lunedì 28 aprile 2025

FRANCIA - Parigi, Louvre - Stele di Mesha (Giordania)

 
La stele di Mesha (nota nel XIX secolo come pietra moabita) è una pietra in basalto nero, situata in Giordania, che riporta un'iscrizione effettuata nel IX secolo a.C. da re Mesha dei Moabiti.
L'iscrizione, risalente all'840 a.C., ricorda le vittorie di Mesha su "Omri re di Israele" e sul figlio, che aveva oppresso i Moabiti. È la più lunga iscrizione mai rinvenuta tra quelle che si riferiscono all'antico Israele (la "Casa di Omri"). Riporta quello che è generalmente considerato come il più antico riferimento semitico extra-biblico al nome Yahweh (YHWH), i cui beni del tempio furono saccheggiati da Mesha e consegnati al proprio dio Chemosh. Lo studioso francese André Lemaire ha ricostruito una parte della riga 31 della stele, affermando che si tratta di un riferimento alla "Casa di Davide".
La pietra è alta 124 cm e larga e profonda 71 cm, arrotondata in alto. Fu scoperta sul sito dell'antica Dibone (oggi Dhiban), nell'agosto del 1868 dal reverendo Frederick Augustus Klein (1827–1903), un missionario tedesco della Church Mission Society. Gli abitanti locali la ruppero durante un litigio riguardo alla sua proprietà, ma uno schizzo (un calco in cartapesta) era stato ottenuto da Charles Simon Clermont-Ganneau, e molti dei frammenti sono stati in seguito recuperati ed uniti dallo stesso Clermont-Ganneau. Lo schizzo (mai pubblicato) e la stele riassemblata sono ora esposte presso il Museo del Louvre.
La stele misura 124 per 71 cm. Le sue 34 righe descrivono:
Come i Moabiti furono oppressi da "Omri re di Israele", come risultato della rabbia del dio Chemosh
La vittoria di Mesha sul figlio di Omri (non citato) e sugli uomini di Gad ad Ataroth, ed a Nebo e Jehaz
I suoi progetti per gli edifici, il restauro delle fortificazioni della sua roccaforte e la costruzione di un palazzo e di una cisterna per l'acqua
Le sue guerre contro gli Horonaim.
È scritta in lingua moabita, con l'antico alfabeto fenicio, ed è "molto simile" all'ebraico biblico standard.
L'iscrizione è coerente con gli eventi storici riportati nella Bibbia. Eventi, nomi e luoghi citati nella stele di Mesha corrispondono a quelli citati nella Bibbia. Ad esempio, Mesha viene descritto come re di Moab nel secondo libro dei Re (3:4: "Mesa re di Moab era un allevatore di pecore. Egli inviava al re di Israele "centomila agnelli e la lana di centomila arieti" e Chemosh viene citato in molti passi della Bibbia come dio locale di Moab (primo libro dei re 11:33, 21:29, ecc.). Il regno di Omri, re di Israele, è descritto nel primo libro dei Re (16), e l'iscrizione cita numerosi territori (Nebo, Gad, ecc.) che appaiono anche nella Bibbia. Infine, il secondo libro dei Re (3) parla di una rivolta di Mesha nei confronti di Israele, a cui Israele rispose alleandosi con Giuda ed Edom per sedarla.
Secondo alcuni studiosi ci sarebbe un'incongruenza nei tempi della rivolta tra la stele di Mesha e la Bibbia. L'ipotesi si basa sul presupposto che la successiva frase della stele faccia riferimento al figlio di Omri, Acab.
«Omri era re di Israele, ed oppresse Moab per molti giorni, perché Chemosh era furioso con la sua terra. E suo figlio lo sostituì; ed egli disse, "Anche io opprimerò Moab"... E Omri prese possesso dell'intera terra di Madaba; e vi visse nei suoi giorni e metà dei giorni del figlio: quaranta anni: e Chemosh lo restaurò nei miei giorni»
In altre parole, secondo questi studiosi l'iscrizione afferma che la rivolta di Mesha avvenne durante il regno del figlio di Omri, Acab. Dato che la Bibbia parla di rivolta avvenuta durante il regno di Jehoram (nipote di Omri), questi studiosi affermano che i due racconti siano inconsistenti.
Altri studiosi hanno fatto notare che l'iscrizione non fa esplicito riferimento ad Acab. Nell'italiano moderno, il termine "figlio" fa riferimento ad un figlio maschio discendenza diretta dei genitori. Nell'antico vicino Oriente, però, il termine veniva utilizzato per indicare qualsiasi discendente maschio. Inoltre, "figlio di Omri" era un titolo comune per ogni discendente maschio di Omri e potrebbe anche fare riferimento a Jehoram. Supponendo che "figlio" significhi "discendente", i due racconti sarebbero consistenti. Ai tempi la definizione di "discendente di Omri" era "bît Humri", come confermato dai registri assiri.
