sabato 15 marzo 2025

Campania - Pompei, Casa dei Cubicoli Floreali


 La casa dei Cubicoli Floreali, anche Casa del frutteto, o Casa di Euplia) (I 9, 5-7) è una domus di Pompei. Probabilmente, al momento della distruzione, era una casa già molto vecchia. Nel primo cubiculum sono stati trovati resti di una decorazione del primo stile e l'ingresso è decorato con capitelli cubici. Tutta la casa non è particolarmente grande; consiste di un atrio e di un piccolo peristilio, le stanze si trovano solo su un lato e non sono riunite intorno all'atrio e al peristilio. All'ingresso si è conservata ancora l'impronta delle ante in legno.
Sono straordinarie in questa casa tre stanze, dipinte nel tardo terzo stile. Il secondo cubicolo a sinistra dell'atrio è decorato con immagini di un giardino. Si vedono oleandro, alloro, mirto, limone e ciliegi, che danno l'illusione di stare in una pergola bianca, da cui si guarda a questo giardino. Uccelli volano in giro tra le piante. Nelle singole scene sono inserite piccole immagini che mostrano scene dionisiache o egizie. Tra le piante sono rappresentate statue egizie.
Nel cosiddetto cubicolo nero sono raffigurate, sopra lo zoccolo, immagini del culto di Iside, anche se pure questo spazio è dipinto come un frutteto. In alto appare Dioniso su una pantera al galoppo.
Anche il triclinium è dipinto con un fondo nero; lo spazio è diviso da pilastri dipinti e dispone di tre grandi dipinti e diverse piccole immagini.
Tutte le altre stanze della domus non sono dipinte. Dalle circa 100 anfore che sono nella casa, si è dedotto che qui abitava un commerciante di vini.
La ricca pittura con motivi egizi ha indotto a vedere in quest'edificio un santuario di Dioniso-Osiris, ma è difficile dire se queste pitture si basano su una convinzione religiosa, o se il proprietario aveva semplicemente un gusto per l'esotico.v
La casa dei Cubicoli Floreali, anche Casa del frutteto, o Casa di Euplia) (I 9, 5-7) è una domus di Pompei. Probabilmente, al momento della distruzione, era una casa già molto vecchia. Nel primo cubiculum sono stati trovati resti di una decorazione del primo stile e l'ingresso è decorato con capitelli cubici. Tutta la casa non è particolarmente grande; consiste di un atrio e di un piccolo peristilio, le stanze si trovano solo su un lato e non sono riunite intorno all'atrio e al peristilio. All'ingresso si è conservata ancora l'impronta delle ante in legno.
Sono straordinarie in questa casa tre stanze, dipinte nel tardo terzo stile. Il secondo cubicolo a sinistra dell'atrio è decorato con immagini di un giardino. Si vedono oleandro, alloro, mirto, limone e ciliegi, che danno l'illusione di stare in una pergola bianca, da cui si guarda a questo giardino. Uccelli volano in giro tra le piante. Nelle singole scene sono inserite piccole immagini che mostrano scene dionisiache o egizie. Tra le piante sono rappresentate statue egizie.
Nel cosiddetto cubicolo nero sono raffigurate, sopra lo zoccolo, immagini del culto di Iside, anche se pure questo spazio è dipinto come un frutteto. In alto appare Dioniso su una pantera al galoppo.
Anche il triclinium è dipinto con un fondo nero; lo spazio è diviso da pilastri dipinti e dispone di tre grandi dipinti e diverse piccole immagini.
Tutte le altre stanze della domus non sono dipinte. Dalle circa 100 anfore che sono nella casa, si è dedotto che qui abitava un commerciante di vini.
La ricca pittura con motivi egizi ha indotto a vedere in quest'edificio un santuario di Dioniso-Osiris, ma è difficile dire se queste pitture si basano su una convinzione religiosa, o se il proprietario aveva semplicemente un gusto per l'esotico.

Campania - Pompei, Casa della Venere in Bikini

 

