli acquatici, di moda nel IV sec. d.C. , ad opera di un certo Magnus (l'iscrizione a lui dedicata recita: “rese la città un santuario delle ninfe”): questo comportò la chiusura con muri delle porte dell'orchestra, e il rivestimento di tutte le superfici con malta signina impermeabilizzante, di cui sono ancora conservati molti lacerti. Alla metà dello stesso secolo, sotto l'imperatore Costanzo II, un'importante iscrizione incisa sull'architrave marmoreo del secondo ordine della scena fa riferimento a lavori di consolidamento e di restauro del Teatro, che si resero necessari a fronte di un terremoto che aveva portato a crolli di parti delle aeree strutture colonnate della frontescena.
Il teatro sfruttava anch'esso in parte il rilievo orografico naturale, ma per ottenere una struttura di sufficienti dimensioni dovette inoltre essere appoggiato su sostruzioni, secondo l'uso romano.
La cavea è costituita da due maeniana (livelli), separati dal diazoma. Il frontescena (frons scaena) era decorato da tre ordini sovrapposti, articolati con nicchie e sporgenze, ed aveva cinque porte. I podi su cui poggiavano gli ordini architettonici presentavano rilievi (al primo ordine scene mitologiche del ciclo di Diana e di Apollo), agli ordini superiori eroti e ghirlande alternati ad altre scene figurate con Demetra, Persefone e Dioniso). Il marmo bianco utilizzato proviene probabilmente dalle cave locali di Thiountas e sono presenti fusti e rivestimenti in marmo pavonazzetto dalla vicina città di Docimium.

Porta di Frontino - TURCHIA

 

La Porta di Frontino è un ingresso monumentale della città di Hierapolis, fatto costruire da Sesto Giulio Frontino, scrittore “tecnico” latino, celebre per il trattato sugli acquedotti. Il monumento è collocato ad un estremo della via principale della città (che misurava circa 13 metri di larghezza) e costituisce uno dei due ingressi alla stessa (l'altra porta si trovava infatti all'estremo opposto della grande via).

Ierapoli Castabala - TURCHIA

 

Ierapoli Castabala (Kastabala), o Ierapoli Cilicia era un'antica città dell'Anatolia, nella regione della Cilicia (l'odierna Bodrum-Kalesi). Presso la città erano le sorgenti di Piramo (in greco Πύραμος), l'attuale fiume Ceyhan.
Riguardo alla toponomastica, si registra una divergenza tra le fonti letterarie, che riportano sempre il nome Hierapolis, e le legende monetarie che la indicano invece come Kastabala. Solo al tempo dell'imperatore Commodo i due nomi iniziano ad essere coniugati sulle legende monetarie imperiali.
La città era famosa per essere il centro di culto della dea anatolica Cibele.
Era capitale di un regno cilicio presso la catena del Tauro (l'odierno Toros Daglari), a capo del quale era stato posto Tarcondimoto, in origine probabilmente un capo dei pirati cilici divenuto alleato del popolo romano e schieratosi in seguito con Marco Antonio.
Il coinvolgimento della città nelle lotte tra fazioni della fine della Repubblica romana, portò alla sua distruzione durante la guerra civile che oppose Antonio ad Ottaviano.
Fu anche sede di una diocesi in partibus infidelium il cui titolo latino fu soppresso nel 1894.

Termesso - TURCHIA

 