Nel 1994, dopo aver esaminato sia la stele di Mesha che la cartapesta del Louvre, lo studioso francese André Lemaire disse che la riga 31 della stele di Mesha riportava la frase "la casa di Davide". Lemaire dovette immaginare una lettera distrutta, la prima "D" di [D]VD ("di [D]avide") per ricostruire la frase. La frase completa della riga 31 sarebbe quindi "Riguardo a Horonen, qui vi visse la casa di [D]avid", וחורננ. ישב. בה. בת[ד]וד. (le parentesi quadre [ ] racchiudono le lettere o le parole inserite dove furono distrutte e dove i frammenti sono tuttora irreperibili). Baruch Margalit ha tentato di utilizzare una lettera diversa, la "m", trasformandola in: "Ora Horoneyn fu occupata alla fin[e] del [regno del mio pre]decessore dagli [Edom]iti". Nel 2001 un altro francese, Pierre Bordreuil, scrisse che egli ed altri studiosi non potevano confermare l'ipotesi di Lemaire. Se Lemaire avesse ragione, esisterebbero due antichi riferimenti alla dinastia di Davide, uno sulla stele di Mesha (metà del IX secolo a.C.) e l'altra sulla stele di Tel Dan (metà del IX secolo a.C. - metà dell'VIII secolo a.C.).
Nel 1998 un altro studioso, Anson Rainey, tradusse una difficile coppia di parole nella riga 12 della stele di Mesha, אראל. דודה, come ulteriore riferimento a Davide. La riga in questione recita: "Io (Mesha) portai da qui (la città di Ataroth) l'ariel del suo DVD (o: il suo ariel di DVD) ed io lo trascinai davanti a Chemosh a Qeriot". Il significato di "ariel" e "DWDH" non è chiaro. "Ariel" potrebbe derivare etimologicamente da "leone d'oro" o "altare-cuore"; "DWDH" significa letteralmente "il suo amato", ma può anche significare "il suo (X) di Davide". L'oggetto preso da Mesha nella città israelita potrebbe quindi essere "l'immagine leonina del loro amato (dio)", identificando "ariel" con il culto del leone associato all'amato dio Ataroth; o, secondo la lettura di Rainey, "il suo altare-cuore davidico".
Nel 2019 gli studiosi Israel Finkelstein, Nadav Na'aman e Thomas Römer pubblicarono uno studio nel quale sostennero invece che la riga 31 non si riferisse a Davide, bensì a Balak, leggendario re di Moab menzionato nel Libro dei Numeri. Rispondendo a tale proposta, lo studioso di epigrafi Michel Langlois ha invece pubblicato un suo studio, nel quale ha sostenuto la originaria teoria di Lemaire.
Charles Montagu Doughty, nel suo studio pubblicato nel 1888, dice che gli fu detto che lo sceicco di Kerak, Mohammed Mejelly, aveva venduto la pietra ai crociati Franchi a Gerusalemme, e che il Beni Haneydy, il clan sulla cui terra si trovava Dibone, chiesero a Mejeely una quota del ricavato. Quando la richiesta fu rifiutata, i Beni Haneydy attaccarono la spedizione che stava trasportando la pietra a Gerusalemme, uccidendo cinque componenti della scorta e perdendo tre dei loro uomini. Riportarono la pietra a casa loro. A Doughty fu anche detto che i Franchi pagarono 40 sterline per la morte dei cinque uomini.
Sei anni dopo il reverendo Archibald Henry Sayce disse che il consolato francese di Gerusalemme aveva saputo della scoperta del reverendo F. Klein e che, l'anno successivo, il loro dragomanno Clemont-Ganneau inviò Selim el-Qari a fare un calco in cartapesta e ad offrire 375 sterline per la pietra. Sfortunatamente era già stato raggiunto un accordo con i Prussiani per 80 sterline. Sentendo che la pietra era aumentata di valore, il governatore di Nablus minacciò di riprenderne il possesso. Piuttosto che non avere niente, la pietra fu scaldata e poi distrutta bagnandola con acqua fredda. I vari pezzi finirono in famiglie diverse, che le nascosero nei granai per "fungere da talismani per proteggere il grano dal degrado".
Nel 1958 i resti di un'iscrizione simile furono trovati nei pressi di Al-Karak.