La casa della Venere in Bikini, conosciuta anche con il nome di casa di Maximus, è una casa di epoca romana, sepolta durante l'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovata a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei.
Costruita nel II secolo a.C., durante il I secolo a.C. la proprietà venne divisa dando origine alla casa nella sua forma definitiva. Fu danneggiata dal terremoto del 62: iniziarono i lavori di restauro, come testimoniato dalla chiusura di una porta che la collegava alla vicina casa di Lucius Habonius Primus e dalle decorazioni in quarto stile, ma, ancora non completati o presumibilmente interrotti, ipotesi avvalorata da un graffito ritrovato su un affresco e due statue spezzate, venne ricoperta sotto una coltre di ceneri e lapilli durante l'eruzione del Vesuvio nel 79: ritrovamenti di oggetti da cucina e di scheletri fanno supporre che la casa fosse abitata al momento dell'eruzione.
Fu scoperta nel 1913 a seguito degli scavi archeologici promossi da Vittorio Spinazzola: in questo caso venne riportata alla luce la facciata, sulla quale campeggiavano alcuni manifesti elettorali, tra cui uno dove veniva citato un certo Maximus, da cui la casa prese il nome. Una seconda fase di esplorazioni si ebbe tra il 1952 e il 1954 condotte dal team di Amedeo Maiuri: l'abitazione venne completamente esplorata ma si hanno notizie frammentarie sui ritrovamenti in quanto i reperti furono catalogati come se si trattasse di un inventario; fu a seguito di queste indagini che venne ritrovata la statua della Venere in bikini che diede il nome definitivo alla casa. Altre esplorazioni ci furono tra il 1955 e il settembre del 1961, ma mancano i rapporti dello scavo: in questo periodo le indagini erano abbastanza veloci, pensando per lo più a rimuovere il materiale piroclastico; in alcuni punti il materiale vulcanico risultava essere intaccato, segno di una precedente manomissione, prima degli scavi ufficiali.
La casa si trova nella regio I, lungo via dell'Abbondanza e ha un'estensione di circa duecento metri quadrati. Sono diverse le ipotesi sul proprietario: secondo Matteo Della Corte potrebbe trattarsi di un centro Maximus, come testimonia un'iscrizione elettorale ritrovata sulla facciata, sulla quale campeggiavano altri manifesti sia in rosso che in nero, mentre secondo Melinda Armitt sarebbe potuta appartenere a un liberto della famiglia di Poppea, da due sigilli ritrovati in un armadio; l'identificazione del proprietario rimane tuttavia incerta perché tali nomi si ritrovano anche in altre abitazioni di Pompei. Il marciapiede che corre nei pressi dell'ingresso è in malta grezza su uno strato di malta grigia. La porta d'ingresso fu puntellata non appena il materiale piroclastico iniziò a depositarsi. Il corridoio d'ingresso ha una decorazione parietale incompiuta: lo zoccolo è in nero diviso in scomparti, mentre la zona centrale è in giallo delimitati in scomparti con disegni di candelabri e bordi ornamentali: al centro sono posti medaglioni con teste femminili. Presente anche un graffito che recita "Venite amantes": secondo Della Corte la casa poteva essere un lupanare. Nel corridoio non è stato ritrovato alcun reperto.
Si accede quindi all'atrio. Nella parete nord è presente un accesso secondario, mentre le pareti sud e est sono rivestite con intonaco grigio scuro. Al centro della stanza è l'impluvium con base in cocciopesto e l'aggiunta di pezzi di marmi colorati: nei pressi dell'impluvio tre colonne, posizionate in modo tale da poter essere viste dall'esterno, che fungevano da piedistallo, su cui per poggiata una statua, ossia la cosiddetta Venere in bikini che dà il nome alla casa. La statua, conservata al Museo archeologico nazionale di Napoli, venne ritrovata nel gennaio 1954, mancante di un braccio: raffigura Venere con mamillare dorato nell'atto di allacciarsi un sandalo dopo aver fatto un bagno, poggiandosi a un amorino; talvolta, erroneamente, viene indicata come ritrovata o nella praedia di Giulia Felice o di una casa che non esiste, questo perché la casa della Venere in Bikini, nel corso degli anni, subì il cambio delle coordinate. Sul lato sud dell'ambiente sono state ritrovate numerose cerniere: in un primo momento si era supposto potessero essere di una cassaforte, mentre successivamente si è arrivati alla conclusione che si tratta di un mobile. Tra gli oggetti contenuti: otto recipienti in bronzo come brocche e piatti, una lanterna, bottiglie in vetro, una bussola e un calamaio in bronzo, gioielli in oro, bronzo e vetro, pietre preziose, oggetti in marmo, dadi e oggetti da gioco, due denti di cinghiale, monete in bronzo, oro e argento una brocca decorata in argento, una statua in terracotta di Cupido, oggetti da toeletta in bronzo e due sigilli con i nomi C. Poppaei Idrus e Cissus Pithius Communis; se da un lato restano dubbi sulla reale provenienza di questi oggetti, dall'altro una quantità così elevata lascia presupporre che la casa fosse abitata al momento dell'eruzione. L'ambiente, ancora in fase di restauro come dimostra il programma decorativo delle pareti abbandonato dopo una prima verniciatura, non presenta pavimentazione.
Lungo il lato nord dell'atrio, ai lati del corridoio d'ingresso, si aprono due stanze: una, probabilmente inutilizzata al momento dell'eruzione e in attesa di restauro, come comprovato anche dalla mancanza di reperti al suo interno, mostra delle pareti prive di intonaco e pavimentazione che poteva essere in malta o lavapesta. L'altra stanza invece era un negozio, con accesso, oltre che dall'atrio anche da un cubicolo e dalla strada: ha decorazioni in quarto stile, con pannelli rossi e gialli divisi da bordi ornamentali e zoccolatura rossa. Nella parete ovest una nicchia quadrata: al suo interno furono ritrovati tre tegole in terracotta e pezzi di mattonelle rotte, verosimilmente parte di uno scaffale. Nell'angolo sud-est è un podio: in un primo momento si era ritenuto essere parte di una scala, ipotesi successivamente quasi del tutto accantonata per via della forma insolita. L'assenza di merci ritrovate fa supporre che il negozio fosse inattivo al momento dell'eruzione.
Sul lato est dell'atrio sono presenti tre ingressi per altrettante stanze: la prima ha pareti in quarto stile con zoccolatura rossa e disegni geometrici mentre la parte mediana è bianca divisa in pannelli con al centro architetture fantastiche, figure fluttuanti, motivi grotteschi e temi mitologici come Piramo e Tisbe. La pavimentazione, ancora incompiuta, è in pietra mescolata a malta. All'interno dell'ambiente, così come nei due successivi, non sono stati ritrovati reperti, forse, come dimostrato da alcune brecce nei muri, indagata subito dopo l'eruzione: in questa stanza, l'unico elemento ritrovato, è stato un oggetto in ferro a forma di T, probabilmente resti di un mobile. Segue quindi un cubicolo, anche se di dimensioni troppo ridotte per ospitare due letti o un letto e un armadio; le decorazioni sono in quarto stile: base in giallo con l'aggiunta di disegni di piante e zona centrale e superiore bianca, con pannelli divisi tra loro da linee gialle e rosse e l'aggiunta di uccelli. Il pavimento è in malta e cocciopesto. Il terzo ambiente, con apertura sia sull'atrio che sul negozio, di cui forse era un deposito (se si fosse trattato di un deposito avrebbe dovuto avere un intonaco in bianco e rosa) oppure un cubicolo, ha pareti con intonaco grezzo grigio: la decorazione è incompiuta.
A sud dell'atrio si apre il tablino o un deposito: dalla stanza una porta e una finestra danno direttamente sul giardino, mentre una scala nell'angolo nord-ovest, di cui rimangono le tracce, conduceva al piano superiore. Le pitture si riscontrano nel muro sud e nell'area sotto la scala: la zoccolatura è rossa e la parte mediana è gialla divisa in scomparti da fasce bianche con al centro, in uno, una testa femminile, e, in un altro, Dioniso e un sileno; al di sopra della scala intonaco bianco grezzo. Il pavimento è in cocciopesto con l'inserto di tessere bianche e nere. Dal numero di cerniere ritrovate nella stanza, era ospitato un armadio e una cassapanca che contenevano diverse anfore, una fibbia, un secchio e un vaso in bronzo, una statua in marmo di Ermafrodito e fiaschi in vetro.
Dal tablino si accede al giardino: la parete nord è intonacata in bianco mentre le pareti sud e ovest presentano una decorazioni in quarto stile con scene tipiche da giardino, in particolar modo zoccolatura di colore chiaro con l'aggiunta di sfingi e parte mediana con disegni di alberi, fiori e uccelli, oltre a una figura femminile che regge un catino. Nell'angolo della parete sud-est è presente una nicchia: la parte sottostante è affrescata in linea con il resto dell'ambiente, mentre l'interno è di fattura più antica. Nei pressi della bocca di una cisterna è stato ritrovato un puteale; anche se mai rinvenuta, secondo gli archeologi, nel giardino poteva esserci una meridiana. Il pavimento è in calce.
Dal giardino si accede al triclinio o, dai reperti ritrovati, a una sala polifunzionale. La decorazione è in quarto stile, con zona basale in rosso, adornata con delfini e creature marine e parte mediana e superiore in fondo bianco con l'aggiunta di architetture fantastiche e motivi ornamentali; al centro dei pannelli della parte mediana, suddivisi tramite bordi ornamentali e amorini, gli affreschi di Artemide e Atteone e il Giudizio di Paride. La pavimentazione, forse incompleta, è in pietra. Nella stanza sono state ritrovate cerniere che potevano appartenere a un baule o un armadio; tra i reperti: due boccette e una tazza in vetro, pentole, fibbie e gioielli in bronzo e altri oggetti in vetro e pietra.
Ad angolo tra il giardino e il triclinio è presente un ambiente che alcune mappe attribuiscono alla casa, mentre altre no: potrebbe trattarsi della cucina. Le pareti sono intonacate, mentre il pavimento è in cocciopesto. Una panchina, quasi del tutto distrutta, era posta lungo il lato sud e una latrina era nell'angolo sud-est. Nessun reperto è stato ritrovato, anche se secondo Armitt dalla cucina provenivano diversi oggetti in bronzo, ceramica e vetro.
La casa aveva un piano superiore a cui si accedeva dal tablino, crollato a seguito dell'eruzione. Nella parte anteriore della casa, a un'altezza di quattro metri sul piano del calpestio, sono stati ritrovati due scheletri, uno dei quali con una borsa contenti oggetti in bronzo. Altri elementi in bronzo sono stati ritrovati nelle parti superiori dei materiali vulcanici ma non è possibile stabilire con certezza se provenissero dalla casa: si tratta di una lampada in argilla e una cerniera, un piede di leone e un anello in bronzo.