Termesso (greco: Θερμεσσός) era una città piside costruita ad un'altitudine di oltre 1000 metri, sul versante sud-occidentale del monte Solimo (attuale Güllük Dağı) nei monti Tauro, nell'attuale provincia turca di Adalia. Si trova 30 chilometri a nord-ovest del capoluogo Adalia. Fu fondata su una piattaforma naturale in cima al Güllük Dağı, situata ad un'altitudine di 1665 metri.
Termessos contiene un'insolita abbondanza di specie animali e vegetali rare, protette all'interno del parco nazionale di Termesso. Nascosto da una moltitudine di piante e circondato da dense foreste di pini, il sito, suo aspetto immacolato ed intonso, ha un'atmosfera più emozionante di altre città antiche delle vicinanze. A causa della sua ricchezza storica, la città è stata inclusa nell'omonimo parco nazionale.
Il mitico fondatore della città è Bellerofonte.
Quello che si sa della sua storia inizia al tempo di Alessandro Magno, che circondò la città nel 333 a.C., e la paragonò ad un nido d'aquila che non riuscì a conquistare. Arriano, uno degli antichi storici che parlarono di questo evento e descrissero l'importanza strategica di Termessos, fa notare che anche pochi uomini erano in grado di difenderla, grazie alle insormontabili barriere naturali che la circondavano. La posizione della città sul passo di montagna che collega la zona frigia alle pianure di Panfilia è descritta da Arriano. Alessandro voleva andare in Frigia da Panfilia, e secondo il tragitto descritto da Arriano passò da Termessos. Esistono passi molto più bassi e comodi, per cui è discusso il motivo per il quale Alessandro abbia scelto di salire il ripido passo Yenice. Si dice anche che i suoi ospiti di Perge inviarono Alessandro lungo una strada volutamente sbagliata. Alessandro perse molto tempo tentando di forzare il passo che era stato chiuso dai Termessiani per cui, arrabbiato, decise di assediare Termesso. Probabilmente a causa del fatto che sapeva di non poterla conquistare, Alessandro non attaccò, preferendo invece marciare verso nord e sfogando la sua furia su Sagalassos.
Secondo Strabone, gli abitanti di Termesso si autodefinivano Solymoi, ed erano un popolo piside. Il loro nome, come quello dato alla montagna su cui abitavano, derivava da Solimeo, un dio anatolico che fu in seguito identificato con Zeus, dando vita al culto di Zeus Solimeo (Solim in turco). Questo nome esiste tuttora come cognome in alcuni popoli della regione di Adalia, che mantengono così il proprio retaggio. Le monete di Termesso spesso raffigurano questo dio e ne indicano il nome.
Lo storico Diodoro descrive dettagliatamente un altro indimenticabile incidente nella storia di Termesso. Nel 319 a.C., dopo la morte di Alessandro, uno dei suoi generali, Antigono Monoftalmo, si autoproclamò signore dell'Asia minore, e dichiarò guerra al rivale Alcetas, la cui base era Pisidia. Le sue forze erano formate da 40 000 fanti, 7000 unità di cavalleria e numerosi elefanti. Non riuscendo a sconfiggere questa forza superiore, Alcetas ed i suoi amici si rifugiarono a Termessos. I Termessiani gli promisero di proteggerli. In quel periodo, Antigono pose il proprio campo all'esterno della città, chiedendo la consegna del nemico. Non volendo rischiare il saccheggio della città a causa di uno straniero macedone, gli anziani della città decisero di consegnare Alcetas, ma i giovani di Termesso vollero mantenere la parola data e si rifiutarono di obbedire. Gli anziani mandarono ad Antigono un emissario per informarlo del loro desiderio di consegnare Alcetas.
Decisi a proseguire segretamente la battaglia, i giovani di Termesso riuscirono a lasciare la città. Sapendo dell'imminente cattura, e preferendo la morte alla prigionia, Alcetas si suicidò. I vecchi consegnarono il corpo ad Antigono. Dopo aver abusato del corpo per tre giorni, Antigono ripartì per Pisidia lasciando il corpo non sepolto. I giovani, arrabbiati per quello che era successo, recuperarono il corpo di Alcetas, lo seppellirono con tutti gli onori, ed eressero un grande monumento in sua memoria.
Termesso non era ovviamente una città portuale, ma le sue terre si estendevano a sud-est fino al golfo di Attaleia (Adalia). Grazie alla presenza di questo collegamento, la città fu conquistata dai Tolomei.
Un'iscrizione trovata nella città Licia di Araxa contiene importanti informazioni su Termesso. Secondo l'iscrizione, nel II secolo a.C. Termesso fu in guerra per motivi sconosciuti con la lega di città licie, e di nuovo nel 189 a.C. combatté i vicini Pisidi di Isinda. Nello stesso periodo si trova la colonia di Termesso Minore fondata nei pressi della città nel II secolo a.C., e Termesso iniziò relazioni pacifiche con Attalo II, re di Pergamo, il più adatto a combattere il suo vecchio nemico Serge. Attalo II commemorò quest'amicizia costruendo una stoà a due piani a Termesso.
