martedì 22 luglio 2025

Campania - Pompei, Quadriportico dei Teatri


Il Quadriportico dei Teatri, chiamato anche Caserma dei Gladiatori, è una struttura di epoca romana, sepolta dall'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovata a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei: utilizzata inizialmente come foyer, fu in seguito trasformata in caserma per l'arte gladiatoria.
Il Quadriportico dei Teatri fu costruito nei primi anni del I secolo a.C., forse 80 a.C., come zona di svago o riparo dalla pioggia per gli spettatori dei vicini teatri Grande e Piccolo, o, teoria meno accreditata, utilizzato come ginnasio per atleti; a seguito del terremoto di Pompei del 62, fu completamente ristrutturato ed ampliato e mutò la sua funzione in scuola per gladiatori: tuttavia, quando ancora i lavori non erano terminati, l'eruzione del Vesuvio del 79, lo ricoprì sotto una coltre di lapilli e ceneri. Fu riportato alla luce, insieme ai vicini teatri, a seguito degli scavi archeologici voluti dalla dinastia borbonica.
Alla struttura si accede tramite un ingresso principale posto sul lato nord-est, sullo stesso lato dove si trova il cortile del Teatro Grande ed è caratterizzato da tre colonne in ordine ionico; tuttavia erano presenti anche altri ingressi secondari, che permettevano l'accesso al quadriportico anche nei giorni in cui non erano in programma rappresentazioni teatrali: molte di queste aperture furono chiuse a seguito della trasformazione in caserma ed all'ingresso fu messo un posto di guardia ed una chiusura tramite porta. Lungo il lato nord è presente una scalinata che conduce al Foro Triangolare e che, prima del 62, era utilizzata come accesso ai teatri dalle personalità di spicco. All'interno, la struttura si presenta con un grosso cortile centrale, delimitato da un portico con settantaquattro colonne in tufo, in ordine dorico, con la parte inferiore scanalata. Le pareti perimetrali sono realizzate in lava vesuviana, in opera incerta: addossate a queste si aprono piccoli vani, al cui interno potevano ospitare massimo due persone, i quali furono costruiti sicuramente dopo il terremoto del 62, in tufo e laterizi: al momento dell'eruzione non erano ancora completati e mancava l'intonacatura. Altro ambiente era la cucina, utilizzata anche come sala da pranzo; due scale conducevano rispettivamente ad un ballatoio ed a stanze di dimensioni maggiori rispetto a quelle del piano inferiore, probabilmente riservate agli istruttori, i cosiddetti lanista. Durante l'esplorazione furono ritrovati elmi e spade decorate con scene della mitologia greca, abiti da parata decorati in oro e diciotto scheletri, tra cui quelli di una donna ricca di gioielli e di uno schiavo legato a dei ceppi.

Campania - Pompei, Terme Stabiane

 

Le Terme Stabiane sono un complesso termale di epoca romana, sepolte dall'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovate a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei: nel suo genere, è l'edificio più antico della città.
Le Terme Stabiane, così denominate in quanto poste all'incrocio tra Via dell'Abbondanza e Via Stabiana, furono costruite intorno al IV-III secolo a.C., in una zona che probabilmente si trovava in periferia prima dell'estensione della città ed adibita ad area cimiteriale, come testimoniato dal ritrovamento di una tomba ad ipogeo. L'edificio subì un notevole ampliamento nel II secolo a.C. e continui restauri negli anni successivi, soprattutto nell'epoca imperiale ed a seguito del terremoto di Pompei del 62; al momento dell'eruzione i lavori di
ristrutturazione non erano completati e quindi l'intera struttura non era utilizzata, mentre il periodo intorno all'80 a.C. rappresenta quello di massimo splendore, come descritto da un'epigrafe che così dice:
«I duoviri con potere giurisdizionale Caius Uulius, figlio di Caius e Publius Aninius, figlio di Caius, appaltarono per decreto dei decurioni la costruzione del sudatorio e del destrictario e la ricostruzione dei portici e della palestra; con quel danaro che, per legge, essi erano destinati a vincolare per i giochi o per un monumento, fecero costruire ed essi collaudarono
La struttura si presenta con al centro
la palestra porticata a base trapezoidale: le colonne, originariamente dalla forma più esile, furono pesantemente stuccate dopo il sisma del 62. Nella zona orientale sono disposti, divisi per uomini e donne, gli ambienti per il bagno: il frigidarium maschile ha una volta con cupola ad imitazione del cielo, nicchie sulle pareti e raffigurazioni con soggetti marini ed originariamente doveva servire da calidario in quanto si notano dei vani dove venivano posti i bracieri; quello femminile fu costruito posteriormente al maschile. Seguono poi
il tepidarium e calidarium, quello maschile di forma absidata, con vasca dedicata alle abluzioni e decorato con un labrum con getto d'acqua tiepida: in questi ambienti la pavimentazione era sostenuta da piccole pile di mattoni, in modo tale che la zona restasse vuota per permettere all'aria calda di circolare e di raggiungere alle stesso modo le intercapedini poste lungo i muri. Le terme erano dotate anche di spogliatoio, quello maschile decorato con amorini, trofei d'armi e figure del corteo bacchico, e una sala per le fornaci, utilizzate per produrre calore; l'intera area femminile non aveva
alcun collegamento con la palestra che era riservata esclusivamente agli uomini.
Nella parte nord è ubicata una latrina, mentre nella zona occidentale è la piscina, contornata da due vasche più piccole utilizzate dagli atleti per lavarsi e detergersi: a dividere la zona della natatio dal resto della palestra un basso muretto interamente stuccato. Nelle vicinanze della piscina si aprono piccole stanze probabilmente riservate ai giovani, mentre altre avevano diverse funzionalità, come una, finemente decorata, utilizzata dal sovrintendente delle terme e un'altra invece utilizzata come sferisterio, ossia per giochi con la palla. La maggior parte delle decorazioni si sono conservate all'ingresso, costituito da colonne e portali in tufo e nella palestra: si tratta di stucchi
in quarto stile, realizzati in calce e calcite, in quanto più resistenti all'umidità; le principali decorazioni del portico raffigurano Giove seduto con in mano uno scettro, Dedalo che forgia le ali per Icaro ed Hylas con le ninfe.


