venerdì 25 luglio 2025

GRECIA - Atene, Torre dei Venti

 

La Torre dei Venti, chiamata anche horologion, è una torre ottagonale in marmo pentelico, situata nell'agorà romana di Atene. Il costruttore è presumibilmente l'astronomo siriaco Andronico di Cirro, che l'avrebbe realizzata nel 50 a.C.; ma secondo altre fonti sarebbe stata realizzata nel II secolo a.C., primo del resto del foro. La struttura è di epoca romana, alta 12 metri e ha un diametro di circa 8 metri. Sulla sommità vi è un tetto spiovente, sormontato in origine da una banderuola segnavento a forma di Tritone, indicante la direzione del vento. Sotto una cornice adornata da teste di leone, con funzione di grondaia, corre il famoso fregio dei Venti, capolavoro di arte romana, forse ripreso da modelli ellenistici.
Sono raffigurante in otto riquadri le divinità del venti o Anemoi, con inciso il loro nome. I Venti sono quattro adulti e quattro giovani, raffigurati di scorcio, in volo con le ali spiegate, recanti in mano i doni simbolici della stagione in cui spirano. Borea (vento del Nord) è un vento adulto, quindi barbuto, che soffia da una conchiglia marina, Kaikias (vento di Nord Est) anch'esso barbuto, rovescia chicchi di grandine da un cesto, Euro, (vento di Sud Est) è barbuto e avvolto in un manto autunnale, e Skiron (vento di Nord Ovest) barbuto, che sparge ceneri ardenti da un bacile di bronzo. Seguono Apeliote (vento dell'Est) raffigurato giovane e imberbe che porta un sacco con frutta e grano, Notos (vento del Sud) un giovane che rovescia la pioggia da un'anfora, Lips (vento di Sud Ovest) un giovane con in mano la prua o il timone di una nave, Zefiro (vento dell'Ovest) un giovane che sparge da un sacco fiori primaverili. A parte Zefiro e Lips, che sono a piedi nudi, tutti i venti indossano gli alti calzari da viaggio, a indicare il loro perenne vagare.
I greci e i romani usavano i venti in funzione empirica, sia come orologio stagionale, che come bussola naturale. I 4 venti principali in base alla rosa dei venti classica sono Borea, Noto, Euro e Zefiro, mentre gli altri sono venti accessori. I quattro venti erano associati sia alle quattro stagioni in relazione al momento in cui spiravano che ai punti cardinali in relazione alla direzione da cui provenivano. I venti erano spesso raffigurati agli angoli delle carte geografiche.
In origine la torre aveva il ruolo di orologio-planetario, grazie a un sofisticato congegno meccanico interno, un orologio anaforico. Di questi congegni, storicamente documentati, restano pochissimi esempi frammentari come il disco di bronzo di Salisburgo o quello di Grand. Il complesso meccanismo permetteva di registrare i movimenti del sole, le fasi della luna e dei cinque pianeti conosciuti all’epoca durante l'anno e rispetto allo Zodiaco. Oltre alla funzione pratica di consentire il calcolo delle ore e delle stagioni, consentiva anche di fare gli oroscopi e i vaticini. I dodici segni zodiacali erano classificati a tre a tre e raccordati in base ai quattro elementi: Fuoco, Terra, Aria e Acqua. Le influenze astrologiche dei corpi celesti sugli eventi terreni erano considerati una vera e propria scienza ed erano spiegate in modo sistematico in numerosi testi, come l'Almagesto e il Tetrabiblos di Claudio Tolomeo o gli Astronomica di Marco Manilio.
All'interno l'orologio idraulico riceveva l'acqua da una torre adiacente più alta, ora scomparsa, che fungeva da contenitore a pressione. La torre era alimentata con una tubatura dalla fonte klepsidra, «che cattura l'acqua», situata sull'Acropoli. La fonte, proprio perché utilizzata per riempire i recipienti comunicanti nell'orologio della torre, diede nome agli orologi ad acqua o con sabbia a forma di clessidra. In un secondo tempo furono aggiunte sotto il fregio otto meridiane per poter verificare l'ora solare in ogni stagione. La torre aveva due ingressi con portico coperto che permettevano l'accesso al pubblico per vedere l'ora. Dell'orologio interno non restano che le tracce sul basamento e il canale di scolo dell'acqua, che andava ad alimentare le latrine di un vicino bagno pubblico.
Nel periodo paleocristiano l'edificio rimase in piedi perché fu usato come campanile per una chiesa bizantina e successivamente come minareto di una moschea dai turchi. Nel 1700 era la sede di una confraternita di dervisci. È rimasta parzialmente sepolta sotto terra fino al XIX secolo, quando è stata completamente scavata e restaurata dalla Società Archeologica di Atene.

