sabato 19 luglio 2025

Sicilia - Sant'Ippolito, Caltagirone

Sant'Ippolito è un sito archeologico preistorico del comune di Caltagirone, in provincia di Catania.
Si trova a circa 4 km a nord-est rispetto all'abitato moderno, su una leggera elevazione di natura gessosa (400 m s.l.m.), con pendici scoscese, chiamata collina di Sant'Ippolito o colle del Bersaglio, nella valle del torrente Caltagirone.
Nel XIX secolo vi era nota la presenza di manufatti e gli scavi, condotti nel 1928 da Paolo Orsi rivelarono la presenza di due villaggi di epoca neolitica e calcolitica e di tracce di frequentazione fino al VII secolo a.C., epoca dell'arrivo nella zona della colonizzazione greca.
Il villaggio neolitico venne rinvenuto su un pianoro del pendio orientale, lambito da un piccolo corso d'acqua e restituì fondi di capanne, resti di focolari, frammenti di asce e punte di freccia in pietra e frammenti ceramici del tipo detto "di Stentinello", decorati con semplici motivi geometrici incisi o impressi. La necropoli del villaggio comprendeva alcune tombe del tipo detto "a forno", scavate sul pendio dal lato opposto del corso d'acqua.
Sulla cima del colle, già frequentata in epoca neolitica, come provano i ritrovamenti di ceramica di Stentinello, si insediò nell'età del rame un secondo villaggio, più esteso del precedente, che sembra essere rimasto attivo fino all'età del ferro. Vi è stata identificata dall'archeologo Luigi Bernabò Brea una facies culturale datata tra il 2000 e il 1800 a.C., che avrebbe preceduto quella di Castelluccio e che ebbe rapporti con il mondo egeo e anatolico.
Il sito ha restituito una tipica produzione di ceramica ("ceramica di Sant'Ippolito") dipinta con motivi di linee e triangoli in colore scuro su fondo giallo-rossiccio. Forme tipiche furono una fiaschetta con corpo ovoidale e unica ansa, un vaso emisferico con beccuccio cilindrico e fruttiere con basso piede conico, che richiamo modelli orientali. Sono presenti anche recipienti a partizioni multiple di uso incerto. La ceramica di Sant'Ippolito sarebbe stata collegata alla successiva "ceramica di Castelluccio".
I materiali scavati nel sito sono conservati nel Museo archeologico regionale "Paolo Orsi" di Siracusa e nella stessa Caltagirone nel Museo della ceramica e nella sezione archeologica dei Musei civici.
Poco più a nord, in contrada Montagna, dai 77 metri di poggio Rocca fino ai 600 dei poggi Valfà e Mantina, si estende una grande necropoli di epoca siculo-greca. Le tombe sin qui esplorate risalgono ad anni compresi tra il II millennio e il VII secolo a.C. I sepolcri a thòlos sono scavati nella roccia.

Sicilia - Anfiteatro romano di Termini Imerese

 

L'anfiteatro romano di Termini Imerese era un antico anfiteatro della città romana di Thermae Himerae, l'attuale Termini Imerese.
L'anfiteatro sorge nel piano di S. Giovanni, alla periferia della città antica in una zona poco densamente popolata. Sebbene l'esatto rapporto con il piano della città antica ci sfugga, nel parallelismo degli assi della cosiddetta "Curia" (Termini Imerese) e dell'anfiteatro si può rintracciare, oltre la volontà di risolvere il problema dell'afflusso e del deflusso degli spettatori, il tentativo di una sistemazione razionale di un intero complesso monumentale di edifici.
L'anfiteatro di Termini Imerese è un edificio di modeste dimensioni (l'ellissi esterna misura m. 98 x m. 75) il cui pessimo stato di conservazione rende difficile qualsiasi ipotesi di ricostruzione.
L'arena (m. 53 x m. 30), di cui oggi appare visibile solo la parte settentrionale, venne scavata direttamente nel sottosuolo, così come parte del podio e del primo meniano della cavea. Il piano dell'arena infatti si trova a circa 3 metri al di sotto del piano del portico esterno.
Sono anche visibili due ingressi all'arena: quello principale a nord (largo circa 4 metri), e quello secondario posto ad ovest del primo (largo 1,25 metri).
La cavea risulta divisa in due parti, una in elevato, l'altra scavata nel terreno.
La facciata esterna era costituita probabilmente da una sola fila di archi, e sormontata da un attico. Non ci sono tracce di decorazioni marmoree.
L'esecuzione dell'edificio si deve a maestranze locali, come testimonia la tecnica dell'opus vittatum. La cavea era realizzata in opus caementicium, costituito da spezzoni di pietra calcarea, misti a sassi, terra e frammenti di mattoni, legati tra loro da abbondante malta.
Incerta la data di realizzazione dell'edificio che oscillerebbe tra l'età tardo flavia e quella traianea. Non mancano però ipotesi di datazione più alte.
Il monumento si presenta in un pessimo stato di conservazione e per oltre la metà della sua estensione è ricoperto da abitazioni civili. In parziale rovina già dal XVI secolo, venne completamente distrutto, secondo una notizia riportata dal Biscari, per costruire le opere avanzate del Castello in previsione dell'assedio spagnolo del 1718. Oggi sono visibili poche strutture portate alla luce in seguito agli scavi condotti dal Salinas nel 1909-1911.