Campania - Pompei, Foro Triangolare



Il Foro Triangolare è un foro di epoca romana, sepolto dall'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovato a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei; la piazza era utilizzata principalmente per le corse equestri e come luogo di svago in attesa di assistere alle rappresentazione dei vicini teatri.
Il Foro Triangolare, così chiamato per la sua forma geometrica a triangolo, fu edificato intorno al II secolo a.C., sulla parte meridionale della collina sulla quale sorgeva Pompei, a seguito della decisione di attuare una sistemazione urbana dell'intera zona dei teatri: nello stesso periodo fu anche ampliato il foro principale. Sepolto sotto una colte di lapilli e ceneri dall'eruzione del 79 del Vesuvio, fu riportato alla luce nel corso degli scavi archeologici alla fine del XVIII secolo.
L'ingresso al Foro Triangolare, situato sul vertice più corto del triangolo, è preceduto da un propileo con sei colonne di tipo ionico, due semicolonne ed un architrave, tutto realizzato in tufo. L'ingresso è dato da due porte che si aprono in un muro in opera incerta: originariamente era presente una sola porta, mentre la seconda, più grande, fu aperta a seguito dei lavori di ristrutturazione dopo il terremoto di Pompei del 62. Nella zona dell'ingresso era presente una piccola fontana pubblica.
L'interno del Foro Triangolare è caratterizzato su tre lati da un colonnato, eccetto sul lato sud per non impedire la vista del panorama: le colonne erano novantacinque, in ordine dorico, sovrastate da un architrave, ma dalla forma longilinea, in quanto non dovevano sopportare il peso di un secondo ordine superiore; nella parte centrale del colonnato nord era presenta una fontana, di cui rimane solo un supporto in marmo e un piedistallo sul quale poggiava la statua di Marco Claudio Marcello, mentre lungo il lato est è un muretto che delimitava la zona dove si svolgevano probabilmente corse di cavalli o atletiche.
Nella parte sud del foro è presente il Tempio Dorico e un thòlos: questo è costruito intorno ad un pozzo sacro, con sette colonne doriche in tufo, ricoperte da un tetto conico ed edificato per volere del magistrato Numerius Trebius, come riportato sull'architrave. Nei pressi del tempio è inoltre presenta una costruzione a forma di quadrilatero, con apertura sulla struttura sacra, all'interno della quale si trova un piccolo recinto: probabilmente si trattava della tomba del fondatore di Pompei. Nell'angolo destro del foro sono posti tre altari in tufo, mentre nell'angolo nord è una meridiana voluta da Lucius Sepunius Sandilianus e Marcus Herennius Epidianus. Sulla parete est si aprivano tre piccole uscite che conducevano al Teatro Grande, all'Odeion e alla Palestra Sannitica.


Campania - Pompei, Villa Imperiale

 