Termessos fu alleata di Roma, e nel 71 a.C. gli fu concesso lo status di "indipendente" dal senato romano, secondo cui venivano garantiti la sua libertà ed i suoi diritti. Questa indipendenza fu mantenuta per lungo tempo, con l'unica eccezione di un'alleanza con Aminta re di Galazia (re tra il 36 ed il 25 a.C.). Questa indipendenza è documentata anche dalle monete di Termessos, che portano il titolo di "Autonoma".
La fine di Termesso concise con la distruzione del suo acquedotto a causa di un terremoto, che tolse il rifornimento d'acqua alla città. Non si conosce con esattezza l'anno in cui fu abbandonata.
Partendo dalla via principale, una strada a gradini porta in città. Da questa strada si può ammirare il famoso passo Yenice, nel quale scorre l'antica via che i Termessiani chiamavano "Via del re", oltre che le mura fortificate del periodo ellenista, cisterne e molti altri resti. La via del re, costruita nel II secolo dagli abitanti di Termessos, attraversa le mura cittadine e si dirige direttamente verso il centro. Sulle mura ad est della porta cittadina si trovano interessanti iscrizioni con augurii tramite dadi. Durante il periodo romano fu fiorente il culto di magia, superstizioni e stregonerie. I Termessiani erano probabilmente molto interessati alla predizione della fortuna. Le iscrizioni di questo tipo sono lunghe solitamente 4/5 righe, e comprendono numeri che devono essere fatti tramite i dadi, il nome del dio richiesto, e la natura della predizione che si vuole ottenere.
Il posto in cui si trovavano i principali edifici si trova su un pianoro poco all'interno delle mura interne. La più interessante di queste strutture è l'agorà, che contiene speciali caratteristiche architettoniche. Il piano terra di questo mercato all'aria aperta è sopraelevato grazie a blocchi di pietra, ed all'estremità nord-occidentale si trovano cinque grandi cisterne scavate nella roccia. L'agorà è circondata su tre lati dalle stoà. Secondo l'iscrizoine trovata sulla stoà a due piani a nord-ovest, fu donata a Termessos da Attalo II, re di Pergamo (che regnò dal 150 al 138 a.C.) come prova di amicizia. Lo stoà nord-orientale fu costruito da un ricco Termessiano di nome Osbaras, probabilmente in imitazoine di quella di Attalo. Le rovine situate a nord-est dell'agorà devono appartenere al gymnasium, ma è difficile riconoscerle tra tutti gli alberi. L'edificio a due piani contiene un cortile interno circondato da stanze con soffitti a volta. L'esterno è decorato con nicchie ed altri ornamenti dorici. Questa struttura risale al I secolo.
Subito ad est dell'agorà si trova il teatro. Con la sua visuale sulla pianura pnafiliana, non c'è dubbio che questo edificio fosse il più esteticamente attraente della pianura di Termesso. Mostra le caratteristiche di un teatro romano, ma mantiene il progetto del periodo ellenista. La cavea ellenista, o area semicircolare per gli spettatori, è divisa in due da un diazoma. Sopra al diazoma sorgono otto file di sedili, e sotto ve ne sono sedici, per una capacità totale di circa 4000/5000 spettatori. Una grande entrata ad archi collega la cavea con l'agorà. La spalletta meridionale fu coperta in tempi romani, mentre la settentrionale è fu lasciata aperta come era in origine. Dietro si trova solo una sala lunga e stretta, connessa al palco su cui si svolgevano le esibizioni tramite cinque porte cui erano affissi ricchi ornamenti di facciata o i fondali delle scene. Sotto al palco si trovavano cinque piccole sale in cui erano tenuti gli animali selvatici prima di portarli in superficie per il combattimento.
Come in altre città classiche, un odeon si trovava a circa 100 metri dal teatro. Questo edificio, che somigliava a un piccolo teatro, risale al I secolo a.C. È ben conservato in tutte le sue parti, e mostra la grande qualità dell'edilizia con pietre tagliate. Il piano superiore è decorato in stile dorico, percorso da una fila di blocchi di pietra quadrati, mentre il piano inferiore non è decorato, e contiene due porte. Sicuramente l'edificio era in origine coperto, dato che riceveva la luce dalle undici grandi finestre poste sui lati orientale ed occidentale. Il modo esatto in cui questo soffitto, lungo 25 metri, fosse chiuso, non è ancora stato compreso. Dato che l'interno è attualmente pieno di terra, non è possibile determinare la sistemazione dei posti o la capacità totale, che comunque non doveva superare le 600-700 persone. Dalle macerie sono stati estratti pezzi di marmo colorato, per cui si immagina che le pareti fossero coperte da mosaici colorati. È anche possibile che questo elegante edificio fosse un bouleuterion o una camera di consiglio.
Sei templi
di varie dimensioni e tipo sono stati trovati a Termesso. Quattro di loro si trovano nei pressi dell'odeon o nella zona che doveva essere stata sacra. Il primo è posizionato esattamente dietro all'odeon, ed è costruito con uno splendido stile edilizio. È stato ipotizzato che questo tempio fosse dedicato dal dio protettore della città, Zeus Solimeo. Purtroppo è rimasto solo un muro alto cinque metri.