Sicilia - Sito archeologico di Mokarta

 

Il sito archeologico di Mokarta è uno dei più significativi insediamenti della tarda età del bronzo finora scoperti nella Sicilia occidentale. Il sito è sul Monte Mokarta, un rilievo collinare a forma ovale alto 365 m s.l.m. a circa 5 km a sud di Salemi, latitudine 37,803° N, longitudine 12,757° E. La sua parte più alta è denominata Cresta di Gallo. Il sito archeologico è interessato da diversi insediamenti preistorici che coprono un'area di 30 ettari e l'arco temporale a cavallo tra la fine dell'età del bronzo e gli inizi dell'età del ferro.
Certamente fu il più grande centro abitato che precede la fondazione di Selinunte. La presenza di una sorgente rende il luogo particolarmente idoneo per l'insediamento di un agglomerato rurale. Scavi recenti nell'abitato di Mokarta hanno messo in luce uno strato di detriti di materiali databili nel corso dell'XI secolo a.C. che dimostrano come il villaggio fu devastato da un incendio e mai più ricostruito. L'abbandono di Mokarta, oltre che totale e definitivo, fu anche repentino. Infatti lo scheletro di una giovane donna è stato rinvenuto davanti all'ingresso di una delle capanne, probabilmente intrappolata dal cedimento del tetto durante la fuga. Tale rinvenimento rafforza la tesi che il villaggio fu distrutto e abbandonato repentinamente.
Su tutta la vasta superficie del pianoro sommitale non si percepiscono tracce di frequentazione sino al periodo medievale quando nelle vicinanze venne impiantato un castello. Recenti prospezioni geofisiche, carotaggio, analisi delle informazioni d'archivio e confronto con i dati archeologici esistenti mostrano che l'insediamento di Mokarta era molto più ampio e complesso di quanto si pensava precedentemente e rafforza l'interpretazione secondo la quale può essere considerato uno degli insediamenti più importanti della Sicilia occidentale nella tarda età del bronzo.
L'insediamento era costituito da capanne a pianta circolare con la caratteristica peculiare di avere un doppio ingresso. La vasta necropoli riscontrata lungo i fianchi della collina ha tombe del tipo “a grotticella” ricavate nella roccia. Le tombe a grotticella artificiale, scavate nella roccia, sono circa un centinaio e sono costituite da una piccola cella a pianta circolare (diametro medio 1,50 m) o ellittica. Spesso il prospetto semiellittico o quadrangolare è preceduto da un piccolo corridoio (dromos) di accesso, intagliato nella parete rocciosa e con volta a calotta o ogivale. All'interno delle sepolture sono stati rinvenuti i resti di più inumati con semplici corredi costituiti da vasi, tra i quali ricorrono spesso ciotole carenate e coppe, poste sul lato dei piedi.

Nelle foto:
Panorama del sito archeologico
Hydria, XIII-X sec. a.C., provenente da Mokarta, Museo Civico di Salemi

Sicilia - Fornaci romane di Alcamo

 
Le fornaci romane di Alcamo sono parte di un complesso archeologico che si trova ad Alcamo Marina (in contrada Foggia) scoperto nel 2000.
Questo antico impianto produttivo ha una particolare importanza a livello internazionale, sia per l'estensione del sito che per la qualità della conservazione.
La prima fornace del sito è stata rinvenuta casualmente nel 2000 durante lo svolgimento di alcuni lavori di sbancamento per attività edilizie nella zona. Fermati subito i lavori, è stata stipulata una convenzione fra la facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'università di Bologna (sede di Ravenna), l'Assessorato dei Beni Culturali della Regione Siciliana e la soprintendenza di Trapani, che ha dato inizio alle ricerche archeologiche. A capo di questo progetto è stato scelto Dario Giorgetti, professore di storia romana e di topografia antica nell'Università di Bologna, che ha operato assieme agli allievi della facoltà di Ravenna e del corso di Archeologia Navale di Trapani.
Il professore Dario Giorgetti assieme ad dottor Antonio Filippi hanno effettuato il primo sopralluogo nel giugno 2002: si sono evidenziate delle tracce di una fornace dell'età romana, alquanto ben conservata, nonostante avesse subito gli interventi di scasso delle attività di lottizzazione.
Sono state fatte tre campagne di ricerca: ottobre 2003, ottobre 2004 e settembre 2005: in quella del 2005 sono stati scoperti, nel lato sud, i resti di una terza fornace.
Messa in sicurezza, l'area è stata aperta al pubblico il 23 maggio 2015 (per 2 giorni), grazie all'intesa tra Assessorato alla Cultura del comune di Alcamo, l'Archeoclub d'Italia Calatub (con i suoi volontari) e la soprintendenza dei Beni Culturali di Trapani.
Il 26 aprile 2016 è stato inoltre firmato un accordo tra comune di Alcamo e Archeoclub d'Italia Calatub per valorizzare in pieno il sito archeologico con attività di manutenzione, pulizia, agevolazione per la fruizione e ricerca.
La zona degli scavi, di proprietà del Comune di Alcamo, si trova al km 43,800 della Strada Provinciale 187, vicino al fiume San Bartolomeo al confine fra Alcamo e Castellammare del Golfo e a monte della linea ferroviaria Trapani–Palermo, nella zona Magazzinazzi.
L'area ha un'estensione di 2500 metri quadrati; si sono scoperte tre fornaci, due locali per la produzione e 5 strutture murarie che delimitano la zona produttiva, fatte con grandi blocchi di calcarenite locale; questi muri servivamo al contenimento della dilatazione del terreno, causato dal calore delle fornaci e maggiormente nelle fasi di riscaldamento e raffreddamento.
Le fornaci, datate fra il I secolo d.C. e la metà del V secolo d.C., sono disposte a "schiera", sull'asse nord-sud. La loro forma è circolare, con un diametro di circa 3 metri e presentano un insolito stato di conservazione.
La struttura della fornace "A" è del tipo "a muffola", di cui esistono pochi esemplari nell'Italia e in Europa di età romana. Risulta ben distinguibile la struttura del praefurnium e parte del corridoio che serviva per l'inserimento della legna.
Considerata la vastità dell'area di lavoro, probabilmente c'erano dei fossi utili per la depurazione dell'argilla, e diverse linee di produzione, magazzini di deposito. Si ritiene probabile perfino l'esistenza di addirittura 15 fornaci; ognuna dava lavoro a 8 persone, quindi è probabile che in quest'area esistesse un nucleo abitato.
L'impianto forse apparteneva a una o più famiglie di nobili imprenditori romani. Nella fornace "A" è stato ritrovato un coppo con il bollo Maesi e un segno a forma di croce, del V secolo d.C., e vicino ad Alcamo (in contrada Sirignano) in un'antica villa è stata rinvenuta una tegola con il bollo Maesi Anae. I Maesi erano presenti nella Sicilia dell'età imperiale tardo antica, e ci sono numerose iscrizioni a Termini Imerese, Palermo e Marsala.
Nel periodo di utilizzo delle fornaci di Alcamo ci sono state almeno due diverse fasi durante la dominazione romana, inoltre, lo scavo ha fatto ritrovare nel settore sud-orientale i resti di un'altra struttura destinata alla produzione della ceramica.
Queste fornaci erano utilizzate per la produzione di materiale di uso domestico e da costruzione (stoviglie, anfore, tegole e mattoni, embrici, ceramica comune) e fanno considerare a un possibile collegamento con l'attività commerciale del porto di Castellammare del Golfo, con diverse rotte in direzione della Spagna, Sardegna e Roma.
Il fiume San Bartolomeo, nelle cronache del '700, era ancora un fiume navigabile e a contatto con la vicina Segesta. Il suo delta è il frutto di detriti di due corsi d'acqua (il canale Molinello e il fiume San Bartolomeo), con una notevole presenza di un naturale deposito argilloso e di una fonte d'acqua, occorrenti entrambi per la produzione della ceramica.
Le anfore di tipo Dressel 21 e Dressel 22, scoperte nel sito, forse erano realizzate come contenitori per la frutta e per la conservazione e il trasporto del pesce, soprattutto tonno e sgombro, attestata dai diversi impianti di lavorazione del pesce presenti nel Golfo di Castellammare, a San Vito Lo Capo, a Marsala e nelle isole Egadi.


