Ocriticum è un sito archeologico situato nel
territorio del Comune di Cansano, in provincia dell'Aquila, e
precisamente nell'area conosciuta coi microtoponimi
di Zeppe, Pantano e Tavuto. Le testimonianze che
presenta abbracciano un periodo compreso tra il Neolitico e
l'Alto Medioevo, ma lo sviluppo dell'area fu massimo sotto i Romani,
quando in corrispondenza della vicina e assai trafficata Via Nova,
l'asse viario che collegava Corfinium con il Sannio,
si sviluppò un grande santuario monumentale dedicato a Giove.
Nell'area, interessata dai traffici della suddetta via Nova, sorse la
mansio Jovis Larene, segnata, tale la sua importanza,
sulla Tavola Peutingeriana.
I traffici
commerciali, la religiosità e la conseguente ininterrotta
frequentazione dell'area ne favorirono lo sviluppo abitativo,
economico e produttivo (fra le testimonianze, una fornax
calcaria, impianto di produzione per la calce). Un
violento terremoto nel II secolo d.C. distrusse buona parte
degli edifici, dando così inizio ad un progressivo abbandono
dell'area (compiutosi attorno al VI secolo d.C.).
Gli scavi, avvenuti clandestinamente
tra il XIX e il XX secolo, sono stati avviati ufficialmente solo nel
1992, in occasione del passaggio del metanodotto Snam, e si sono
conclusi nel 2005. Oggi l'intera area è protetta nel parco
archeologico e naturalistico di "Ocriticum", istituito nel
2004 insieme con il relativo centro di documentazione e visita
"Ocriticum" di Cansano, che ospita parte dei reperti
rinvenuti nel corso dello scavo e un'importante mostra permanente
sull'emigrazione (è dunque detto pure museo dell'emigrazione).
Parte dei reperti provenienti da Ocriticum è conservata presso
il museo civico di Sulmona e il museo nazionale
archeologico di Chieti.
A pochi chilometri da Cansano,
alle pendici del colle Mitra e, più lontano, del complesso
della Maiella, si estende il pianoro conosciuto agli abitanti
coi toponimi Zeppe, Pantano e Tavuto, dove circa
duemila anni fa sorgeva, a sette miglia da Sulmo, uno dei
villaggi che in questo periodo costellavano l'ager sulmonense, il
territorio amministrato dal municipium di Sulmona.
Come ben si osserva dalle foto aeree
del pianoro, il sito era organizzato, all'apice del suo sviluppo, in
più spazi e aree destinati ciascuno ad una precisa funzione
(pratica, questa, definita zonazione): a Nord si trova la vasta
zona di culto con i suoi tre templi allineati e rivolti verso la
Maiella; nell'area meridionale, l'abitato di Ocriticum; sulla collina
orientale, la via glareata su cui si affaccia la fornax
calcaria, l'impianto per la produzione della calce; ad ovest,
l'antico tracciato della Via Nova; lungo le strade e in prossimità
dell'area sacra, tombe monumentali, epigrafi et cetera.
Il villaggio di Ocriticum e l'epigrafe a Sesto PaccioIl villaggio era collocato nell'area
meridionale del pianoro; di modeste dimensioni, il sito è stato
tuttavia saggiato e indagato in via piuttosto superficiale. I resti
degli edifici possono, ad ogni modo, essere interpretati come
una mansio, stazione di sosta per chi viaggiava lungo la vicina
Via Nova.
Lungo un tracciato stradale che dal
villaggio si dirigeva a Sud, oltre a canalette e modeste muraglie
in opera incerta, erano pure collocate - secondo uso romano -
delle steli funerarie epigrafate. Sebbene tale necropoli sia
stata quasi interamente intaccata dall'agricoltura, un'epigrafe
scoperta in zona ha permesso di risalire al toponimo con cui fra i
Romani era conosciuto il villaggio; essa riporta l'iscrizione:
«SEX(TO) PACCIO / ARGYNNO /CULTORES
IOVIS / OCRITICANI /P(OSUERUNT)»
(«A Sesto Paccio / Argynno / i
Cultori Ocriticani / di Giove /P(osero)»)
(Epigrafe funeraria)
Sia che Ocriticani si
riferisca a Jovis, sia che si riferisca a Cultores, esso
riconduce al toponimo Ocriticum, probabilmente in riferimento
all'ocre (il centro fortificato) che sorgeva sulla cima del vicino
colle Mitra. Tracce del toponimo, peraltro, restano nel nome della
chiesa rurale che ivi si trovava e oggi scomparsa, di cui tuttavia
resta il ricordo nella memoria popolare di Cansano: Santa Maria
de' gli Tridece (ovvero Santa Maria dei Tredici),
precedentemente conosciuta come Santa Maria dei Chierici e
ancor prima come Santa Maria Oclerici, dunque Ocritici: di
Ocriticum. La presenza dei Pacci è inoltre attestata nella Marsica e
fra i Sabini.
