La
Villa
romana del Casale è un edificio abitativo tardo antico,
popolarmente definito villa nonostante non abbia i
caratteri della villa romana extraurbana quanto piuttosto
del palazzo urbano imperiale, i cui resti sono situati a circa
quattro chilometri da Piazza Armerina, in Sicilia.
Dal 1997 fa parte dei patrimoni
dell'umanità dell'UNESCO. Il primo assetto museografico
si doveva all'architetto Franco Minissi.
La scoperta
della villa si deve a Gino Vinicio Gentili, che nel 1950 ne
intraprese l'esplorazione in seguito alle segnalazioni degli abitanti
del posto. Basandosi principalmente sullo stile dei mosaici, lo
scopritore datò in un primo momento l'impianto della sontuosa
abitazione – sorta su una più antica fattoria – non prima della
metà del IV secolo; successivamente lo stesso studioso assegnò
la villa all'età tetrarchica (285-305). Secondo Ranuccio
Bianchi Bandinelli la villa va datata al primo venticinquennio
del IV secolo.
Gli esami
sulle murature hanno datato la villa e i mosaici stessi a una
successione di tempi che va all'incirca dal 320 al 370,
come testimoniato anche dalla stessa tecnica di costruzione delle
volte in tubi fittili di alcuni ambienti.
Tra i resti della villa si individuano
quattro nuclei separati:
- ingresso monumentale a tre arcate
con cortile a ferro di cavallo (ambienti 1-2);
- corpo centrale della villa,
organizzato intorno ad una corte a peristilio quadrangolare,
dotata di giardino con vasca mistilinea al centro (ambienti 8-39);
- grande spazio, preceduta da un
peristilio ovoidale circondato a sua volta da un altro gruppo di
vani (ambienti 47-55)
- complesso termale, con accesso
dall'angolo nord-occidentale del peristilio quadrangolare (ambienti
40-46).
Ognuno dei quattro nuclei della villa è
disposto secondo un proprio asse direzionale. Tuttavia tutti gli assi
convergono al centro della vasca del peristilio quadrangolare.
Nonostante le apparenti asimmetrie planimetriche, la villa sarebbe
dunque il frutto di un progetto organico e unitario che, partendo dai
modelli correnti nell'edilizia privata del tempo (villa a
peristilio con aula absidata e sala tricora), vi introdusse una
serie di variazioni in grado di conferire originalità e
straordinaria monumentalità all'intero complesso. L'unità della
costruzione è testimoniata anche dalla funzionalità dei percorsi
interni e della suddivisione tra parti pubbliche e private.
I tempi di costruzione, furono
inizialmente valutati in un periodo di cinquanta-ottanta anni, e poi
ridotti a circa cinque-dieci anni. Oggi si tende a credere ad
una durata corta dei lavori.
La funzione delle sale è quasi sempre
suggerita da allusioni nei mosaici pavimentali. La divisione in tre
nuclei distinti, anche dal punto di vista degli assi, e materialmente
divisi consentiva usi separati, senza il rischio di confusioni o
indiscrezioni. La grande funzionalità era legata a un'esasperata
ricerca degli effetti prospettici e delle planimetrie con linee curve
(soprattutto nelle terme e nel triclinio sud).
La successione
vestibolo-corte-nartece-aula absidata, già in uso durante
l'architettura aulica del basso Impero (come la basilica
Palatina di Costantino a Treviri), con una notevole
intercambiabilità verrà ripresa come impianto delle basiliche
cristiane (antica basilica di San Pietro in Vaticano) e, più tardi,
delle moschee arabe.
La villa "a padiglioni" o "a
nuclei" non è una tipologia isolata a Piazza Armerina, ma,
oltre ad essere documentata in un'altra villa siciliana
presso Noto, ha precise corrispondenze in ville africane e deve
il suo modello originario alla villa Adriana di Tivoli.
Durante i primi due secoli
dell'Impero la Sicilia aveva attraversato una fase di
depressione, dovuta al sistema di produzione del latifondo,
basato sul lavoro degli schiavi: la vita urbana aveva subito un
declino, la campagna era deserta e i ricchi proprietari non vi
risiedevano, come la mancanza di resti abitativi di un certo livello
sembrerebbe indicare. Inoltre, il governo romano trascurava il
territorio, che divenne luogo d'esilio e rifugio di schiavi e
briganti.
La Sicilia rurale entrò in nuovo
periodo di prosperità agli inizi del IV secolo, con gli
insediamenti commerciali e i villaggi agricoli che sembrano
raggiungere l'apice della loro espansione e della loro attività.
Tracce di attività costruttive restano nelle località
di Filosofiana, Sciacca, Punta Secca, Naxos e
altrove. Un evidente segnale di trasformazione è costituito dal
nuovo titolo assegnato al governatore dell'isola,
da corrector a consularis.