Altre torri ispirate dalla Torre dei Venti
A Verona nel sito della attuale chiesa di Santa Maria in Organo, vi era in epoca romana una torre marmorea denominata «organo», la cui parte sommitale fungeva da meridiana solare e all'interno aveva un orologio idraulico, che produceva suoni musicali, rilasciando acqua ad intervalli periodici, sul modello dell'orologio della torre dei Venti. L'Organo venne smantellato in epoca medievale, per farne dono a un re franco. Il presunto progettista Lorenzo Ghiberti si ispirò molto probabilmente a questo monumento per l'erezione nel XV secolo della Torre del Marzocco nel Porto Pisano presso la città di Livorno. L'architetto Bernardo Buontalenti realizzò la celeberrima Tribuna nel braccio lungo degli Uffizi a Firenze ispirandosi alla Torre dei Venti di Atene. Il progetto del Radcliffe Observatory, a Oxford, del XVIII secolo, è basato sulla Torre dei Venti. Esiste anche una torre simile a Sebastopoli, costruita nel 1849, e la più recente torre a Bergamo, costruita nel 1940 dall'architetto Alziro Bergonzo. Anche in Germania ci sono torri ispirate dalla Torre dei Venti: l'osservatorio astronomico nel giardino botanico di Halle (Sassonia-Anhalt) e la "Torre degli otto venti" (Turm der Acht Winde), nota anche come "Torre di Napoleone", a Dessau-Roßlau.

