sabato 25 novembre 2023

Ses Païsses - SPAGNA

 

Ses Païsses è un insediamento talaiotico dell'età del bronzo e del ferro situato nel comune di Artà, a nord-est di Maiorca. I primi scavi del sito di Ses Païsses furono condotti dagli archeologi Giovanni Lilliu ed Enrico Atzeni tra il 1959 e il 1963. Sappiamo che questo villaggio talaiotico ha avuto diverse fasi costruttive con un intervallo di secoli.
Il talaiot centrale, probabilmente la sede del capo tribù, venne eretto tra il 1300 e il 1000 a.C.. Questa costruzione ciclopica di pianta circolare e di circa 12 metri di diametro ha un'altezza di circa 4 metri. La cosiddetta "sala ipostila" si trova ad est del talaiot ed è connessa ad'esso attraverso un corridoio e una piccola porta.
La muraglia che circonda il villaggio, così come la sala ipostila, è di epoca posteriore rispetto al talaiot. È lunga circa 350 metri e raggiunge un'altezza di circa 3.5 metri. Aveva tre porte d'accesso di cui una principale.

venerdì 24 novembre 2023

Tempio di Augusto e Livia - FRANCIA

 

Il tempio di Augusto e Livia è un tempio romano situato a Vienne, nel dipartimento francese dell'Isère.Il tempio venne eretto in due fasi nel foro cittadino negli anni tra il 20 e il 10 a.C. e poi nel 40 d.C. dai cittadini della colonia romana di Vienna (da non confondenre con l'attuale Vienna, chiamata allora Vindobona), e fu dedicato alla Dea Roma e ad Augusto, come testimonia l'iscrizione incisa sul fregio: ROMAE ET AUGUSTO CAESARI DIVI F, "a Roma e a Cesare Augusto, figlio del Divo (Cesare)". Si tratta dunque di un tempio dedicato al culto imperiale, nelle forme adottate dalla propaganda augustea nelle province occidentali, in cui si preferiva evitare un culto rivolto troppo esplicitamente alla sua sola persona.
Nel 41, durante il regno di Claudio, che era nato nella vicina Lugdunum (odierna Lione), il tempio venne dedicato anche alla moglie di Augusto, Livia, divinizzata dopo la sua morte, e fu aggiunta un'ulteriore iscrizione sull'architrave: ET DIVAE AUGUSTAE, "e alla diva Augusta"[1].
Venne trasformato in una chiesa probabilmente già durante il V secolo, assumendo il nome di Sainte-Marie-la-Vieille o Nôtre-Dame-de-la-Vie, nonostante le prime notizie documentate risalgano all'XI secolo. Il riutilizzo dell'edificio comportò la soppressione della cella e la chiusura degli spazi tra le colonne del peristilio. Vennero inoltre aperte una porta e alcune finestre.
Durante la rivoluzione francese la chiesa venne sconsacrata e trasformata in tempio della Ragione, per poi venire trasformata in un tribunale. Dopo essere diventato luogo di ritrovo per il commercio, l'edificio divenne, dal 1822, sede di un museo e di una biblioteca. Tra il 1853 e il 1870 vi furono condotti lavori di restauro che diedero al monumento il suo aspetto attuale: fu ricostruita la cella del tempio romano, secondo uno dei tre progetti presentati per il restauro, e furono eliminate le aggiunte medioevali; l'edificio fu inoltre isolato al centro di una piazza, demolendo le costruzioni che vi si erano addossate.
Il tempio è del tipo periptero sine postico, ossia con colonnato sulla fronte e sui lati, ma non sul retro. Sono presenti sei colonne sulla fronte (tempio esastilo) e sei sui lati lunghi, a cui si aggiunge un ultimo intercolumnio sul fondo, sostituito da un muro pieno con pilastri.
Il tempio innalzato su un podio, è di ordine corinzio ed è realizzato in pietra locale ricoperta di stucco ad imitazione del marmo. La trabeazione presenta una cornice con mensole ed è priva di decorazioni. Il tetto è stato ricostruito in epoca moderna, ma nonostante le trasformazioni subite si tratta di uno dei templi romani meglio conservati, insieme alla Maison Carrée di Nîmes e al Pantheon e al tempio di Portuno di Roma.

Tempio romano di Château-Bas - FRANCIA

 

Il tempio romano di Château-Bas, o tempio della Maison-Basse è un tempio romano di età primo-augustea, situato a Vernègues, nel dipartimento francese delle Bocche del Rodano.
I resti si trovano, nel parco del fondo vinicolo di Château-Bas, lungo la strada tra Vernègues e Cazan. Costruito alla fine del I secolo a.C. (30-20 a.C.), è stato classificato tra i monumenti storici francesi dal 1840.
Il tempio faceva parte di un santuario extraurbano nel territorio della colonia romana di Aquae Sextiae (Aix en Provence), disposto su almeno due terrazze e si trovava al centro di un recinto sacro semicircolare ed è collocato di fronte ad una sorgente che fu probabilmente l'elemento fondante del culto.
Il tempio sorgeva su un podio a cui si accedeva mediante una scalinata tra due ali. Aveva un pronao con quattro colonne in facciata (tempio prostilo tetrastilo) e due sui lati: si conserva ancora la colonna laterale sul lato orientale, con fusto scanalato e capitello corinzio. Dietro il pronao era la cella decorata agli angoli da pilastri con fusto liscio e capitello corinzio.
Il tempio fu trasformato in chiesa nel XII secolo: a questa trasformazione si deve la realizzazione di un'apertura del muro della cella, inquadrata da una piccola colonna corinzia realizzata all'epoca copiando gli elementi del tempio romano. Al muro orientale si appoggiò inoltre una cappella romanica (cappella di Saint-Cézaire), con una navata unica coperta a volta a tutto sesto e terminante con un'abside.

Tempio di Diana - FRANCIA


Il tempio di Diana è un monumento romano di Nîmes (Nemausus) nel dipartimento francese del Gard. Si trova nell'area di un santuario incentrato intorno ad un ninfeo dedicato ad Augusto ed è accessibile oggi dai Jardins de la Fontaine, parco pubblico che comprende anche la Tour Magne. L'originaria funzione dell'edificio, a pianta basilicale, è discussa. Si trattava forse di una biblioteca ed è datato all'epoca augustea, sebbene la facciata sia stata rimaneggiata nel corso del II secolo. In epoca medievale ospitò un monastero, che ne assicurò la conservazione. Nel XVIII secolo ispirò pittori del Romanticismo, in particolare Hubert Robert. Fu classificato monumento storico nel 1840.
L'edificio è in parte scavato sul fianco del monte Cavalier ed era originariamente circondato da altri ambienti. Restano oggi una sala coperta con volta a botte e affiancata da due corpi scala che permettevano di accedere al piano superiore (forse solo una terrazza). La sala misura 14,52 x 9,55 m. Sulla facciata si aprono una porta di ingresso tra due porte laterali, prive di qualsiasi chiusura, e, al livello superiore un'ampia finestra. All'interno sul muro nord sono conservate cinque nicchie a pianta rettangolare, sormontate da frontoni alternativamente triangolari e semicircolari, inquadrate da un ordine di colonne addossato a parete, con capitelli compositi. Sul lato di fondo sono presenti altre tre nicchie più profonde di quelle laterali e dotate di soffitti voltati decorati da cassettoni.
Il pavimento era in opus sectile di lastre di marmo colorato, visto negli scavi del 1745, delle quali rimangono solo le impronte sullo strato di preparazione.