Il secondo tempio si trova vicino all'angolo sud-occidentale dell'odeon. Aveva una sala di 5,50 per 5,50 metri ed è di tipo prostilo. Secondo un'iscrizione rinvenuta sull'entrata tuttora intatta, questo tempio era dedicato ad Artemide, ed assieme alla statua fu pagato da una donna di nome Aurelia Armasta e dal marito. Sull'altro lato dell'entrata, la statua dello zio di questa donna si trova su una base su cui si trova una scritta. Il tempio può essere datato, grazie all'impronta stilistia, alla fine del II secolo.
Ad est del tempio di Artemide si trovano i resti di un tempio dorico. È di tipo peripterale, con sei o undici colonne per ogni lato. A giudicare dalla sua dimensione, deve essere stato il più grande di Termessos. Dai reperti e dalle iscrizioni, si capisce che anche lui era dedicato ad Artemide.
Ulteriormente ad est si trovano le rovine di un altro piccolo tempio, che si trova su una terrazza scavata nella roccia. Il tempio si trova su una grande base, ma non si sa a chi fosse dedicato. Contrariamente alle regole architettoniche classiche per i templi, l'entrata si trova a destra, ad indicare che potrebbe essere stato dedicato ad un semidio o ad un eroe. Può essere datato all'inizio del III secolo.
Riguardo agli altri due templi, si trovano nei pressi della stoà di Attalo e sono di ordine corinzio, e di tipo prostilo. Sono anch'essi dedicati a divinità sconosciute, e risalgono al III secolo.
Di tutti gli edifici civili e religiosi presenti nella parte centrale, uno dei più interessanti somiglia ad una casa del periodo romano. Un'iscrizione è posizionata sopra la porta dorica, lungo il muro occidentale alto sei metri. In questa iscrizione il proprietario della casa viene definito fondatore della città. Senza dubbio non si trattava veramente del fondatore di Termesso. Può darsi che si tratti di un regalo fatto al proprietario per servigi straordinari resi alla comunità. Questo tipo di case apparteneva solitamente a nobili e plutocrati. L'entrata principale porta in una sala e, tramite una seconda porta, ad un cortile centrale o atrium. Un impluvium, o piscina, era destinata alla raccolta di acqua piovana in mezzo al cortile. L'atrium era un luogo importante per le attività quotidiane, ed era utilizzato anche come salotto in cui ricevere gli ospiti. Era riccamente decorato. Le altre stanze erano disposte attorno all'atrium.
Una strada larga e fiancheggiata da portici correva lungo la direttrice nord-sud della città. Lo spazio tra le colonne era spesso riempito di statue raffiguranti atleti di successo, soprattutto di lottatori. La iscrizioni presenti sui piedistalli di queste statue sono tuttora esistenti, e leggendole siamo in grado di ricostruire l'antico splendore di questa via.
A sud, ovest e nord della città, soprattutto all'interno delle mura, si trovano grandi cimiteri di tombe scavate nella roccia, che si crede abbiamo ospitato anche lo stesso Alcetas. Sfortunatamente la sua tomba è stata saccheggiata dai tombaroli. Nella stessa tomba una sorta di griglia di lavoro è stata scolpita tra le colonne dietro il klinai. Alla sua sommità si trovava probabilmente un fregio decorativo. La parte sinistra della tomba è decorata con l'immagine equestre di un guerriero del IV secolo a.C. Si sa che la gioventù di Termesso, colpita dalla morte del generale Alcetas, gli costruì una magnifica tomba, e lo storico Diodoro riporta che Alcetas combatté Antigono mentre si trovava a cavallo. Queste coincidenze fanno ipotizzare che si tratti proprio della tomba di Alcetas, e che sia lui la persona raffigurata.
I sarcofagi rimasero nascosti per secoli tra il groviglio di alberi a sud-ovest della città. I cadaveri era posti nei sarcofagi con i propri vestiti, la gioielleria ed altri ricchi oggetti. I corpi dei poveri venivano sepolti in semplici pietre, argilla o legno. Questi sarcofagi, databili tra il II ed il III secolo, si trovano solitamente su piedistalli. Nelle tombe di famiglie ricche, d'altra parte, i sarcofagi erano posti in strutture riccamente decorate modellate per assumere la forma del morto, e ne veniva riportata la genealogia, o i nomi di coloro che avevano il permesso di essere sepolto con lui. In questo modo il diritto d'uso della tomba era ufficialmente garantito. Inoltre, si trovavano iscrizioni che annunciavano vendette divine contro chi avrebbe profanato la tomba e rubato gli oggetti.
Termessos, dopo un graduale declino, fu infine abbandonata nel V secolo. Tra i resti rimasti si trovano le mura, l'arco trionfale di Adriano, le cisterne, il teatro, il gymnasium, l'agorà, l'odeon e l'heroon. Tra le tombe sparse per tutta la città si trovano quelle di Alcates, di Agatemero, ed il sarcofago decorato a forma di leone.
Termesso non è ancora stata sottoposta a scavi archeologici.