FRANCIA - Parigi, Terme di Cluny / Pilastro dei nauti

 
Il pilastro dei nauti (in francese Pilier des nautes) è una colonna monumentale del I secolo, eretta dalla corporazione dei marinai di Lutezia in onore di Giove. È attualmente esposta alle Terme di Cluny a Parigi.
Mentre si lavorava al coro di Notre-Dame nel marzo del 1711, il pilastro dei nauti, il quale era stato eretto sotto Tiberio dai marinai di Parigi detti anche battellieri della Senna, fu esumato a spese della cassa corporativa di quest'ultimi. Il monumento era in origine costituito da 4 blocchi di pietra calcarea di Saint Leu e ciascuno di essi possedeva in ognuna delle facce dei rilievi in cui si mescolavano divinità galliche e romane. Il pilastro, che doveva essere alto 5,24 metri ed avere i lati di 91×74 centimetri, era probabilmente coronato da una statua di Giove che si ergeva al di sopra della composizione. I blocchi del pilastro furono, salvo una eccezione che ci è giunta per intero, segati in due in un'epoca remota e tutt'oggi ne possediamo la sola parte superiore. Delle ricostruzioni d'insieme sono state tentate più volte, ma la disposizione dei blocchi impilati resta ipotetica e non c'è una visione unanime del loro ordine da parte degli storici. Il pilastro, i cui rilievi sono particolarmente anneriti dal salnitro e quindi difficili da decifrare nonostante il restauro avvenuto nel 2001, si trova al Museo di Cluny, nella quale riceve solo un'attenzione superficiale da parte dei visitatori.
Lavagne  scrisse che il pilastro parigino si presenta come “la testa di una serie di monumenti che, in Gallia, divengono in successione le colonne di Giove, erette da uno zoccolo rappresentante quattro divinità, ma che non avranno mai più (salvo forse a Mavilly) quell'aspetto di catechismo in immagini che caratterizza il monumento proveniente dall'antica Lutezia”. Un catechismo che è anche vulgata, un equilibrio fra la religione greco - romana e quella gallica testimoniato dal bilinguismo delle iscrizioni che lasciano supporre ad una coesistenza pacifica delle religioni. È stato ricordato anche che le “religioni politeiste non portano all'intransigenza”. La tolleranza romana fu “il frutto della pietas timida verso divinità straniere, di cui valse più accaparrarsi i favori che non l'effetto di un'etica osservanza”.



Sul pilastro è incisa la dedica a Giove:
Tib(erio) Caesare / Aug(usto) Iovi Optum[o] / Maxsumo / nautae Parisiaci / publice posierunt(!) //
Eurises // Senani U[s]eiloni // Iovis // Tarvos Trigaranus // Volcanus // Esus // [C]ernunnos // Castor // // Smerios // Fort[una?] // ]TVS[

Ai lati della colonna sono scolpite diverse divinità, sia galliche che romane: Giove, Mercurio, Marte,  Fortuna, Castore e Polluce, Vulcano ed Esus, Tarvos Trigaranos, Smertrios e Cernunnos.