GRECIA - Atene, Arco di Adriano

 
L'arco di Adriano è un arco monumentale simile, per alcuni aspetti, ad un arco trionfale romano. Si trova su un'antica via che collega il centro di Atene, in Grecia, al complesso di strutture poste sul lato orientale della città, tra cui il Tempio di Zeus Olimpio.
È stato ipotizzato che l'arco sia stato costruito per celebrare l'adventus (arrivo) dell'imperatore romano Adriano, e per rendergli onore per quello che aveva fatto per la città, in occasione dell'inaugurazione del vicino tempio nel 131 o nel 132. Non è certo chi commissionò la costruzione dell'arco, anche se furono probabilmente i cittadini di Atene o un altro gruppo greco. Sull'arco si trovano due iscrizioni, poste in direzioni opposte, che citano Teseo e Adriano come fondatori di Atene. Mentre è chiaro che l'iscrizione renda onore ad Adriano, non si sa se il riferimento alla città sia da intendere nella sua interezza o ad una sola parte, quella nuova. L'ipotesi originaria, ovvero che l'arco segnasse il limite dell'antica cerchia di mura, e quindi la divisione tra città vecchia e nuova, è stata dimostrata falsa grazie ad ulteriori scavi. L'arco si trova 325 metri a sud-est dell'Acropoli di Atene.
L'intero monumento è fatto di marmo pentelico, cioè proveniente dal monte Pentelikon, 18,2 km a nord-est dell'arco. Il marmo pentelico è quello utilizzato anche per il Partenone e per altre famose strutture di Atene, anche se la sua qualità è molto variabile. Il marmo utilizzato per l'arco è di qualità inferiore a quello usato per altre strutture. L'arco fu costruito senza cemento e malta, usando solo blocchi di marmo e perni per unire le pietre. È alto 18 metri, largo 13,5 e profondo 2,3. Il suo aspetto è completamente simmetrico lungo la direzione davanti-dietro, e sinistra-destra.
Il passaggio dell'arco al livello inferiore è largo 6,5 metri ed è sostenuto da piedritti lisci con capitelli del tipo definito "a sofà". Agli spigoli la muratura in blocchi, in opera isodoma, ai lati del fornice era inquadrata da pilastri lisci più alti e appena sporgenti, sempre con capitelli a sofà, che sostengono una trabeazione ionica liscia. La trabeazione sporge leggermente sugli spigoli, accompagnando la leggera sporgenza dei pilastri angolari e sporge inoltre al centro della muratura che affianca il fornice: il fornice era in origine affiancato da due colonne corinzie su alto piedistallo.
Il livello superiore dell'arco presenta tre aperture architravate, suddivise da quattro pilastri lisci più piccoli di quelli del piano inferiore. L'apertura centrale è inquadrata da un'edicola sporgente con colonne dai fusti scanalati, sormontata da un piccolo frontone. Capitelli di pilastri e colonne sono di ordine corinzio. La trabeazione è ionica liscia come quella dell'ordine inferiore. Al culmine del frontone vi è un piccolo acroterio vegetale. L'apertura centrale del livello superiore era originariamente chiusa da un sottile schermo di pietra spesso circa 7 centimetri. Il progetto dell'edicola centrale e della nicchia del livello superiore è simile alla struttura del scaenae frons (facciata della scena teatrale).
Un veloce paragone di questo arco con i molti archi trionfali romani - ad esempio l'arco di Traiano a Benevento o l'arco di Costantino a Roma - mette in mostra le differenze tra le due strutture. Il livello inferiore si presenta come un arco a singolo fornice, ma non è sormontato da un attico con rilievi e iscrizioni e sormontato da un ciclo statuario, come gli archi a Roma, bensì dall'edicola. Come fa notare Willers, il progetto dell'arco di Adriano ha un livello superiore molto raffinato che non avrebbe permesso l'aggiunta di decorazioni pesanti come statue.
È stato ipotizzato che vi fossero statue poste sul livello superiore, nelle aperture laterali o nella nicchia del livello superiore, come era solito in questo genere di architetture. Teseo e Adriano sono i probabili candidati ad essersi visti dedicare una tale statua, a giudicare dalle iscrizioni. Ward-Perkins ha proposto l'idea che la parte superiore ospitasse numerose statue, poste sopra le colonne corinzie del livello inferiore. In netta opposizione a questa proposta, Willers afferma che non ci sono prove di questo genere di installazione sul piano superiore della trabeazione, e che lo spazio disponibile è troppo poco per permettere di porvi statue. Willers ipotizza che lo schermo dell'apertura centrale potesse contenere un dipinto decorativo, o semplicemente che non sarebbe mai stato completato il programma decorativo dell'arco. Nonostante Willers abbia effettuato ottimi studi sul livello inferiore dell'arco, non gli fu concesso di poter studiare anche il livello superiore, per cui le sue ipotesi sulla parte superiore sono basate puramente su disegni e misurazioni precedenti. Un'analisi completa del monumento, forse anche con limitati scavi delle sue fondamenta come suggerito da Willers, è ancora da svolgere.
Due iscrizioni sono incise sulla parte centrale del fregio dell'ordine inferiore, in corrispondenza dell'apertura centrale. Sul lato nord-occidentale (verso l'acropoli), l'iscrizione recita:
ΑΙΔ' ΕIΣΙΝ ΑΘΗΝΑΙ ΘΗΣΕΩΣ Η ΠΡΙΝ ΠΟΛΙΣ (questa è Atene, l'antica città di Teseo).
L'iscrizione sul lato sud-orientale (verso l'Olympeion) dice:
ΑΙΔ' ΕIΣΙΝ ΑΔΡΙΑΝΟΥ ΚΟΥΧI ΘΗΣΕΩΣ ΠΟΛΙΣ (questa è la città di Adriano, e non di Teseo).
Un antico scolio (nota a margine) su un manoscritto di Aristide dice che l'imperatore Adriano, quando espanse le mura cittadine (di Atene), scrisse sul confine della vecchia e della nuova Atene la doppia iscrizione presente anche sull'arco, ma non testuale. Basandosi su una lettura combinata delle iscrizioni sull'arco e sullo scholium, fu inizialmente ipotizzato che l'arco si trovasse sulla linea dell'antico muro di Temistocle, e che segnasse la divisione tra la vecchia città di Teseo e quella nuova di Adriano.
Secondo questa ipotesi, la seconda iscrizione farebbe riferimento ad una nuova sezione urbana sul lato orientale di Atene, creata da Adriano e, per convenienza, questa zona fu chiamata Adrianopoli negli studi successivi. Si pensa che questa nuova zona romana della città sia stata aggiunta alla città greca durante il periodo della pax romana (pace romana).
Adams ha ipotizzato che, piuttosto che dividere Atene nella vecchia città di Teseo ed in quella nuova di Adriano (Adrianopoli), le iscrizioni assegnassero ad Adriano una rifondazione dell'intera città. Secondo questa idea, le iscrizioni andrebbero lette come: Questa è Atene, una volta la città di Teseo; questa è la città di Adriano, e non di Teseo.
Secondo la prima ipotesi verrebbe legata ad Adriano solo una parte della città, mentre nel secondo caso parliamo della città intera. Adams ha anche messo in discussione l'idea che l'arco fosse sul confine delle mura di Temistocle, e questa sua ipotesi è ora largamente accettata. Una porta delle mura di Temistocle è stata scavata circa 140 metri ad est dell'arco, il che chiude la questione. Stuart e Revett, che fecero il primo (ed unico completo) studio architettonico dell'arco nel 1751-1753, erano perplessi per il fatto che l'arco non fosse allineato con il tempio di Zeus, nonostante che si trovi a soli 20 metri dal peribolos (muro di recinzione) di quella struttura. Gli scavi intervenuti nel frattempo hanno mostrato che l'arco è allineato ad un'antica strada che aveva circa lo stesso percorso dell'odierna via di Lisicrate. L'arco fronteggia il monumento coragico di Lisicrate, posto 207 metri a nord-ovest lungo la stessa strada.
Nel momento in cui fu analizzato architettonicamente da Stuart e Revett, a metà del XVIII secolo, la base dell'arco era sepolta nella terra per un solo metro. Considerando che non è mai stato protetto dalla sepoltura nei suoi circa 19 secoli di vita, l'arco è giunto a noi in condizioni straordinarie. Nonostante manchino le colonne del livello inferiore, l'arco si è conservato in tutta la sua altezza, e domina l'attuale via Amalia. Nei recenti decenni l'inquinamento atmosferico ha danneggiato il monumento. Si nota uno scolorimento della pietra ed un danneggiamento delle iscrizioni.
La costruzione dell'arco è stata attribuita al governo ateniese o ai Panellenici, una neonata associazione di tutte le città greche, con base ad Atene. I primi studi dimostrarono che gli ateniesi erano responsabili della sua costruzione, per il fatto che il materiale di costruzione era di qualità inferiore a quello usato da Adriano per altre strutture ad Atene, e per l'assunto che un imperatore che amava così tanto una città non sarebbe stato tanto arrogante da porvi un'iscrizione su una sua struttura. Due archi della stessa dimensione e stile sono stati costruiti presso il santuario di Demetra e Kore a Eleusi, più tardi nel II secolo, e sono stati dedicati ad un imperatore (forse Marco Aurelio) dai Panellenici. Questi archi affiancavano il propileo nel santuario e si trovavano alla fine della strada per Megara e presso un porto.  L'arco sudorientale ha un'iscrizione che recita:
ΤΟΙΝ ΘΕΟΙΝ ΚΑΙ ΤΩΙ ΑΥΤΟΚ[Ρ]ΑΤΟΡΙ ΟΙ ΠΑΝΕ[ΛΛΗ]ΝΕΣ (alle due dee ed all'imperatore, i Panellenici).
L'utilizzo dello stesso progetto per onorare due imperatori nello spazio di pochi decenni e a pochi chilometri ha portato a credere che i Panellenici fossero responsabili della costruzione di entrambi gli archi.