Le motivazioni sembrano essere duplici:
anzitutto la rinnovata importanza delle province dell'Africa
proconsolare e della Tripolitania per i rifornimenti
di grano verso l'Italia, mentre la produzione egiziana, che
aveva fino ad allora sopperito alle necessità di Roma, venne
convogliata a Costantinopoli (dal 330 nuova
capitale imperiale); la Sicilia assunse di conseguenza un ruolo
centrale sulle nuove rotte commerciali fra i due continenti.

In secondo luogo i ceti più abbienti,
di rango equestre e senatorio cominciarono ad
abbandonare la vita urbana ritirandosi nei propri possedimenti in
campagna, a causa della crescente pressione fiscale e delle spese che
erano obbligati a sostenere per il mantenimento degli apparati
pubblici cittadini. In tal modo inoltre i proprietari si occupavano
personalmente delle proprie terre, coltivate non più da schiavi, ma
da coloni. Considerevoli somme di denaro furono spese per ingrandire,
abbellire e rendere più comode le residenze extraurbane, o ville.
Tra queste si può citare oltre alla villa del Casale, la villa
del Tellaro.
L'identificazione del proprietario è
stata a lungo discussa e molte diverse ipotesi sono state formulate:
quello dell'identità del proprietario è un problema che è
strettamente legato alla datazione della villa e all'esistenza di più
fasi di costruzione.
Secondo una prima ipotesi il proprietario della villa sarebbe
stato il tetrarca Massimiano (285-305), ritiratosi qui
dopo la sua abdicazione. Gli studi storici successivi hanno tuttavia
dimostrato che Massimiano trascorse in Campania, e non in Sicilia, i
suoi ultimi anni. Successivamente il proprietario della villa
era stato identificato con l'usurpatore Massenzio, figlio di
Massimiano (305-312).
In realtà, nulla lascia intendere che
la villa di Piazza Armerina fosse una residenza imperiale. Negli
ultimi anni, del resto, gli scavi hanno dimostrato che il possesso di
dimore sontuose e con marcato carattere di rappresentanza era un
fenomeno molto diffuso e nient'affatto eccezionale nell'alta
aristocrazia romana. Inoltre la lettura delle tematiche dei mosaici
li inserisce nel quadro della società aristocratica romana degli
inizi del IV secolo, pagana, legata alla
tradizione senatoria, e avversa alla politica di Costantino
I. Il fenomeno dell'edilizia monumentale applicata alle ville
extraurbane risale al II secolo dell'Impero e tra gli esempi più
spettacolari vi è la villa dei Gordiani sulla via
Prenestina, già completata durante il principato di Commodo
(180-191); la monumentalità della villa del Casale quindi non deve
sorprendere per la sua maestosità.

L'ipotesi
attualmente più accreditata identifica il proprietario con
una prestigiosa figura dell'età costantiniana, Lucio
Aradio Valerio Proculo Populonio, governatore della Sicilia tra
il 327 e il 331 e console nel 340.
I giochi che aveva organizzato a Roma nel 320, mentre
rivestiva la carica di pretore, furono così fastosi che la loro
fama durò per lungo tempo, e forse le raffigurazioni su alcuni
mosaici della villa (la "Grande Caccia" nel corridoio 25 e
i "Giochi del circo" nella palestra delle terme) intendono
richiamare questo evento.
Altre ipotesi di identificazione che
sono state avanzate riguardano:
- Gaio
Ceionio Rufio Volusiano prefetto urbano e console
sotto Massenzio e Costantino (306-337), che
aveva grandi proprietà in Africa dalla quale era originario. Suo
figlio Ceionio Rufio Albino, anche lui console e prefetto, che
era uno scrittore polivalente (scrisse trattati di logica, storia,
metrica, musica, geometria), in un'epigrafe conservatasi si
definisce "philosophus";
- un procurator imperiale, Ceionio
Lampadio, figlio di Gaio Ceionio Rufio Volusiano Lampadio,
prefetto sotto Costanzo II (353-359);
- Memmio Vitrasio Orfito, Praefectus
urbi sotto Costanzo II (353-359), già governatore
in Sicilia e incaricato del trasporto per nave degli
animali provenienti dalle province africane e orientali (porti
di Cartagine e di Alessandria d'Egitto). Secondo una
notizia di Ammiano Marcellino gli si deve l'erezione
nel Circo Massimo dell'attuale obelisco Lateranense,
che sembrerebbe raffigurato nei mosaici della palestra della villa;
- Claudio Mamertino, famoso retore
vissuto al tempo dell'imperatore Giuliano (361-363);
- Nicomaco
Flaviano il Giovane, un aristocratico romano vissuto tra la fine
del IV e gli inizi del V secolo, che secondo una
notizia aveva emendato gli Annales di Tito
Livio mentre soggiornava in una località siciliana non
distante da Enna;
- Betizio
Perpetuo Arzigio e Domizio Latroniano, governatori della
Sicilia sotto Costantino I.