FRANCIA - Châtillon-sur-Seine, Cratere di Vix

 
Il cratere di Vix è un cratere in bronzo, scoperto nel 1953 nell'omonima tomba di una principessa celtica a Vix (Borgogna), datato al 540-530 a.C. e prodotto in Magna Grecia. È conservato nel Musée du Pays Châtillonnais a Châtillon-sur-Seine. Si tratta di un oggetto eccezionale già per le sue dimensioni (1,64 m di altezza, 1,27 m di diametro massimo e 1.100 litri di capacità). Al momento della scoperta, a causa del cedimento del tetto della camera funeraria, venne rinvenuto schiacciato, con le anse al livello del piede, ed è stata necessaria un'attenta opera di restauro per restituirlo allo stato originale.
È costituito da diversi pezzi, poi assemblati insieme, in parte fusi (il piede, le anse, il fregio che decora il collo, la statuetta del coperchio) e in parte in lamina di bronzo martellata (il corpo del vaso, il coperchio). I pezzi realizzati in lamina martellata presentano un bronzo di diversa composizione, con rame particolarmente privo di impurità, in modo da ottenere un materiale più resistente per la lavorazione a cui doveva essere sottoposto.
Il corpo del vaso, realizzato in un solo pezzo (60 kg), è costituito da una lamina di bronzo martellata, spessa tra 1 e 3 mm, e realizzata con grande perizia tecnica. Presenta il fondo arrotondato e poggia su un piede sagomato per accoglierlo, realizzato a fusione (20,2 kg, diametro alla base di 74 cm) e ornato da modanature decorate.
Le anse, realizzate anch'esse a fusione (46 kg di peso ciascuna, altezza 55 cm), sono a volute, decorate da gorgoni e leoni rampanti. Il collo è serrato da una fascia di bronzo, sempre realizzata a fusione, che sostiene inoltre le anse, sulla quale sono rappresentati a bassorilievo otto quadrighe, condotte da aurighi con elmo e seguiti da opliti a piedi recanti grandi scudi rotondi. Per rispettare l'isocefalia (la stessa altezza per le teste di tutte le figure), gli aurighi, montati sui carri, sono di dimensioni più piccole degli opliti.
Il coperchio, in lamina di bronzo martellata (13,8 kg), è concavo e perforato da numerosi fori, servendo anche da colino e filtro per il liquido versato nel vaso. Al centro un ombelico sporgente sorregge una statuetta realizzata a fusione (altezza 19 cm), con una figura femminile in peplo con la testa velata che protende il braccio in avanti, forse come offerta di un oggetto oggi perduto. La figurina sembra presentare caratteri stilistici più arcaici rispetto alle altre decorazioni del cratere.
La sepoltura fu scoperta da René Joffroy in un campo, nel quale alcune pietre sparse, unici resti dell'originario tumulo, ormai distrutto, avevano attirato l'attenzione degli archeologi; la camera sotterranea, riempita di terra era invece rimasta inviolata.
La defunta, morta a circa 35 anni, era stata deposta distesa sul cassone di un piccolo carro da parata con un ricco corredo, il cui oggetto più recente è di poco posteriore al 525 a.C. Il pezzo più importante del corredo era tuttavia l'imponente cratere in bronzo, del tipo "a volute", il più grande a noi giunto dall'antichità, realizzato probabilmente in un'officina magnogreca.
La tomba apparteneva all'oppidum del Mont Lassois, che fu in seguito abbandonato a favore della città gallo-romana di Vertillum, situata a poca distanza. Nel VI e V secolo a.C. fu un centro della cultura di Hallstatt, dominato da un ceto principesco in cui sembrano aver avuto particolare importanza le figure femminili.
Il cratere e gli altri oggetti rinvenuti nella tomba di Vix, insieme agli altri ritrovamenti del sito e agli oggetti provenienti dalla città gallo-romana di Vertillum, sono oggi custoditi nel Musée du Châtillonnais a Châtillon-sur-Seine.

FRANCIA - Villa gallo-romana di Loupian

 


La villa gallo-romana di Loupian è una villa romana del V secolo nel comune di Loupian (dipartimento dell'Hérault, regione della Linguadoca-Rossiglione, Francia)
Il territorio del comune era compreso in una vasta tenuta agricola gallo-romana, attiva tra il I secolo a.C. e il VI secolo d.C. Nella tenuta si svolgevano varie attività produttive: pesca nella zona paludosa, coltivazione dei cereali e produzione di vino e olio d'oliva. A partire dal II secolo la produzione di vino fu particolarmente importante ed è attestata una piccola officina che produceva le anfore da trasporto per la sua esportazione. Un piccolo porto nello stagno di Thau, permetteva di raggiungere il Mediterraneo ai prodotti della tenuta.
In epoca tardo-antica la villa al centro della tenuta divenne una residenza signorile lussuosa, decorata con mosaici e rivestimenti in marmo e dotata di un impianto termale.