La villa Imperiale è una villa suburbana di carattere residenziale di epoca romana, ubicata appena fuori le mura di Pompei, a cui è addossata, in prossimità di porta Marina, nella parte occidentale degli scavi archeologici, al di sotto del tempio di Venere.
La Villa Imperiale, anche se non è provato che si trattasse realmente di un edificio di proprietà dell'impero, fu costruita nell'ultimo decennio del I secolo a.C. abusivamente e fu notevolmente danneggiata a seguito del terremoto di Pompei del 62; fu poi completamente ristrutturata, ma poco dopo, probabilmente tra il 73 o il 74, venne riacquistata dal demanio ed in parte distrutta per far posto a dei granai ed utilizzata anche come magazzino per i materiali di lavoro della città. La villa, esplorata già in epoca borbonica e poi nuovamente sepolta, fu scoperta nel 1943 a seguito dei bombardamenti dell'antiquarium che sorgeva proprio sopra la costruzione e scavata nuovamente nel 1947 da Amedeo Maiuri.
Di grandi dimensioni, la Villa Imperiale custodisce uno dei maggiori esempi di pittura pompeiana sia in terzo stile, che gli artisti mantennero durante i lavori di restauro, sia in quarto stile; originariamente su due piani, oggi ne rimane il portico, il triclinio, una diaeta, un oecus e parte del peristilio. L'oecus è di forma rettangolare, alto otto metri, lungo sette e largo sei ed è largamente decorato in terzo stile, mentre la parte alta e la volta sono affrescate in quarto stile, segno di possibile crollo a seguito del terremoto del 62; il pavimento, asportato durante il XVIII secolo, era probabilmente realizzato in marmo ed aveva una forma esagonale, così come dimostrato dalle impronte rimaste sul piano di calpestio. Le pareti sono decorate con uno zoccolo rosso porfido, seguito da una breve striscia in nero e poi un'ampia zona centrale che presenta al centro un affresco a tema mitologico, diviso dal resto della parete da colonne, alla cui base è decorato con fregi con putti e psichi; le scene mitologiche delle edicole centrali raffigurano rispettivamente Dedalo ed Icaro, il più bello ritrovato a Pompei, che ritrae Icaro al suolo aiutato da una ninfa e Dedalo in volo, Teseo ed il Minotauro, con il mostro battuto e l'eroe circondato da fanciulli, con due ninfe che assistono alla scena, e Teseo che abbandona Arianna a Nasso, l'unico a non essersi perfettamente conservato. La parte superiore invece è in quarto stile, a fondo nero, con raffigurazioni dionisiache. A completare le decorazioni sei pinakes che raffigurano poeti, tra cui Saffo e Alceo.
La diaeta invece presenta una zoccolo decorato con forme geometriche, seguito poi da un pannello bianco, nel quale sono raffigurati elementi architettonici come pyrgotoi e thymiateria; la parte superiore infine, sempre in bianco, è ornata con candelabri e colonne. Il triclinio, illuminato da una finestra a tre fori che si affaccia sul giardino, presenta dei pannelli in rosso, con al centro un'edicola decorata, di cui solo quella del lato ovest è rimasta parzialmente conservata: si tratta della raffigurazione di un satiro e di una menade, in un santuario dedicato a Pan; la parte superiore, costruita dopo il terremoto del 62, è colorata in giallo. Il peristilio è decorato con uno zoccolo nero e con pareti in rosso con bande bianche, nel quale sono raffigurati quadri del ciclo tebano, adornati con cariatidi e festoni, ma anche da medaglioni e tavolette asportate durante l'esplorazione borbonica. Il portico è formato dai resti di quarantatré colonne, realizzate in mattoni e ricoperte da stucco bianco, in modo tale da creare le scanalature, le quali circondano un giardino che prima dell'eruzione aveva una vista sul mare.

Campania - Pompei, Santuario dei Lari Pubblici

 

Il santuario dei Lari Pubblici è un tempio di epoca romana, sepolto dall'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovato a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei; al suo interno si veneravano, con ogni probabilità, le divinità tutelari della città.
Il santuario dei Lari Pubblici fu costruito con ogni probabilità a seguito del terremoto di Pompei del 62, evento considerato dai pompeiani come segno dell'ira degli dei e la sua costruzione quindi avvenne per espiare l'avversione divina: era dedicato ai Lari, come dimostrato anche da un affresco ritrovato nella casa di Lucio Cecilio Giocondo, che raffigurava i danni del terremoto provocati al tempio; la vicinanza con il tempio di Vespasiano, consentiva, durante le festività, di festeggiare contemporaneamente sia l'imperatore che le divinità protettrici di Pompei. Secondo altri studiosi però, la struttura potrebbe essere stata costruita antecedentemente e dedicata al culto della famiglia imperiale o ancora, secondo altri, utilizzata come biblioteca pubblica: tra tutte le ipotesi comunque la prima risulta essere la più verosimile, in quanto al momento dell'eruzione, il tempio risultava ad essere ancora in costruzione e, da diversi studi, non sono emerse tracce di restauri precedenti. Sepolto quindi sotto una coltre di lapilli e ceneri dall'eruzione del Vesuvio nel 79, fu riportato alla luce alla fine del XVIII secolo a seguito degli scavi archeologici condotti per volere dei Borbone.
Situato sul lato orientale del foro di Pompei, tra il Macellum e il tempio di Vespasiano, il santuario dei Lari Pubblici, lungo ventuno metri e largo diciotto, si presenta ancora incompleto: il colonnato d'accesso, al momento dell'eruzione, non era stato ancora completato e si notano solo le basi delle colonne in ferro e basalto. Il tempio è composto da un grande atrio, che presenta residui di pavimentazione in marmo e resti della base di un altare dove si svolgevano i sacrifici: sicuramente mancava il copertura.
Lungo la parete di fondo, che terminava con un timpano triangolare, si apre un catino absidale, con al centro una nicchia, caratterizzato da uno zoccolo sul quale poggiavano delle colonne con architrave ma esclusivamente di tipo decorativo, mentre nella stessa zona, altre due colonne con un architrave formavano un'edicola, sotto la quale erano poste tre statue. Le pareti laterali presentano due nicchie con timpano triangolare e due vani a cui si accede tramite un'apertura decorata con colonne e al cui interno presentano delle nicchie con volte a botte dove erano poste le statue.
Tutte le strutture portanti furono realizzate in opera laterizia, con tegole in terracotta, mentre gli altri muri erano o in opera incerta oppure in opera reticolata, unite da malta: queste mura dovevano poi essere completate con un rivestimento in marmo, mai effettuato.