Ingresso monumentale e vestibolo L'accesso alla residenza avveniva
attraverso un passaggio a tre archi, decorato da fontane e da pitture
di carattere militare, che richiama da vicino un arco trionfale.
Da qui si poteva accedere al complesso termale e al complesso
residenziale.
Il cortile a ferro di cavallo è
circondato da colonne in marmo con capitelli ionici, al centro sono i
resti di una fontana quadrata. Dell'originaria pavimentazione si
conserva lungo il lato nord del cortile un lacerto di mosaico bicromo
con decorazione a motivi vegetali e squame. Sul lato occidentale del
cortile si trovava una latrina.
Dall'ingresso alcuni gradini conducono
al vestibolo: al centro di un pavimento geometrico è inserita
una scena parzialmente conservata di adventus (ingresso
cerimoniale) su due registri. Nel registro superiore un uomo con
corona di foglie sul capo e candelabro nella mano destra,
fiancheggiato da due giovani con ramoscelli in mano, sembra attendere
l'arrivo di un ospite importante. Nel registro inferiore alcuni
giovanetti recitano o cantano con dittici aperti nelle
mani. Gli studiosi vi hanno visto una scena religiosa oppure un
solenne benvenuto (salutatio) per l'ingresso del proprietario – di
certo una personalità di rilievo – nella sua casa.
Peristilio
quadrangolare Dal vestibolo si accede al peristilio:
il mosaico presenta qui una serie di ghirlande d'alloro includenti
teste di animali di molte specie diverse
(felini, antilopi, tori, capri
selvatici, cavalli, onagri, cervi, arieti,
un elefante e uno struzzo). L'orientamento delle teste
cambia in due punti: in corrispondenza dell'ingresso dal vestibolo, e
ai piedi della scala d'accesso al complesso della sala absidata sul
lato orientale. Questo cambiamento aveva probabilmente la funzione di
enfatizzare i due itinerari percorribili all'interno dell'edificio:
quello privato, a sinistra dell'entrata, che conduceva alle stanze
del lato settentrionale, e quello pubblico, verso la sala absidata
sul lato est e il nucleo del triclinio con peristilio ovoidale.
Al centro del peristilio si trovava una
grande fontana: due vasche semicircolari con il lato curvo rivolto
simmetricamente al centro inquadravano una vasca di forma
rettangolare allungata, che con due archi sui lati maggiori
delineavano una circonferenza centrale.
In asse con il vestibolo, appena oltre
il porticato del peristilio, si trova un piccolo vano absidato, il
"Sacello dei Lari", inquadrato da due colonne del
peristilio e con pavimento a mosaico geometrico. Il motivo presenta
due quadrati intersecati, ornati da una treccia semplice, che formano
una losanga con foglia di edera al centro. La foglia di edera,
simbolo dionisiaco e motivo decorativo
d'ascendenza sasanide, ricorre frequentemente in numerosi
pavimenti della villa.
Ambienti sul lato nord del grande peristilio Lungo il lato settentrionale del
peristilio si aprono ambienti di varia destinazione, forse
un gineceo o un hospitium. Tre vani iniziali, ambienti
di servizio in funzione della cucina, e altri due in fondo, a
servizio del vicino appartamento padronale, hanno pavimenti a mosaico
con motivi geometrici. Gli schemi decorativi presenti si ritrovano
nel repertorio dei mosaici nordafricani: le ipotesi sono che i motivi
adottati nella villa siano stati elaborati a Roma o
in Italia, e siano quindi passati successivamente in Africa,
oppure che fossero già stati rielaborati nell'ambiente artistico
nordafricano tra la fine del II e gli inizi del III
secolo.
I due ambienti successivi che si aprono
su questo braccio del peristilio sono probabilmente camere da letto
(cubicula), preceduti da anticamere e con pareti decorate da pitture.
In uno dei vani sul pavimento a mosaico
sono raffigurate sei coppie di personaggi, disposte su due registri.
L'interpretazione è controversa: alcuni vi hanno visto episodi di
ratto, forse il ratto delle Sabine, mentre altri, per la
mancanza di atteggiamenti di violenza o sopraffazione nelle figure
maschili, ipotizzano piuttosto che si tratti di danze campestri nelle
feste primaverili in onore di Cerere. Teste, abbigliamento,
gioielli sono ricchi di particolari, secondo modalità tipiche
dell'arte tardoantica, e le scene sono statiche e frontali, con il
senso di movimento suggerito soltanto dallo svolazzare dei mantelli.
La linea su cui poggiano le figure del registro superiore presenta le
ombre portate.