FRANCIA - Acropoli di Roquepertuse

 


L'Acropoli di Roquepertuse è un sito archeologico che sorge su un omonimo altipiano di circa mezzo ettaro, dominante la valle dell'Arc. Si trova vicino alla città di Velaux, a nord di Marsiglia e ad ovest di Aix-en-Provence, nella regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra nella Francia meridionale. Nelle sue vicinanze sorge il sito di Entremont; entrambe le località sono attribuite al popolo celto-ligure dei Salluvi. Roquepertuse fu distrutto dai romani nel 124 a.C. e scoperto nel 1860. La maggior parte degli scavi furono eseguiti nel 1923 da Henri de Gérin-Ricard. 
La sua notorietà è dovuta all'antica scoperta di statue (due "guerrieri-eroi seduti a gambe incrociate", un uccello rapace, una testa bifronte) e frammenti di portici in pietra, che da tempo caratterizzano questo sito come un santuario appartenente alla tribù celto-ligure dei Salluvi. Le statue si distinguono per la loro unica posizione seduta, paragonabile alla posizione eretta e a gambe incrociate tipiche delle statue raffiguranti il Buddha .Dopo la scoperta per caso dei primi elementi scolpiti nel XIX secolo, dobbiamo i primi scavi al conte Henry de Gérin-Ricard. Fu quindi condotta una campagna di ricerca per un periodo di dieci anni, dal 1917 al 1927, che portò alla luce le strutture presto associate a un santuario. Quest'ultimo, attribuito alla cultura Celto-Ligure, fu datato per la prima volta alla vigilia della conquista romana. Ufficialmente, i ritrovamenti sono stati datati al III secolo a.C. L'epoca è stata stabilita sulla base dell'espansione celtica nell'area interessata, avvenuta nello stesso periodo.

  1. Una piattaforma di 50 m per 22 m pavimentata con pietre piatte tra cui un paio di lapidi riutilizzate, divise al centro da una scala fatta di grandi blocchi di pietra. I muri di pietra a sinistra e a destra delle scale formavano una terrazza, probabilmente una delle molte che erano originariamente appartenute al complesso.
  2. Sulla piattaforma c'era quello che viene chiamato variamente un portale, o telaio di una porta, o portico con pilastri, di pietra calcarea. Le sue colonne avevano cavità in cui erano state collocate maschere di pietra umane e teschi umani. L'architrave era scolpito con le teste di quattro cavalli e decorazioni aggiuntive in vernice. Nella parte superiore dell'architrave c'era una statua in pietra calcarea di un uccello di 60 anni   cm per 60   cm che è stato chiamato un'oca, ma ora è ritenuto più probabile essere un rapace.
  3. Una scultura androgina a doppia faccia di calcare (0,2 m di altezza e 30   cm).
  4. Due statue di una figura seduta in posizione simile a un Buddha (0,62 m di altezza).
Le prime interpretazioni degli archeologi furono che questo era un santuario appartato. Le ultime scoperte, provenienti da vari studi multidisciplinari, suggeriscono che si trattava di un agglomerato di circa 0,5 ettari con un santuario a nord, nonché un baluardo di protezione.
Il sito è importante in parte perché fornisce prove del "culto delle teste" celtico descritto nelle fonti greci e romani.
Il vicino oppidum di Entremont, presenta caratteristiche simili avendo rilievi scolpiti di teste umane ed equine nonché nicchie in cui teschi presubilmente di nemici uccisi venivano posizionati.
Una reinterpretazione dello stile dei guerrieri seduti (in particolare analizzando l'abbigliamento e le pose) ha portato gli archeologi a preferire un'origine più antica per queste statue, che risalirebbero al V o al VI secolo a.C., alla fine della prima età del ferro o all'inizio del periodo latino[senza fonte].
Gli scavi condotti tra il 1989 e il 2002 hanno dimostrato che il sito, forse un santuario in origine, era un importante centro urbano nel III secolo. Questo "agglomerato", comprendente un oppidum sull'altopiano e un castelliere a sud, subì una prima violenta distruzione nel III secolo, prima di essere definitivamente abbandonato nel II secolo. In questo ultimo periodo l'uso o il riutilizzo delle statue non è chiaro.

FRANCIA - Saintes, Museo archeologico

 