Campania - Pompei, Casa del Menandro

 

La casa del Menandro (I 10, 4) è una grande domus urbana dell'antica Pompei di quasi 1800 m². È stata scavata negli anni 1926–1932 ed è un buon esempio di una domus di una famiglia benestante dell'antica Pompei. Prende il nome non dal proprietario della casa, ma dall'immagine del poeta greco Menandro, ritrovata lì.
La parte più vecchia della casa è composta da un atrio costruito nel 250 a.C. con gli spazi immediatamente circostanti ed è relativamente modesta.
Circa 100 anni più tardi la domus fu modernizzata. Per la porta d'ingresso e per il tablinum furono usati capitelli di tufo. In periodo augusteo la domus fu modificata sostanzialmente; in primo luogo fu edificato un peristilio, utilizzando lo spazio ricavato dall'abbattimento degli edifici residenziali adiacenti. Nello spazio a ponente furono ricavate delle terme. A levante si trova la parte economica della domus. Poco prima dell'eruzione furono eseguite in vari posti della casa ulteriori opere di ammodernamento. Si trovano delle anfore riempite di stucco e un forno provvisorio.
Il nome dell'ultimo abitante della casa è Quinto Poppeo. Il suo nome è stato trovato in un sigillo di bronzo negli alloggi per la servitù.
La casa è decorata con pitture del quarto stile. La parete posteriore del peristilio mostra una sequenza di nicchie, e in quella centrale si trova una immagine di Menandro, che dà il nome alla casa.
Nel calidarium si trova un grande mosaico con al centro un grande acanto circondato da pesci, delfini e altri animali marini.
In un corridoio sotto il piccolo atrio delle terme private si trovava un tesoro di 118 vasi d'argento, che erano stati accuratamente avvolti in drappi di stoffa e sistemati in un alto armadio di legno durante i lavori di restauro della casa. In un altro cofanetto in legno, e quindi decomposto, si trovavano anche oggetti in oro e monete per un valore di 1432 sesterzi.


Campania - Pompei, Casa di Laocoonte

 

La casa di Laocoonte è una casa di epoca romana, sepolta durante l'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovata a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei: deve il suo nome ad un ciclo di pitture ritrovate nell'atrio.
La casa, restaurata a seguito dei danni subiti dal terremoto di Pompei del 62, venne sepolta sotto una coltre di ceneri e lapilli durante l'eruzione del Vesuvio del 79: fu poi riportata alla luce durante le esplorazioni del 1875.
Superate le fauci d'ingressi si accede all'atrio di tipo tuscanico, il quale presenta al centro un impluvium, una pavimentazione in opus signinum con pietre bianche e lungo la parete meridionale un affresco, staccato e conservato al museo archeologico nazionale di Napoli, in parte danneggiato raffigurante la Morte di Laocoonte: l'opera si completa con un fregio in giallo, decorato con figure egizie. Intorno all'atrio non si aprono altri ambienti ma solo una scala che conduceva al piano superiore e due porte, di cui una di dimensioni maggiori rispetto all'altra, che danno accesso al tablino: lungo la parete settentrionale è stato ritrovato l'affresco di Polifemo ed Enea, anch'esso conservato al museo archeologico napoletano. Dal tablino un breve corridoio conduce al giardino, con decorazioni pittoriche che riproducono un ambiente bucolico ed un larario: questo presenta due colonne senza capitello che reggono un frontone ed un timpano, al cui interno è affrescato un uccello acquatico con ali spiegate contornate da capre, mentre la nicchia, all'interno della quale doveva trovarsi una statua di una divinità, ha le sembianze di una conchiglia, con decorazioni pittoriche, andate perdute, riproducenti fiori, ghirlande e uccelli.