La seconda camera da letto presenta un
mosaico pavimentale con Eroti pescatori, con ricca
decorazione sulle barche e negli abiti. Gli Eroti portano sulla
fronte un segno a V, di incerta interpretazione, che ritroviamo anche
nei mosaici nordafricani del IV secolo. Il tema degli Eroti si
ripete più volte nelle sale della villa e si ripetono anche gli
stessi motivi, come le ville marittime nel paesaggio dello sfondo,
l'Erote che rovescia il cesto con i pesci o l'altro che sta per
colpire una preda con il tridente.
La successiva sala che si apre sul lato
settentrionale del peristilio, forse una sala da pranzo (coenatio)
invernale, di maggiori dimensioni delle altre e con l'ingresso
preceduto da due colonne, conserva il mosaico pavimentale della
"Piccola caccia". Sono raffigurate dodici scene disposte su
quattro registri;
- nel primo registro dall'alto, un
cacciatore e i suoi cani all'inseguimento di una volpe;
- nel secondo registro, un
sacrificio a Diana, tra due uomini che portano sulle spalle
un cinghiale legato e un terzo che porta una lepre;
nel terzo registro, due uomini che
spiano alcuni volatili sulle foglie di un albero, una vasta scena
con il banchetto del proprietario con i suoi attendenti nel bosco,
un cacciatore in atto di colpire una lepre col venabulum;
- nel quarto registro la cattura di
tre cervi con una rete e il drammatico abbattimento di un cinghiale
che ha ferito un uomo in una palude. Sono degne di nota le figure
dei due servi nascosti dietro la roccia: uno prova a colpire la
bestia con un sasso, l'altro si tocca la fronte impaurito.

Quelle rappresentate sono vere e
proprie scene di caccia (venatio), che dovevano far parte della vita
quotidiana del padrone della villa. Il sacrificio a Diana,
propiziatorio del buon esito della caccia, richiama da vicino uno dei
tondi adrianei dell'arco di Costantino col medesimo
soggetto. I moduli compositivi sono però a Piazza Armerina tipici
della tarda antichità: il sacrificante e gli assistenti sono in
posizione frontale, i rami degli alberi si dispongono simmetricamente
ai lati della scena e la tenda (velarium) crea uno spazio di rispetto
per il personaggio principale, con funzione analoga a quella
del ciborio delle chiese paleocristiane. Le scene di caccia
derivano dal repertorio tipico di tutta l'area dell'Occidente
Mediterraneo, e si dispongono intorno ai due episodi centrali del
sacrificio e del banchetto con ordine e simmetria. Lo schema
compositivo sembra derivare dal repertorio nordafricano e richiamano
per lo stile i mosaici nella "Casa dei Cavalli"
di Cartagine e, per le caratteristiche
compositivo-iconografiche, quelli in una villa di Ippona: è
possibile che le maestranze provenissero dall'Africa Proconsolare e
in particolare dalla stessa Cartagine.
Il vano trapezoidale di raccordo tra il
peristilio e le terme ha un mosaico di dama con ancella.
Corridoio della "Grande Caccia"Dal lato di fondo orientale del
peristilio si accede al corridoio sopraelevato della "Grande
Caccia" (65,93 m di lunghezza e 5 m di larghezza), con
le estremità absidate. Su questo corridoio, elemento di raccordo e
separazione tra parte pubblica e privata, si aprivano la grande sala
absidata di rappresentanza e gli appartamenti padronali. L'importanza
era sottolineata dal portico che si apre nella sua parte centrale
verso il peristilio e dalla leggera soprelevazione: vi accedevano due
scale dai bracci nord e sud del peristilio, e una terza centrale, di
fronte all'ingresso della grande sala absidata.
A dispetto del nome con cui è
conosciuto, il soggetto del mosaico pavimentale rappresenta una
grande battuta di cattura, non caccia, di bestie selvatiche per
i giochi dell'anfiteatro a Roma: nessun animale viene
infatti abbattuto e i cacciatori usano le armi solo per difendersi.
Le caratteristiche tecniche, unite all'analisi delle cesure evidenti
sullo sfondo del mosaico, hanno consentito di individuare 7 scene,
eseguite da due gruppi distinti di mosaicisti.
Le prime tre scene sono realizzate
con tessere quadrate di piccole dimensioni (5–6 mm), di forma
molto regolare, e con una certa quantità di faience; sono
impiegate poche scaglie di pietra, e ci sono circa venticinque
colori diversi.
Le scene restanti, nella metà sud
del corridoio, sono realizzate con tessere un po' grandi (6–8 mm),
scaglie di pietra più frequenti e minor precisione nei dettagli;
sono presenti quindici colori.
La differenza stilistica fra le due
parti del corridoio è assai evidente. Mentre nella metà sud le
figure sono secche, schematiche e prive di volume, quelle della metà
nord spiccano per la resa plastica e naturalistica dei corpi delle
belve e per i volumi dei panneggi in libero movimento. È possibile
che la parte meridionale del corridoio sia opera di maestranze più
conservatrici, fedeli ai canoni stilistici del III secolo e
ai modelli del linguaggio figurativo occidentale, mentre nella parte
settentrionale avrebbero lavorato mosaicisti più innovatori e più
vicini alla cultura figurativa del IV secolo, che avevano
assorbito modelli elaborati in Grecia o in Asia
Minore e ancora vicini alla tradizione ellenistica.