L'area sacraLa presenza di un'ampia area sacra fu
determinante per lo sviluppo del villaggio di Ocriticum sotto tutti i
punti di vista: dal momento in cui, difatti, essa sorgeva in
prossimità d'un tratto di una delle vie più importanti dell'Impero
romano, grande era la quantità di pellegrini, viandanti,
commercianti, pastori che vi facevano tappa per venerare le divinità.
La fervente attività religiosa costituì un impulso non indifferente
sia per il moltiplicarsi dei culti praticati nel pianoro, sia per la
monumentalizzazione e l'ampliamento degli edifici sacri, sia, infine,
per l'accrescersi della fama del luogo, che divenne tale da essere
segnalato col nome di (Mansio) Jovis Larene sulla Tavola
Peutingeriana, famosa copia medievale di un'originale carta militare
stradale romana. In tale carta il sito di Ocriticum risulta distante
sette miglia da Sulmo e venticinque da Aufidena, ed è collocato
lungo l'importante tracciato che collegava la Valle Peligna con il
Sannio Pentro; l'antico asse viario, riconosciuto da Ezio Mattiocco
come la Via Nova di medievale memoria, è tuttora in parte
percorribile e riconoscibile.
Il
tempio italicoIl primo tempio edificato nell'area
risale alla fine del IV secolo a.C.; originariamente era costituito
da un'unica cella di base pressoché quadrata, con ingresso
rivolto a Sud-Est (dove sorge il Sole) attorno alla quale era un
giardino sacro (hurtuz > lat. HORTUS >
ita. orto) delimitato da un muro perimetrale eretto a secco. In
una successiva fase edilizia, ebbe luogo un ampliamento del recinto e
dell'edificio templare, che fu provvisto d'un pronao realizzato
in tecnica sensibilmente diversa dalla cella.
Nel giardino sacro, scavato nel terreno
a ovest dell'edificio, è stato rinvenuto un deposito votivo volto a
conservare gli oggetti che, per mancanza di spazio, non potevano più
essere ospitati all'interno del naos; circa 600 gli ex
voto rinvenuti, databili fra il IV secolo a.C. e il I secolo
a.C., fra i quali una statuetta bronzea di Ercole che
giaceva isolata sul fondo del deposito: ad Ercole, divinità
assai diffusa in area peligna in età tardo-italica e
romana, pare dunque che fosse dedicato il tempio, seppur,
verosimilmente, non in via esclusiva.
Il
tempio romanoAttorno agli inizi del I secolo a.C. (e
quindi ormai sotto il dominio dei Romani), si assiste a un
ulteriore ampliamento dell'area sacra, nella quale, su un terrazzo
più elevato rispetto al tempio italico ma con esso perfettamente
allineato, viene edificato un altro edificio templare, più grande e
architettonicamente sofisticato. Il tempio, di base rettangolare e
diviso in due ambienti di egual misura (pronao e cella), era
probabilmente prostilo tetrastilo, con scalinata incastonata
innanzi all'entrata, rivolta a Sud-Est come per il precedente tempio.
Della struttura originale resta solo il podio in opera
reticolata: dell'intero apparato decorativo non è rimasta traccia,
come anche del pavimento musivo della cella, eccezion fatta per
alcune tessere di mosaico rinvenute nei pressi dell'edificio. Il
culto a cui il tempio era destinato è, verosimilmente, quello
di Giove, come testimoniano l'epigrafe funeraria dedicata a
Sesto Paccio e il toponimo - Jovis Larene - con cui era
nota anticamente l'area.
Contestualmente alla costruzione del
tempio di Giove, fu realizzato l'ampliamento del recinto sacro, a
ridosso del quale, sul lato interno settentrionale, furono realizzati
degli ambienti destinati a magazzini, botteghe e vani ad uso dei
cultori del santuario. Lo spazio recintato, eletto in tal modo a
luogo del sacro, è tecnicamente definito temenos e
presentava probabilmente un'organizzazione spaziale interna tesa alla
celebrazione delle attività religiose da parte dei sacerdoti.
Il sacello delle divinità femminiliNella zona posta a Occidente
del temenos e dei due templi maggiori, su un terrazzo
inferiore rispetto agli altri, è stato rinvenuto un terzo edificio
templare di piccole dimensioni, affiancato da un deposito votivo e
circondato da un recinto sacro: trattasi di un sacello di
base quadrata, posizionato in perfetto allineamento con gli altri
templi, anch'esso con ingresso a Sud-Est; l'ambiente conserva ancora
parte del pavimento originale, realizzato in tessere rosse, e
dell'intonacatura interna. All'interno del sacello, eretto
verosimilmente tra il III e il II sec. a.C., è stata rinvenuta una
discreta quantità di oggetti tipici del mundus femminile,
come ampolle e balsamari vitrei, che conservano ancora le tracce di
unguenti, profumi e cosmetici. L'elemento, in relazione anche agli
oggetti conservati nel deposito (statuette e maschere votive fittili)
ha lasciato intendere che il sacello era dedicato a divinità
femminili, e in particolare a Cerere, Venere e Proserpina,
culti spesso legati a quello di Giove.