Il Museo archeologico di Saintes è un museo pubblico nel dipartimento della Charente-Maritime, in Francia. Il museo nacque nel 1815 per iniziativa del barone Alexandre Chaudruc de Crazannes, raccogliendo un'importante collezione lapidaria proveniente dalle campagne di scavo archeologico e dai lavori di terrazzamento condotti nel corso del XIX secolo.
Nel 1931 fu spostato nell'edificio del l'ex-macello municipale, i cui locali furono sistemati in base alle indicazioni dell'archeologo ed erudito Charles Dangibeaud, nominato conservatore dei musei della città. Le aperture furono chiuse da griglie e una corte interna precede la sala principale. Il museo si affaccia sul piazzale André Malraux e ospita un colonnato proveniente da un monumento antico, distrutto alla fine del III secolo per la costruzione delle mura urbane.
Gran parte delle collezioni provengono dallo scavo delle antiche mura cittadine, edificate nel periodo di instabilità del III secolo con grande rapidità: per questo motivo una parte degli edifici pubblici fu demolita e i blocchi furono reimpiegati nelle mura. Le mura furono in seguito più volte rinforzate nel corso del Medioevo e si conservano fino al XVIII secolo. Le fondazioni sono tuttora in parte visibili presso la piazza des Récollets e furono inserite nel registro dei monumenti storici francesi nel 1977.
La sala principale del museo ospita la ricostruzione approssimativa della trabeazione di un importante monumento pubblico, civile o religioso, della città antica, edificato nel I secolo d.C. (foto in alto)
Tra gli oggetti esposti figura inoltre una ricca collezione di sculture, ornamentali, religiose e funerarie, tra cui diverse dee-madri e un rilievo che potrebbe raffigurare il fiume Charente. Una statua senza testa di epoca augustea raffigura una dea che tiene un giovane cervo, simbolo di prosperità e del legame con il mondo dei defunti.
Numerosi frammenti di colonne, di stele funerarie, o di capitelli, e resti di mosaici rappresentano la parte più consistente della collezione. Tra questi una statua acefala in marmo lunense e degli elementi di un carro romano del I secolo, unico in Europa occidentale.


FRANCIA - Saintes, Anfiteatro romano

 


L'anfiteatro romano di Saintes venne cominciato durante il regno dell'imperatore Tiberio e terminato sotto Claudio, verso il 40. Era situato nella città di Mediolanum Santonum, capitale della civitas santonum (città dei Santoni, una suddivisione del territorio) e della provincia della Gallia Aquitania.
L'edificio era di forma ellittica e misurava 126 metri sull'asse maggiore e 102 sull'asse minore. Poteva accogliere da 12000 ai 15000 spettatori. Ha una struttura particolare, poiché parte della cavea, ovvero la zona delle gradinate, è per il lato est appoggiata su una collina, che venne scavata in modo da ottenere una forma corretta, mentre il lato ovest è sorretta da costruzioni.
L'arena, ossia lo spiazzo dove avvenivano i combattimenti o le venationes, misurava 66,5 metri in lunghezza e 39 metri in larghezza, ed era divisa dagli spalti da un muro anch'esso ellittico alto 2 metri. Venne abbandonato dopo il IV secolo ed utilizzato come cava di materiale durante il Medioevo. I primi restauri dell'edificio si ebbero solo nel XX secolo, quando gran parte dell'anfiteatro era già stato distrutto. Restano attualmente alcuni resti delle sostruzioni e della cavea, oltre che lo spiazzo dell'arena.


FRANCIA - Saintes, Arco di Germanico

 


L'arco di Germanico è un arco onorario romano del I secolo situato a Saintes (dipartimento della Charente Marittima nella regione del Poitou-Charentes), antica Mediolanum Santonum.
L'arco fu eretto nell'anno 18 o 19 per l'imperatore Tiberio, suo figlio Druso minore e suo nipote e figlio adottivo Germanico. La costruzione fu finanziata da un privato cittadino, Caio Giulio Rufo.
L'iscrizione di dedica sull'attico, danneggiata dove menziona Tiberio e Druso e meglio conservata dove menziona Germanico, è all'origine della denominazione con cui l'arco è normalmente conosciuto.
Era collocato all'ingresso in città della via romana che conduceva a Saintes da Lione (Lugdunum, via Agrippa), sul ponte romano sul fiume Charente, ma venne smontato e ricostruito a partire dal 1843 a circa 15 m di distanza dalla riva, per permettere i lavori sugli argini del fiume che comportarono la distruzione del ponte e fu restaurato nel 1851.
L'arco, alto quasi 15 m e largo 15,90 m, presenta due fornici (alti 10 m), sotto i quali si svolgeva la circolazione viaria nei due sensi. I tre piloni sono decorati agli angoli da lesene su alti piedistalli, con fusti scanalati e capitelli corinzi. Le lesene sorreggono una trabeazione che gira sui quattro lati del pilone e svolge la funzione di imposta degli archi dei fornici. Sopra questa agli spigoli dell'arco, delle colonne inserite nella muratura, sempre con fusti scanalati, ma con capitelli compositi, sorreggono la trabeazione principale. Al di sopra è un basso attico con un coronamento.
L'iscrizione dell'arco riporta sull'attico la dedica "a Germanico Cesare, figlio di Tiberio Augusto, nipote del divo Augusto, pronipote del divo Giulio, augure, flamine augustale, console per la seconda volta, acclamato imperatore per la seconda volta", "a Tiberio Cesare Augusto, figlio del divo Augusto, nipote del divo Giulio, Pontefice massimo, console per la terza volta, acclamato imperatore per l'ottava volta, rivestito della potestà tribunizia per la ventunesima volta" e "a Druso Cesare, figlio di Tiberio Augusto, nipote del divo Augusto, pronipote del divo Giulio, pontefice augure.
Sul fregio della trabeazione principale il dedicante riporta la propria genealogia: "Caio Giulio Rufo, figlio di Caio Giulio Catuaneunio, nipote di Caio Giulio Agedomopate, pronipote di Epotsorovide, della tribù Voltinia, sacerdote di Roma e di Augusto presso l'altare che è ad Confluentem, praefectus fabrum (L'altare di Roma e Augusto ad Confluentem si trovava a Lione).