Sicilia - Makella, Marineo

 

Makella (in latino Macella o Magella, in greco antico Μάκελλα) fu una città del nord-ovest della Sicilia citata da Polibio, abitata dagli Elimi o dai Sicani, conquistata dai consoli romani Gaio Duilio e Gneo Cornelio Scipione Asina al ritorno dall'assedio di Segesta nel 260 a.C. Secondo Diodoro Siculo, i Romani l'avevano già assediata senza successo. Nel 211 a.C. la città si rivoltò in favore dei Cartaginesi, quando Marcello abbandonò la Sicilia, ma venne sottomessa.
A detta di Cluverio, che nel 1629 la citò in alcuni suoi studi, la città sarebbe stata definitivamente distrutta nel II secolo a.C. insieme a Morgantina durante le guerre servili.
Sulla sua esatta ubicazione vi sono ipotesi contrastanti e corrisponderebbe
- alla moderna località di Macellaro, 20 km circa ad est di Segesta;
- all'acropoli di Monte Rossomanno, in territorio di Valguarnera Caropepe, in provincia di Enna, secondo lo storico seicentesco Cluverio;
- all'area archeologica denominata "Montagnola" nei pressi di Marineo (paese 20 km a sud di Palermo) (le immagini mostrano scavi reperti di  quest'area)
- alla contrada San Matteo di Bivona, in provincia di Agrigento.

Sicilia - Grotta del Genovese (Levanzo)



La grotta del Genovese (Sicilia) si trova sull'isola di Levanzo, nelle Egadi, a nord ovest del piccolo centro abitato. La grotta è stata scoperta nel 1949. La scoperta e la divulgazione del patrimonio di raffigurazioni parietali della camera interna risale al 1949, quando Francesca Minellono, una pittrice fiorentina che trascorreva un breve periodo di vacanza sull'isola, spinta dalla voglia di esplorare, entrò nell'angusto cunicolo trascinandosi sul ventre. Del sorprendente rinvenimento furono nell'ordine informati il prof. Paolo Graziosi dell'Istituto di paletnologia umana dell'università di Firenze, e la soprintendente per le antichità della Sicilia occidentale Jole Bovio Marconi. 
La grotta, che si apre nelle rocce calcaree che costituiscono l'isola, conserva una documentazione molto importante della preistoria della Sicilia, in particolare del paleolitico superiore, in quanto fornisce immagini di animali del Quaternario, come il Cervus elaphus, il Bos primigenius e l'Equus hydruntinus, insieme ad alcune figure umane con maschere a testa di uccello e copricapi simili a quelle delle grotte dell'Addaura.
La figura principale, che predomina su quelle degli animali che dalla posizione assunta sembrano intenti a pascolare, è quella di un uomo vestito di una casacca, verosimilmente cucita e con frange pendenti. In testa porta un copricapo di forma particolare, allungato a cuneo e bombato. Sulle braccia sono evidenti dei bracciali ed è chiaramente immobile. Al suo fianco due altre figure, una con testa o maschera di uccello e in posizione forse danzante e l'altra in movimento e con un copricapo simile a quello del centro. Resta oscuro se si tratti di una danza rituale o di una preghiera prima della caccia.
La grotta del Genovese fu abitata dall'uomo in un intervallo di tempo tra i 10.000 e i 6.000 anni prima di Cristo.
Altre grotte dell'isola, dette dei Porci, di Cala Tramontana e di Punta Capperi hanno fornito copioso materiale, anch'esso risalente al Paleolitico superiore.
Attraverso l'analisi stratigrafica, è stato possibile effettuare una delle pochissime datazioni al carbonio-14 della preistoria siciliana, che ha indicato l'anno 9230 a.C. (epigravettiano evoluto): la presenza nella sequenza stratigrafica di un frammento calcareo di notevoli dimensioni, con un bovide inciso, di stile del tutto affine alle raffigurazioni parietali sulle pareti, ha permesso di ottenere questa datazione assoluta (Sebastiano Tusa, La Sicilia nella preistoria [1983], Sellerio, Palermo, 1999, p. 106).
Oltre a questi graffiti vi sono dipinte figure palesemente più recenti; queste sono colorate in nero e rosso e rappresentano alcune figure umane maschili e femminili insieme a mammiferi e pesci tra cui il tonno presente fino ai giorni nostri nella vita e nella cultura delle Isole Egadi. Tuttora la grotta è visitabile a pagamento.