Maison Carrée - FRANCIA

 


La Maison Carrée (lett. Casa Quadrata) è un tempio romano, uno dei templi antichi meglio conservati, che si trova a Nîmes (Nemausus), nella Francia meridionale. Dal 1840 è classificato monumento storico di Francia.
Venne costruito tra il 19 e il 16 a.C. da Marco Vipsanio Agrippa e venne dedicato ai figli dello stesso Agrippa e di Giulia, figlia di Augusto, Gaio e Lucio Cesare, adottati dal nonno come propri eredi e che morirono entrambi in giovane età. Il testo dell'iscrizione di dedica venne ricostruito dallo studioso locale Jean-François Séguier nel 1758 sulla base dei fori lasciati dalle originarie lettere in bronzo, asportate in epoca medioevale. La dedica era: «A Gaio Cesare, figlio di Augusto, console; a Lucio Cesare, figlio di Augusto, console designato; ai principi della gioventù». Marco Vipsanio Agrippa venne influenzato dalle opere già realizzate a Roma, come il tempio di Apollo sotto il Campidoglio.
Il tempio deve il suo ottimo stato di conservazione al fatto di essere stato riutilizzato come chiesa cristiana nel IV secolo. In seguito divenne sede di diverse istituzioni pubbliche cittadine, il che comportò pesanti trasformazioni. Durante la sua storia divenne persino una stalla, durante la Rivoluzione francese. Dal 1823 è divenuta un museo. Dal 2006 la Maison Carrée è gestita dalla società Culturespaces, la quale ha trasformato la sala interna in una sala di proiezioni cinematografiche. Attualmente viene trasmesso quotidianamente un film in stile docu-fiction dal titolo Nemausus sulla storia della città di Nîmes.
Nel maggio 1993 è stato inaugurato, nel piazzale antistante il tempio, il Carré d'Art, museo di arte contemporanea progettato dell'architetto britannico Norman Foster.
Eruditorum del 1760 relativa alla Dissertation sur l'ancienne inscription de la Maison-Carrée de Nismes.
Il 18 settembre 2023 è stata iscritta nella Lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO dalla quarantacinquesima sessione del Comitato del patrimonio mondiale riunito a Riad.
Il suo nome in francese (letteralmente "Casa quadrata") è dovuto all'utilizzo arcaico del termine carré con il significato di "quadrangolare", in questo caso "rettangolo", in riferimento alla pianta dell'edificio. Le dimensioni sono 26 m di lunghezza, 13 m di larghezza e 17 m di altezza.
Il tempio è innalzato su un podio di 2,85 m di altezza (26,42 x 13,54 m), dominando l'antica piazza del Foro cittadino. Al podio si accedeva per mezzo di una scalinata di 15 gradini, ricostituita con alcuni degli elementi antichi. È un tempio pseudoperiptero esastilo, con pronao particolarmente profondo (circa un terzo della lunghezza complessiva); presenta sei colonne in facciata e tre colonne libere sui fianchi, che proseguono con otto semicolonne sui lati e sul retro della cella.
Le colonne con fusti scanalati hanno capitelli corinzi, che sostengono una trabeazione riccamente decorata, comprendente una cornice con mensole e un fregio con girali d'acanto. Sulla facciata la cornice forma un frontone e l'iscrizione dedicatoria con lettere in bronzo occupava lo spazio di fregio e architrave. Un ampio portale (6,87 m di altezza e 3,27 m di larghezza), con mensole decorative sui lati, permette di accedere all'interno della cella, in origine rivestita da lastre di marmo.
L'edificio ha subito nel corso dei secoli ampie trasformazioni e fino al XIX secolo era inglobato in un più ampio complesso di edifici tra loro adiacenti, che furono demoliti quando il tempio venne trasformato in museo, ripristinando l'aspetto dell'edificio in epoca romana. Questo restauro venne ricordato in un'iscrizione incisa sul fianco ovest in latino. Il pronao venne restaurato agli inizi del secolo e venne rifatto il tetto; nel 1824 venne inoltre eseguita l'attuale porta.
Un ampio restauro venne condotto negli anni 1988-1992: in tale occasione venne nuovamente rifatto il tetto e la piazza antistante venne liberata dalle costruzioni successive, permettendo di rivelare i contorni della piazza del Foro. Sul lato della piazza venne costruita ad opera di Norman Foster una galleria d'arte, conosciuta come "Carré d'Art", in netto contrasto stilistico con l'edificio romano, ma riprendendone alcuni elementi, come il pronao e le colonne, realizzate tuttavia in vetro e acciaio.
In questo tempio si fondono in una concezione unitaria i modelli provenienti dalla grande architettura augustea di Roma con alcune particolarità dovute alle maestranze locali. L'edificio è concepito ad imitazione del tempio di Apollo in Circo, ma subisce anche l'influenza della decorazione del successivo tempio di Marte Ultore nel Foro di Augusto, nella quale si era tradotta simbolicamente l'ideologia del nuovo principato augusteo e che venne quindi esportata nelle realizzazioni delle province. Nei capitelli e nella trabeazione alcuni particolari testimoniando l'opera di maestranze locali.
La Maison Carrée ha ispirato la neoclassica Chiesa della Madeleine, a Parigi.

Arena di Nîmes - FRANCIA

 

L'Arena di Nîmes (in francese, Arènes de Nîmes, in occitano Arenas de Nimes) è un anfiteatro romano situato nella città francese di Nîmes, nel dipartimento del Gard. Il suo nome deriva dal latino ărēna, che indica la sabbia che ricopriva le platee degli anfiteatri romani. Si tratta di uno dei maggiori anfiteatri nel suo genere, e anche di uno tra i meglio conservati, tanto che in Francia è riconosciuto come monumento storico di Francia dal 1840 e viene ancora utilizzato regolarmente per spettacoli vari.
Similmente ad altri anfiteatri romani, si presenta come doppio teatro con sovrapposizione di due piani ad arcate. Strutturate a doppio ordine dorico, le arcate esterne sono ritmate al primo livello da pilastri ed al secondo da semicolonne.
L'edificio ha una pianta ellittica, lunga 133 m e larga 101. Raggiunge un'altezza di 21 metri ed ha una capienza di 13000 posti a sedere (con quattro meniani, originariamente riservati a diverse classi sociali). In epoca romana la capienza era molto maggiore.
Sul lato orientale, separato da un ampio piazzale, è stato recentemente (2018) edificato il Museo della Romanità di Nîmes, dal quale si ha una notevole vista dell'Arena.
Venne costruito verso la fine del secolo I per divertire la popolazione della città e dei suoi dintorni con gli spettacoli tipicamente romani come i combattimenti di gladiatori.
Ai tempi delle invasioni barbariche, l'anfiteatro fu trasformato in fortezza, assumendo il nome di Castrum arenae e offrendo rifugio alla popolazione che lo abitava. Dal medioevo al XIX secolo, fu oggetto di alcuni interventi edilizi ed ospitò esercizi commerciali. Sgomberato e riconvertito in teatro nel 1863, viene oggi usato come arena per le corride tipiche della tradizione locale (Courses camarguaises) e per quelle di scuola spagnola, ma vi si svolgono anche diverse manifestazioni culturali. Ospitò, tra l'altro, una puntata di Giochi senza frontiere nel 1976[5] e i campionati Mondiali di scherma nel 2001.

Chella - MAROCCO

 

Chella (anticamente Sala Colonia in latino), è un sito archeologico a nord di Rabat, in Marocco. Il sito è la prova della più antica presenza umana nel delta del fiume Bou Regreg, lungo le cui rive Fenici e Cartaginesi stanziarono diverse basi. A circa 3 km dal centro, il complesso si trova al di fuori delle mura della città e occupa il sito della romana Sala, su una bassa collina coperta di vegetazione, rifugio delle cicogne nella stagione riproduttiva. Gli scavi hanno rivelato la presenza di un importante agglomerato e infatti Chella conserva le vestigia di una città romana, con i resti del Decumano Massimo, di un foro presso il quale si riconoscono le tracce della Curia, di una fontana monumentale e di un arco di trionfo.
Il sito rimase poi in stato di abbandono per diversi secoli, fino a che i sultani della dinastia dei Merinidi lo scelsero per edificarvi la loro necropoli nel XII secolo. Circondata da una cinta di mura fortificate, ad essa si accede attraverso una porta monumentale, riccamente decorata e aperta ad arco acuto, ai cui lati sono poste due massicce torri merlate semi-ottagonali. Nella parte superiore del portale è presente un'iscrizione in caratteri cufici, dalla quale si apprende che la costruzione dello stesso fu iniziata dal sultano Abu Yusuf Ya'qub e terminata nel 1339 sotto il regno di Abū al-Ḥasan b. ʿUthmān, il più grande sultano della sua dinastia.
All'interno della necropoli si trovano alcune tombe di marabutti (santi uomini che vivevano monasticamente in un ribāṭ) e, presso una sorgente trasformata in fontana per abluzioni, la necropoli reale con la tomba di Abū al-Ḥasan b. ʿUthmān, la cui stele finemente decorata è sovrastata da una tettoia a muqarnas. Nelle vicinanze sono presenti la moschea di Abū Yūsuf Yaʿqūb con un minareto decorato con maioliche policrome ora in rovina e una zawiya con un oratorio (masjid).
Nella terrazza ai piedi del complesso si estende un incantevole giardino alimentato dalle acque della vicina sorgente ʿAyn Mdafa, che serpeggia nell'incavo della valletta.