Campania - Pompei, Tempio di Iside

 

Il tempio di Iside è un tempio di epoca romana, sepolto dall'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovato a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei. L'esplorazione della struttura sacra ha fornito un gran numero di reperti e pitture a soggetti religiosi, esposti nella maggior parte nel Museo archeologico nazionale di Napoli.
La costruzione del tempio di Iside risale al II secolo a.C. ma a seguito del terremoto di Pompei del 62, l'intera struttura fu ricostruita per volere di Numerio Popidio Ampliato, attribuendone il merito al figlio di appena sei anni Celsino, per avviarlo ad una fortunata carriera politica. Pochissimi anni dopo, la costruzione fu seppellita sotto una fitta coltre di ceneri e lapilli a seguito dell'eruzione vulcanica del Vesuvio, nel 79; fu in seguito esplorato nel XVIII secolo, precisamente tra il 1764 ed il 1766, risultando uno degli edifici meglio conservati dell'antica Pompei: il ritrovamento di numerosi oggetti sacri e decorazioni pittoriche di uno dei migliori templi di stampo egizio, produsse un notevole interesse in tutta Europa, rendendolo uno dei più visitati: tra gli ospiti più illustri Wolfgang Amadeus Mozart, da cui trasse ispirazione per la sua opera, il flauto magico.


Il tempio sorge nella zona dei teatri, nei pressi della Palestra Sannitica, che fu ristretta proprio per consentire i lavori di ampliamento della struttura sacra: l'ingresso principale è posto sulla strada omonima e sul portale era posta un'epigrafe, oggi conservata al museo archeologico nazionale di Napoli, che ne attribuiva la costruzione al giovane Celsino, la quale così recita: «Numerius Popidius Celsinus, figlio di Numerius, ricostruì interamente a sue spese il tempio di Iside crollato per il terremoto. Per questa sua munificenza, i decurioni, pur avendo egli solo sei anni, lo aggregarono al loro consesso senza alcun onere.»
Si notano inoltre due nicchie, nelle quali probabilmente erano poste le statue di Arpocrate ed Anubi. La corte interna è pavimentata con lastre di tufo e presenta un porticato, il quale era interamente decorato con pitture in quarto stile: tutta la decorazione è stata staccata e trasportata al museo napoletano ed è caratterizzata nella zona bassa da scomparti con patere e bucrani, coppe di leonesse e sfingi e draghi e delfini, nella zona mediana sono posti dei quadretti a tema nilotico o di battaglie navali, che si alternano a vignette di sacerdoti e paesaggi egizi, segue poi un fregio e una zona superiore decorata con paesaggi e nature morte, oltre a figure sospese in aria.
Al centro della corte, su un alto podio, è posta una cella, a cui si accede tramite una scalinata ed preceduta da un pronao: la stanza, nella quale si entrava tramite un ampio portale, ha pareti interne ed esterne completamente rivestiti da stucchi in opera quadrata, mentre sulla parete di fondo, è posto un banco in laterizio, sul quale poggiano due basi in tufo che ospitavano le statue di Osiride ed Iside: l'intera pavimentazione era a mosaico; sul retro del podio si trova una nicchia che ospitava una statua di Dioniso con pantera. Nel cortile inoltre sono presenti due piccoli altari dedicati alle stesse divinità presenti nelle nicchie d'ingresso. Nella parte sinistra della gradinata è posto l'altare principale, che al momento dell'esplorazione conservava le ceneri e le ossa, tra cui due crani, dei sacrifici effettuati; nell'angolo est del cortile si apre un'edicola, con forme simili ad un tempietto, nel quale era posta l'acqua sacra, probabilmente proveniente dal Nilo, utilizzata dai cittadini di Pompei per le cerimonie domestiche: presenta delle decorazioni in stucco a fondo azzurro, giallo e rosso e raffigurazioni di Arpocrate, figure isiache in processione e sacerdotesse egiziane ed ancora Venere e Marte, Perseo ed Andromeda ed una coppia di amanti tra eroti.
Nella parte ovest si apre un'ekklesiasterion, riservato alle riunioni e ai banchetti e presentava una pavimentazione a mosaico in bianco e nero ed una notevole decorazione pittorica in quarto stile, oggi al museo nazionale di Napoli, con raffigurazioni di santuari egizi e scene del mito della ninfa Io; nelle vicinanze di questa stanza fu inoltre ritrovata una testa in marmo di Iside. Nella parte sud è presente il sacrarium, utilizzato come deposito per i paramenti sacri, con affreschi più modesti rispetto al resto della struttura: su un fondo bianco sono disegnate il bue Apis, Osiride sul trono ed il navigium Isidi. All'interno del complesso è inoltre presente un pastophorion, ossia l'appartamento dei sacerdoti, una cucina, un triclinio ed un cubicolo.

Campania - Pompei, Casa del Principe di Napoli

 

La casa del Principe di Napoli è una casa di epoca romana dell'antica Pompei, ubicata nella Regio VI, sepolta dall'eruzione del Vesuvio del 79.
La casa nacque dall'unione di due case. Venne probabilmente restaurata poco prima del terremoto del 62, evento che comunque causerà danni alla struttura: alcuni affreschi risalgono al periodo immediatamente dopo al terremoto. Appartenne a una famiglia di ceto medio-basso, al suo interno potevano vivere fino a una dozzina di persone comprese gli schiavi. Venne sepolta sotto una colte di ceneri e lapilli a seguito dell'eruzione del Vesuvio del 79: durante l'evento la casa era abitata come dimostrato dal ritrovamento di uno scheletro, resti di cibo e oggetti di uno domestico; sono inoltre stati ritrovate anfore e pesi di uno telaio che fanno supporre che al suo interno fosse avviata un'attività commerciale. Venne sicuramente depredata nei momenti successivi all'eruzione, come dimostrato da alcuni brecce aperte nella mura.
Fu esplorata sistematicamente tra l'agosto 1896 e il marzo 1898 a seguito delle esplorazioni dell'antica Pompei: prende il nome dal Principe di Napoli, futuro re d'Italia, Vittorio Emanuele III, che assistette alle operazioni di scavo. Così come la casa di Marco Lucrezio Frontone, anche per la casa del Principe di Napoli venne redatto un resoconto da quello che era scritto nei giornali di scavi e non tramite l'osservazione diretta delle indagini: è probabile quindi che si sia fatta confusione tra un cubicolo e la cucina.
La casa, la cui superficie del piano terra è di circa 270 m², aveva due piani: quello superiore è quasi completamento crollato a seguito dell'eruzione. All'interno della casa le decorazioni pittoriche sono in quarto stile: queste tuttavia risultano essere alquanto sovraccariche, tipiche della zona commerciale dove la casa sorgeva.
L'ingresso, con stipiti della porta in pietra calcarea, ha zoccolo nero, campo centrale con rettangoli neri separati da disegni di candelabri e campo superiore in bianco, con imitazione di blocchi di bugnato in grigio e bianco; il pavimento è in cocciopesto. In questo ambiente è possibile osservare un graffito raffigurante una persona somigliante all'imperatore Galba.