(da Wikipedia, l'enciclopedia libera)

Sicilia - Cava dei Servi

 

La cava dei Servi è situata nella parte sud-orientale della Sicilia, là dove si ergono i Monti Iblei, tra i comuni di Modica e Rosolini. Si tratta di una cava dalla conformazione geologica piuttosto varia, costituita da un'alternanza di biocalcareniti cementate a macroforaminiferi di colore bianco grigiastro, in banchi ad andamento irregolare dello spessore compreso tra 50 cm. e 2-3 metri, e di calcareniti marnose bianco crema, scarsamente consolidate, che costituiscono il membro Irminio della formazione Ragusa, cioè il membro superiore in cui tale formazione è divisa (la parte inferiore, membro Leonardo, non affiora in zona.
L'azione erosiva dell'acqua ha determinato gole ripidissime e profonde che caratterizzano gran parte del territorio ragusano e siracusano, spiegando in tal modo l'esistenza di cave inaccessibili ed aspre che, nei tempi antichi, hanno dato rifugio all'uomo. La parte iniziale della Cava è da qualche decennio divenuta Riserva Naturale con contenuti preistorici a dir poco eccezionali.


Quest'area, poco lontana dal massiccio di Monte Lauro, ha suscitato interesse sin dall'età del rame perché, come tutta la regione iblea, garantiva ottime opportunità commerciali grazie all'estrazione della selce. Nella parte soprastante gli strapiombi, lungo uno dei corsi meno tortuosi della Cava, pochi metri più in alto dell'unica strada che conduce in fondo alla gola, può ammirarsi un dolmen semicircolare costituito da lastre rettangolari infisse nel terreno sulle quali se ne dispongono altre tre, inclinate quanto basta per ridurre la superficie di copertura e modellare una falsa cupola.
Al di sotto di una grande piastra rovesciata sul terreno (che era il soffitto del monumento, rovinato al suolo a causa del progressivo scivolamento della struttura) sono stati ritrovati frammenti umani (denti e ossa appartenenti a più individui) nonché qualche coccio di ceramica risalente al periodo Castellucciano (nome con il quale si identifica l'età del bronzo antico siciliano): i resti umani hanno confermato la natura sepolcrale del manufatto, mentre il ritrovamento dei pochi cocci ceramici hanno consentito di datare il dolmen alla prima fase isolana del bronzo (2200-1600 a.C.). La località, quindi, oltre a essere sede di una necropoli a grotticelle artificiali risalenti all'inizio del II millennio a.C., accoglie anche un cimitero dolmenico con architetture funerarie che ricordano strutture già presenti in una vasta area del Mediterraneo (Spagna, Sardegna, Puglia, Malta).

Sicilia - Necropoli di Contrada Ossena


La Necropoli di Contrada Ossena (nel territorio del comune di Lentini) è un complesso di tombe, in gran parte monumentali, ascrivibili alla cultura di Castelluccio, alcune delle quali sono state riutilizzate, adattate e trasformate con elementi architettonici di età molto diverse. Innanzitutto la necropoli è stata riutilizzata in età bizantina, come dimostrano gli arcosoli e croci greche sulle pareti. Sono presenti sul costone roccioso diverse tombe ad ingresso monumentale, con finti pilastri come decorazione, tipici della Cultura di Castelluccio, oppure cornicioni concentrici rettangolari incisi nella roccia. La precisione e la simmetria di questi incavi ci fa ipotizzare che la popolazione che viveva in questi luoghi aveva un avanzato grado di civiltà. Altre tombe invece sono riferibili a età successive, e sono di difficile interpretazione, certamente dell'età del ferro. Caratteristica di alcune tombe è la presenza di giacigli funebri dove veniva posizionato il corpo del defunto. La presenza di ceramica, selce e macine di basalto indica che su quel colle, che dominava la valle del torrente Ossena doveva esserci un centro abitato, vista anche la presenza di resti di muraglia.

(foto (c) Sicilia Fotografica)

Sicilia - Villa romana del Casale

 


La Villa romana del Casale è un edificio abitativo tardo antico, popolarmente definito villa nonostante non abbia i caratteri della villa romana extraurbana quanto piuttosto del palazzo urbano imperiale, i cui resti sono situati a circa quattro chilometri da Piazza Armerina, in Sicilia. Dal 1997 fa parte dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. Il primo assetto museografico si doveva all'architetto Franco Minissi.
La scoperta della villa si deve a Gino Vinicio Gentili, che nel 1950 ne intraprese l'esplorazione in seguito alle segnalazioni degli abitanti del posto. Basandosi principalmente sullo stile dei mosaici, lo scopritore datò in un primo momento l'impianto della sontuosa abitazione – sorta su una più antica fattoria – non prima della metà del IV secolo; successivamente lo stesso studioso assegnò la villa all'età tetrarchica (285-305). Secondo Ranuccio Bianchi Bandinelli la villa va datata al primo venticinquennio del IV secolo.
Gli esami sulle murature hanno datato la villa e i mosaici stessi a una successione di tempi che va all'incirca dal 320 al 370, come testimoniato anche dalla stessa tecnica di costruzione delle volte in tubi fittili di alcuni ambienti.
Tra i resti della villa si individuano quattro nuclei separati:
- ingresso monumentale a tre arcate con cortile a ferro di cavallo (ambienti 1-2);
- corpo centrale della villa, organizzato intorno ad una corte a peristilio quadrangolare, dotata di giardino con vasca mistilinea al centro (ambienti 8-39);
- grande spazio, preceduta da un peristilio ovoidale circondato a sua volta da un altro gruppo di vani (ambienti 47-55)
- complesso termale, con accesso dall'angolo nord-occidentale del peristilio quadrangolare (ambienti 40-46).