Pittore di Varrese

 
Pittore di Varrese
 (... – ...; fl. metà del IV a.C.) è il nome convenzionale assegnato a un importante ceramografo apulo. Il nome convenzionale deriva da una tomba scoperta nel 1912 da Sabino Varrese nell'ipogeo di Canosa di Puglia, dove erano contenuti un buon numero vasi dipinti assimilabili alla personalità di questo ceramografo. In totale gli sono stati attribuiti oltre 200 vasi. Gli studiosi lo considerano uno dei rappresentanti più importanti del suo periodo. La sua influenza si estese oltre alla sua bottega (dove lavorò anche il Pittore di Wolfenbüttel) e oltre il suo periodo di attività, fino agli immediati predecessori del Pittore di Dario, ma anche sul Pittore di Ginosa, il Pittore di Bari 12061, il Pittore della Metopa, il Pittore del Louvre MNB 1148 e il Pittore di Chamay.
Un quarto dei vasi attribuitigli, tra cui hydriai, nestoridi, loutrophoroi e un grande enochoe sono di notevoli dimensioni. Il resto delle sue opere fu su crateri a campana e pelikes. Sebbene appartenga alla tradizione dello Stile Ornato, i vasi di dimensione inferiore sono spesso stilisticamente vicini allo Stile Semplice.
Nel suo repertorio pittorico sono caratteristici alcuni elementi frequentemente ripetuti tra cui sono stati individuati quattro motivi di base:
. Giovane nudo, in piedi con un braccio coperto da un indumento, oppure seduto su un drappo piegato;
- Figura femminile in piedi con entrambe le gambe ben visibili sotto la veste, una posta dietro l'altra;
- Donna vestita, con uno dei piedi leggermente rialzato ed il torso inclinato verso di esso, un braccio adagiato sulla coscia;
- Donna seduta, con una gamba davanti all'altra.
Le figure del pittore di Varrese appaiono serie e severe con bocche piccole e rivolte verso il basso. Le donne spesso portano i capelli raccolti in una crocchia trattenuta da un nastro bianco. Nei vasi più grandi, soprattutto nei funerari vasi naiskos , utilizzò molti colori aggiuntivi. I suoi vasi più grandi solitamente rappresentano scene mitologiche mentre quelli più piccoli tendono a presentare composizioni di due o tre figure su entrambi i lati, sovente raffigurando giovani ammantati sul retro.


Nelle foto,, dall'alto:
- La cosiddetta hydria Eleusina, 340 a.C. circa, Berlino, Antikensammlung
- Apulio a figura rossa con Nestoris del pittore di Varrese, Antikensammlung Kiel B 72 



Kalpis

 

La kalpis è un vaso greco che come l'hydria era utilizzato per trasportare acqua.
Si tratta di una variante dell'hydria, con corpo più tondeggiante e spalla meno pronunciata, con la caratteristica di avere corpo e collo uniti in modo continuo.
Come l'hydria ha il corpo ovale, con la parte più fine verso il piede. Ha tre manici: i due orizzontali, posti a 180° l'uno dall'altro dove il corpo è più largo, servivano per il sollevamento e il trasporto del recipiente; il terzo è verticale, si trova fra collo e corpo, a 90° dagli agli altri due serviva per versare l'acqua.
Fu prodotto dalla fine del VI secolo a.C. fino alla fine del periodo a figure rosse.
La sua altezza variava da un minimo di 30 cm ad un massimo di 60 cm.

Nelle foto, dall'alto:
Kalpis a figure rosse nel museo del Louvre (G51)
Kalpis, Pittore di Saffo, ca. 510 BC, Museo nazionale di Varsavia