Superato l'ingresso di accede all'atrio, di tipo tuscanico, con impluvium centrale: riparato a seguito del terremoto del 62, ha forma quadrata, misura 1,55 metri per ogni lato e originariamente era rivestito in marmo con la parte centrale della vasca è in cocciopesto. Le pareti presentano una zoccolatura nera, una zona centrale rossa e una superiore in bianco, dove sono riprodotti blocchi di bugnato. Il pavimento è in cocciopesto con l'inserto di file di tessere bianche; nel pavimento, nei pressi dell'impluvium anche una bocca di cisterna. Nell'angolo nord-est era posta la scala in legno che conduceva al piano superiore. Tra i reperti rinvenuti nella stanza: un tavolino in marmo, vasi in ceramica e vetro, nove anfore e oggetti in bronzo.
Sul lato est dell'atrio si aprono due camere. La prima ha intonaco grigio grezzo e pavimento in malta e calce: era probabilmente utilizzata come deposito e come ricovero per gli schiavi, i quali dormivano in una sorta di piano ammezzato come testimoniato dai resti di una scala. Sono stati ritrovati in questo ambiente una brocca di ceramica, due boccette di vetro, un portalampada in bronzo e una in ceramica, un peso per telaio e cinque monete in bronzo.
La seconda camera, la cui rientranza nel muro fa supporre si trattasse della sede di un letto e quindi un cubicolo, è affrescata con zoccolo nero, area centrale bianca con quadretti centrali con raffigurazioni di cigni e capre, e area superiore bianca con cornice dentellata: fa eccezione la parete sud che è semplicemente intonacata; il pavimento è in cocciopesto con tessere bianche sparse. Nella stanza, oltre a ossa di uno scheletro, sono stati recuperati oggetti in bronzo, tra cui un'erma e una piccola campana: tali ritrovamenti tuttavia sono in contrasto con oggetti tipici di un cubicolo.


Completamente aperto sull'atrio, nell'angolo sud-ovest è il tablinio: tuttavia il ritrovamento di un braciere in ferro, una pentola, un anello e due brocche in bronzo fa supporre che al momento dell'eruzione fosse utilizzato come cucina. Le pareti hanno zoccolo nero con raffigurazioni di uccelli e piante, zona centrale bianca divisa in pannelli da disegni di architetture, con due quadretti centrali raffiguranti lo stesso tema, ossia un cervo inseguito da un cane e da Priapo, e zona superione in bianco con animali marini, tra cui spicca un ippocampo; il pavimento è in cocciopesto con inserti di travertino, il soffitto è a volta e una finestra si affaccia direttamente sul giardino.
Dal tablino una porta conduce a una camera da letto, forse quella del proprietario: si presenta con volte a botte, due finestre sulla parete sud che si aprono sul giardino e decorazione parietale con zoccolo nero con piante, parte centrale bianca con animali e uccelli e parte superiore in bianco con uccelli tra cui un pavone che si dirige verso un cesto di frutti. Il pavimento è in cocciopesto.
Dall'angolo nord-ovest dell'atrio si accede, attraverso una stretta porta, alla cucina, la quale al momento dell'eruzione era probabilmente inutilizzata. La parete sud non è intonacata mentre resti di decorazioni si conservano sopra il focolare, in rosso: sulle restanti pareti le pitture non erano state ancora completate. Lungo la parete nord è addossata una panca in muratura, sovrastata da una nicchia semicircolare, utilizzata come larario; nell'angolo nord-est è posta la latrina a cui è collegato un tubo in terracotta che proveniva dal piano superiore. Il pavimento è in terra battuta. Nella stanza sono stati ritrovate quattro bottiglie in vetro, un'anfora, due vasi in ceramica, e un oggetto in bronzo, probabilmente uno strumento chirurgico: si tratta di reperti inusuali per una cucina in uso.
Una porta sulla parete est della cucina conduce a una dispensa: al suo interno sono stati infatti rinvenuti ossa di animali, principalmente di pollo e pecora, e un guscio d'uovo, conservati per il fabbisogno della famiglia; tale ritrovamento dimostra inoltre che la casa al momento dell'eruzione era abitata. Le pareti sono intonacate in bianco e il pavimento è in terra battuta. Sono stati anche trovati due piatti in ceramica, una moneta in bronzo, un vaso di cerica mica contenente una sostanza grassa e un gancio in bronzo.
Una porta sul lato sud dell'atrio conduce all'ambulacrum: l'ambiente è caratterizzato lungo il fianco ovest da un colonnato che affaccia direttamente sul giardino mentre sul lato est e su quello sud sono posto due porte che conducono ad altrettanti ambienti. Originariamente il portico era formato da cinque colonne in mattoni ricoperte da stucco giallo alla base e rosso nella parte superiore: successivamente, dei quattro spazi tra le colonne, uno venne chiuso da un basso muro e uno inglobato nella camera sul fondo dell'ambulacrum. La decorazione delle pareti sono una zoccolatura nera con disegni geometrici, spazio centrale bianco con l'aggiunta di quadretti di uccelli che mangiano frutta separati da candelabri gialli e spazio superiore bianco arricchito con fasce e ghirlande; il pavimento è in cocciopesto. Dai reperti scoperti, come un'anfora, due maniglie in bronzo, un mortaio e un secchio in bronzo, è probabile che al momento dell'eruzione fosse utilizzato come deposito.
Il giardino, nel lato ovest dell'ambulacrum, ha pareti affrescate in rosa: nella parete occidentale è dipinto un larice. Lungo una delle pareti è posto un larario: questo poggia su un podio in muratura con base rossa e zona superiore in giallo con una nicchia centrale, mentre nella parte alta sono poste quattro colonne, le due estreme gialle e le due centrali in rosso, che reggono il frontone. Nell'angolo nord-est è stato ritrovato un puteale in terracotta, oltre a un vaso, una pantera in bronzo e frammenti di un tavolo in marmo retto da una sola colonna su cui è raffigurata un sileno con in braccio un piccolo Bacco.
La prima camera lungo la parete est dell'ambulacrum, a cui si accede tramite un'ampia porta al centro della parete, doveva essere un laboratorio, in quanto al suo interno furono trovati 54 pesi in piombo per il telaio: è possibile che in origine l'ambiente fosse una bottega direttamente aperta sulla strada, il cui ingresso è stato successivamente murato. Alcuni archeologi hanno supposto che poteva trattarsi anche di una camera da letto come dimostrato dalla rientranza nel muro dov'era posto il letto. Le pareti sono di colore rosa, il soffitto è a volta a botte e il pavimento in malta. Al suo interno è stato scoperto un cranio di un uomo insieme ad alcune ossa. Una parete a graticcio separa l'ambiente dal vano delle scale che conduceva al piano superiore e che aveva accesso diretto dalla strada.