Ognuno dei quattro nuclei della villa è disposto secondo un proprio asse direzionale. Tuttavia tutti gli assi convergono al centro della vasca del peristilio quadrangolare. Nonostante le apparenti asimmetrie planimetriche, la villa sarebbe dunque il frutto di un progetto organico e unitario che, partendo dai modelli correnti nell'edilizia privata del tempo (villa a peristilio con aula absidata e sala tricora), vi introdusse una serie di variazioni in grado di conferire originalità e straordinaria monumentalità all'intero complesso. L'unità della costruzione è testimoniata anche dalla funzionalità dei percorsi interni e della suddivisione tra parti pubbliche e private.
I tempi di costruzione, furono inizialmente valutati in un periodo di cinquanta-ottanta anni, e poi ridotti a circa cinque-dieci anni. Oggi si tende a credere ad una durata corta dei lavori. 
La funzione delle sale è quasi sempre suggerita da allusioni nei mosaici pavimentali. La divisione in tre nuclei distinti, anche dal punto di vista degli assi, e materialmente divisi consentiva usi separati, senza il rischio di confusioni o indiscrezioni. La grande funzionalità era legata a un'esasperata ricerca degli effetti prospettici e delle planimetrie con linee curve (soprattutto nelle terme e nel triclinio sud).
La successione vestibolo-corte-nartece-aula absidata, già in uso durante l'architettura aulica del basso Impero (come la basilica Palatina di Costantino a Treviri), con una notevole intercambiabilità verrà ripresa come impianto delle basiliche cristiane (antica basilica di San Pietro in Vaticano) e, più tardi, delle moschee arabe.
La villa "a padiglioni" o "a nuclei" non è una tipologia isolata a Piazza Armerina, ma, oltre ad essere documentata in un'altra villa siciliana presso Noto, ha precise corrispondenze in ville africane e deve il suo modello originario alla villa Adriana di Tivoli.
 
Durante i primi due secoli dell'Impero la Sicilia aveva attraversato una fase di depressione, dovuta al sistema di produzione del latifondo, basato sul lavoro degli schiavi: la vita urbana aveva subito un declino, la campagna era deserta e i ricchi proprietari non vi risiedevano, come la mancanza di resti abitativi di un certo livello sembrerebbe indicare. Inoltre, il governo romano trascurava il territorio, che divenne luogo d'esilio e rifugio di schiavi e briganti. 
La Sicilia rurale entrò in nuovo periodo di prosperità agli inizi del IV secolo, con gli insediamenti commerciali e i villaggi agricoli che sembrano raggiungere l'apice della loro espansione e della loro attività. Tracce di attività costruttive restano nelle località di Filosofiana, Sciacca, Punta Secca, Naxos e altrove. Un evidente segnale di trasformazione è costituito dal nuovo titolo assegnato al governatore dell'isola, da corrector a consularis.
Le motivazioni sembrano essere duplici: anzitutto la rinnovata importanza delle province dell'Africa proconsolare e della Tripolitania per i rifornimenti di grano verso l'Italia, mentre la produzione egiziana, che aveva fino ad allora sopperito alle necessità di Roma, venne convogliata a Costantinopoli (dal 330 nuova capitale imperiale); la Sicilia assunse di conseguenza un ruolo centrale sulle nuove rotte commerciali fra i due continenti.
In secondo luogo i ceti più abbienti, di rango equestre e senatorio cominciarono ad abbandonare la vita urbana ritirandosi nei propri possedimenti in campagna, a causa della crescente pressione fiscale e delle spese che erano obbligati a sostenere per il mantenimento degli apparati pubblici cittadini. In tal modo inoltre i proprietari si occupavano personalmente delle proprie terre, coltivate non più da schiavi, ma da coloni. Considerevoli somme di denaro furono spese per ingrandire, abbellire e rendere più comode le residenze extraurbane, o ville. Tra queste si può citare oltre alla villa del Casale, la villa del Tellaro.
L'identificazione del proprietario è stata a lungo discussa e molte diverse ipotesi sono state formulate: quello dell'identità del proprietario è un problema che è strettamente legato alla datazione della villa e all'esistenza di più fasi di costruzione.
Secondo una prima ipotesi il proprietario della villa sarebbe stato il tetrarca Massimiano (285-305), ritiratosi qui dopo la sua abdicazione. Gli studi storici successivi hanno tuttavia dimostrato che Massimiano trascorse in Campania, e non in Sicilia, i suoi ultimi anni. Successivamente il proprietario della villa era stato identificato con l'usurpatore Massenzio, figlio di Massimiano (305-312).
In realtà, nulla lascia intendere che la villa di Piazza Armerina fosse una residenza imperiale. Negli ultimi anni, del resto, gli scavi hanno dimostrato che il possesso di dimore sontuose e con marcato carattere di rappresentanza era un fenomeno molto diffuso e nient'affatto eccezionale nell'alta aristocrazia romana. Inoltre la lettura delle tematiche dei mosaici li inserisce nel quadro della società aristocratica romana degli inizi del IV secolo, pagana, legata alla tradizione senatoria, e avversa alla politica di Costantino I. Il fenomeno dell'edilizia monumentale applicata alle ville extraurbane risale al II secolo dell'Impero e tra gli esempi più spettacolari vi è la villa dei Gordiani sulla via Prenestina, già completata durante il principato di Commodo (180-191); la monumentalità della villa del Casale quindi non deve sorprendere per la sua maestosità.
L'ipotesi attualmente più accreditata identifica il proprietario con una prestigiosa figura dell'età costantiniana, Lucio Aradio Valerio Proculo Populonio, governatore della Sicilia tra il 327 e il 331 e console nel 340. I giochi che aveva organizzato a Roma nel 320, mentre rivestiva la carica di pretore, furono così fastosi che la loro fama durò per lungo tempo, e forse le raffigurazioni su alcuni mosaici della villa (la "Grande Caccia" nel corridoio 25 e i "Giochi del circo" nella palestra delle terme) intendono richiamare questo evento.
Altre ipotesi di identificazione che sono state avanzate riguardano:
- Gaio Ceionio Rufio Volusiano prefetto urbano e console sotto Massenzio e Costantino (306-337), che aveva grandi proprietà in Africa dalla quale era originario. Suo figlio Ceionio Rufio Albino, anche lui console e prefetto, che era uno scrittore polivalente (scrisse trattati di logica, storia, metrica, musica, geometria), in un'epigrafe conservatasi si definisce "philosophus"; 
- un procurator imperiale, Ceionio Lampadio, figlio di Gaio Ceionio Rufio Volusiano Lampadio, prefetto sotto Costanzo II (353-359);
- Memmio Vitrasio Orfito, Praefectus urbi sotto Costanzo II (353-359), già governatore in Sicilia e incaricato del trasporto per nave degli animali provenienti dalle province africane e orientali (porti di Cartagine e di Alessandria d'Egitto). Secondo una notizia di Ammiano Marcellino gli si deve l'erezione nel Circo Massimo dell'attuale obelisco Lateranense, che sembrerebbe raffigurato nei mosaici della palestra della villa;
- Claudio Mamertino, famoso retore vissuto al tempo dell'imperatore Giuliano (361-363);
- Nicomaco Flaviano il Giovane, un aristocratico romano vissuto tra la fine del IV e gli inizi del V secolo, che secondo una notizia aveva emendato gli Annales di Tito Livio mentre soggiornava in una località siciliana non distante da Enna;
- Betizio Perpetuo Arzigio e Domizio Latroniano, governatori della Sicilia sotto Costantino I.