La zona produttiva: la fornax calcaria
l'intensa attività produttiva e commerciale che faceva
di Ocriticum un centro sufficientemente attivo anche sotto
il profilo economico. Dalla Via Nova si diramava, difatti, una via
glareata, una massicciata di pietrame ricoperta da pietrisco battuto
misto a malta, che, dopo aver attraversato il pianoro, si
inerpicava su per la collina orientale e conduceva a un vasto
edificio rettangolare suddiviso in vani interni di differente
dimensione. Sul lato orientale l'edificio, che poggia direttamente su
roccia, presenta un'ampia cavità cilindrica scavata direttamente nel
pendio: trattasi di una fornax calcaria, un impianto per la
produzione della calce; tutti gli ambienti dell'ampio fabbricato (uno
dei quali ancora conserva l'originale pavimento in terracotta)
dovevano dunque essere destinati al raffreddamento, alla
conservazione, allo stoccaggio e infine alla vendita della calce.
Dell'impianto produttivo colpisce l'efficienza organizzativa quanto
il diretto coinvolgimento - mediante il collegamento immediato
della via glareata - nei traffici commerciali della Via
Nova. È interessante mettere in evidenza come attività basilare per
l'economia del paese di Cansano sia stata per molto tempo e
almeno fino allo scorso secolo, proprio la produzione della calce,
secondo un sistema meno sofisticato ma non dissimile da quello
adottato dagli abitanti di Ocriticum: la calcara. Lungo la via
glareata, in prossimità della fornax calcaria, è stato
rinvenuto il basamento di un sepolcro monumentale, probabilmente un
mausoleo della tipologia "a dado" o "ad ara".
Il tramonto di Ocriticum fra capanne, necropoli e campi coltivatiAll'inizio
dell'epoca imperiale, l'area templare di Ocriticum - l'unica sezione
del sito archeologico indagata rigorosamente e totalmente, allo stato
attuale degli studi - raggiungeva il culmine della propria
estensione. Mentre Roma si apprestava a vivere gli ultimi
anni di gloria del cosiddetto Beatissimum Seculum, il II secolo
d.C., tutta l'area peligna fu colpita da un violento sisma, di
cui restano tracce più o meno evidenti in buona parte dei siti
archeologici un tempo parte dell'Ager Sulmonense. Il santuario di
Ocriticum ne fu gravemente danneggiato e non fu ricostruito. Ebbe
inizio un periodo di declino di tutta l'area, che fu, così,
progressivamente abbandonata.
La sacralità che aveva contraddistinto
l'area, però, fu percepita a lungo da chi la abitava. Se, infatti,
fra i frequentatori probabilmente si ignorava l'originale funzione o
il culto caratterizzanti i templi diruti, di questi si percepiva il
peso spirituale e religioso, sicché i morti continuarono ad essere
seppelliti all'interno del temenos: a ridosso del recinto sacro
e delle fondamenta del tempio italico sono stati rinvenuti due
sepolcri risalenti al VI secolo d.C., uno dei quali ospitava i resti
d'una madre con la figlia e il loro (povero) corredo funebre,
costituito da pochi gioielli all'interno di anfore di terracotta.
A ridosso del tempio romano, invece, fu
eretta una capanna altomedievale di evidente impiego pastorale: già
in questo periodo, infatti, il pianoro era ormai luogo di pascolo, e
i templi come gli edifici romani e italici rimanenti fungevano da
alloggio o rifugio per i pastori, oltre che da cava di materiale da
poter reimpiegare altrimenti. Nei secoli successivi, quando l'area
divenne feudo e quindi ambiente agricolo, i campi furono divisi
mediante l'innalzamento di bassi muri a secco (detti macerine nel
dialetto del luogo), i cui percorsi talora ricalcavano le sommità
delle mura perimetrali degli edifici della quasi scomparsa Ocriticum,
che a tratti fuoriuscivano dal terreno.
Le espoliazioni e gli scavi clandestini, che a partire dall'Ottocento
hanno fortemente impoverito la zona, non hanno impedito di rinvenire
una buona quantità di reperti nel corso della campagna di scavi
intrapresa nel 1992 sulla base degli studi attuati nel corso del XX
secolo da Antonio De Nino, Valerio Cianfarani con Ferruccio
Barreca, Frank Van Wonterghem ed Ezio Mattiocco.