La seconda camera invece è la più ampia della casa: si tratta o della camera da pranzo, anche se al suo interno non sono stati ritrovate tracce di divani o letto, o di un oecus. Le decorazioni parietali, che seguono tutte lo stesso schema decorativo eccetto quella sulla parete sud in intonaco grigio, probabilmente danneggiata a seguito del terremoto del 62 e non ancora restaurata al momento dell'eruzione, presentano una zoccolatura rossa scura con ghirlande e piante, zona mediana bianca e zona superiore anch'essa bianca con candelabri, ghirlande e animali; nella parte mediana sono posto due quadretti, uno, quello sulla parete nord, raffigura Perseo e Andromeda, l'altro, quello sulla parete est, o Adone e Afrodite o Paride e Elena. La pavimentazione è in cocciopesto con la zona centrale in opus sectile con pezzi di marmo colorato. Nella stanza sono stati rinvenuti oggetti in bronzo come un bacino, due lampade e diversi vasi.
La camera sul lato sud, completamente aperta a nord sullambulacrum, fungeva con ogni probabilità da cubicolo estivo: il ritrovamento di una piccola anfora in vetro, vasetti e un bicchiere in ceramica hanno fatto supporre che potesse trattarsi di una camera dedicata alla cura del corpo o al ricamo. Le decorazioni delle pareti presentano una zoccolatura in rosso scuro con ghirlande e spazio centrale in bianco, sormontato da disegni di elementi architettonici: sulla parete sud, nel pannello centrale, è raffigurato Bacco, contornato da due quadretti, uno raffigurante un uomo sul ponte, mentre l'altro risulta di difficile interpretazione in quanto rovinato, sulla parete ovest Venere e sulla parete est, dove si trova anche una piccola finestra, un quadretto centrale con tema due amorini, uno con in mano uno specchio e l'altro prende alcuni oggetti da una scatola. Il pavimento è in cocciopesto.
Accanto a questa camera, sempre con accesso dall'ambulacrum, un ripostiglio, che veniva chiuso con una tenda: al momento dell'eruzione era probabilmente inutilizzato poiché al suo interno non è stato rivenuto alcun reperto. Ha una zoccolatura nera e parte mediana in bianca con candelabri gialli e fasce rosse; la pavimentazione è in cocciopesto.


Il piano superiore della casa era diviso in due parti: a quello sul lato nord si accedeva direttamente dalla casa, quello sul lato sud, quasi certamente un bilocale, aveva accesso diretto dalla strada ed era dato in affitto. A seguito dell'eruzione è quasi completamento crollato. Si sono conservate anche alcune parti della zona nord, dove è stata ritrovata un'anfora, e della zona sud, dove sono stati ritrovati oggetti in bronzo tra cui un amuleto raffigurante la Fortuna, cinque bottiglie in vetro e una lucerna in ceramica.

Campania - Pompei, Fullonica di Stephanus

 

La fullonica di Stephanus è una fullonica di epoca romana dell'antica Pompei, ubicata nella Regio VI, sepolta dall'eruzione del Vesuvio del 79.
La fullonica di Stephanus venne restaurata e aperta poco prima dell'eruzione del 79, essendo stata trasformata da abitazione in attività commerciale, sottraendo anche alcuni ambienti dalla vicina casa del Sacello Iliaco. Sepolta sotto una coltre di cenere e lapilli durante l'eruzione del Vesuvio del 79, fu riportata alla luce tra il 1912 e il 1914. Lavori di restauro si sono avuti fra il 2014 e il 2015.
La fullonica di Stephanus, la meglio conservata tra le quattro fulloniche ritrovate a Pompei, deve la sua denominazione a un nome, Stephanus appunto, che ricorre spesso nei manifesti elettorali dipinti nei pressi della bottega: al momento dello scavo, al suo interno, è stato ritrovato un unico scheletro, probabilmente il proprietario Stephanus, in quanto aveva con sé una somma di denaro pari a circa 1 090 sesterzi, oppure si trattava di semplicemente di un fuggiasco in cerca di riparo dall'eruzione. Affacciata su via dell'Abbondanza, le murature all'esterno della fullonica conservano sbiadite tracce di iscrizioni elettorali; l'ingresso è ampio, simile a quello delle altre attività commerciali e al momento dello scavo la porta d'ingresso, di cui si è conservato il chiavistello con la serratura, è stata ritrovata socchiusa.
Si accede ad un primo ambiente, il quale funge da ingresso ad una stanza sia sulla sinistra, che ospitava il torchio per la stiratura dei panni, sia sulla destra: questa camera si affaccia anche sull'atrio tramite una porta e una finestra strombata e presenta una decorazione pittorica in rosso nella parte sottostante e bianca in quella superiore. Segue l'atrio: il vecchio impluvium è stato trasformato in una vasca in muratura con intonaco rosso e al suo interno l'acqua scorreva a ciclo continuo, mentre il compluvium convertito in lucernaio; caratteristica è il tetto piano, difficilmente utilizzato a Pompei, usato per l'asciugatura dei panni. Dall'atrio una scala conduce ad una sorta di mezzanino, probabilmente adibito a scopo abitativo. Sulla destra dell'atrio si apre un oecus: le due stanze presentano una decorazione in quarto stile molto simile, con zoccolatura nera, zona mediana rossa e parte superiore bianca con l'inserto di quadretti decorativi, figure geometriche, uccelli e animali; in particolare, nell'oecus, si riconoscono figure femminili alate, a raffigurare le Stagioni.
Sia dall'atrio, che dall'oecus tramite un corridoio, si accede al giardino: un muretto rivestito in marmo con cinque pilastri, originariamente utilizzato come peristilio, è stato trasformato in luogo per l'asciugatura dei panni. Sul fondo del giardino sono presenti tre vasche comunicanti a piani decrescenti e cinque bacini pestatoi per le attività lavorative. Sulla destra è posta la cucina: durante i lavori di restauro tra il 2014 e il 2015 sono stati riposti al suo interno gli oggetti ritrovati durante gli scavi, come voluto da Vittorio Spinazzola, tra cui vasellame, pentole e una griglia in ferro per la carne, oltre ad essere stata recuperata una pittura nei pressi delle vasche. Nel lato sud ovest del giardino si trova il triclinio, che tuttavia a seguito della creazione della fullonica aveva perso la sua funzione originaria, con decorazioni in stucco a riprodurre delle colonne.