Ingresso monumentale e vestibolo
 
L'accesso alla residenza avveniva attraverso un passaggio a tre archi, decorato da fontane e da pitture di carattere militare, che richiama da vicino un arco trionfale. Da qui si poteva accedere al complesso termale e al complesso residenziale.
Il cortile a ferro di cavallo è circondato da colonne in marmo con capitelli ionici, al centro sono i resti di una fontana quadrata. Dell'originaria pavimentazione si conserva lungo il lato nord del cortile un lacerto di mosaico bicromo con decorazione a motivi vegetali e squame. Sul lato occidentale del cortile si trovava una latrina.
Dall'ingresso alcuni gradini conducono al vestibolo: al centro di un pavimento geometrico è inserita una scena parzialmente conservata di adventus (ingresso cerimoniale) su due registri. Nel registro superiore un uomo con corona di foglie sul capo e candelabro nella mano destra, fiancheggiato da due giovani con ramoscelli in mano, sembra attendere l'arrivo di un ospite importante. Nel registro inferiore alcuni giovanetti recitano o cantano con dittici aperti nelle mani. Gli studiosi vi hanno visto una scena religiosa oppure un solenne benvenuto (salutatio) per l'ingresso del proprietario – di certo una personalità di rilievo – nella sua casa.
Peristilio quadrangolare
 
Dal vestibolo si accede al peristilio: il mosaico presenta qui una serie di ghirlande d'alloro includenti teste di animali di molte specie diverse (felini, antilopi, tori, capri selvatici, cavalli, onagri, cervi, arieti, un elefante e uno struzzo). L'orientamento delle teste cambia in due punti: in corrispondenza dell'ingresso dal vestibolo, e ai piedi della scala d'accesso al complesso della sala absidata sul lato orientale. Questo cambiamento aveva probabilmente la funzione di enfatizzare i due itinerari percorribili all'interno dell'edificio: quello privato, a sinistra dell'entrata, che conduceva alle stanze del lato settentrionale, e quello pubblico, verso la sala absidata sul lato est e il nucleo del triclinio con peristilio ovoidale.
Al centro del peristilio si trovava una grande fontana: due vasche semicircolari con il lato curvo rivolto simmetricamente al centro inquadravano una vasca di forma rettangolare allungata, che con due archi sui lati maggiori delineavano una circonferenza centrale.
In asse con il vestibolo, appena oltre il porticato del peristilio, si trova un piccolo vano absidato, il "Sacello dei Lari", inquadrato da due colonne del peristilio e con pavimento a mosaico geometrico. Il motivo presenta due quadrati intersecati, ornati da una treccia semplice, che formano una losanga con foglia di edera al centro. La foglia di edera, simbolo dionisiaco e motivo decorativo d'ascendenza sasanide, ricorre frequentemente in numerosi pavimenti della villa.
Ambienti sul lato nord del grande peristilio 