Fidia

 


Fidia (in greco antico: Φειδίας, Pheidías; Atene, 490 a.C. circa – Atene, 430 a.C. circa) è stato uno scultore e architetto ateniese, attivo dal 470 a.C. circa ad Atene, Pellene, Platea, Tebe e Olimpia.
Fu l'artista che meglio riuscì ad interpretare gli ideali dell'Atene periclea, i quali raggiunsero e informarono di sé il mondo greco di epoca classica anche grazie e sulla scorta delle forme fidiache: il cantiere del Partenone, per il quale Fidia lavorò come sovrintendente, fu un grande laboratorio nel quale si formò la scuola degli scultori ateniesi attivi nella seconda metà del V secolo a.C. e tra i quali occorre almeno ricordare Agoracrito, Alcamene e Kolotes.
L'importanza di Fidia nella storia dell'arte greca, mai messa in discussione, ha tuttavia oscurato la realtà di ciò che realmente si conosce di questo: molte delle date cruciali relative alla sua attività restano controverse, le numerose fonti letterarie ne restituiscono un'immagine quasi leggendaria e le conoscenze che si hanno sulla sua opera si basano prevalentemente sulle copie rinvenute di alcune sculture, sulla descrizione di scrittori antichi e sui rinvii iconografici alle sue opere desumibili da ceramiche, rilievi, monete e gemme. Nessuna delle fonti letterarie giunte sino a noi, a partire da Gaio Plinio Secondo che segue le proprie fonti di epoca ellenistica, restituisce qualcosa in più rispetto ad una generica retorica relativa alla dignitosa grandezza del suo stile.
Fidia, figlio di Carmide, nacque ad Atene dove fu secondo alcune fonti allievo di Egia di Atene; la tradizione secondo la quale sarebbe stato allievo di Agelada è meno accreditata. Plinio pone il suo periodo di massima fioritura nella LXXXIII Olimpiade (448-445 a.C.) e lo dice formatosi inizialmente come pittore. Tra le opere giovanili vengono solitamente menzionate l'acrolito di Atena Arèia per il tempio di Platea e, ancora precedente, l'Atena crisoelefantina per Pellene in Acaia.
Opera di un già famoso bronzista dovette essere la colossale statua bronzea di Athena Promachos eretta sull'Acropoli di Atene, alla quale Fidia lavorò tra il 460 a.C. e il 450 a.C. Seguirono i lavori per il donario degli Ateniesi a Delfi, di cui riferisce Pausania, variamente datato in base alle vicende politiche di Cimone e generalmente connesso al rientro di quest'ultimo ad Atene dopo il periodo trascorso in esilio; rappresentava il generale Milziade, vincitore della battaglia di Maratona e padre di Cimone, insieme ad Atena, Apollo e agli eroi eponimi. Al 450 a.C. circa viene datata l'Athena Lemnia, commissionata dai colonizzatori ateniesi dell'isola di Lemno. L'opera fu identificata dal Furtwängler nei due torsi di Dresda e nella testa di Bologna (Museo civico archeologico, copia marmorea di età augustea, G1060), in base alle descrizioni presenti in Pausania e Luciano di Samosata e seguendo riproduzioni in opere d'arte minore. Allo stesso periodo si data anche l'Apollo bronzeo detto Parnopios, che Pausania ricorda dedicato sull'acropoli e che viene identificato con un tipo di cui si conoscono numerose copie detto Apollo Kassel, dal luogo di conservazione dalla copia principale.
In seguito Fidia lavorò come sovrintendente ai lavori per il nuovo tempio dedicato ad Atena, il Partenone; collaborò con gli architetti Ictino e Callicrate e seguì i lavori per la decorazione scultorea del tempio fino al 438 a.C. circa, quando si data la sua partenza per Olimpia e la consacrazione della colossale statua di culto crisoelefantina detta Athena Parthènos, realizzata da Fidia per la cella del tempio. Realizzò i modelli per le sculture dei due frontoni, per le 92 metope del fregio esterno e per il fregio interno (processione delle Panatenee), che decorava il muro della cella. Tali grandi lavori eseguiti con molti discepoli e allievi sono oggi quasi interamente conservati al British Museum (Collezione Elgin); molte figure rappresentate sono realizzate con la peculiare tecnica del panneggio bagnato ideato dallo stesso Fidia. Benché sia da escludere probabilmente una diretta partecipazione di Fidia all'opera scultorea, l'impronta di un unico ideatore dell'intero programma decorativo con i suoi complessi contenuti simbolici e cosmologici appare indiscussa.
Secondo la testimonianza di Plinio (XXXIV, 53), in un periodo che può essere compreso all'incirca tra l'Athena Parthènos e lo Zeus di Olimpia, Fidia partecipò a una competizione indetta per la realizzazione di una serie di amazzoni, da dedicare nel santuario di Efeso, insieme a Policleto, Kresilas e Phradmon; l'attribuzione a Fidia del tipo dell'Amazzone Mattei non è da considerarsi conclusiva ed esistono ancora dubbi sull'esistenza storica del concorso di cui narra Plinio.
Intorno al 438 a.C. si data l'incarico da parte del santuario di Olimpia per la realizzazione di una nuova e colossale statua crisoelefantina di Zeus Olimpio, da situare all'interno del tempio di Zeus; realizzata tra il 435 e il 425 a.C. venne annoverata tra le sette meraviglie del mondo; la statua è andata perduta, ma resta una delle opere greche maggiormente menzionate nella letteratura antica; Pausania, nella sua Periegesi della Grecia, ne offre una dettagliata descrizione.
Diverse, e tra le principali Aristofane (La pace), suoi scoliasti, Plinio e Plutarco (Vita di Pericle), sono le fonti letterarie che lo dicono vittima delle lotte politiche ateniesi e del clima antipericleo teso a screditare l'intera cerchia degli amici dello statista. Nel 433 a.C. fu accusato di essersi impadronito di una parte dell'oro destinato alla statua di Atena, ma riuscì a scagionarsi facendo pesare il metallo prezioso impiegato per le vesti della dea e dimostrando di aver usato esattamente la quantità ricevuta. Successivamente, fu accusato di empietà per aver raffigurato sé stesso sullo scudo della dea. Gettato in carcere, morì un anno dopo per malattia o per veleno.
I temi stilistici ricorrenti nelle fonti letterarie antiche sono la preminenza di Fidia nella rappresentazione della natura divina, secondo le modalità della grandezza e della compostezza, la sua versatilità, ossia la capacità di lavorare con differenti materiali applicati a differenti tecniche e infine quello della precisione e della capacità esecutiva.
I suoi bassorilievi sono notevoli per rigore compositivo e senso ritmico, staccandosi dalla staticità dei grandi fregi orientali: nella processione delle Panatenaiche vengono inseriti dei contrappunti, come personaggi girati all'indietro, e la composizione si articola per linee curve, convergenti e divergenti. I personaggi sono ben distinti e scalati, dando l'impressione dell'affollamento di molti individui e non di un ammasso indifferenziato.

nelle foto, dall'alto in basso:
particolare del fronte orientale del Partenone
Iride, dal frontone ovest del Partenone
Testa di Atena. Bologna, Museo civico archeologico G106
rilievi dal Partenone