Campania - Pompei, Castellum Aquae

 

Il Castellum Aquae è un edificio di epoca romana, sepolto dall'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovato a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei: la sua funzione era quella di raccogliere l'acqua potabile e distribuirla alla rete idrica cittadina.
Il Castellum Aquae, situato nei pressi di Porta Vesuvio, era posto ad un'altezza di circa quarantadue metri: dopo aver ricevuto l'acqua provenienti dall'acquedotto del Serino, sfruttando la pressione di caduta, questa veniva convogliata in tre condotti, in modo tale da raggiungere tutta la città; tuttavia un sistema di saracinesche regolava l'afflusso di acqua a seconda della disponibilità. La struttura fu risistemata dopo il terremoto di Pompei del 62, in quanto fu notevolmente danneggiata, come riprodotto negli affreschi ritrovati nella casa di Lucio Cecilio Giocondo, ma al momento dell'eruzione, nel 79, l'intero sistema idrico, che andava ad alimentare quaranta fontane pubbliche, non era in funzione.
Il Castellum Aquae presenta una pianta circolare, con una volta a cupola dal diametro di sei metri ed esternamente ha una forma trapezoidale. La parete est, che poggia su Porta Vesuvio e quella ovest sono in tufo e realizzate in opera reticolata, quella nord è in opera incerta e nella quale era posto il foro d'ingresso dell'acqua e quella sud, che rappresenta la facciata principale, è in opera laterizia, realizzata con mattoni e nella quale si aprono tre arcate cieche, separate da lesene e una feritoia per dare luce agli ambienti interni. All'interno, il grosso serbatoio, era diviso in tre scomparti, ognuno del quale alimentava una conduttura: una era utilizzato per le fontane, una per gli edifici pubblici, come le terme e l'altro per le case; in caso di mancanza d'acqua, l'unica fornitura erogata era quella per le fontane pubbliche. La sola traccia artistica dell'edificio, sono i residui di un affresco, posto sulla parete nord, che raffigurava ninfe e divinità di fiume.


Campania - Pompei, Teatro Piccolo

 

Il Teatro Piccolo, chiamato anche Odeion, è un teatro di epoca romana, sepolto dall'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovato a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei: al suo interno si tenevano spettacoli musicali e declamazioni di poesie.
Un primo progetto di costruzione del Teatro Piccolo risale all'epoca sannitica o per lo meno un suo disegno nell'impianto urbano della città, ma fu realizzato pochi anni dopo la conquista di Pompei da parte di Lucio Cornelio Silla, quindi tra l'80 ed il 75 a.C., su finanziamento di due magistrati, gli stessi che permisero la costruzione dell'Anfiteatro, Caio Quinzio Valgo e Marco Porcio; un'epigrafe infatti riporta: «Caius Quinctius Valgus figlio di Caius e Marcus Porcius figlio di Marcus, duoviri, per decreto dei decurioni appaltarono la costruzione del teatro coperto ed essi la collaudarono.»
Fu sepolto sotto una coltre di ceneri e lapilli a seguito dell'eruzione del Vesuvio del 79 e riportato alla luce tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo grazie agli scavi archeologici promossi dalla dinastia borbonica.
La struttura del Teatro Piccolo è molto simile a quella del Teatro Grande: aveva una capacità di circa milletrecento posti ed è realizzato in opera incerta e reticolata, presentando anche alcuni inserimenti di opera laterizia nei corridoi e negli stipiti; ha la forma di un semicerchio iscritta in un quadrato, anche se la parte più esterna delle gradinate, nella zona laterale, non fu costruita per permettere la copertura con tetto a quattro spioventi, in modo tale da ottenere una migliore acustica. L'orchestra ha una pianta circolare e ha un pavimento fatto con lastre di marmo colorato di varie forme, donato, durante l'epoca augustea, da Marco Oculatio Vero, come riportato su di un'epigrafe in bronzo. Il palcoscenico non presenta grosse particolarità: originariamente decorato in marmo, ha uno spazio per il sipario e tre ingressi che conducevamo agli spogliatoi. 
La zona destinata al pubblico si divide nei tribulania, i quali poggiano su parodoi ed avevano ingresso direttamente dalla scena e la cavea, a sua volta divisa in ima cavea, che dispone di quattro file e la media cavea, divisa in cinque cunei: queste due zone sono divise tramite una balaustra, rifinita con zampe di grifo alate; manca la summa cavea mentre i gradini della restante cavea sono realizzati in tufo ed hanno la particolarità di possedere una cavità nella parte posteriore, in modo tale da evitare che gli spettatori seduti davanti potessero essere disturbati dai piedi di quelli dietro. Le poche decorazioni pittoriche rinvenute sono in secondo stile: caratteristici due telamoni inginocchiati in tufo, tipica caratteristica dell'arte ellenica, posti nei paradoi, che reggono delle cornici all'interno delle quali dovevano essere posti altri elementi decorativi, probabilmente delle anfore.