Pittore degli Inferi

Pittore degli Inferi
 (... – ...; fl. 330 – 310 a.C.) è il nome convenzionale assegnato a un importante ceramografo apulo.. Il nome assegnatogli proviene dalle sue frequenti rappresentazioni dell'"al di là" come il cratere a volute della Staatliche Antikensammlung di Monaco che mostra Ade e Persefone nella loro dimora negli inferi. Il Pittore degli Inferi succedette al Pittore di Dario, nella cui grande officina (probabilmente a Taras) fu formato e poté lavorare a fianco di altri importanti artigiani.
L'influenza del maestro è sensibile in tre grandi lekythoi (alti circa 95 cm) che raffigurano scene di rapimenti: Persefone rapita da Ade, Cefalo rapito da Eos e Castore e Polluce che rapiscono le figlie di Leucippo. Nei primi due vasi il ceramografo risulta piuttosto libero nella raffigurazione, distribuendo le figure su diverse fasce separate da fregi a viticci. Il terzo vaso rappresenta un soggetto unico nella pittura vascolare: Castore e Polluce che combattono contro i figli di Afereo.
Ha rappresentato più frequentemente scene ispirate dalle tragedie classiche di Euripide, e temi mitologici. Per quanto vicino del Pittore di Dario il Pittore degli Inferi ci offre un repertorio meno originale pur rappresentando alcune storie raramente mostrate come il mito di Melanippe racontato in due tragedie di Euripide e l'episodio dei Dioscuri già riferito.
Sono apprezzabili anche alcuni suoi crateri nella Antikensammlung Berlin: il cratere della Gigantomachia, il cratere dei Priamidi e il cratere di Persefone.
Questo ceramografo tese ad appesantire la decorazione e, a volte difettava nella rappresentazione dei volti, tanto da conferirvi un'espressione scostante. Era invece abile nel definire la muscolatura degli uomini – in un modo che rammenta la scultura ellenistica – anche se talvolta dipinse gambe piuttosto esili. Era uso curare particolarmente alcuni dettagli disegnando con cura i capelli e il panneggio delle vesti.
I suoi primi lavori hanno influenzato alcuni artisti successivi come il Pittore del Louvre MNB 1148.
L'opera tarda attribuita all'artista, ad una osservazione critica, mostra una rapida decadenza in abilità e qualità. Questo fa supporre che si sia di fronte invece ad opere di bottega


Nella foto, Pittore degli Inferi, Vicende di Medea a Corinto, cratere a volute, Monaco di Baviera, Staatliche Antikensammlungen

Balsamario

 
Il balsamario è un piccolo contenitore in vetro utilizzato per conservare balsami e olii profumati. Il balsamario fu molto in voga nel costume dei pagani e sopravvisse nelle usanze anche dei primi cristiani.
Gli scavi archeologici hanno permesso il recupero sia di documentazioni sia di reperti antichi di balsamari provenienti da tombe situate in Egitto, in Medio Oriente e nei territori dell'antico Impero romano.
Una sede importante per la realizzazione e la distribuzione dei modelli più antichi fu Alessandria d'Egitto e la loro diffusione si espanse fino all'Etruria e al Medio Oriente.
Un importante centro di produzione fu anche quello siriano, dove nel I secolo d.C. venne introdotta la tecnica del vetro a soffio, i cui nuovi prodotti vennero diffusi in tutto il bacino del Mediterraneo dai Fenici. La Siria restò una base produttiva primaria fino al V secolo d.C., prima di condividere con altri centri situati su tutto il territorio dell'Impero romano la realizzazione di
questi prodotti.
Intorno al I secolo d.C. venne introdotta la tecnica del vetro a soffio, che sostituì quella più antica delle colature a caldo di sostanze vitree poste su forme friabili.
Con la vecchia tecnica si realizzarono soprattutto vasetti, dalla forma o di piccole anfore con manico oppure cilindrici con l'apertura superiore avente un labbro svasato. Le tinte dei balsamari di questo tipo variarono dal giallo, al verde e all'azzurro.
Con la produzione, dalle fornaci siriane di vetro a soffio, si introdussero sul mercato balsamari pressoché trasparenti dalle forme e dalle dimensioni sempre più piccole, per poterli collocare nelle tombe e poterli trasportare più agevolmente.
All'interno della tipologia dei balsamari si possono includere anche i vasetti di forma sferica derivati dall'ariballo greco.



Nelle foto, dall'alto:
- Balsamario in vetro trasparente, tra il 30 a.C. e il 395, Periodo romano dell'Egitto. Museo Egizio, Torino.
- Vasetto piriforme per unguenti o profumi, tra il 30 a.C. e il 395, Periodo romano dell'Egitto. Museo Egizio, Torino.