Campania - Pompei, Tempio Dorico

 

Il Tempio Dorico è un tempio di epoca romana, sepolto dall'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovato a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei. Si tratta di uno degli edifici con le maggiori influenze greche della città.
Il Tempio Dorico, situato nel lato ovest del Foro Triangolare, fu costruito nel VI secolo a.C. e subì nel corso degli anni importanti lavori di restauro, come quelli del IV secolo a.C. e quelli del II secolo a.C.: quest'ultima ristrutturazione, effettuata soprattutto nella zona della cella, si rese necessaria a seguito di un lungo periodo di abbandono. Il terremoto di Pompei del 62 provocò notevoli danni alla struttura e al momento dell'eruzione del Vesuvio, nel 79, quando fu seppellita sotto una colte di ceneri e lapilli, questa era già stata già dismessa.
I primi scavi archeologici del tempio si ebbero nel periodo compreso tra il 1767 ed il 1782, ad opera di Francisco la Vega, che scoprì per caso il podio: nel corso nel XIX secolo le indagini si susseguirono in modo sporadico e frammentario, per riprendere poi sistematicamente solo a partire dal 1931 per volere di Amedeo Maiuri; tuttavia la seconda guerra mondiale, oltre ad imporre un blocco forzato allo scavo, provocò notevoli danni al tempio a seguito del bombardamento degli alleati, soprattutto nella parte nord. Le esplorazioni ripresero al termine del conflitto e si protrassero per diversi anni fino al 1996.
Il Tempio Dorico ha una dimensione di ventinove metri di lunghezza per venti di larghezza: dell'aspetto originario rimane ben poco, in quanto risulta essere notevolmente danneggiato ed era probabilmente dedicato ad Ercole o Minerva, come riscontrato su di un'epigrafe osca, scoperta nelle vicinanze, che così riportava: «Per questo bivio quelli che vanno intorno all'edificio pubblico che è vicino al Tempio di Minerva
In ordine dorico, l'area sacra era delimitata da un basso muretto dalla zona circostante, utilizzata probabilmente o dagli spettatori dei vicini teatri come luogo di ristoro o per le corse dei cavalli: in quest'ultimo caso il muro veniva rivestito con delle spine.


L'accesso al tempio, che era poggiato direttamente sulla roccia, avviene tramite dei gradini, realizzati in tufo o calcare, in numero non uguali sui vari lati, questo per permettere di modificare il dislivello del terreno: si ritiene inoltre che la gradinata sul lato est sia stata rifatta durante il periodo dell'esplorazione da la Vega. Lo stilobate, certamente non risalente al periodo di costruzione, ma rifatto in uno dei restauri successivi, era circondato da undici colonne sul lato lungo e sette su quello corto: sia dei fusti, realizzati in calcare di Sarno, che dei capitelli, in tufo, rimangono solo alcune tracce; i capitelli inoltre, di epoca sannitica, sono molto simili a quelli delle Tavole Palatine, un tempio nei pressi di Metaponto. La cella, posta al centro del podio, era poggiata direttamente sulla roccia e probabilmente dotata di un pronao, davanti al quale erano una o due basi, dove poggiavano le statue di culto.
Tra i principali reperti ritrovati nella zona del tempio una serie di terrecotte e una metopa, facente parte della struttura prima del restauro del II secolo a.C., raffigurante il mito di Issone, tra Efesto ed Atena, mentre è legato alla ruota degli Inferi.

Campania - Pompei, Tempio di Venere

 

Il tempio di Venere è un tempio di epoca romana, sepolto dall'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovato a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei: era il tempio dove veniva venerata la divinità protettrice della città, nonché uno dei più sontuosi. La costruzione del tempio di Venere, in posizione panoramica sulla pianura circostante e sul golfo di Napoli, risale al periodo immediatamente dopo la fondazione di Pompei come colonia romana, nel periodo che seguì la conquista da parte di Lucio Cornelio Silla; originariamente in città era presente un altro tempio dedicato alla Venus Fisica, riconducibile o ad Afrodite o ad Astarte. Per la sua costruzione, tra Porta Marina e la Basilica, fu necessario abbattere numerose case, eccetto alcune lungo il pendio meridionale utilizzate dai sacerdoti. Subì notevoli danni a seguito del terremoto di Pompei del 62, ma anziché chiuderlo per permettere il restauro si decise la costruzione di una piccola edicola votiva in modo da continuare a svolgere le normali attività durante i lavori. Tuttavia nel 79, prima del termine del restauro, fu sepolto sotto una coltre di ceneri e lapilli dall'eruzione del Vesuvio; esplorato durante l'epoca borbonica, era già stato completamente depredato precedentemente di tutti gli arredi marmorei.