GRECIA - Atene, Odeon di Agrippa

 

L'Odeon di Agrippa fu un odéon (sala per concerti e conferenze) collocato al centro dell'antica agorà di Atene e costruito nel 16-14 a.C. come dono alla città da parte di Agrippa, amico e genero di Augusto. Gli Ateniesi avevano poi dedicato ad Agrippa un monumento collocato all'ingresso dei Propilei dell'Acropoli.
L'edificio dell'odeon occupava parte dell'antica piazza, nel luogo dove tra il VI e il V secolo a.C. si trovava la cosiddetta "Orchestra", andata in disuso dopo la costruzione del teatro di Dioniso. La contemporanea costruzione della nuova agorà romana aveva reso inoltre possibile ridurre l'ampiezza dell'antica piazza del mercato.
Aveva pianta rettangolare (51,40 m x 43.20 m) e poteva ospitare circa 1000 spettatori su diciannove file di sedili disposte in una cavea divisa in settori e che manteneva la forma circolare, all'interno dello spazio rettangolare della sala. Comprendeva inoltre un palcoscenico rialzato, con una scena decorata da erme in marmi colorati con teste in marmo bianco, e un'orchestra pavimentata in marmi colorati. Riceveva luce da aperture praticate nella parte alta dei muri e da un doppio colonnato con sei grandi colonne corinzie aperto sul retro.
All'esterno era circondato su tre lati da un criptoportico sotterraneo, sormontato da portici (stoai) ed era decorato con pilastri corinzi. La facciata sul lato nord fu decorata con sostegni costituiti da pilastri a cui si addossavano statue di giganti (anguipedi, ossia con estremità inferiori serpentiformi al posto delle gambe) e tritoni (con code di pesce al posto delle gambe); i torsi derivano dalle sculture frontonali del Partenone.
L'ingresso si trovava originariamente sul lato sud, dalla terrazza dove si trovava la Stoà di mezzo, mentre sul lato opposto settentrionale un piccolo ingresso dava accesso al palcoscenico.
Il soffitto della sala, ampio 25 m, crollò alla metà del II secolo d.C. e l'odeon con soli 500 posti, l'introduzione di un muro trasversale per il sostegno del tetto. Il nuovo edificio venne distrutto durante l'invasione degli Eruli del 267 e al suo posto nel V secolo venne costruito un edificio bizantino, con ambienti, cortili, peristili e terme, variamente interpretato come ginnasio o come sede di una scuola, ovvero come palazzo del governatore bizantino. Il complesso riutilizzava i telamoni dell'edificio più antico per monumentalizzare l'ingresso.
La funzione principale al momento del crollo del tetto doveva essere quella di sala per letture pubbliche, mentre le rappresentazioni musicali si dovevano svolgere nell'odeon di Erode Attico.
 

GRECIA - Atene, Odeo di Pericle

 


L'Odeo di Pericle o Odeo di Atene era un odéo di 4000 m² costruito alla base sud-orientale dell'Acropoli di Atene, accanto all'ingresso del Teatro di Dioniso. Fu fatto costruire nel 435 a.C. da Pericle per i concorsi musicali che facevano parte delle Panatenee, per il pubblico del teatro adiacente come riparo in caso di maltempo e per le prove del coro.
Pochi resti sopravvivono, ma sembra fosse "ornato di colonne di pietra" - secondo Vitruvio e Plutarco - e quadrato invece della consueta forma circolare per un odéon. La sua copertura fu realizzata con il legname ricavato da navi persiane catturate e terminava in una piazza dal tetto piramidale simile a una tenda: Pausania scrisse che nel I secolo a.C. la sua ricostruzione "si diceva fosse una copia della tenda di Serse", il che si sarebbe anche potuto applicare alla costruzione originale.
Plutarco scrive che l'edificio originale aveva molti seggi differenti e molti pilastri. Gli scavi moderni hanno messo in luce le sue fondazioni ed è ormai noto che il tetto era sostenuto da 90 pilastri interni, ripartiti in nove file di dieci. Da alcuni altri brevi brani e dai pochi resti di questo tipo di edificio si può concludere, inoltre, che avesse un'orchestra per il coro e un palcoscenico per i musicisti (di profondità inferiore al palcoscenico di un teatro), dietro i quali vi erano dei vani probabilmente utilizzati per conservare gli strumenti, gli abiti e gli ornamenti necessari per le processioni religiose. Non richiedeva alcun cambiamento della scena, ma la parete di fondo del palcoscenico sembra avesse una decorazione fissa dipinta. Per esempio, scrive Vitruvio che nel piccolo teatro a Tralles (che era senza dubbio un odeon), Apaturio di Alabanda dipinse la scena con una composizione così fantastica che fu costretto a rimuoverla, correggendola secondo il realismo degli oggetti naturali.
L'Odeo originale di Atene fu incendiato durante l'assedio di Silla ad Atene nella prima guerra mitridatica nell'87-86 a.C., o da Silla stesso oppure dal suo avversario Aristione per paura che Silla si servisse del suo legname per bruciare l'Acropoli. Fu poi completamente ricostruito da Ariobarzane II di Cappadocia, utilizzando C. e M. Stallio e Menalippo come suoi architetti. Il nuovo edificio fu definito da Pausania nel II secolo d.C. come "la più bella di tutte le strutture dei Greci". Egli riferisce inoltre di una "figura di Dioniso che vale la pena di vedere" in un odéon in Atene, sebbene non specifichi di quale odéon si trattasse.





