FRANCIA - Casa del grande peristilio

 


La Casa del grande peristilio (detta anche Villa au grand péristyle o domus du bas de Vieux) è una domus gallo-romana del sito archeologico di Vieux-la-Romaine (antica Aregenua), a Vieux, nel dipartimento del Calvados (Bassa Normandia) in Francia, a circa 10 km a sud-est della città di Caen.
Per le sue dimensioni e lo stato di conservazione delle decorazioni (in particolare un insieme di fusti di colonna scolpiti), rari soprattutto a nord del fiume Loira, testimonia del processo di romanizzazione e di diffusione dei modelli architettonici mediterranei nel nord della Gallia.

Gli scavi esaustivi, condotti da Pascal Vipard tra il 1988 e il 1991, hanno permesso di ricostruire la storia dell'isolato in cui sorgeva dal I al V secolo e l'ampiezza dei ritrovamenti ha permesso l'apertura del museo archeologico di Vieux-la-Romaine, inaugurato nel 2002.
La prima occupazione documentata sul sito consisteva di costruzioni leggere in legno e argilla con paglia con pavimenti in terra battuta, risalenti al I e al II secolo. Forse in quest'epoca il settore in cui venne successivamente costruita la domus aveva vocazione artigianale.
Intorno al 125-150 d.C. il settore venne urbanizzato con un reticolo di strade e l'isolato ospitò due edifici, conosciuti soprattutto per i resti reimpiegati nelle costruzioni successive. Si trattava di due domus di ampie dimensioni. Una di esse venne distrutta intorno al 170-180 per permettere l'ampliamento della seconda ("Casa del piccolo peristilio"). La casa subì poi un ampio rimaneggiamento tra la fine del II e gli inizi del III secolo d.C., con un viridarium (giardino) che occupava la corte e con un peristilio di maggiori dimensioni.
La casa subì un incendio nella seconda metà del III secolo, ma venne successivamente ricostruita ("Casa del mosaico a scacchiera"). In alcuni spazi si installarono nuovamente degli artigiani, ma parte dell'edificio fu ancora utilizzata come abitazione. Nel primo terzo del IV secolo un secondo incendio distrusse un edificio quasi in abbandono e intorno al 330-340 il cardine attraversò le rovine, che vennero utilizzate come cava per materiali da costruzione.

La domus si estendeva su 1.250-1.500 m², con schema planimetrico di tipo greco-italico, su 50,80 x 30,80 m. Esistevano ambienti anche al piano superiore, stimato in 572 m², con una galleria in facciata.
Al piano terra si conservano 14 ambienti, organizzati intorno ad un peristilio centrale ornato da un bacino (impluvium). Numerosi ambienti conservano tracce del sistema di riscaldamento con ipocausto. Sia la sala principale, sia la corte, che il giardino erano riccamente decorati: si sono conservati un affresco con Achille e Teti, sculture di tema dionisiaco, fusti di colonna con decorazioni vegetali, pilastri con bassorilievi e mosaici.
Rimane anche parte del pavimento, rivestito da lastre di calcare.