Nelle absidi alle estremità nord e sud
del corridoio abbiamo due figure femminili. Quella a nord, molto
lacunosa, tiene nella mano destra una lancia e ha ai lati un leone e
un leopardo. Si tratta forse della personificazione
della Mauretania o, più genericamente, dell'Africa.
L'altra figura femminile dalla pelle olivastra, per la presenza
dell'elefante dalle orecchie piccole, della tigre e della fenice,
rappresenterebbe l'Egitto (Africa orientale quindi) o, secondo
altri, l'Asia o l'India, come sembrerebbe provare la presenza
delle formidines pendenti dai rami, nastri rossi usati dai
cacciatori indiani per catturare le tigri. Il resto della decorazione
del corridoio è organizzato in tre fasce: quelle laterali con scene
di cattura vere e proprie entro confini geografici ben precisi, e
quella centrale che rappresenta il trasporto degli animali e zone di
mare entro le quali si vedono navi da carico. Le figure nelle absidi
quindi sarebbero le personificazioni delle regioni rappresentate
nella parte di corridoio vicina, nelle quali avveniva la cattura
degli animali, convogliati poi al centro per essere spediti a Roma.
L'insieme
rappresenta quindi una sorta di compendio su come catturare ogni
singola belva, ambientato in due continenti diversi e ad uso e
consumo di un dux di una provincia (i duces avevano
infatti l'incarico di procurare le fiere per il circo[10]), forse il
proprietario stesso che è probabilmente l'uomo maturo rappresentato
nel continente di destra in atto di sovrintendere alla cattura con
due soldati.
La struttura del mosaico è simmetrica,
ma la zona destra è più sviluppata, sia perché le terre che
rappresenta sono più vaste (a giudicare dagli animali arrivano a
includere zone nilotiche e arabiche), sia perché venga collocato in
posizione centrale il personaggio chiave del dominus coi
soldati.
Basilica Sul lato di fondo del corridoio della
Grande Caccia, al centro, sopraelevata con quattro gradini, si apre
un'ampia sala da ricevimento absidata, con un ingresso scompartito da
due colonne che ne segnala l'importanza.
La funzione pubblica dell'aula, dove
probabilmente il proprietario concedeva udienza e riceveva i
visitatori, è resa inoltre evidente dalla originaria pavimentazione
in prezioso opus sectile in lastre di marmi colorati
e porfido. La sala si trova al termine di un percorso che si
sviluppa in senso ascensionale a partire dall'ingresso monumentale.
L'antistante corridoio della "Grande Caccia” viene a
costituire una conduplicatio enfatica, ossia un “di più”,
una ripetizione, del peristilio ad una quota più elevata. Sulla base
dei confronti con gli esempi analoghi – anche se meno monumentali –
della "villa di Portus Magnus" in Algeria (III
secolo DC), del "palazzo di Fishbourne" nel Sussex,
del "Pretorio" di Lambaesis e dell'"Aula
palatina" di Treviri, sembra di poter indicare per questo
corridoio apparentemente superfluo una funzione di "sala di
attesa". Una simile soluzione sarà adottata nei secoli
successivi dal nartece delle chiese cristiane, in
particolare in diversi edifici di culto dell'area greco-egea,
databili tra la fine del IV e il V secolo (basilica
di Epidauro, basilica A di Nicopoli in Epiro, basilica
di Afendelli a Lesbo), nei quali il nartece, attaccato al
braccio orientale dell'atrio, lo raddoppia in lunghezza, proprio come
avviene nella villa del Casale per il corridoio della "Grande
Caccia" e il peristilio. Queste somiglianze hanno indotto ad
ipotizzare per il complesso della sala basilicale una funzione
addirittura "liturgica", in relazione al cerimoniale delle
udienze nella corte imperiale di epoca tardoantica.
Appartamenti padronali sul lato orientale Ai lati della
basilica si aprono sul corridoio della "Grande Caccia" i
due appartamenti padronali: quello più a nord, più prossimo agli
ambienti di servizio e di dimensioni inferiori era probabilmente
riservato alla famiglia (la padrona di casa o il figlio del
proprietario) e l'altro più importante e con decorazione musiva più
ricca e articolata era probabilmente quello del proprietario.