Lungo il lato settentrionale del peristilio si aprono ambienti di varia destinazione, forse un gineceo o un hospitium. Tre vani iniziali, ambienti di servizio in funzione della cucina, e altri due in fondo, a servizio del vicino appartamento padronale, hanno pavimenti a mosaico con motivi geometrici. Gli schemi decorativi presenti si ritrovano nel repertorio dei mosaici nordafricani: le ipotesi sono che i motivi adottati nella villa siano stati elaborati a Roma o in Italia, e siano quindi passati successivamente in Africa, oppure che fossero già stati rielaborati nell'ambiente artistico nordafricano tra la fine del II e gli inizi del III secolo.
I due ambienti successivi che si aprono su questo braccio del peristilio sono probabilmente camere da letto (cubicula), preceduti da anticamere e con pareti decorate da pitture.
In uno dei vani sul pavimento a mosaico sono raffigurate sei coppie di personaggi, disposte su due registri. L'interpretazione è controversa: alcuni vi hanno visto episodi di ratto, forse il ratto delle Sabine, mentre altri, per la mancanza di atteggiamenti di violenza o sopraffazione nelle figure maschili, ipotizzano piuttosto che si tratti di danze campestri nelle feste primaverili in onore di Cerere. Teste, abbigliamento, gioielli sono ricchi di particolari, secondo modalità tipiche dell'arte tardoantica, e le scene sono statiche e frontali, con il senso di movimento suggerito soltanto dallo svolazzare dei mantelli. La linea su cui poggiano le figure del registro superiore presenta le ombre portate.
La seconda camera da letto presenta un mosaico pavimentale con Eroti pescatori, con ricca decorazione sulle barche e negli abiti. Gli Eroti portano sulla fronte un segno a V, di incerta interpretazione, che ritroviamo anche nei mosaici nordafricani del IV secolo. Il tema degli Eroti si ripete più volte nelle sale della villa e si ripetono anche gli stessi motivi, come le ville marittime nel paesaggio dello sfondo, l'Erote che rovescia il cesto con i pesci o l'altro che sta per colpire una preda con il tridente.
La successiva sala che si apre sul lato settentrionale del peristilio, forse una sala da pranzo (coenatio) invernale, di maggiori dimensioni delle altre e con l'ingresso preceduto da due colonne, conserva il mosaico pavimentale della "Piccola caccia". Sono raffigurate dodici scene disposte su quattro registri;
- nel primo registro dall'alto, un cacciatore e i suoi cani all'inseguimento di una volpe;
- nel secondo registro, un sacrificio a Diana, tra due uomini che portano sulle spalle un cinghiale legato e un terzo che porta una lepre;
 nel terzo registro, due uomini che spiano alcuni volatili sulle foglie di un albero, una vasta scena con il banchetto del proprietario con i suoi attendenti nel bosco, un cacciatore in atto di colpire una lepre col venabulum;
- nel quarto registro la cattura di tre cervi con una rete e il drammatico abbattimento di un cinghiale che ha ferito un uomo in una palude. Sono degne di nota le figure dei due servi nascosti dietro la roccia: uno prova a colpire la bestia con un sasso, l'altro si tocca la fronte impaurito.
Quelle rappresentate sono vere e proprie scene di caccia (venatio), che dovevano far parte della vita quotidiana del padrone della villa. Il sacrificio a Diana, propiziatorio del buon esito della caccia, richiama da vicino uno dei tondi adrianei dell'arco di Costantino col medesimo soggetto. I moduli compositivi sono però a Piazza Armerina tipici della tarda antichità: il sacrificante e gli assistenti sono in posizione frontale, i rami degli alberi si dispongono simmetricamente ai lati della scena e la tenda (velarium) crea uno spazio di rispetto per il personaggio principale, con funzione analoga a quella del ciborio delle chiese paleocristiane. Le scene di caccia derivano dal repertorio tipico di tutta l'area dell'Occidente Mediterraneo, e si dispongono intorno ai due episodi centrali del sacrificio e del banchetto con ordine e simmetria. Lo schema compositivo sembra derivare dal repertorio nordafricano e richiamano per lo stile i mosaici nella "Casa dei Cavalli" di Cartagine e, per le caratteristiche compositivo-iconografiche, quelli in una villa di Ippona: è possibile che le maestranze provenissero dall'Africa Proconsolare e in particolare dalla stessa Cartagine.
Il vano trapezoidale di raccordo tra il peristilio e le terme ha un mosaico di dama con ancella.
Corridoio della "Grande Caccia"

Dal lato di fondo orientale del peristilio si accede al corridoio sopraelevato della "Grande Caccia" (65,93 m di lunghezza e 5 m di larghezza), con le estremità absidate. Su questo corridoio, elemento di raccordo e separazione tra parte pubblica e privata, si aprivano la grande sala absidata di rappresentanza e gli appartamenti padronali. L'importanza era sottolineata dal portico che si apre nella sua parte centrale verso il peristilio e dalla leggera soprelevazione: vi accedevano due scale dai bracci nord e sud del peristilio, e una terza centrale, di fronte all'ingresso della grande sala absidata.
A dispetto del nome con cui è conosciuto, il soggetto del mosaico pavimentale rappresenta una grande battuta di cattura, non caccia, di bestie selvatiche per i giochi dell'anfiteatro a Roma: nessun animale viene infatti abbattuto e i cacciatori usano le armi solo per difendersi. Le caratteristiche tecniche, unite all'analisi delle cesure evidenti sullo sfondo del mosaico, hanno consentito di individuare 7 scene, eseguite da due gruppi distinti di mosaicisti.
Le prime tre scene sono realizzate con tessere quadrate di piccole dimensioni (5–6 mm), di forma molto regolare, e con una certa quantità di faience; sono impiegate poche scaglie di pietra, e ci sono circa venticinque colori diversi.
Le scene restanti, nella metà sud del corridoio, sono realizzate con tessere un po' grandi (6–8 mm), scaglie di pietra più frequenti e minor precisione nei dettagli; sono presenti quindici colori.
La differenza stilistica fra le due parti del corridoio è assai evidente. Mentre nella metà sud le figure sono secche, schematiche e prive di volume, quelle della metà nord spiccano per la resa plastica e naturalistica dei corpi delle belve e per i volumi dei panneggi in libero movimento. È possibile che la parte meridionale del corridoio sia opera di maestranze più conservatrici, fedeli ai canoni stilistici del III secolo e ai modelli del linguaggio figurativo occidentale, mentre nella parte settentrionale avrebbero lavorato mosaicisti più innovatori e più vicini alla cultura figurativa del IV secolo, che avevano assorbito modelli elaborati in Grecia o in Asia Minore e ancora vicini alla tradizione ellenistica.
Nelle absidi alle estremità nord e sud del corridoio abbiamo due figure femminili. Quella a nord, molto lacunosa, tiene nella mano destra una lancia e ha ai lati un leone e un leopardo. Si tratta forse della personificazione della Mauretania o, più genericamente, dell'Africa. L'altra figura femminile dalla pelle olivastra, per la presenza dell'elefante dalle orecchie piccole, della tigre e della fenice, rappresenterebbe l'Egitto (Africa orientale quindi) o, secondo altri, l'Asia o l'India, come sembrerebbe provare la presenza delle formidines pendenti dai rami, nastri rossi usati dai cacciatori indiani per catturare le tigri. Il resto della decorazione del corridoio è organizzato in tre fasce: quelle laterali con scene di cattura vere e proprie entro confini geografici ben precisi, e quella centrale che rappresenta il trasporto degli animali e zone di mare entro le quali si vedono navi da carico. Le figure nelle absidi quindi sarebbero le personificazioni delle regioni rappresentate nella parte di corridoio vicina, nelle quali avveniva la cattura degli animali, convogliati poi al centro per essere spediti a Roma.
L'insieme rappresenta quindi una sorta di compendio su come catturare ogni singola belva, ambientato in due continenti diversi e ad uso e consumo di un dux di una provincia (i duces avevano infatti l'incarico di procurare le fiere per il circo[10]), forse il proprietario stesso che è probabilmente l'uomo maturo rappresentato nel continente di destra in atto di sovrintendere alla cattura con due soldati.
La struttura del mosaico è simmetrica, ma la zona destra è più sviluppata, sia perché le terre che rappresenta sono più vaste (a giudicare dagli animali arrivano a includere zone nilotiche e arabiche), sia perché venga collocato in posizione centrale il personaggio chiave del dominus coi soldati.
Basilica
 