FRANCIA - Tomba romana di Lanuéjols


La tomba romana di Lanuéjols (anche "mausoleo di Lanuéjols") è un monumento funebre di epoca romana, nel territorio del comune di Lanuéjols (Lozère, Francia). La tomba era stata edificata sulle pendici del vallone di Valdonnez, racchiuso tra il Causses di Mende a nord e il monte Lozère a sud. È situato sotto la strada dipartimentale, all'ingresso dell'abitato di Lanuéjols. È stato circondato da un muro moderno di contenimento della terra. Fu innalzata tra la fine del II e il III secolo in onore dei fratelli Lucio Pomponio Bassulo e Lucio Pomponio Balbino da parte dei genitori. In passato era stata datata tra il I secolo e il IV secolo. Il complesso funerario venne scoperto nel 1813 sulle pendici del vallone e dal 1840 figura sulla lista dei monumenti storici francesi. Nel 1880 furono scoperte più a sud le fondazioni di un secondo monumento simile. l monumento è costituito da una tomba a forma di tempio prostilo su un podio. Il podio, a cui si accede per mezzo di una scalinata (restaurata nel 1999 e nel 2000), era bordato da una canalizzazione per la raccolta dell'acqua piovana, scavata nei blocchi del podio stesso, con un piccolo bacino rettangolare all'angolo nord-est. La cella era preceduta da un pronao, non conservato, di quattro colonne corinzie. Era a pianta quadrata e conserva gran parte delle pareti in opera quadrata di blocchi di calcare. Agli angoli la pareti della cella erano decorate da lesene con fusti lisci, basi tuscaniche e capitelli, sulla facciata corinzi, mentre quelli delle lesene sul retro sono stati lasciati nella forma sbozzata.
Su tre lati rimane anche parte della trabeazione con elementi lisci (cornice con mensole, fregio ionico e architrave a tre fasce). All'interno della cella, sui lati nord, sud ed est, si aprono delle nicchie a pianta rettangolare, coperte da volte a botte, che sporgono all'esterno dal perimetro come bassi annessi rettangolari. Nelle nicchie dovevano essere ospitate le due sepolture e le statue dei defunti. All'esterno, le sporgenze delle nicchie hanno ugualmente lesene angolari, con capitelli tuscanici e una trabeazione liscia (con cornice ionica, fregio ionico e architrave a due fasce). 
La porta di ingresso della cella, sul lato occidentale, ad arco, ha un archivolto decorato da un fregio con girali di vite e geni alati, coronato da un kyma ionico a lancette. All'interno la nicchia sul lato di fondo orientale ha ugualmente un archivolto decorato con uccelli che beccano dei frutti ai piedi di un vaso. Sulla porta di ingresso alla cella è presente anche un blocco di architrave orizzontale in corrispondenza dell'imposta dell'arco, sul quale è incisa, in una tabula ansata sostenuta da geni alati l'iscrizione di dedica su 5 righe: 

HONOR[I] ET MEMOR[I]AE LVC(I) POMPON(II) BASSUL(I) ET L(VCI) POMP(ONII) BALBIN(I) FILIORVM PI(I)SS[I]MORVM LVCIVS IVL[I]VS BASSIANVS PATER ET POMPONIA REGOLA MATER AEDEM A FVNDAMENTO VS- QVE CONSVMMAT[I]ONEM EXSTRVXERVNT ET DEDICAVERVNT CVM AEDIFICIIS CIRCVMIACENTIBVS 

ovvero: "In memoria e in onore di Lucio Pomponio Bassulo e di Lucio Pomponio Balbino, piissimi figli, Lucio Giulio Bassiano, il padre, e Pomponia Regola, la madre, hanno elevato [questo monumento] dalle fondazioni fino al completamento e lo hanno dedicato insieme agli edifici circostanti". La cella, con pianta leggermente irregolare, ha una lunghezza variabile tra 7,95 m e 9,50 m e si conserva per un'altezza complessiva di 6,98 m. La porta della cella ha una larghezza di 2,18 m ed è alta 2,55 m e le nicchie hanno un'altezza tra 2,20 m e 2,28 m. Gli altri edifici del complesso a cui si allude nell'iscrizione potrebbero essere un altare per le cerimonie funebri e una seconda tomba per i genitori.
Accanto alla tomba si conservano blocchi di un fregio con Amorini e ghirlande, appartenenti probabilmente ad un secondo monumento funerario, i cui resti sono stati rinvenuti circa 60 m più a sud, più in basso sul pendio. Nelle vicinanze si trova una necropoli paleocristiana con circa 50 inumazioni in semplici fosse in terra.