Appartamento settentrionale Un primo ambiente funge da anticamera;
il pavimento è decorato con l'episodio di Ulisse che
ubriaca Polifemo: Ulisse i suoi compagni sono imprigionati nella
buia grotta del ciclope e cercano di fuggire per mezzo dell'astuzia;
Ulisse porge a Polifemo, che è raffigurato con tre occhi, intento a
squartare e mangiare un suo ariete, una grande coppa,
un kantharos pieno di vino. La statua di Ulisse che porge
una coppa simile decorava un complesso imperiale nei pressi di Baia e
si trova ora nel Museo archeologico dei Campi Flegrei. Pitture
con il medesimo soggetto si trovavano sul Palatino e si può
ipotizzarne la derivazione da un originale pittorico. Si tratta in
ogni caso, di una testimonianza della cultura del proprietario e
della sua dimestichezza con l'ambiente romano.
Una sala absidata che si apre
sull'anticamera, forse identificabile con una sala da pranzo
(triclinio), oppure con una stanza da letto (cubicolo) con rientranza
per il letto (alcova) nell'abside. La sala presenta pitture parietali
di Eroti e sul pavimento un mosaico geometrico in cui sono inseriti
tondi con le Stagioni e ceste di frutta, mentre nell'abside si trova
un motivo a squame con elementi naturalistici molto raffinati.
Un secondo ambiente laterale,
ugualmente aperto sull'anticamera, è un altro cubicolo con alcova.
Il pavimento è un tappeto geometrico con schemi poligonali, stelle
stilizzate e Stagioni nei tondi, che circondano un
medaglione con coppia di amanti. Il passaggio all'alcova, la
rientranza occupata dal letto, mostra scene di fanciulli che giocano,
mentre l'alcova stessa presenta una decorazione geometrica.
Appartamento
meridionale L'appartamento si apriva sul corridoio
della "Grande Caccia" con un ingresso monumentale
costituito da un peristilio a ferro di cavallo con quattro colonne
ioniche e una fontana al centro. Il peristilio era pavimentato con un
mosaico raffigurante la veduta di un intero porto, che gira intorno
alla composizione ed Eroti pescatori, con tematiche simili
a quelle presenti in uno dei cubicoli del lato nord. In
quest'ambiente esiste una differenza stilistica fra la metà nord e
sud della composizione. Infatti, nella metà sud degli alberi sono
meno numerosi, il mare è disegnato da poche linee a zig-zag e da
molte linee dritte, gli edifici sullo sfondo sono visti di fronte e
non sono collegati fra loro. Tutto ciò evidentemente rivela
l'utilizzo di diversi modelli.
Da qui si accedeva a tre vani
principali, disposti in parallelo sull'asse est-ovest. Un'aula
absidata si apre sul lato di fondo del peristilio e costituiva forse
la biblioteca privata del proprietario o la diaeta. Il pavimento
a mosaico presenta la scena mitologica del poeta Arione, al
centro, che incanta gli animali marini, tritoni, Nereidi e
cavalli marini con la musica e la poesia. Nell'abside si trova una
grande testa di Oceano circondata da varie specie di pesci.
Le acconciature ad elmo delle Nereidi hanno fornito importanti dati
cronologici sulla base dei ritratti numismatici delle imperatrici
della dinastia costantiniana. La disposizione della scena e il
suo significato sono molto simili a quelle del mosaico
con Orfeo nella sala absidata che si apre sul lato sud del
grande peristilio quadrangolare.
Sul lato sinistro del peristilio a
ferro di cavallo si dispone una coppia di ambienti, corrispondenti ad
un cubicolo con alcova rettilinea preceduto da un'anticamera:
- nell'anticamera si trova il
mosaico con il combattimento di Eros e Pan, a
cui assistono da sinistra forse il padrone di casa, un Satiro e
due Menadi, mentre da destra tre fanciulli e due giovani donne,
probabili familiari del proprietario. Gli oggetti sul tavolo di
fondo sono il premio per il vincitore: quattro corone con foglie di
palma, e due sacchi pieni di monete (su ciascuno di essi è indicata
la cifra: 22.000 denari!). Si tratta di un episodio mitologico poco
famoso, ma che faceva parte della cultura del padrone di casa: lo
stesso tema si trova nella basilica paleocristiana di Aquileia,
edificata in un periodo molto vicino a quello della villa del
Casale, e nella quale la tartaruga simboleggia il male, il gallo il
bene e la luce;
- nel cubicolo è presente il
mosaico dei Eroti Cacciatori: su vari registri si
susseguono le scene, di grande effetto ornamentale per via del
riempitivo di rami con foglie e frutti e di volatili che occupa
tutto lo sfondo. Non mancano episodi umoristici, come quello del
fanciullo caduto che è morso al polpaccio da un grosso topo, o
dell'altro che fugge davanti ad un gallo (quest'ultima scena passerà
nell'iconografia moralistica medievale come raffigurazione
dell'Accidia).