Testa n. 597 di Copenaghen di Gneo Pompeo Magno - DANIMARCA


Nella scultorea a tutto tondo romana, esistono due ritratti di Gneo Pompeo Magno: una testa giovanile al Louvre, già a Venezia, e una testa in età matura alla Ny Carlsberg Glyptotek vicino a Copenaghen. Un altro ritratto simile a quest'ultimo, di qualità pressoché pari, si trova nella collezione Grimani al Museo archeologico nazionale di Venezia.
La testa del Louvre ritrae il generale romano in età giovanile, con un'espressione leggermente patetica e una caratteristica torsione del collo. L'espressione retoricamente patetica, il virtuosismo del modellato molto sfumato, lo rendono ascrivibile alla corrente internazionale del "barocco" ellenistico, dove le esigenze di veridicità delle fattezze del soggetto ritratto erano comunque secondarie al rispetto della tradizione secolare dei modelli antecedenti.
La testa n. 597 di Copenaghen venne rinvenuta nella tomba dei Licinii (famiglia discendente da Pompeo per adozione) e la fisionomia del personaggio è perfettamente confrontabile con i ritratti su monete. È alta 26 cm ed oggi è esposta priva del busto aggiunto in epoca moderna.
Si tratta di una copia dell'età di Tiberio o di Adriano di un originale databile al 60-50 a.C. Rispetto al ritratto precedente la costruzione plastica è più salda, con un punto focale all'attaccatura della capigliatura, dove le lunghe ciocche culminano nella ciocca "ribelle" al centro. Forse deriva dalla statua onoraria che doveva trovarsi nella curia di Pompeo, opera dello scultore Pasitele, ma non abbiamo possibilità di riscontri. In ogni caso l'autore doveva avere ben presente i modelli ellenistici, come il ritratto di Alessandro Magno di Lisippo, che ha un'acconciatura simile.
La rigidezza patrizia del ritratto romano repubblicano è qui mitigata da un plasticismo più ricco e da un'espressione più serena, con le fattezze del viso che sono trattate con morbidezza, la quale diventa però incisiva su alcuni tratti salienti, come gli occhi e il taglio della bocca.
Da un punto di vista stilistico si tratta di una mediazione, tipica del periodo tra il 70 e il 50 a.C., tra le forme del ritratto ellenistico e la durezza del ritratto repubblicano romano, senza però allontanarsi da un certo verismo e da una tecnica secca derivata dall'esperienza medio-italica. Nella successiva epoca di Augusto, alcuni elementi del ritratto di Pompeo verranno maggiormente sviluppati nella ritrattistica, fondendosi con l'attitudine fredda e limpida tipica degli scultori neoattici.
Esistono alcune statue colossali a tutto tondo di Pompeo raffigurato come un eroe mitologico (uno a Milano, uno a Roma), la cui fisionomia è convenzionalmente idealizzata.

Avebury - REGNO UNITO

 

Ad Avebury, nella contea inglese dello Wiltshire, nei dintorni dell'omonimo villaggio, si trovano un grande henge e numerosi cerchi di pietre. Si tratta di uno dei monumenti neolitici europei meglio conservati ed è databile attorno a 5000 anni fa. È più antico del sito megalitico di Stonehenge, che si trova a circa 32 km a sud, anche se i due siti sono quasi contemporanei. Si trova approssimativamente a metà strada tra Marlborough e Calne, poco distante dalla A4 a nord della A361 verso Wroughton.
Avebury è di proprietà della National Trust.
Molte delle strutture arrivate a noi sono fatte in terra, e sono note come dighe. Un enorme fossato esterno di 421 metri di diametro e 1,35 chilometri di circonferenza racchiude un'area di 115 000 metri quadrati. Gli unici siti conosciuti comparabili dello stesso periodo (Stonehenge e Flagstones nel Dorset) hanno una dimensione pari ad un quarto di Avebury. Il solo fossato ha una larghezza di 21 metri ed una profondità di 11 ed è databile grazie al metodo del carbonio-14 tra il 3400 ed il 2625 a.C. Gli scavi hanno dimostrato che il sito venne ampliato in seguito, probabilmente usando materiale scavato dal fossato.

All'interno dell'area si trova un grande Cerchio Esterno che forma il più grande cerchio di pietre della preistoria, con un diametro di 335 metri. Venne costruito contemporaneamente (o al massimo quattro o cinque secoli dopo) i lavori in terra. All'inizio c'erano 98 pietre erette alcune delle quali passavano le 40 tonnellate di peso. Queste pietre sono molto variabili in altezza (da 3,6 a 4,2 metri). La datazione al carbonio dei buchi in cui erano inserite le pietre risale al 2800-2400 a.C.
Nei pressi del monumento centrale vi sono altri due cerchi separati. Il Cerchio Interno Settentrionale misura 98 metri di diametro, nonostante siano rimaste solo quattro pietre di cui due cadute. Un gruppo di tre pietre si trova al centro, e la sua entrata punta a nord-est.
Il Cerchio Interno Meridionale aveva un diametro di 108 metri prima della sua distruzione. Le sezioni restanti del suo arco si trovano ora sotto gli edifici del villaggio. Un unico grande monolito, alto 5,5 metri, si trova al centro ed era allineato con le pietre più piccole fino alla sua distruzione avvenuta nel diciottesimo secolo. C'è una Avenue di pietre accoppiate, la West Kennet Avenue, che entra dall'entrata meridionale, e tracce di una seconda, la Beckhampton Avenue, che porta fuori da quella occidentale.
Aubrey Burl ipotizza una serie di costruzioni tra i due cerchi interni costruita attorno al 2800 a.C., seguita dal cerchio esterno due secoli dopo, mentre le avenue sarebbero state aggiunte nel 2400 a.C.
Un cerchio di alberi formato da due anelli concentrici, identificati tramite l'archeologia geofisica, si trovavano probabilmente nel settore nord-est del cerchio esterno secondo quanto scoperto negli scavi. Un tumulo può essere osservato dall'alto nel quadrante nord-occidentale.
Il complesso ha quattro entrate, due accoppiate a nord-nord-ovest e sud-sud-est, mentre le altre due sono sulla direttrice est-nord-est ed ovest-sud-ovest.
Nonostante sia una struttura artificiale, venne mostrata nella serie TV del 2005 Seven Natural Wonders come una delle meraviglie perché consiste di componenti naturali.


Molte delle pietre originali vennero distrutte a partire dal quattordicesimo secolo per recuperare materiale edile e per fare spazio all'agricoltura. Le pietre vennero distrutte anche per paura dei rituali pagani che venivano associati al sito. Sia John Aubrey che, in seguito, William Stukeley visitarono il sito e ne descrissero la distruzione. Stukeley passò buona parte del decennio del 1720 registrando i resti di Avebury e dei monumenti circostanti. Senza il suo lavoro avremmo un'idea molto più scarna dell'aspetto del sito, e soprattutto avremmo poche informazioni sui cerchi interni.
Solo 27 pietre del cerchio esterno sopravvissero e molte di queste sono state rierette da Alexander Keiller nel 1930. Attualmente ci sono pilastri in cemento che segnalano la locazione delle pietre mancanti, e si pensa che altre pietre siano sepolte sotto strati di terreno. La English Heritage sta attualmente svolgendo uno studio per capire se sia il caso di riavviare gli scavi per ritrovare e rialzare le pietre.
Gli scavi svolti ad Avebury sono stati limitati. Sir Henry Meux scavò una trincea nel 1894 che diede una prima indicazione del fatto che i lavori in terra fossero stati fatti in due fasi distinte.
Il sito venne studiato e scavato ad intermittenza tra il 1908 ed il 1922 da una squadra coordinata da Harold St George Gray. Egli fu in grado di dimostrare che i costruttori di Avebury avessero scavato per 11 metri nel gesso naturale scavando il fossato, usando corna di cervo europeo come principale strumento di scavo. Gray registrò la base del fossato come piatta e larga 4 metri nonostante in seguito alcuni archeologi abbiano posto dubbi sul suo uso di manodopera non qualificata negli scavi, sottolineando che forse la forma sia stata involontariamente modificata. Gray trovò nuovi manufatti sul fondo del fossato e recuperò ossa umane, in particolare mandibole. Ad una profondità di circa 2 metri Gray incontrò uno scheletro completo di donna alta solo 1,5 metri, che era stata sepolta in quel luogo.
Keiller scavò sotto le pietre che aveva rialzato dopo aver acquistato il sito nel 1934. Quando venne costruita una nuova scuola nel villaggio nel 1969 vi furono poche possibilità di esaminare il sito ed uno scavo, con l'intento di recuperare materiale da datare al carbonio-14, venne iniziato nel 1982.