GRECIA - Atene, teatro di Dioniso


 Il teatro di Dioniso è situato presso l'acropoli di Atene. Fu il teatro più importante del mondo greco nel V e IV secolo a.C. e venne utilizzato dai più significativi autori greci (Eschilo, Sofocle ed Euripide per la tragedia, Aristofane e Menandro per la commedia) per mettere in scena le loro opere. Venne costruito agli inizi del V secolo a.C. a ridosso del santuario di Dioniso. Accanto all'ingresso sorgeva l'Odeo di Pericle.
Secondo i pochi documenti storici noti, pare che quando ad Atene cominciarono le rappresentazioni teatrali (attorno al 534 a.C., secondo il Marmor Parium), esse avvenissero nell'agorà. Tra la fine del VI e l'inizio del V secolo a.C., però, si verificò un incidente: il crollo delle impalcature (ikria) dove sedevano gli spettatori. Si decise allora di spostare le rappresentazioni in un luogo ad esse dedicato, che venne identificato sulle pendici meridionali dell'acropoli, presso il santuario di Dioniso. Sfruttando il naturale pendio dell'Acropoli stessa, in un imprecisato anno all'inizio del V secolo a.C. fu costruito il teatro.
Al tempo dei più grandi autori teatrali dell'antica Grecia, il teatro era formato da una orchestra del diametro di 25 metri, in cui recitavano gli attori e il coro. Probabilmente non esisteva un palcoscenico riservato agli attori, sicché questi ultimi e il coro erano sullo stesso livello e interagivano tra loro. Alle spalle degli attori stava la skené, ossia alcuni pannelli di legno dove era rappresentato un paesaggio o un palazzo (l'ambientazione dell'opera). All'orchestra si accedeva tramite due corridoi laterali (detti parodoi o eisodoi) e tramite una porta centrale, situata nel centro della skené.
Nella direzione opposta, dall'orchestra si dipartivano le gradinate per il pubblico, in forma semicircolare, formate da sedili in legno che seguivano la naturale pendenza del terreno, sicché gli spettatori (eccetto quelli seduti in prima fila) avevano una visuale dall'alto. Pare che il teatro di Dioniso potesse arrivare a contenere anche 15.000 spettatori.
Da qualche parte ai margini dell'orchestra (secondo alcuni in cima alla skené) era situato il theologeion, una pedana rialzata, solitamente usata per l'apparizione degli dei. Erano inoltre presenti la mechanè, una sorta di gru che permetteva di sollevare da terra l'attore, simulando il volo, e l'ekkyklema, una piattaforma con delle ruote che poteva essere manovrata e ruotata per scoprire l'interno dell'edificio scenico.
In questo secolo, e in quello successivo, il teatro di Dioniso fu senz'altro il più importante dell'intero mondo greco, poiché tutti i più grandi autori del tempo vi mettevano in scena i loro drammi.
In un periodo collocabile tra la fine del V secolo a.C. ed il 330 a.C., il teatro assunse gradualmente la seguente fisionomia: venne introdotto il palcoscenico, rialzato rispetto all'orchestra e ad essa collegato tramite alcuni gradini. Sul palcoscenico agivano gli attori, mentre l'orchestra, più in basso, era riservata al coro. Vennero inoltre costruite gradinate di pietra in sostituzione delle precedenti di legno, suddivise in settori corrispondenti al censo e alla nobiltà degli spettatori. Il posto centrale della prima gradinata, un sedile di marmo riccamente decorato, era riservato al sacerdote di Dioniso.
Il teatro di Dioniso venne utilizzato almeno fino al periodo dell'impero romano (ed è a questo periodo che risale la maggior parte delle rovine oggi visibili), ma in seguito cadde in disuso, al punto da essere sepolto dal terreno e dalla vegetazione. Dal periodo bizantino, l'intero complesso era completamente distrutto. Venne individuato da Richard Chandler nel 1766 e riportato alla luce grazie agli scavi dell'archeologo Wilhelm Dörpfeld, condotti tra il 1882 ed il 1895


GRECIA - Atene, Bouleuteria e Metroon


Ad Atene l'edificio più antico, datato all'epoca della riforma di Clistene (508/507 a.C.) era la Bouleuteria; fu di forma quadrata (23 m di lato), diviso in due ambienti attraverso un muro divisionale con un ambiente antistante allo spazio di riunione dei Bouleuti. Per accedere alla struttura intera c'era un porticato di ordine dorico, l'edificio risultava collegato con il primo Metroon. 
Tra il 415 e il 406 a.C. venne costruito per la Medesima funzione un nuovo edificio ad ovest del precedente, di forma rettangolare e spianando parte della collina del Colonos Agoraios, con sedili disposti a ferro di cavallo. Contemporaneamente l'edificio più antico venne utilizzato prevalentemente come archivio, diventando in seguito il Metroon, santuario dedicato a Rea, madre degli dei olimpici, e solo nel 140 a.C. venne sostituito da una nuova costruzione.