Sul lato opposto del peristilio a ferro
di cavallo, si dispone una simile coppia di ambienti, anticamera e
cubicolo con alcova absidata:
- l'anticamera presenta il mosaico
del cosiddetto Piccolo circo: nell'arena gareggiano quattro
bighe, trainate da volatili sacri a Venere e guidate da
aurighi eroti (bambini); un fanciullo incaricato della premiazione
reca in mano la palma per il vincitore. La critica più recente vede
in questa scena un'allegoria delle Stagioni, un richiamo allo
scorrere del tempo avente lo stesso significato simbolico dei tondi
con carri del Sole e della Luna nell'arco di
Costantino;
- il cubicolo è decorato con
l'Agone musicale: su tre registri si trovano fanciulli intenti alla
recitazione e al canto. Anche qui, come nel mosaico di Eros e Pan,
ricorre il tavolo con le corone della vittoria sullo sfondo. Le due
fanciulle che nell'abside di fondo sono intente ad intrecciare
ghirlande di fiori e foglie potrebbero riferirsi ai momenti delle
feste primaverili in onore di Cerere.
Nei mosaici di questo appartamento
meridionale troviamo una sintesi di tutto il programma iconografico
della villa: l'astuzia e la poesia (Eros, Arione) che vincono la
forza bruta (Pan, le bestie marine); il tema della caccia (bambini
cacciatori); il circo (bambini sulle bighe); la poesia e la musica
(Agone musicale, che si richiama sia alla lotta di Eros e Pan, sia
alle scene di Arione e Orfeo).
Ambienti sul lato sud del grande peristilio Immediatamente contigui alle scale che
portano al corridoio della "Grande Caccia" si aprono sul
portico meridionale del grande peristilio due ambienti di servizio,
in origine pavimentati con motivi geometrici. In un più tardo
rifacimento l'ambiente più interno fu decorato con un mosaico unico
nel suo genere, noto come le Palestriti o Fanciulle in bikini.
Il poeta latino Giovenale, nella Satira VII, ricorda che le
matrone romane usavano andare in palestra, non solo per fare esercizi
ginnici, ma anche per tirare di scherma. quasi fossero gladiatori.
Nel mosaico, su due registri che vanno letti in verso bustrofedico
(il superiore da sinistra a destra e il successivo da destra a
sinistra) si dispongono dieci fanciulle impegnate in palestra in
esercizi atletici. Alcune sono in coppia: due (la prima figura di
discobola è perduta) si sfidano nel lancio del disco, una si allena
con i pesi, due si sfidano nella corsa; nella fascia inferiore due si
lanciano una palla; alla fine si premiano le due vincitrici: una
fanciulla che indossa il mantello del giudice porge loro la palma e
la corona di fiori. Una vincitrice tiene in equilibrio una specie di
girandola, composta da un'asta e una raggiera ruotante; lo stesso
strumento è presente anche nei mosaici del Gran
Palazzo imperiale di Costantinopoli. La fanciulla-giudice
indossa il mantello da arbitro, ma non la fascia pettorale, il cd.
"bikini", per cui è famoso il mosaico, cosa che fa
presumere che tale indumento venisse indossato solo durante gli
esercizi atletici. In altro ambiente vi è un mosaico dove sono
raffigurate due fanciulle che preparano le stesse corone di fiori che
indossano le atlete vincitrici. Un ambiente doppio, forse un cubicolo
invernale, è decorato da un mosaico raffigurante uno spettacolo di
mimi o tetimimo.

La disposizione degli elementi nella
sala di Arione, all'interno dell'appartamento padronale
settentrionale, è identica a quella del mosaico di Orfeo nella
sala absidata che si apre al centro del porticato, la cui importanza
è sottolineata dall'ingresso a due colonne e dalla presenza di una
fontana centrale. Si trattava forse di una diaeta invernale,
di una sala da musica o di una biblioteca. Qui, al centro del mosaico
si trova il poeta, circondato da più di cinquanta specie diverse di
animali, fra i quali compare anche la mitica Fenice. Fra le
scene di Arione e Orfeo esiste uno stretto legame concettuale:
entrambe presentano il dominio delle forze brute (le bestie marine,
le fiere terrestri) per mezzo delle arti della poesia e del canto,
cioè delle attività che elevano lo spirito, tematica ripresa anche
nel mito di Ulisse che vince con l'astuzia Polifemo nel vestibolo
dell'appartamento settentrionale. Poiché nella mentalità del tempo
la sapienza musicale era assimilata alla sapienza in genere, e le
bestie selvagge erano frequente metafora delle passioni umane (per
esempio in Lattanzio). Il parallelismo fra Orfeo e
le venationes ricorre in Marrone, e i due temi sono
significativamente accoppiati nella pisside eburnea di Bobbio.