Campania - Pompei, Anfiteatro romano

 

L'anfiteatro romano di Pompei è un anfiteatro di epoca romana, sepolto dall'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovato a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei: è uno degli edifici, nel suo genere, meglio conservato, nonché uno dei più antichi al mondo.
L'anfiteatro fu costruito intorno al 70 a.C. dai duoviri Gaio Quinzio Valgo e Marco Porcio ed era utilizzato per giochi circensi e combattimenti tra i gladiatori; queste parate, talvolta pubblicizzate con graffiti sulle facciate delle case, avvenivano in forma grandiosa, come è testimoniato da un'iscrizione che recita:
«Aulus Clodius Flaccus, della tribù Menenia, duoviro con potere giurisdizionale per tre volte e quinquennale, tribuno militare di nomina popolare organizzò questi spettacoli per la popolazione di Pompei. Nel primo duomvirato, alle feste di Apollo, alla parata nel foro, tori, toreri e aiutanti, tre coppie di schermidori, pugilatori in gruppi o singoli, e rappresentazioni con buffoni d'ogni sorta e con ogni genere di pantomimi, tra cui Pilade e in più diecimila sesterzi in elargizione pubblica per l'onore del duomvirato.»
Fu proprio durante uno di questi spettacoli che nel 59 ebbe luogo una violenta rissa tra pompeiani e nocerini, la quale provocò numerosi feriti e anche diversi morti: a seguito di tale evento il senato romano decise la chiusura dell'anfiteatro per dieci anni e condannò all'esilio l'organizzatore dell'evento, Livineio Regolo. La rissa fu inoltre ricordata da Tacito, che così scriveva:
«A quel tempo una causa futile provocò un atroce massacro tra i coloni di Pompei e di Nocera durante un combattimento gladiatorio offerto da Livineio Regolo, della cui rimozione dal Senato ho già riferito. Dapprima i cittadini a turno s'insolentirono continuamente, poi scagliarono i sassi e infine ricorsero alle armi, prevalendo la gente di Pompei, presso cui si svolgeva lo spettacolo. Pertanto molti nocerini furono riportati in città col corpo mutilato dalle ferite, e in tanti piangevano la morte dei figli o dei genitori. L'indagine delle cause fu affidata da Nerone al Senato, che la rinviò ai consoli. Riferita la relazione ai senatori, furono vietate ufficialmente queste riunioni per dieci anni e le associazioni, che avevano operato contro la legge, furono sciolte; Livineio e gli altri autori della sedizione furono condannati all'esilio.» (Publio Cornelio Tacito, Annales, lib. XIV.17)
Il motivo della lite è probabilmente da attribuirsi al fatto che Nuceria Alfaterna era diventata nel 57 una colonia romana e ciò aveva permesso ai nocerini di accaparrarsi territori precedentemente appartenuti ai pompeiani. A seguito del terremoto di Pompei del 62 l'edificio subì notevoli danni ed al contempo il provvedimento decennale venne annullato: l'intera struttura fu completamente rinnovata, come testimoniano due iscrizioni che si trovano nel passaggio d'ingresso, dai duoviri Caio e Cuspio Pensa, padre e figlio. Durante l'eruzione del Vesuvio del 79, fu completamente sepolto sotto una fitta coltre di ceneri e lapilli e fu uno dei primi edifici ad essere riportato alla luce nella campagna di scavi promossa dalla dinastia borbonica nel 1748.
L'anfiteatro sorge nella parte sud-est dell'antica Pompei e questa scelta fu dettata da due motivi: il primo, in quanto la zona era poco abitata e quindi di minore intralcio alla vita quotidiana della città, considerando il gran numero di persone che visionava gli spettacoli; il secondo, fu una scelta economica, in quanto la struttura venne addossata alla cinta muraria, ormai in disuso, utilizzando un terrapieno preesistente e costruendone uno nuovo sul lato rimasto scoperto, utilizzando il terreno di risulta dello scavo: in tal modo la struttura è posta a circa sei metri di profondità ed assume una forma ellittica; ha inoltre una lunghezza di centotrentacinque metri e una larghezza di centoquattro metri, per una capienza di ventimila spettatori.
Esternamente si presenta in due ordini: la parte inferiore è ad archi ciechi, in pietra, con pareti realizzate in opus incertum, sotto i quali, durante gli spettacoli, i mercanti vendevano le loro mercanzie, mentre l'ordine superiore presenta archi a tutto sesto; tra i due ordini è posto un ambulacro e per permettere agli spettatori di raggiungere le gradinate più alte furono costruite due grandi scalinate. L'accesso all'anfiteatro avveniva tramite una galleria, chiamata anche crypta, che possedeva quattro ingressi, due dei quali davano direttamente sull'arena: si pensa inoltre che un passaggio fosse esclusivamente riservato ai magistrati, che godevano di palchi d'onore, divisi dal resto della platea da uno scomparto in muratura; inoltre uno di questi palchi era collegato direttamente all'arena, probabilmente utilizzato dai gladiatori durante le cerimonie di premiazione. Prima di giungere all'arena sono posti, lungo lo stesso asse, due spoliarii, utilizzati uno per prestare i primi soccorsi ai combattenti feriti, l'altro, con arco trionfale, per l'accesso dei gladiatori; l'arena vera e propria è in terra battuta e contrariamente ad altri edifici dello stesso genere non presenta un'area sotterranea; l'intera circonferenza dell'arena è delimitata da un parapetto, alto circa due metri, che era decorato con affreschi, oggi andati perduti, che raffiguravano duelli tra gladiatori ed in particolare uno che rappresentava l'inizio di una lotta.
L'anfiteatro pompeiano dispone di una cavea, spartita in tre zone: l'ima cavea, divisa in sei settori, riservata alle personalità di spicco della città e da dove si godeva della migliore vista, la media cavea, ossia la zona centrale, riservata al popolo e la summa cavea, gli ultimi ordini di spalti riservati alle donne; le ultime due zone della cavea erano entrambe divise in circa venti settori ed i sedili erano in parte in tufo, realizzati dopo il 62 ed in parte in legno, così come erano fatti in origine. Per proteggere gli spettatori dai raggi del sole estivo o dalla pioggia, l'anfiteatro era predisposto per l'uso del velarium ossia una sorta di grosso tendone, solitamente in lino, che ricopriva tutta l'area della struttura.