Uno degli aspetti discussi riguarda la conformazione del luogo: alto e snello, o basso e largo. Questo porta a numerose teorie relative all'importanza del genere nella Gran Bretagna neolitica con le pietre alte considerate 'maschi' e quelle basse 'femmine'. Le pietre non sono state lavorate in nessun modo e potrebbero essere state scelte a causa della loro forma. Molte persone hanno identificato quelle che ritengono scanalature artificiali sulla roccia, alcune più convincenti di altre.
Le ossa umane trovate da Gray fanno presupporre un qualche utilizzo funerario. Il culto antico, anche su larga scala, potrebbe essere stato una delle cause della costruzione del sito, insieme ai rituali sul ruolo maschio-femmina.
L'area circostante, nonostante sembri racchiudere tutto il complesso, non ha propositi difensivi, visto che il fossato è all'interno. Essendo un cerchio di pietre l'allineamento astronomico è una teoria comune per spiegare il posizionamento delle pietre. Alcune teorie minori fanno riferimento ad alieni, alle linee ley, ai cerchi nel grano ed alla saggezza perduta degli antichi.
Forse la teoria più strana è quella proposta da Ralph Ellis che suggerisce che Avebury somigli ad un diagramma della Terra che si muove nello spazio, completo dei 23 gradi di inclinazione assiale.
Come con Stonehenge, la carenza di scavi moderni e di affidabile datazione scientifica ne rende lo studio estremamente difficoltoso.
Buona parte del piccolo villaggio di Avebury, è racchiuso all'interno del monumento. due strade locali si intersecano all'interno del sito, ed i turisti possono camminare sui lavori in terra.
Le due avenue di pietra (Kennet Avenue e Beckhampton Avenue) che si incontrano ad Avebury tracciano i due lati di un triangolo designato dall'UNESCO come un patrimonio dell'umanità che comprende The Sanctuary, Windmill Hill, Silbury Hill ed il West Kennet Long Barrow.

Avebury viene visto come centro spirituale da molte persone che professano paganesimo, wicca, druidismo e Etenismo, e per qualcuno è addirittura più importante di Stonehenge. I festival pagani attirano turisti, e specialmente il solstizio d'estate vede invasioni di fedeli di ogni confessione.
Come con Stonehenge, comunque, l'accesso è limitato. Mentre i cerchi di Avebury sono aperti a tutti, l'accesso è controllato attraverso la chiusura del parcheggio per auto. Avebury ha un'importanza crescente in questi ultimi anni, e l'accessibilità dei turisti è tuttora sotto studio del Sacred Sites, Contested Rites/Rights project.
La National Trust, che protegge il sito (di proprietà dell'English Heritage), dialoga anche con la comunità pagana, che usa il sito come tempio religioso o come luogo di culto. Questo dialogo avviene attraverso un forum. Il progetto fornisce guide ai turisti che aiutano la comunicazione tra i pagani che frequentano il luogo ed i turisti.

Bicha di Balazote - SPAGNA

 


La Bicha di Balazote è una scultura iberica ritrovata nei pressi della cittadina di Balazote, nella provincia di Albacete in Spagna. La statua è stata inizialmente studiata da un gruppo di archeologi francesi, che lo identificò come una specie di cervo, (biche in francese), che è stato poi spagnolizzato in bicha. La scultura è stata datata al VI secolo a.C. ed è conservata nel Museo archeologico nazionale di Spagna a Madrid fin dal 1910.
La Bicha è stata trovata nel sito di Majuelos non lontano dal centro di Balazote. Recenti scavi nella piana hanno rivelato una tomba di cui questo pezzo unico potrebbe essere pertinente. Nelle vicinanze sono stati scoperti anche importanti mosaici di una Villa romana.

Anello di Tolomeo VI - FRANCIA

 
L'anello di Tolomeo VI (Bj 1092) è un antico anello egizio in oro raffigurante, sul castone, il faraone Tolomeo VI Filometore (181–145 a.C.) della Dinastia tolemaica (XXXIII dinastia egizia).
L'oggetto è, a parte alcuni graffi, in eccellente stato di conservazione. Il rilievo sul castone rettangolare raffigura la testa di un faraone recante la doppia corona rossa e bianca (pschent) dell'Alto e Basso Egitto e un diadema a nastro.
Tale ritratto — per certi versi simile alle rappresentazioni di Tolomeo IX (alternatamente 116–88 a.C.) e di Tolomeo XII (80–51 a.C.) — è stato ascritto al faraone Tolomeo VI mediante la comparazione con sue effigi su monete o in marmo: su di un altro anello compare con la medesima corta barba lungo la linea della mandibola e del mento. Il naso lungo e arcuato e le labbra carnose e rivolte in basso (presenti, per esempio, in un colosso di Tolomeo II e in uno di Tolomeo XV Cesare) sono elementi tipici della matura ritrattistica tolemaica. Nonostante le corone faraoniche e il tipico pettorale egizio, i tratti somatici particolarmente realistici seguono lo stile greco-ellenistico: l'oggetto potrebbe perciò appartenere, al più, all'ultima parte del II secolo a.C., oppure al I secolo a.C. L'anello è esposto al Museo del Louvre, Parigi.


Grotta Cosquer - FRANCIA

 