Il complesso della trichora con peristilio
ovoidale Sia dal corridoio della '"Grande
Caccia" e dall'appartamento padronale, sia dall'angolo
sud-occidentale del grande peristilio quadrangolare si accedeva ad un
complesso unitario, costituito da un peristilio a pilastri a pianta
ovale tagliato ad una estremità da una sala con tre absidi
(trichora) Sui due lati del peristilio si affacciano gruppi di tre
ambienti, con quelli laterali accessibili dal vano centrale, mentre
sul lato opposto alla sala con tre absidi, è presente
un ninfeo (fontana) absidato. Si trattava probabilmente di
un triclinio monumentale adibito ai banchetti di rappresentanza.
Il portico del peristilio era
pavimentato con un mosaico di girali d'acanto animate con busti di
animali. Gli ambienti sui lati del peristilio sono decorati con un
mosaico di Eroti, nuovamente impegnati in attività di pesca
(Eroti pescatori) nei vani meridionali, mentre in quelli
settentrionali sono, invece, impegnati nella vendemmia (Eroti
vendemmianti): davanti ad una villa rurale, due Eroti portano ceste
piene di grappoli ai loro compagni intenti alla pigiatura dell'uva.
Il pavimento del contiguo ambiente
laterale è interamente ricoperto da girali di tralci, grappoli e
figurine di Eroti; al centro si trova un medaglione con busto di
figura maschile (forse personificazione dell'Autunno).
Il mosaico di questo vano ricorda molto
da vicino quello con lo stesso soggetto della volta del corridoio
anulare del mausoleo di Costantina a Roma (attuale chiesa
di Santa Costanza), eseguito pochi anni più tardi.
Lo schema, che ornava anche lo
stesso sarcofago porfiretico della principessa figlia
di Costantino, è molto diffuso nelle regioni del Mar
Mediterraneo orientale, dove permane fino all'avanzato VI
secolo nei pavimenti delle chiese giordane.
La sala con tre absidi, una sala da
pranzo (coenatio) invernale per i banchetti, era accessibile dal
peristilio mediante quattro gradini, tramite un ingresso con colonne
in granito. Il mosaico del vano centrale, non interamente conservato,
raffigura le fatiche di Ercole. Nell'abside settentrionale (a
sinistra) è raffigurato il trionfo di Ercole accolto
nell'Olimpo, in quella meridionale (a destra) il mito della nascita
della vite con Licurgo e Ambrosia, e in quella di
fondo, ad est, una lotta di Ercole e dei Giganti.
I passaggi verso le absidi ospitavano
scene delle metamorfosi, di cui rimangono quelle di Dafne in
alloro, di Ciparisso in cipresso, di Esione o
di Andromeda e di Endimione in stelle. Il
complesso delle figurazioni si riferisce all'apoteosi eroica del
semidio, che viene trasformato in dio in seguito alle sue imprese, un
motivo spesso ripreso nella propaganda imperiale come allusione alla
divinizzazione dell'imperatore.
TermeDirettamente dall'ingresso monumentale
della villa si accedeva ad un complesso termale, che poteva
dunque essere frequentato anche da estranei e che ripete
l'orientamento di un precedente edificio termale.
Il primo vano, dotato di banchine, e
probabilmente utilizzato come spogliatoio (apodyterium) è decorato
con un mosaico pavimentale che raffigura la padrona di casa con i due
figli fiancheggiata da ancelle.
Da qui si passa ad un atrio "a
forcipe" (terminante in absidi alle due estremità) e decorato
con il mosaico del Circo. Vi è rappresentato il Circo
Massimo di Roma, ricco di dettagli, con in corso una gara
di quadrighe vinta dalla fazione Prasina o dei
"verdi". Questo corridoio era probabilmente utilizzato come
palestra per gli esercizi ginnici al coperto.
Segue la tradizionale sequenza di
ambienti termali romani, con frigidarium, tepidarium e calidarium.
Il frigidarium -
nella foto -, una sala
ottagonale con sei nicchie absidate sulle pareti, due delle quali
utilizzate per gli ingressi. A sud un piccolo vano quadrangolare con
tre profonde nicchie-absidi e due sale-piscina (natationes): a nord
una piscina absidata a pianta basilicale e a sud una tricora. Il
mosaico del vano centrale raffigura ancora una scena di Eroti
pescatori con figure di Nereidi, Tritoni e
cavalli marini, la cui composizione si adegua alla forma ottagonale
dell'ambiente. Nelle nicchie absidate, utilizzate forse come
spogliatoi, è raffigurata la mutatio vestis (personaggi
che si svestono o rivestono, aiutati da schiavi). Le pareti erano
rivestite di marmo.
Segue un piccolo ambiente usato
probabilmente per le frizioni, con un mosaico raffigurante un
massaggio (alepterion), da cui si accede ad una sala allungata con
absidi alle estremità che doveva essere il tepidarium, decorata
con un mosaico raffigurante i giochi dello stadio (lampadedromia),
scarsamente conservato. Su uno dei lati lunghi si aprono tre ambienti
riscaldati (due absidati e uno con vasca) che dovevano costituire
i calidaria.