Campania - Pompei, Tempio dorico

 

Il Tempio Dorico è un tempio di epoca romana, sepolto dall'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovato a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei. Si tratta di uno degli edifici con le maggiori influenze greche della città.
Il Tempio Dorico, situato nel lato ovest del Foro Triangolare, fu costruito nel VI secolo a.C. e subì nel corso degli anni importanti lavori di restauro, come quelli del IV secolo a.C. e quelli del II secolo a.C.: quest'ultima ristrutturazione, effettuata soprattutto nella zona della cella, si rese necessaria a seguito di un lungo periodo di abbandono. Il terremoto di Pompei del 62 provocò notevoli danni alla struttura e al momento dell'eruzione del Vesuvio, nel 79, quando fu seppellita sotto una colte di ceneri e lapilli, questa era già stata già dismessa.
I primi scavi archeologici del tempio si ebbero nel periodo compreso tra il 1767 ed il 1782, ad opera di Francisco la Vega, che scoprì per caso il podio: nel corso nel XIX secolo le indagini si susseguirono in modo sporadico e frammentario, per riprendere poi sistematicamente solo a partire dal 1931 per volere di Amedeo Maiuri; tuttavia la seconda guerra mondiale, oltre ad imporre un blocco forzato allo scavo, provocò notevoli danni al tempio a seguito del bombardamento degli alleati, soprattutto nella parte nord. Le esplorazioni ripresero al termine del conflitto e si protrassero per diversi anni fino al 1996.
l Tempio Dorico ha una dimensione di ventinove metri di lunghezza per venti di larghezza: dell'aspetto originario rimane ben poco, in quanto risulta essere notevolmente danneggiato ed era probabilmente dedicato ad Ercole o Minerva, come riscontrato su di un'epigrafe osca, scoperta nelle vicinanze, che così riportava: «Per questo bivio quelli che vanno intorno all'edificio pubblico che è vicino al Tempio di Minerva
In ordine dorico, l'area sacra era delimitata da un basso muretto dalla zona circostante, utilizzata probabilmente o dagli spettatori dei vicini teatri come luogo di ristoro o per le corse dei cavalli: in quest'ultimo caso il muro veniva rivestito con delle spine.
L'accesso al tempio, che era poggiato direttamente sulla roccia, avviene tramite dei gradini, realizzati in tufo o calcare, in numero non uguali sui vari lati, questo per permettere di modificare il dislivello del terreno: si ritiene inoltre che la gradinata sul lato est sia stata rifatta durante il periodo dell'esplorazione da la Vega. Lo stilobate, certamente non risalente al periodo di costruzione, ma rifatto in uno dei restauri successivi, era circondato da undici colonne sul lato lungo e sette su quello corto: sia dei fusti, realizzati in calcare di Sarno, che dei capitelli, in tufo, rimangono solo alcune tracce; i capitelli inoltre, di epoca sannitica, sono molto simili a quelli delle Tavole Palatine, un tempio nei pressi di Metaponto.
La cella, posta al centro del podio, era poggiata direttamente sulla roccia e probabilmente dotata di un pronao, davanti al quale erano una o due basi, dove poggiavano le statue di culto.
Tra i principali reperti ritrovati nella zona del tempio una serie di terrecotte e una metopa, facente parte della struttura prima del restauro del II secolo a.C., raffigurante il mito di Issone, tra Efesto ed Atena, mentre è legato alla ruota degli Inferi.