La grotta Cosquer è una delle più interessanti grotte sommerse al mondo, grazie alla presenza di graffiti preistorici i più antichi dei quali risalgono a circa 27.000 anni fa. Prende il nome da Henri Cosquer, un sub francese che la scoprì nel 1991. L'ingresso è situato nel mar Mediterraneo a 37 m di profondità, pochi km ad est di Marsiglia. Henri Cosquer, sommozzatore professionista, scoprì casualmente la grotta nel 1985, mentre si trovava in immersione a 37 m di profondità nella baia di Triperie nei pressi di cap Morgiou, vicino alla cittadina di Cassis. Pensando di trovarsi davanti ad una grotta interessante, vi entrò, percorrendo un buio corridoio sottomarino lungo 175 m circa sfociante in una ampia sala solo parzialmente allagata, di circa 50 m di diametro e presentante numerose stalattiti. Fu solo poco tempo dopo, sviluppando le foto scattatevi, che Cosquer s'accorse dell'impronta di una mano con sole tre dita impressa su una parete.
Il sub tornò quindi nella grotta, stavolta in compagnia di alcuni amici, e la scoperta si rivelò sensazionale: più di cento figure, geometriche, di mani umane e di animali, erano dipinte sulle pareti e ricoperte da un sottile strato di calcite. Vennero contattati quindi gli esperti, e nel 1991 il paleontologo Jean Courtin visitò la grotta e studiò i dipinti, che stimò databili a non meno di 20.000 anni prima: dunque, più antichi di quelli di Lascaux, risalenti a "solo" 13.000 anni or sono. Nel 1991 la scoperta venne resa nota.
La grotta venne subito, e a più riprese, visitata e studiata da vari esperti che però, a causa della "sensazionale" età delle pitture e alle non attendibili prove col carbonio 14 (i dipinti erano troppo antichi per poterne garantire l'età), pensavano si trattasse di clamorosi falsi, realizzati ad arte dallo stesso Cosquer ed amici per farsi pubblicità. Ma a favore della sincerità del sub francese giocava un ruolo fondamentale la calcite che copriva gli affreschi: questa si forma per sedimentazione, e tale processo può durare millenni, quindi è difficilmente falsificabile nel giro di poco tempo.
La conferma definitiva dell'autenticità delle pitture è arrivata solo nel 1998, quando un attentissimo studio dei materiali usati per la loro realizzazione ha riscontrato tracce di legno e pollini estinti nella zona dalla fine dell'ultima era glaciale. Dunque, la grotta Cosquer è databile ad un periodo compreso tra i 27.100 - 19.000 anni or sono: più antica, quindi, di Lascaux ed una delle più antiche in assoluto.
Le pitture della grotta, per stile e raffigurazioni, vanno divise in due periodi ben distinti di frequentazione dell'ambiente, entrambi siti nel Paleolitico superiore.
Il primo periodo è databile a 27.100 anni fa, quindi al pieno Gravettiano. Le figure ad esso risalenti sono per lo più impronte di mani, realizzate con la tecnica dello "stampino": la mano veniva appoggiata alla parete, e su di essa gli uomini preistorici soffiavano una polvere ocracea che ne lasciava l'ombra sulla roccia. Ciò che maggiormente colpisce, nella grotta Cosquer, è che la maggior parte delle mani si presentano prive di alcune, se non di tutte le dita; a tal proposito, sono state formulate le più svariate ipotesi, dalla mutilazione rituale ad un vero e proprio alfabeto in segni. Sono presenti, poi, numerose impronte impresse direttamente nella parete, oltre a ben visibili graffi e ditate disposti in maniera particolare, fino ad arrivare alle prime figure animali: alcuni cavalli e figure simili a cervi incise sulla parete, fino ad arrivare a quelle che, con pochi dubbi, sono rappresentazioni di un sesso femminile ed un sesso maschile, che confermerebbero la destinazione rituale delle incisioni.
Il secondo periodo di frequentazione è databile a 18-19.000 anni fa, quindi ascrivibile al Solutreano. Le figure ad esso inerenti sono molte di più, nonché assai diverse: tema preferito adesso è quello degli animali, e compaiono più di cento figure, tra stambecchi, cavalli, buoi, uri, bisonti, meduse ed altri ancora, oltre a particolari figure geometriche di difficile interpretazione. Ovviamente, le figure superstiti sono quelle che si trovano al di sopra del livello del mare: gli studiosi hanno calcolato che molte altre figure sono state, nel corso dei millenni, cancellate dall'acqua e dai minerali.
Il materiale usato per la realizzazione delle pitture consiste perlopiù in vari tipi d'ocra e carboni di legna misti. Il tipo di legna usato, dimostratosi rivelatore per la datazione della grotta, apparteneva a pino silvestre e pino nero, alberi estinti nella zona da almeno 10.000 anni; inoltre, nella legna sono stati ritrovati pollini appartenenti a betulle, albero tipico dei climi freddi, che conferma l'epoca glaciale. A tal proposito, sul pavimento della grotta sono stati trovati i resti di un focolare, ma nessuna traccia di ossa od oggetti di vita quotidiana. Ciò confermerebbe che la grotta non fosse usata come abitazione, ma come santuario, nel quale gli uomini preistorici si ritrovavano per incontrarsi e compiere riti magici particolari per propiziarsi la caccia.
Lo stile di questi animali (alcuni anche semplicemente incisi nella roccia) è splendidamente naturalistico nonché "moderno": lo studioso Jean Clottes ha notato che le figure sono tutte rappresentate di profilo, ma le orecchie e le zampe, accoppiate, sono raffigurate frontalmente per dare l'idea della tridimensionalità.
A causa della sua posizione al di sotto del livello del mare, la grotta è chiusa al pubblico. L'accesso è consentito solo agli studiosi ed il tunnel sottomarino è stato ostruito con dei massi. Recentemente è stato presentato un progetto per rendere accessibile la grotta da terra con l'ausilio di un ascensore sotterraneo, ma l'ipotesi è stata scartata per le conseguenze che potrebbero derivarne a causa della pressione.
Per poter usufruire e visitare questa grotta è stato creato a Marsiglia, il Cosquer Méditerranée, una struttura museale espositiva all'interno del quale è possibile visitare fisicamente la grotta ricostruita con anche riprodotti i vari graffiti preistorici.



giovedì 23 novembre 2023

Anfiteatro romano di Roselle (Toscana)

 


L'Anfiteatro romano di Roselle si trova all'interno del comune di Grosseto, presso l'omonimo sito archeologico. L'anfiteatro fu costruito dai Romani durante il I secolo d.C. nell'area sommitale della collina settentrionale su cui si sviluppava l'antica città di Rusellae. Proprio nel luogo in cui sorge l'anfiteatro, sono stati rinvenuti reperti villanoviani e di epoca etrusca del VII-VI secolo a.C..
Durante il periodo altomedievale, l'arena divenne un recinto fortificato, grazie alle costruzioni realizzate utilizzando materiali di spoglio dagli edifici romani in rovina. In questo fortilizio sarebbe da riconoscersi un castrum tardoantico/altomedievale, creato a difesa dei territori bizantini di contro all'avanzata dei Longobardi. L'area rimase occupata fino almeno al XVI secolo, così come testimoniano i vari frammenti di maiolica arcaica, ingobbiata e graffita, e ceramica d'uso invetriata e smaltata rinvenuti al suo interno. La terra tolta per la costruzione dell'arena venne quasi certamente riutilizzata come base per l'erezione degli ordini superiori dei posti.
L'edificio di forma ellittica presenta misure particolarmente ridotte (asse maggiore 38m, asse minore 27m) rispetto a quelle di monumenti simili riscontrabili in altre città romane. Gli accessi sono quattro e diversi per tipologia: quelli situati sull'asse maggiore E-O sono scoperti e delimitati da lunghi muri, mentre i restanti due sono fiancheggiati da murature di minore lunghezza e sono coperti da volte a botte. Lateralmente ai due ingressi E-O si trovano due piccoli vani con copertura a volta a crociera: la tecnica muraria in opus reticulatum con testate a blocchetti regolari suggerisce una datazione agli inizi del I secolo d.C., oltretutto convalidata dal rinvenimento di ceramica sigillata aretina. All'interno dell'arena, lungo l'asse maggiore, sono state scoperte quattro pietre allineate a distanza regolare con dei fori che dovevano servire a dividerla per utilità sceniche. Alcune murature tardoantiche sono state rinvenute in connessione ad una ricca serie di monete e rappresentano le uniche tracce antropiche tra l'età di Caligola e di Diocleziano.
Dalla fine degli anni ottanta, nel sito archeologico della città etrusco-romana di Roselle, l'anfiteatro romano di epoca augustea ospita l'Estate rosellana, manifestazione incentrata su concerti e spettacoli di danza e di prosa di livello nazionale, grazie all'acustica ancora eccellente. Alcuni spettacoli si tengono proprio nell'orario del tramonto, per esaltare maggiormente le rappresentazioni che si svolgono in uno sfondo suggestivo.

Ragazza di Egtved - DANIMARCA

 


Ragazza di Egtved è il nome attribuito ai resti ben conservati di una giovane donna dell'età del bronzo nordica, vissuta all'incirca nel 1390-1370 a.C., la cui sepoltura è stata scoperta in Danimarca nel 1921, nei pressi di Egtved. La ragazza aveva circa 16-18 anni al momento della morte, era di costituzione magra, alta 160 centimetri, con corti capelli biondi e unghie ben curate. La sua tomba è stata datata al 1370 a.C. circa. È stata scoperta insieme ai resti cremati di un bambino in un tumulo largo circa 30 metri e alto 4. Della ragazza si sono preservati solo i capelli, il cervello, i denti, le unghie, e parte della pelle. Nel tumulo, scavato nel 1921, fu trovata una bara con un allineamento est-ovest. Fu trasportata sigillata al Museo nazionale danese a Copenaghen, dove furono scoperti i resti.
La ragazza era stata sepolta completamente vestita su una pelle di mucca. Indossava un corpetto sciolto, con maniche che raggiungevano il gomito. Aveva la vita nuda e indossava una gonna corta fatta di stringhe. Aveva braccialetti di bronzo e una cintura di lana con un grande disco decorato con spirali e una borchia. Ai suoi piedi furono rinvenuti i resti cremati di un bambino di età compresa fra i 5 e i 6 anni. Vicino alla sua testa c'era una piccola scatola di corteccia di betulla che conteneva un punteruolo, spille di bronzo e una retina per capelli.
Nella bara furono inoltre rinvenuti fiori di achillea, e un recipiente che aveva contenuto birra fatta con grano, miele, mirto di palude e mirtillo rosso. Il suo particolare vestito, che fece scalpore quando fu portato alla luce nel 1921, è l'esempio meglio conservato di uno stile diffuso nel Nord Europa durante l'età del bronzo. La buona conservazione dei resti della ragazza di Egtved è dovuta alle condizioni acide del suolo.
Analisi dello stronzio nei suoi capelli, unghie e denti indicano che probabilmente era nata e cresciuta nella Germania sud-occidentale, nei pressi della Foresta Nera, ed aveva viaggiato molto durante gli ultimi anni della sua vita.

