La statua di Chefren assiso in trono (JE 10062) è
un'antica scultura funeraria egizia del
faraone Chefren (ca. 2558 a.C. - 2532
a.C.), che regnò durante la IV dinastia. Si trova al Museo
egizio del Cairo. Il suo materiale è l'anortosite-gneiss (un
tipo di diorite), una pietra scura, pregiata ed estremamente
dura, proveniente da cave regali distanti dal sito del ritrovamento
oltre 640 chilometri - a sud lungo il corso del Nilo.
L'opera, ritenuta uno dei massimi capolavori della statuaria
egizia, intende sottolineare il potere e la dignità regale di
Chefren e fu scolpita per essere collocata nel Tempio a valle,
accanto alla Sfinge di Giza, all'interno della grande
necropoli; era oggetto di un culto funerario: le sculture dei
sovrani defunti, all'interno dei loro templi funerari, erano intese
come sostituti del corpo del re per divenire sedi del suo ka:
secondo la religione egizia, il ka era la forza che
animava la forma visibile di qualcuno (sia il corpo oppure solo una
statua) che il ba aveva scelto, dandole così la vita
(questa complessa nozione non ha un equivalente nelle moderne lingue
europee: la sua traduzione con i termini anima o spirito è
solo parzialmente precisa). Dopo la morte, il ka avrebbe
abbandonato il corpo, pur continuando a necessitare di un luogo in
cui insediarsi: la statua. Scolpita a tutto tondo, l'opera
raffigura Chefren seduto (una delle modalità più comuni per la
rappresentazione della figura umana durante l'Antico Regno).
Chefren compare rigidamente assiso sul suo trono regale, con lo
sguardo ieraticamente fisso davanti a sé in un punto lontano.
Indossa il tipico copricapo nemes, in lino, sormontato
dall'ureo regale, e la barba posticcia attaccata al mento
cesellato: tutti questi simboli erano intesi come riferimento alla
natura divina del faraone. Stretto in vita, porta un gonnellino
plissettato, lungo fino alle ginocchia, che rivela un corpo
idealizzato, giovane e dai muscoli definiti. L'avambraccio
sinistro e parte della gamba sinistria sono mancanti. Questa immagine
non è da interpretare come un ritratto fedele, ma come una
simbolizzazione del potere di Chefren attraverso l'uso delle
convenzioni artistiche egizie: un corpo perfetto, un viso senza età,
proporzioni corporee ideali. La ritrattistica egizia idealizzata
non intendeva rendere riconoscibili i connotati dei sovrani, bensì
proclamarne la natura divina. L'elaborato trono su cui
Chefren si asside è formato da due leoni che ne rendono
particolarmente robuste le gambe. Fiori di loto (stemma
araldico dell'Alto Egitto) e piante di papiro (del Basso
Egitto) crescono fra le gambe del sedile e sono un chiaro riferimento
all'unificazione dell'Alto e del Basso Egitto, che pose fine
al periodo predinastico dell'Egitto e avviò il
periodo dinastico (ca. 3150 a.C.). Horus, il
grande dio-falco protettore dei faraoni, è fieramente
appollaiato in cima allo schienale del trono e le sue due ali,
aperte, abbracciano la nuca del sovrano in un gesto tradizionalmente
protettivo: il faraone era creduto l'incarnazione di Horus in
terra, ed era questa sua caratteristica divina a legittimarne il
regno.
Al di là della sorprendente immagine del falco di Horus,
praticamente invisibile in una visione frontale dell'opera, i piedi
di Chefren poggiano su una piattaforma decorata con l'incisione dei
cosiddetti "nove archi", simboli tradizionali del dominio
del faraone sui nemici stranieri e interni. La rappresentazione
del faraone, molto calma e simmetrica, senza movimenti o emozioni,
enuncia l'immobile eternità del sovrano: la sua corporatura sana e
robusta, la postura permanente dimostrano di ignorare lo scorrere del
tempo, a intendere che Chefren era considerato al di fuori del tempo
e che il suo potere sarebbe esistito per sempre, anche
nell'aldilà. La sua espressione è impassibile, il volto è senza
età, alludendo velatamente a un regno privo di turbamenti e
perfettamente controllato, oltre che a un potere incontrastato.
La scultura appare compatta e solida, con poche parti sporgenti: il
corpo ideale di Chefren e il suo trono sono legati per l'eternità in
un unico blocco.
Nessun commento:
Posta un commento