(la foto del sacrificio di Issone è di Alessandra Ranazzo, dala sito Mediterraneo Antico)

Campania - Pompei, Macellum

 
Il Macellum è un mercato di epoca romana dell'antica Pompei, ubicata nella Regio VII, sepolto dall'eruzione del Vesuvio del 79. Il Macellum fu edificato intorno alla fine del III secolo a.C., in tarda età sannita; a seguito della sistemazione della zona del Foro fu completamente ricostruito tra il 130 ed il 120 a.C.: la nuova struttura non differiva particolarmente da quella precedente se non per la costruzione del monoptero centrale, l'arretramento della facciata principale e una superficie leggermente minore. Durante l'epoca giulio-claudia, fu soggetto a lavori di riqualificazione, come ad esempio l'abbattimento del lato est del colonnato interno ed il rifacimento della pavimentazione. Il terremoto di Pompei del 62 arrecò notevoli danni al Macellum che venne quindi conseguentemente restaurato: il colonnato in tufo fu completamente eliminato, forse per essere ricostruito, vennero riedificate alcune tabernae, furono rifatti le decorazioni pittoriche e costruito un nuovo muro perimetrale nella parte sud, resosi necessario a seguito della costruzione del santuario dei Lari Pubblici.
Fu sepolto quindi sotto una coltre di lapilli e ceneri a seguito dell'eruzione del Vesuvio nel 79: quando si verificò questo evento, probabilmente i lavori di restauro non erano ancora terminati. Riportato alla luce a seguito delle indagini archeologiche eseguite per volere della dinastia borbonica, precisamente tra il 1818 ed il 1822, in origine, il ritrovamento di lastre di marmo, fece ipotizzare che la costruzione fosse un pantheon, dedicato a più divinità: indagini approfondite rivelarono poi la presenza di resti di cereali, frutta e pesce, facendo giungere gli archeologi alla conclusione che si trattava del mercato.
Il Macellum è posto nell'angolo nord-est del Foro, tra la via degli Augustali e il santuario dei Lari Pubblici: la scelta di tale posizione, centrale, ma allo stesso nascosta, fu presa per evitare di essere d'intralcio alle attività della piazza. La struttura si presenta con una pianta rettangolare a cui si accede tramite tre ingressi, due più ampi sul lato ovest e nord (si veda la foto in alto) ed uno più piccolo, quasi un'entrata di servizio, sul lato sud. I muri perimetrali, in parte rifatti a seguito del terremoto del 62, sono in opera reticolata e sorretti da pilastri in laterizio, realizzati in tufo; di particolare interesse il muro del lato sud, l'ultimo ad essere costruito, ritenuto come uno dei migliori esempi di opus reticolatum della città, nonché uno dei migliori conservati.
All'esterno delle pareti perimetrali, lungo il lato ovest, che rappresentava la facciata principale e che dava direttamente sul Foro e lungo il lato nord, erano poste delle tabernae, tutte realizzate in opus incertum, ossia delle piccole botteghe dedicate alla vendita (nella foto a sinistra, la bottega per la vendita del pesce e della carne): quelle ad ovest erano riservate per i cambiavalute, mentre quelle a nord, lungo Via degli Augustali, costruite in tale posizione per essere protette dal sole e quindi con un clima più fresco, vendevano generi alimentari o erano occupate dalla corporazione dei profumieri, come testimoniato da un'iscrizione elettorale di un candidato facente parti degli unguentarii; in queste botteghe sono stati inoltre ritrovati, in alcune anfore, alimenti come castagne, fichi, legumi, uva e frutta, conservati al Museo archeologico nazionale di Napoli. Nei pressi della facciata principale, è ancora possibile osservare una delle pochissime tracce del portico del Foro: si tratta di tre colonne in ordine corinzio con scanalature nella parte bassa e vicino alla base sono posti dei podi dove erano poggiate delle statue; nulla resta invece del porticato esterno del Macellum. Inoltre, la facciata, non corre parallelamente alla piazza del Foro, bensì tende ad essere obliqua: per ovviare a questo problema, le botteghe, furono costruite in maniera decrescente in modo tale da riuscire a realizzare una linea parallela. Anche l'ingresso monumentale è posto sul lato ovest: si tratta in realtà di due ingressi, separati da un'edicola decorata con colonne in ordine corinzio, recante sui capitelli delle chimere, provenienti dalla tomba delle Ghirlande, nei pressi di porta Ercolano e realizzate o in Grecia o a Napoli o Pozzuoli.