Il tempio, cinto da possenti muri perimetrali, ampliati durante l'epoca giulio-claudia, disponeva di un ingresso nell'angolo nord-est ed uno secondario nella parte orientale; la struttura, sviluppata lungo l'asse nord-sud, era completamente circondata da colonne: due file sul lato est ed ovest ed una su quello nord, mentre erano assenti sul lato sud; un altro colonnato fu costruito durante l'epoca sillana ed era dotato di cunette per permettere il deflusso delle acque piovane. Il tempio era costituito da un podio lungo circa ventinove metri e largo circa quindici, realizzato in cemento e lava: un muro in basalto fungeva probabilmente da parete esterna della cella; secondo alcuni studi era possibile la presenza di un altro podio, unito poi a quello esistente tramite una colata di cemento. Tutto il tempio era decorato in marmo, di cui rimangono pochissime tracce, ovvero i resti di un architrave, colonne e un frontone; anche della pavimentazione restano pochi residui, trafugata per il suo alto valore già dopo il terremoto del 62: era realizzato da una striscia esterna in tassellato bianco, una parte mediana in marmo colorato ed un'ampia zona centrale completamente distrutta. Altri resti sono un altare in travertino, due piedistalli utilizzati come base d'appoggio per statue equestri e una scala che tramite un condotto sotterraneo conduceva ad alcune abitazioni poste su un pendio nei pressi del tempio.

Campania - Pompei, Teatro Grande

 

Il Teatro Grande è un teatro di epoca romana, sepolto dall'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovato a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei: al suo interno venivano rappresentate commedie, mimi e pantomimi, oltre che le atellane.
Il Teatro Grande fu edificato in età sannitica ma completamente rifatto nel II secolo a.C. ed in seguito più volte restaurato: intorno all'80 a.C., in contemporanea con la costruzione del Teatro Piccolo, diversi lavori interessarono principalmente la zona della cavea, ampliata di circa dieci metri, mentre, durante l'epoca augustea, ci fu una ristrutturazione totale, grazie alle sovvenzioni della gens Holconia, una delle famiglie più importanti di Pompei, impegnata nelle coltivazioni di viti; tale evento è ricordato con una targa che riporta la scritta: «Marcus Holconius Rufus e Marcus Holconius Celer ricostruirono a proprie spese il sottopassaggio coperto, i palchetti e tutta la gradinata»
Inoltre, grazie ai nomi dei benefattori, si è potuto risalire a una data precisa del restauro, probabilmente intorno al 2 o 3 a.C., anni in cui Marco Holconio Rufo era duoviro di Pompei, quando gli venne dedicata una statua, oltre a un bisellio, ossia un posto riservato, all'interno del teatro; il restauro fu affidato a un liberto chiamato Marco Artorio Primo: era infatti consuetudine tra i romani affidare i lavori manuali a tale genere sociale, in quanto era un'attività ritenuta non degna per un uomo libero. A seguito del terremoto di Pompei del 62, che danneggiò parzialmente la struttura, venne rifatta completamente la scena; fu quindi sepolto, con il resto della città, sotto una coltre di ceneri e lapilli nel 79, a seguito dell'eruzione del Vesuvio ed esplorato a seguito delle indagini archeologiche volute dalla dinastia borbonica: a seguito di un accurato restauro viene utilizzato nei mesi estivi per rappresentazioni teatrali e musicali.
Il teatro fu edificato sulle pendici di una collina, di cui sfrutta il costone per la gradinata: si trova nei pressi del Tempio Dorico ed ha uno stampo prettamente ellenistico, così come era abitudine dell'antica Grecia costruire i teatri nelle vicinanze di un'area sacra; si apriva inoltre su di uno splendido panorama, dominato dalla valle del Sarno e dai monti Lattari.
Il Teatro Grande ha una forma a ferro di cavallo, distinguendosi dal modello tradizionale romano ad emiciclo, e fu realizzato interamente in opera incerta. La parte riservata al pubblico era la cavea e poteva accogliere circa cinquemila spettatori; questa è divisa in tre parti: l'ima cavea, rivestita in marmo, era riservata ai decurioni, la media cavea, la più ampia e la meglio disposta per la visione dello spettacolo, era destinata alle corporazioni e la summa cavea, con posti limitati; a loro volta, sia la media che la summa cavea si dividono in cinque zone: della summa cavea tuttavia rimane solo un piccolo tratto, in quanto crollata a seguito del terremoto del 62. Doveva inoltre essere presenta una gradinata che poggiava su un corridoio con volte a botte, così come altre gradinate sono presenti sui parodi, caratteristica inusuale per questo tipo di edifici, in quanto erano sempre scoperti e quindi sicuramente aggiunte in secondo momento. La parte dedicata al pubblico si completava con dei palchetti, chiamati tribunalia, riservati ad ospiti d'onore, i quali godevano di una perfetta visione sulla scena.
Alla zona dell'orchestra si accede tramite due parodos coperti: quello di destra conduceva a un cortile posto dietro la scena, da cui, tramite una scala, si arrivava al Foro Triangolare: sul suo ingresso fu ritrovata una testa maschile d'epoca sillana. Il parodos della parte sinistra invece è raggiungibile da Via Stabia e conduce poi allo stesso cortile del precedente: entrambi i corridoio sono costruiti in opera incerta. La zona del palcoscenico, in opera laterizia, è alta circa un metro e mezzo e presenta due scalette, tramite le quali gli attori accedevano alla scena, mentre ai lati alcune nicchie dovevano ospitare gli addetti all'ordine pubblico. La scena, protetta da un sipario che si alzava dal basso verso l'alto, era limitata da un'imitazione di un palazzo principesco, con tre porte e a due piani, ornato con molte statue; al lato del palco un piccolo spogliatoio che fungeva anche d'accesso a un cortile. Tutta la zona del Teatro, probabilmente, era decorata con fontane e ninfei, ritrovati al momento degli scavi, mentre diversi blocchi forati indicano che nei mesi più caldi l'intera struttura veniva coperta con un velarium.

EGITTO - Statua di Amenardis I in alabastro

  La  statua di Amenardis I (JE 3420) è un'antica statua egizia in alabastro calcareo raffigurante la "Divina Sposa di Amon"...