Amanti di Ain Sakhri - REGNO UNITO

 

Gli amanti di Ain Sakhri è il titolo dato ad una scultura - alta 10, 2 cm - facente parte di tutta una serie di altre figurine rinvenute da René Neuville nel 1933 in una delle grotte denominate Ain Sakhri nei pressi di Betlemme. La scultura, datata all'incirca al 9 mila a.C., è considerata esser come la più antica rappresentazione conosciuta di due persone impegnate in un rapporto sessuale. La piccola scultura è esposta al British Museum di Londra.


Dama di Ibiza - SPAGNA

La Dama di Ibiza è una figura d'argilla alta 47 centimetri, risalente al III secolo a.C.. Fu ritrovata nella necropoli posta sul Puig des Molins a Ibiza, isola delle Baleari. Fu realizzata con uno stampo e presenta una cavità sul retro, caratteristica di tutte le altre Dame ritrovate, fatto che ipotizza l'uso per conservare reliquie, offerte funerarie o le ceneri del defunto.
Attualmente è stata collocata nel Museo archeologico nazionale di Spagna a Madrid nella stessa sala con la Dama di Elche e la Dama di Baza.
Si ritiene che sia la rappresentazione della dea cartaginese Tanit, legata alla dea fenicia Astarte. La figura presenta vesti e gioielli molto ricchi.

Venere di Arles - FRANCIA

 
La Venere di Arles è una statua in marmo, che raffigura la dea Afrodite o Venere), copia romana di un originale greco, probabilmente di Prassitele.
Fu rinvenuta nel 1651 presso il teatro romano di Arles e oggi è esposta presso il Museo del Louvre.
La copia romana è stata datata alla fine del I secolo a.C., all'epoca di Augusto. Apparteneva alla decorazione della scena del teatro di Arles.
La statua fu rinvenuta il 6 giugno del 1651 durante lo scavo per la realizzazione di una cisterna ai piedi dei resti della scena del teatro romano di Arles. La statua era rotta in tre frammenti, oltre alla testa staccata, ed era priva delle braccia.
Inizialmente fu acquistata dalla città di Arles per 61 lire e collocata nel municipio. Nel 1683 la città la donò al re Luigi XIV, dopo averne fatto il calco. L'anno seguente il re fece realizzare degli scavi presso la scena del teatro per ricercare le braccia mancanti, ma senza esito.
La statua, identificata allora come Venere invece che come Diana, fu completata con braccia di restauro ad opera dello scultore di corte François Girardon e fu collocata il 18 aprile del 1685 nella "Galleria degli specchi" della reggia di Versailles. Nel 1798, dopo la rivoluzione francese fu trasferita al Museo del Louvre.
Si tratta di una statua tutto tondo, scolpita in origine in un solo blocco di marmo bianco dell'Imetto. Misura 194 centimetri di altezza (208 con la base) e circa 65 centimetri di larghezza[5], quindi è leggermente più grande del vero.
Rappresenta una figura femminile giovanile, con le gambe avvolte da un mantello e il busto nudo. Nella mano destra sollevata reggeva un frutto, mentre nella sinistra doveva reggere probabilmente uno specchio, nel quale si specchiava. La testa è girata verso destra e inclinata verso il basso. La capigliatura è raccolta in una crocchia e fermata da un doppio nastro, le cui estremità ricadono sulle spalle.
La figura doveva essere colorata: sono state rinvenute tracce di colore rosso nei capelli e si è ipotizzato che il mantello fosse di colore blu. Dovevano essere dipinti anche un gioiello presente su uno dei nastri della capigliatura e una delle gemme presenti sul braccialetto che la dea porta all'avambraccio sinistro. È possibile che fossero anche presenti aggiunte in metallo.
Le braccia furono aggiunte in marmo bianco di Carrara nel restauro seicentesco dallo scultore François Girardon. La posizione del braccio sinistro sembra corretta, mentre il braccio destro era forse più sollevato.
La situazione originaria della statua può essere ricavata dalle copie eseguite prima del trasferimento a Versailles, che testimoniano una possibile rilavorazione delle superfici.
La Venere di Arles è generalmente ritenuta copia di un originale greco. La linea flessuosa della figura, che rende più fluida la tipica disposizione a chiasmo classica e la linea della bocca e delle palpebre, un po' pesanti (simili alla testa dell'Afrodite cnidia), richiamano le opere dello scultore ateniese Prassitele. Lo stile e la semi-nudità della figura hanno fatto ritenere che si trattasse di un'opera precedente alla creazione dell'Afrodite cnidia, forse l'Afrodite di Tespie, creata dallo scultore intorno al 360 a.C.
Sono state individuate altre copie dello stesso originale, di cui l'esemplare di Arles sembra essere stato il capostipite insieme a quello dei Musei Capitolini:
  • Venere del tipo Arles esposta presso la Centrale Montemartini (Musei Capitolini), rinvenuta a Roma nel 1921
  • Venere proveniente dalla collezione Cesi, fortemente restaurata, conservata presso la reggia di Versailles
  • parte inferiore di una statua colossale presso l'ambasciata degli Stati Uniti a Roma (palazzo Margherita)
  • torso di una statua di Venere presso il Museo archeologico nazionale di Atene
  • testa di Venere della collezione Jane Dart (California)
Come l'esemplare dei Capitolini, la statua fu probabilmente realizzata a Roma. Da qui fu inviata ad Arles per far parte della decorazione del teatro: come ''Venus Victrix" doveva simboleggiare le vittorie di Augusto.
Della decorazione scultorea della scena del teatro si conservano una testa ("Testa di Arles"), probabilmente appartenente ad un'altra Venere, interamente coperta dalla veste, che doveva collocarsi simmetricamente alla Venere di Arles, e una statua colossale di Augusto.
La statua della Venere di Arles fu di ispirazione al poeta provenzale Théodore Aubanel: la poesia La Venere di Arles all'epoca provocò uno scandalo per la celebrazione del nudo femminile.

Šapinuwa - TURCHIA

 