Il Metroon di Atene venne fondato intorno al 500 a.C. per placare Cibele, che aveva lanciato una piaga sulla città, quando uno dei suoi sacerdoti erranti era stato ucciso per il suo tentativo di introdurre il suo culto. Il racconto potrebbe essere stato un'invenzione successiva per spiegare il motivo per cui un edificio pubblico era stato dedicato a una divinità importata, come riportato dalla prima fonte, l'Inno alla madre degli dei (362) dell'imperatore romano Giuliano.
Il metroon dell'antica agorà di Atene venne originariamente utilizzato come camera di riunione della Boulé o consiglio comunale. Alla fine del V secolo a.C., quando venne costruito un nuovo Bouleuterion, l'edificio fu dedicato alla dea madre. Il Metroon ospitava anche gli archivi ufficiali della città.


GRECIA - Atene, Monumento degli eroi eponimi

 

Il Monumento degli eroi eponimi, che si trova nell'antica agorà di Atene, vicino al Metroon (prima Bouleuterion), era un podio in marmo sul quale erano situate le statue in bronzo dei dieci eroi, rappresentanti delle tribù di Atene. Poiché era un importante centro informativo per gli antichi ateniesi, qui venivano esposti decreti, annunci e leggi.

GRECIA - Atene, monumento di Filopappo

 

Il monumento di Filopappo (Μνημείο Φιλοπάππου in greco) è un mausoleo greco antico dedicato a Gaio Giulio Antioco Epifane Filopappo (65-116), un principe del regno di Commagene. Si trova sulla collina del Museo ad Atene, in Grecia, a sud-ovest dell'Acropoli.
Filopappo morì nel 116, e per onorare la sua memoria la sorella Giulia Balbilla e i cittadini di Atene eressero una struttura nei pressi dell'acropoli di Atene. Il geografo greco Pausania (Descrizione della Grecia, I.25.8) lo descrive come «un monumento costruito per un uomo siriano».
La posizione di questa tomba, di fronte all'acropoli ed entro i confini formali della città, dimostra l'alta posizione che Filopappo aveva all'interno della società ateniese.
Il monumento di Filopappo è una struttura a due piani, sostenuta da una base; misura 9,80 m × 9,30 m e contiene la camera sepolcrale di Filopappo. La struttura è costruita con bianco marmo pentelico su uno zoccolo di 3,08 m di altezza, realizzato in marmo poroso e impiallacciato con lastre di marmo dell'Imetto. Il lato nord del monumento ha decorazioni architettoniche sontuose.


Al piano inferiore vi è un fregio che rappresenta Filopappo come console, a cavallo di un carro e condotto da littori, mentre il livello superiore mostra le statue di Antioco IV di Commagene a sinistra, di Filopappo al centro e di Seleuco I Nicatore, ora perduto, sulla destra.
Nella nicchia sotto Filopappo vi è una scritta in greco: «Filopappo, figlio di Epifane, del demo di Besa»
come un cittadino ateniese in segno d'onore. Nella nicchia a sinistra di Filopappo, un'iscrizione latina registra i suoi titoli, onori e la sua carriera di magistrato romano: «Gaius Iulius Antiochus Philopappus, figlio di Gaio, della tribù Fabia, console e fratello Arvale, ammesso al rango pretorio dall'imperatore Cesare Nerva Traiano Optimus Augusto Germanico Dacico».
Sulla destra della nicchia di Filopappo sorgeva un'iscrizione greca, di cui è conservata solo la base è conservata: «Il re Antioco Filopappo, figlio del re Antioco Epifane»
Sotto la statua di Antioco IV, nonno paterno di Filopappo, c'è una scritta che recita «re Antioco figlio del re Antioco»; questa iscrizione onora Antioco IV e il suo defunto padre, l'ultimo sovrano indipendente del Regno di Commagene, il re Antioco Epifane III. Sotto la statua di Seleuco I, il fondatore dell'Impero seleucide dal quale i re di Commagene sostenevano di discendere, c'era un'altra iscrizione, oggi perduta, di cui il viaggiatore Ciriaco di Ancona scrisse nelle sue memorie che fosse «Re Seleuco Nicatore, figlio di Antioco».