Lacrimatoio

 

Il lacrimatoio (o vaso lacrimale o unguentario) era una ampolla di vetro o di materiali preziosi (argento, alabastro) che conteneva unguenti o profumi, chiamato in latino unguentarium.
I lacrimatoi sono stati trovati il più delle volte nelle tombe romane o ellenistiche dal III alla metà del I secolo a.C.; era stato ipotizzato erroneamente che avessero la funzione di raccogliere le lacrime dei parenti del defunto, donde il nome. L'equivoco, nato probabilmente dall'interpretazione di un versetto del libro dei Salmi, venne ripreso fra gli altri da Shakespeare. La corretta interpretazione di quegli oggetti venne proposta dal conte di Caylus nel XVIII secolo.
Nel XIX secolo, nell'Inghilterra vittoriana e negli Stati Confederati d'America, durante la guerra di secessione, vennero tuttavia utilizzati effettivamente dei piccoli contenitori per la conservazione delle lacrime la cui raccolta avveniva attraverso speciali tamponi.


Nelle foto, dall'alto:
Lacrimatoi piriformi romani in vetro marmorizzato
Unguentario di Djehuty, alabastro. tra il 1458 e il 1425 a.C., Nuovo Regno dell'Egitto. Museo Egizio, Torino.


Pittore della Danzatrice di Berlino

Pittore della Danzatrice di Berlino (o soltanto Pittore della Danzatrice) (... – ...; fl. 430 a.C. / 410 a.C.) è il nome convenzionale adottato per un ceramografo apulo a figure rosse. È considerato uno dei primi pittori di vasi apuli ma la stretta connessione con la ceramica attica fa supporre possa essere stato formato in questa regione greca se non addirittura originario di Atene ed emigrato a Taranto.
Il nome convenzionale dal cratere a calice F 2400 nella Antikensammlung di Berlino. Un'anfora raffigurante Briseide e Achille si trova nel Museo archeologico provinciale Sigismondo Castromediano di Lecce (inv. 571); l'unico cratere a colonnette attribuitogli rappresenta Achille all'inseguimento di Troilo e si trova nel Museo Leone di Vercelli (inv. 580/57). Gli è attribuito anche un altro cratere conservato nel Rhode Island School of Design Museum di Providence (inv. 22.215) raffigurante una centauromachia; la pelike della National Gallery of Victoria a Melbourne (inv. 1391-D5) mostra invece un'amazzonomachia.


Nella foto, Vaso eponimo del ceramografo, Berlino, Antikensammlung

Ceramica minia

 
La ceramica minia è un esteso termine archeologico che descrive le varietà di un particolare stile di ceramica egea associata con il periodo del Medio Elladico.
Nella storia dell'archeologia preistorica egea, Heinrich Schliemann fu la prima persona a coniare il termine "minia" dopo aver scoperto una caratteristica varietà di ceramica lucidata scura ad Orcomeno (la mitica patria del re Minia). Alcuni dei suoi contemporanei la riferiscono come "ceramica di Orcomeno". Tuttavia, la definizione di "ceramica minia" alla fine prevalse poiché essa richiamava romanticamente i gloriosi (ma la cui realtà è dubbia) Mini della mitologia greca.
Di primo acchito, Alan Wace e Carl Blegen non associano ancora la ceramica minia con l'"avvento dei greci". Entrambi gli archeologi consideravano l'improvvisa apparizione della ceramica minia come una delle due interruzioni nell'incessante evoluzione della ceramica greca dal neolitico fino al periodo miceneo. Infine, essi conclusero che la "ceramica minia" indichi l'introduzione di una nuova tensione culturale".
Prima del 1960, la ceramica minia venne spesso associata agli invasori nordici che distrussero la cultura dell'Antico Elladico (1900 a.C.), introducendo la cultura del Medio Elladico nella penisola greca. Tuttavia, John L. Caskey condusse scavi in Grecia (cioè a Lerna) e definitivamente confermò che la ceramica minia fosse infatti la diretta discendente della raffinata ceramica grigia lucidata della cultura di Tirinto dell'Antico Elladico. Caskey trovò anche che la varietà nera o argiva della ceramica minia fosse una versione evoluta della classe di ceramica dell'Antico Elladico III così definita "scura scivolosa e lucidata". Dunque, la ceramica minia era presente in Grecia fin dal 2200 al 2150 a.C. Stranamente, non c'è niente di particolarmente "nordico" per quanto riguarda i progenitori della ceramica minia. L'eccezione, tuttavia, comporta la diffusione della ceramica minia dalla Grecia centrale al Peloponneso nord-orientale, che può essere vista come "arrivata dal nord" rispetto al Peloponneso. Attualmente, c'è incertezza sul come la ceramica minia arrivasse in Grecia o come essa si fosse sviluppata in modo indigeno.
La ceramica minia è una forma di ceramica monocroma lucidata prodotta con argilla estremamente o moderatamente fine. Le varietà di ceramica minia comprendono la gialla, rossa, grigia e nera (o argiva). Le forme aperte, come calici e kantharoi, sono quelle più comuni in tutti i tipi di ceramica minia. Calici e kantharoi sono tecnicamente versioni evolute delle tazze basse e kantharos della cultura di Tirinto nell'Antico Elladico.
La ceramica minia grigia, specificamente ha forme angolari che possono riflettere le copie dei prototipi metallici. Tuttavia, una tale teoria è difficile da provare considerato il fatto che gli oggetti metallici del Medio Elladico sono rari e i vasi in metallo sono quasi inesistenti. Inoltre, le forme angolari di questo particolare stile di ceramica possono infatti derivare dall'uso comune del veloce tornio da vasaio. Gli "steli ad anello" (o i piedi del piedistallo fortemente rigati) sono una caratteristica importante della ceramica minia grigia del Medio Elladico II e Medio Elladico III nella Grecia centrale. Naturalmente, questa caratteristica è anche presente nei calici della ceramica minia gialla del Medio Elladico IIIl provenienti da Corinto e dall'Argolide. Durante la fase finale del Medio Elladico, anelli incisi in modo meno profondo più o meno rimpiazzarono le basi dei calici e gli "steli ad anello" nel Peloponneso nord-orientale.
La ceramica minia del Medio Elladico I è decorata con forme di scanalature sul bordo superiore di kantharoi e tazze. Durante il Medio Elladico II, i cerchi concentrici stampati e i "festoni" (o semicerchi paralleli) diventano una comune caratteristica della decorazione specialmente nella ceramica minia nera (o argiva).
La ceramica minia si trova maggiormente nella Grecia centrale, ma è anche comune nel Peloponneso durante i periodi del Medio Elladico I e Medio Elladico II. La ceramica minia nera (o argiva) è comune nel Pelopponeso settentrionale ed è soprattutto ornata con decorazioni stampate e incise. La ceramica minia rossa è comunemente trovata nell'isola di Egina, in Attica, nelle Cicladi settentrionali e in Beozia. La ceramica minia gialla per prima appare durante i periodi del Medio Elladico II e Medio Elladico III. Per il suo colore di superficie chiaro, questa particolare varietà di ceramica è decorata con colore opaco scuro. Ciò ha condotto gli archeologi a considerare la ceramica minia gialla come "dipinta opaca" invece che "minia".