Šapinuwa (o Shapinuwa) fu una città ittita dell'età del bronzo che sorgeva nei presso della moderna città di Ortaköy nella provincia di Çorum in Turchia. Fu uno dei maggiori centri religiosi, amministrativi e militari ittiti ed occasionalmente residenza imperiale. Il palazzo di Sapinuwa è citato in numerosi testi ritrovati nella capitale dell'impero Ḫattuša. Ortaköy fu identificata come il sito dell'antica Sapinuwa durante una ispezione nel 1989 e l'università di Ankara ottenne rapidamente dal ministero della cultura turco il permesso di organizzare gli scavi archeologici, che iniziarono l'anno successivo. L'edificio A fu il primo portato alla luce e successivamente toccò all'edificio B nel 1995. L'edificio con la stele con il rilievo del guerriero e legno carbonizzato datato con radiocarbonio al XIV secolo a.C. fu scavato dopo il 2000.
L'edificio A, il palazzo con gli uffici amministrativi, è dotato di muri ciclopici ed al suo interno sono state ritrovate 3000 tavolette e frammenti. Queste erano conservate al piano superiore in tre separati archivi, che collassarono quando l'edificio venne incendiato.
A Kadilar Höyük, 150 metri a sudest dell'edificio A, l'"edificio B" (nella foto a sinistra) è risultato essere un deposito colmo di giare di terracotta ed anche qui furono ritrovate delle tavolette. In un altro edificio (edificio D) è stata ritrovata una stele con il rilievo di un guerriero, simile a quella di Tudhaliya IV a Yazılıkaya. Probabilmente rappresenta il dio Teshub.
Il numero di tavolette ritrovate nel sito (oltre 3500) è secondo solo a quello di Hattuša. Il fuoco che distrusse Sapinuwa danneggiò anche gli archivi e la maggior parte delle tavolette è in frammenti.
L'identificazione del sito come Sapinuwa ha corretto un malinteso nella geografia ittita. In base alle informazioni contenute negli archivi trovati a Hattuša, si pensava che Sapinuwa fosse una città in origine hurrita a sudest di Hattuša. Ora si sa che Sapinuwa (e quindi le città ad essa associate) si trovano a nordest di Hattuša.
Le tavolette ritrovate nell'edificio A sono in maggior parte in lingua ittita (1550), ma anche in lingua hurrita (600), accadico e lingua hattica. Sono state inoltre ritrovate tavolette con testi bilingui in ittita e hattico, ittita e hurrita ed ittita con una lingua ancora sconosciuta; altre tavolette contengono liste di vocaboli in ittita, sumero ed accadico e tavolette con geroglifici anatolici. I testi bilingui ed i vocabolari sono importanti per la conoscenza delle lingue anatoliche del periodo. I testi ittiti includono molte lettere. La lingua hurrita era principalmente usata per i rituali di purificazione chiamati itkalzi. Molte lettere sono collegate ad altre ritrovate nell'archivio di Maşat Höyük. Il dialetto ittita in questa corrispondenza è il medio ittita, ma il sito fu utilizzato anche nei secoli successivi I contenuti dei documenti ritrovati sono stati riassunti in: lettere, elenchi di persone, cataloghi, testi oracolari, preghiere, rituali e descrizioni di feste. Fra i cataloghi, molto interessanti sono i cataloghi di piante commestibili e medicinali
I testi ritrovati dimostrano che Sapinuwa era una seconda capitale durante il medio impero ittita (dal 1400 a.C.) in particolare durante il regno di Tudhaliya I/II che da qui incominciò la sua lotta contro Muwatalli I per la conquista del trono. Durante il regno di Tudhaliya III e la prima parte del regno di Šuppiluliuma I, durante una fase di debolezza dell'impero, la corte ittita si trasferì in questa città che divenne la capitale del regno per alcuni decenni. Sapinuwa era una delle più importanti se non la più importante città sacra ittita, qui si celebrava gli importanti riti di Itkalzi che avevano lo scopo di purificare la famiglia reale. Questi riti includevano varie diverse cerimonie che avevano il nome di agenti purificanti come l'acqua, l'olio, l'argento, i lapislazzuli e così via.
«Un esempio di cerimonia con il rito dell'acqua potrebbe essere il seguente: "Ed il sacrificante si lava. Ma quando si prepara per lavarsi il sacerdote, che porta acqua pura, li porta a lavarsi ... e quando il sacrificante ha finito di lavarsi, essi purificano quest'acqua in un vaso di bronzo o rame."»
(Aygul Süel, The religious significance and sacredness of the hittite capital city of Sapinuwa)
Da questa descrizione si può dedurre che questo rito veniva celebrato nel bacino posto al centro dell'edificio D. Il re e la regina ittiti si immergevano nel bacino, ora in rovina, di cui però resta il sistema di scarico dell'acqua. Questa cerimonia aveva un grande valore simbolico. Dietro al bacino era un muro di legno ora rivelato solo dalle tracce sull'intonaco bruciato.
Su una stele posta all'ingresso dell'edificio C è rappresentato il dio Teshub (foto a sinistra). Il dio, che veste l'armatura, è appoggiato contro una lancia ed accoglie con la mano sinistra chi entra nell'edificio.
Lancia e punte di lancia in bronzo con il titolo «Il grande re», un'armatura di bronzo, un elmo di bronzo e le impressioni dei sigilli reali, scoperti in un angolo di una stanza di questo edificio, ci hanno fornito ulteriori informazioni su questo rito. Una tavoletta d'argilla descrive questo rito eseguito da Daduhepa nell'occasione delle sue nozze con Tashmi-Sharri, il futuro Tudhaliya III. Considerata l'importanza della cultura hurrita per la famiglia reale ittita, non sorprende che molti nomi dei dipendenti palatini di Sapinuwa fossero hurriti. Gli hurriti erano infatti rinomati esperti di rituali religiosi e magici, come la sacerdotessa Alaiturahhi, siriana, i cui insegnamenti sono contenuti in alcune tavolette.
L'importanza strategica e religiosa di Sapinuwa è legata anche al sito in cui fu fondata: sopra un altopiano che domina la pianura sottostante di Amasya, e quindi facilmente difendibile, e vicino a 7 o addirittura 9 fonti di acqua limpida necessarie per i riti di purificazione. La città sorgeva anche in un punto chiave fra le pianure di Alaca e di Amasya, a due giorni di cammino da Hattuša.
Il dio delle tempeste di Sapinuwa veniva invocato alla pari del dio delle tempeste della città di Nerik. Dato che sia Hattuša al sud che Nerik più a nord erano città fondate dagli Hatti, è probabile che anche Sapinuwa sia stata fondata da quel popolo. Il nome della città allora potrebbe avere un significato religioso (sapi, dio, nuwa, città, perciò città degli dei). Gli Ittiti conquistarono la città nel XVII sec. a.C
Probabilmente furono i Kaska gli autori della distruzione della città nel XIV sec. a.C. La città non fu ricostruita e la corte ittita si trasferì a Samuha.

Petroglifi del lago Onega e del mar Bianco - RUSSIA

 

petroglifi del lago Onega e del mar Bianco, dal luglio 2021 sono un sito patrimonio dell'umanità dell'UNESCO localizzato nella costa orientale del lago Onega del nord-est della Russia europea. Risalgono al II millennio a.C. Si tratta di circa 1.200 petroglifi disseminati in una zona lunga 20 km. I graffiti sono profondi 1-2 mm e rappresentano animali, persone e forme geometriche, come cerchi e mezza luna.
Le prime incisioni rupestri della Carelia vennero scoperte, nel 1848, dal conservatore del Museo di mineralogía di San Pietroburgo, Konstantin Grevingk, vicino alla città di Besov sulla riva del lago Onega. Agli inizi del XX secolo i petroglifi dell'Onega vennero studiati dal ricercatore svedese Gustaf Hallström.
Sono molte le forme straordinarie registrate nelle rocce del lago Onega. Oltre i segni circolari e di mezza luna con raggi, si trovano figure antropomorfe, a volte con teste di alci, lupi, immagini di cosiddetti "bastoni di sciamano", e altro ancora. Quasi la metà di tutti i petroglifi del lago Onega rappresentano cigni, oche e uccelli acquatici. Ci sono poche scene umane. Sono rare le scene di caccia alle balene beluga che mai hanno abitato il lago Onega.
Il contenuto di differenti cumuli di petroglifi a volte varia, cosa che probabilmente significa non solo la differenza tra l'età dei gruppi di petroglífi, ma anche i i cambiamenti nel pensiero umano nel neolitico.
Alla fine di agosto, dalla fine di Capo Besov Nos, a volte si può vedere come un grande globo rossastro del Sole che tramonta gradualmente e sul lato opposto il sorgere della Luna luminosa, grande e piena. Forse fenomeni simili, osservati dall'uomo antico, servirono da incentivo ad incidere nelle rocce le forme circolari e a mezzaluna che molti scienziati considerano immagini simboliche del Sole e della Luna.
Quando il Sole è all'orizzonte, i petroglifi “scompaiono” immediatamente: si vede una superficie di pietra assolutamente pulita e senza vita. Questo fenomeno, chiamato dagli scienziati "l'effetto del cinematografo preistorico", impressiona anche l'uomo di oggi.
I disegni si trovano in luoghi estremamente paesaggistici. Notevole specialmente il gruppo dei petroglifi del "capo del Diavolo" dove ci sono tre figure parallele: diavolo, lontra (o lagarto) e siluro (o lota comune). Sono considerati i disegni più antichi che poi hanno stimolato tutta l'attività creativa nella zona del lago Onega.

Via Lauretana (Toscana)

  La  via Lauretana  è un'antica strada etrusco-romana della Val di Chiana che collegava Cortona a Montepulciano e Siena. Venne realizza...