GRECIA - Atene, odeo di Erode Attico


 L'odeo di Erode Attico (in greco Ωδείο Ηρώδου του Αττικού) è un piccolo teatro in pietra situato sul pendio meridionale dell'Acropoli di Atene, originariamente coperto e pensato per esecuzioni musicali. Costruito a partire dal 161 e completato prima del 174, fu fatto erigere dal ricchissimo politico e sofista greco Erode Attico in memoria della moglie Appia Annia Regilla. Originariamente si trattava di un teatro in pendenza, la cui scena misurava 35 m di larghezza, con un muro frontale in pietra e il pavimento in legno. Era protetto da una copertura in legno. Veniva utilizzato come luogo di ritrovo per concerti musicali. I gradini, disposti su 32 file, potevano contenere 5000 persone.
È una delle varie opere commemorative che Erode Attico fece costruire per ricordare la moglie Regilla, uccisa da un liberto forse per suo stesso ordine. Si trattava di un teatro coperto per ospitare esecuzioni musicali. I lavori durarono una decina di anni, perché questo odéon era già terminato nel 174, quando Pausania lo vide e lo descrisse nella sua Guida. In molti mattoni dell'imponente costruzione si trovano incise le lettere ΘHΡ, a significare forse «Teatro di Erode e Regilla», ma potrebbero essere semplicemente i marchi di fabbrica degli artigiani.
Il teatro fu distrutto nel 267, in seguito all'invasione degli Eruli. Il 7 dicembre del 1887, un gruppo di studenti dell’Università di Atene in onore della Regina Olga di Grecia e al suo cospetto, si esibiscono in Antigone di Sofocle. Il coro è composto da quindici elementi che declama i versi dell’antico testo Sofocle “selon la musique de Mendelssohn”.


Negli anni cinquanta vennero restaurati l'uditorio e l'"orchestra" (l'attuale palcoscenico), utilizzando marmo bianco e cipollino. Da allora il teatro è sempre stato uno dei maggiori auditorium del Festival Ateniese, che si svolge ogni anno da giugno a settembre. L'Odéon ha ospitato Maria Callas, Jonas Kaufmann, Maurice Béjart, Mikīs Theodōrakīs, Dionysis Savvopoulos, Maria Dragoni e molti altri importanti artisti. Nel settembre 1993, il teatro è stato scena del concerto Yanni Live at the Acropolis, ad opera del pianista e compositore greco Yannis Hrysomallis. Altra memorabile performance fu data, nel 1984, dalla cantante Greca Nana Mouskouri, di ritorno sulle scene del proprio Paese dopo vent'anni di assenza.