Nelle foto, dall'alto in basso:
Anfora minia da Micene, 1700-1600 a.C.
Anfora minia dalla Tomba Y, periodo Medio Elladico III
Amphoriskos dall'acropoli di Midea, XVI sec. a.C.


Pittore di Tarporley

Pittore di Tarporley
 (... – ...; fl. 360 a.C. / 340 a.C.) è il nome convenzionale assegnato a un ceramografo apulo a figure rosse[1]. Le sue opere risalgono al primo quarto del IV secolo a.C. ed è il rappresentante più importante del cosiddetto "Stile Semplice" del periodo. È considerato l'allievo e successore del pittore di Sisifo, come evidenziato dalle sue eleganti figure dalle raffinate membra e dalle solenni espressioni. Dipinse gli abiti in uno stile meno armonico rispetto al pittore di Sisifo. Le sue teste risultano spesso ovali e inclinate in avanti e gli spazi tra le figure sono sovente colmati da fiori, girali o tralci di vite. Progressivamente, il suo stile di disegno pare divenuto più fluido, ma al tempo stesso meno meno preciso. Dipinse soprattutto su crateri a campana, rappresentando temi dionisiaci e scene teatrali. Infatti tra le sue opera è il primo vaso noto dipinto con la farsa fliacica, che rappresenta la punizione di un ladro, accompagnata da un'iscrizione in versi. Invece dipinse raramente scene mitologiche di lui sono rare. Pare esistere un rapporto particolarmente stretto tra l'opera del Pittore di Tarporley e quella del Pittore di Dolon e probabilmente hanno collaborato per qualche tempo. Gli succedettero tre distinte scuole, ciascuna nettamente influenzata dal suo lavoro. Il pittore più importante della prima è il Pittore di Schiller, della seconda il Pittore di Hoppin e della terza il Pittore di Karlsruhe B9 e il Pittore di Digione.

Nella foto, Giovane che prepara una testa di maiale per il sacrificio, cratere a campana del pittore di Tarporley, ca. 360–340 aC, Museo Archeologico Nazionale di Spagna



Via Lauretana (Toscana)

  La  via Lauretana  è un'antica strada etrusco-romana della Val di Chiana che collegava Cortona a Montepulciano e Siena. Venne realizza...