L'interno del Macellum (nella foto a inistra) si presenta come un grosso cortile senza colonnato: questo era in origine presente, con colonne in tufo, ma non si è ancora compreso se eliminato volontariamente oppure in attesa di essere ricostruito a seguito del terremoto del 62, in quanto, lungo il lato nord e ovest fu ritrovato uno stilobate in travertino; la pavimentazione era realizzata con tegole tritate, travertino e marmo, ricoperti con malta. Al centro della corte sono presenti dodici basi in tufo, disposte circolarmente, tipo monoptero, le quali non erano altro che basi per pali che sostenevano una copertura in legno dalla forma conica: nella stessa zona doveva esserci una fontana e una vasca utilizzate per la pulizia del pesce.
Lungo la parete ovest sono presenti una serie di affreschi, in quarto stile, risalenti quindi all'ultima fase di vita dell'edificio, raffiguranti scene mitologiche, come Ulisse e Penelope che si ritrovano (nella foto a destra), Io e Argo e Medea che medita di uccidere i figli, disegnati su pennelli neri bordati di rosso e divisi tramite elementi architettonici come rappresentazioni di edifici; nella parte superiore invece le riproduzioni sono effettuate su uno sfondo blu e rappresentano diversi temi come un Satiro che suona il flauto, una donna con strumenti per sacrifici e nature morte. Sul lato est sono presenti tre grossi vani, pavimentati in cocciopesto, rialzati rispetto al resto dell'edificio e raggiungibili tramite cinque scalini. Il vano centrale aveva probabilmente la funzione di sacello ed era dedicato alla casa imperiale: realizzato semplicemente da una parete di fondo e due laterali, in opera listata ed incerta, presenta due nicchie su ogni lato, che ospitavano delle statue, tra cui, sul lato destro, una figura maschile e una femminile, entrambe risalenti all'età neroniana e oggi conservate al Museo archeologico di Napoli; in un primo tempo le statue furono identificate come Marcello e Ottavia, ma poi ritenuti membri della famiglia imperiale non ancora identificati: la figura maschile è raffigurata con barba e capelli corti, nudo, con solo un drappo che gli cinge la vita e si raccoglie nella mano destra, dove reca anche una spada, mentre, sulla testa, sono presenti due fori, forse utilizzati per fissare una corona di bronzo. 
La statua femminile (si veda la foto a sinistra con le due statue) invece è simile a una sacerdotessa, con una tunica ornata alle maniche da bottoncini, il capo coperto da un mantello e circondato da una corona vegetale, con solo parte della capigliatura visibile e, nella mano destra, reca una patera, mentre in quella sinistra dei grani d'incenso. Le pareti di questo ambiente, all'interno del quale fu anche rinvenuto un braccio con un globo, probabilmente appartenente ad una statua di un imperatore, dovevano avere delle decorazioni in stucco, andate perdute a seguito dell'eruzione. L'ambiente sulla sinistra era utilizzato per i banchetti dedicati all'imperatore o per le riunioni di sacerdoti ed è ornato con un piccolo altare in basalto, dove venivano poggiate le libagioni[8], al quale si accede tramite tre gradini ed un piccolo podio marmoreo, dalla funzione sconosciuta: è stata avanzata l'ipotesi che potesse essere utilizzato durante le aste, ma questo andrebbe contro la sacralità del luogo. La principale decorazione è rappresentata da due affreschi raffiguranti eroti che suonano la lira e bevono vino ed eroti nell'atto di compiere cerimonie sacre; inoltre nei pressi di questa stanza furono ritrovate circa un migliaio di monete, oltre a scheletri di bue, forse resti di sacrifici. L'ambiente di destra era invece utilizzato per la vendita di carne e pesce ed era dotato di un ampio bancone in muratura, rivestito in marmo, con scarico per il deflusso delle acque. Lungo il lato sud sono disposti una serie di ambienti, undici per la precisione, destinati alla vendita dei generi alimentari. Probabilmente il Macellum aveva anche un piano superiore, con delle stanze in legno, a cui si accedeva dall'esterno direttamente con una scala, sempre in legno, il tutto distrutto a seguito dell'eruzione.