GRECIA - Atene, tempio di Apollo Patroos



Il tempio di Apollo Patroos era un edificio eretto nella parte occidentale dell'agorà di Atene, tra la stoà di Zeus e il metroon. L'edificio potrebbe essere stato costruito su un precedente tempio di Apollo datato al VI secolo a.C., forse distrutto dai Persiani nel 480 a.C. Databile tra la fine del IV secolo a.C. e la prima parte del III secolo a.C., misurava circa 10x16 metri, era tetrastilo in antis (o esastilo) con un adyton impostato sul lato nord, in comunicazione con la cella, il quale formava con il corpo principale una struttura a L. Sul lato nord si trovava anche un più piccolo e precedente tempio, datato al terzo quarto del IV secolo a.C., che si pensò, nelle prime pubblicazioni relative al sito, potesse essere consacrato a Zeus Phratrios e Atena Phratria, in base ad un collegamento ideale privo di testimonianze materiali o letterarie certe, e che potrebbe essere stato un primo tempio dedicato ad Apollo Patroos sostituito in seguito da quello costruito più a sud.
Dopo aver scritto dei suoi dipinti nella stoà di Zeus, Pausania ricorda Eufranore anche come autore della statua di culto consacrata ad Apollo Patroos, che si trovava nel tempio vicino. Di fronte a questo tempio si trovavano anche una statua di Apollo opera di Leocare e una statua di Apollo Alexikakos opera di Calamide (Paus., I, 3.4). Essendo il Metroon l'edificio successivo nell'itinerario di Pausania si è dedotto che il tempio di Apollo Patroos dovesse trovarsi tra questo e la stoà di Zeus.
Il risultato degli scavi, condotti a partire dal 1895 dall'Istituto archeologico germanico e dai greci (Greek Archaeological Service) nell'area occidentale dell'agorà, fu pubblicato insieme ai risultati degli scavi dell'ASCSA (1931-1935) nel 1937 da Homer Thompson. In base alla ricostruzione effettuata dal Thompson l'area doveva essere stata occupata da un edificio absidale dedicato ad Apollo risalente al tardo VI secolo a.C.; le testimonianze e le deduzioni relative alla forma e alla stessa esistenza di tale edificio tuttavia non sono considerate conclusive. Dopo il saccheggio da parte dei Persiani, non presentando segni di riedificazione, l'area sarebbe stata utilizzata come recinto aperto. Il piccolo tempio a fianco della stoà di Zeus, a soli 4 metri da quest'ultima, è datato alla seconda metà del IV secolo a.C. da testimonianze materiali di tipo ceramico. Accanto a questo piccolo tempio dovette sorgere, in epoca immediatamente successiva, ma facente parte secondo la ricostruzione del Thompson di uno stesso progetto architettonico, un secondo edificio a forma di L; in realtà, la cronologia relativa alla costruzione del muro di contenimento dietro la stoà di Zeus sembrerebbe negare questa connessione progettuale tra i due edifici. Si presunse, in assenza di prove evidenti, che il tempio in cui Pausania vide la statua di Apollo Patroos di Eufranore fosse l'edificio più grande, mentre quello più piccolo il Thompson ritenne potesse essere dedicato a Zeus Phratrios e Atena Phratria, trattandosi anche in questo caso di divinità ancestrali degli ateniesi.
Una serie di considerazioni di tipo stilistico-architettonico, oltre alla cronologia relativa alla carriera di Eufranore, condussero il Thompson a fissare al 325 a.C. il limite inferiore per la costruzione dell'edificio a forma di L, per il quale sembrava non esistessero testimonianze di tipo archeologico, datandolo quindi al terzo quarto del IV secolo a.C. Più recenti ricerche hanno permesso di datare posteriormente al 313 a.C. il timbro presente sull'ansa di un'anfora da trasporto rinvenuta nel pozzo che si trovava a sud del tempio, il cui scarico era stato interrotto con la costruzione dell'edificio. Questo dato, insieme a quelli già rilevati, sembra tracciare lo sviluppo dell'area come un graduale processo protrattosi per gran parte del IV secolo a.C. e fino ai primi decenni del III, che può aver affiancato lo sviluppo del culto di Apollo Patroos ad Atene, conclusosi con l'edificazione del tempio a forma di L.
Originariamente l'Apollo Patroos era una divinità privata e sembra che un culto pubblico sia emerso ad Atene solo nel IV secolo a.C. Numerose fonti letterarie e epigrafiche attestano che l'Apollo Patroos era considerato dagli ateniesi come l'equivalente dell'Apollo di Delfi, esistono inoltre iscrizioni a Delfi e ad Atene che collegano l'Apollo Pizio, l'Alexikakos e il Patroos come tre aspetti di una stessa divinità i cui sacrifici potevano essere offerti separatamente in uno stesso santuario.
La statua trovata nel 1907 a 20 metri a sud del tempio, stilisticamente databile al terzo quarto del IV secolo a.C., è stata assegnata ad Eufranore fin dal suo ritrovamento; l'ottima conservazione della superficie marmorea tuttavia non è un elemento utile all'attribuzione: la statua di Eufranore, seguendo Pausania, si trovava all'interno del tempio, ma le altre due potevano trovarsi ugualmente protette dalle intemperie al di sotto del portico.
La presenza delle statue di Leocare e Eufranore non presenta problemi cronologici, esse potrebbero essere state commissionate in un'epoca precedente all'edificazione del tempio, forse in collegamento con il piccolo edificio a nord di quest'ultimo che risulta essere ad esse contemporaneo. Più problematico è il collegamento con la statua di Calamide, autore dell'Apollo Alexikakos il quale, come riferisce Pausania, era stato indicato dall'oracolo di Delfi come la divinità che aveva placato l'epidemia diffusasi ad Atene nel 430-427 a.C. Nella ricostruzione del Thompson l'opera di Calamide poteva trovare una prima collocazione per il tempio del VI secolo a.C. e aver ricevuto una nuova consacrazione a seguito dell'epidemia della seconda metà del IV; d'altra parte, come sembra dimostrare la stessa incongruenza presente in Pausania al riguardo dell'Eracle Alexikakos di Ageladas di Argo, l'esistenza di questo edificio del VI secolo a.C. o il suo collegamento ad Apollo non sono necessari all'ipotesi di una precedente creazione della statua per un'occasione simile, non nominata o dimenticata dal periegeta e dalle sue fonti. Emil Reisch all'inizio del XX secolo aveva proposto l'esistenza di un giovane Calamide, scultore del IV secolo a.C., al quale attribuire l'Alexikakos, collegandolo ad un passo di Pausania (X.19.4) in cui il periegeta nomina uno scultore allievo di Calamide e di nome Praxias, il quale avrebbe partecipato alla ricostruzione dei frontoni del tempio di Apollo a Delfi tra il 360 e il 330 a.C. Altra occorrenza che potrebbe far considerare l'esistenza di un secondo Calamide riguarda la collaborazione tra Calamide e Skopas di Paro per un gruppo composto da tre Erinni ad Atene, nel quale le figure laterali sarebbero di Skopas e quella centrale di Calamide (Scoliaste di Eschine, Contra Timarchum 188).
Un altare trovato nei pressi della parte a nord della stoà di Attalo, in marmo grigio e con un'iscrizione su due linee che lo collega al culto di Zeus Phratrios e Atena Phratria è stato collegato dal Thompson a una base in poros trovata di fronte al piccolo edificio che egli aveva collegato alle stesse divinità. La base in poros è stata utilizzata in due epoche differenti, per il suo primo utilizzo il Thompson ha ipotizzato un collegamento con la lastra in marmo grigio appena citata, per il quale tuttavia occorre immaginare l'esistenza di un plinto di connessione; il riutilizzo della base in epoca successiva potrebbe essere avvenuto in collegamento con una lastra dedicata invece ad Apollo Patroos, trovata nei pressi del Varvakeion (a circa 500 m a nord dell'Agorà), che già il Thompson datava alla fine del IV secolo a.C. o all'inizio del III e che potrebbe collegarsi all'edificazione e consacrazione ad Apollo Patroos del tempio a forma di L.