Sul lato di fondo del corridoio della Grande Caccia, al centro, sopraelevata con quattro gradini, si apre un'ampia sala da ricevimento absidata, con un ingresso scompartito da due colonne che ne segnala l'importanza.
La funzione pubblica dell'aula, dove probabilmente il proprietario concedeva udienza e riceveva i visitatori, è resa inoltre evidente dalla originaria pavimentazione in prezioso opus sectile in lastre di marmi colorati e porfido. La sala si trova al termine di un percorso che si sviluppa in senso ascensionale a partire dall'ingresso monumentale. L'antistante corridoio della "Grande Caccia” viene a costituire una conduplicatio enfatica, ossia un “di più”, una ripetizione, del peristilio ad una quota più elevata. Sulla base dei confronti con gli esempi analoghi – anche se meno monumentali – della "villa di Portus Magnus" in Algeria (III secolo DC), del "palazzo di Fishbourne" nel Sussex, del "Pretorio" di Lambaesis e dell'"Aula palatina" di Treviri, sembra di poter indicare per questo corridoio apparentemente superfluo una funzione di "sala di attesa". Una simile soluzione sarà adottata nei secoli successivi dal nartece delle chiese cristiane, in particolare in diversi edifici di culto dell'area greco-egea, databili tra la fine del IV e il V secolo (basilica di Epidauro, basilica A di Nicopoli in Epiro, basilica di Afendelli a Lesbo), nei quali il nartece, attaccato al braccio orientale dell'atrio, lo raddoppia in lunghezza, proprio come avviene nella villa del Casale per il corridoio della "Grande Caccia" e il peristilio. Queste somiglianze hanno indotto ad ipotizzare per il complesso della sala basilicale una funzione addirittura "liturgica", in relazione al cerimoniale delle udienze nella corte imperiale di epoca tardoantica.
Appartamenti padronali sul lato orientale 
Ai lati della basilica si aprono sul corridoio della "Grande Caccia" i due appartamenti padronali: quello più a nord, più prossimo agli ambienti di servizio e di dimensioni inferiori era probabilmente riservato alla famiglia (la padrona di casa o il figlio del proprietario) e l'altro più importante e con decorazione musiva più ricca e articolata era probabilmente quello del proprietario.
Appartamento settentrionale
 
Un primo ambiente funge da anticamera; il pavimento è decorato con l'episodio di Ulisse che ubriaca Polifemo: Ulisse i suoi compagni sono imprigionati nella buia grotta del ciclope e cercano di fuggire per mezzo dell'astuzia; Ulisse porge a Polifemo, che è raffigurato con tre occhi, intento a squartare e mangiare un suo ariete, una grande coppa, un kantharos pieno di vino. La statua di Ulisse che porge una coppa simile decorava un complesso imperiale nei pressi di Baia e si trova ora nel Museo archeologico dei Campi Flegrei. Pitture con il medesimo soggetto si trovavano sul Palatino e si può ipotizzarne la derivazione da un originale pittorico. Si tratta in ogni caso, di una testimonianza della cultura del proprietario e della sua dimestichezza con l'ambiente romano.
Una sala absidata che si apre sull'anticamera, forse identificabile con una sala da pranzo (triclinio), oppure con una stanza da letto (cubicolo) con rientranza per il letto (alcova) nell'abside. La sala presenta pitture parietali di Eroti e sul pavimento un mosaico geometrico in cui sono inseriti tondi con le Stagioni e ceste di frutta, mentre nell'abside si trova un motivo a squame con elementi naturalistici molto raffinati.
Un secondo ambiente laterale, ugualmente aperto sull'anticamera, è un altro cubicolo con alcova. Il pavimento è un tappeto geometrico con schemi poligonali, stelle stilizzate e Stagioni nei tondi, che circondano un medaglione con coppia di amanti. Il passaggio all'alcova, la rientranza occupata dal letto, mostra scene di fanciulli che giocano, mentre l'alcova stessa presenta una decorazione geometrica.
Appartamento meridionale
 
L'appartamento si apriva sul corridoio della "Grande Caccia" con un ingresso monumentale costituito da un peristilio a ferro di cavallo con quattro colonne ioniche e una fontana al centro. Il peristilio era pavimentato con un mosaico raffigurante la veduta di un intero porto, che gira intorno alla composizione ed Eroti pescatori, con tematiche simili a quelle presenti in uno dei cubicoli del lato nord. In quest'ambiente esiste una differenza stilistica fra la metà nord e sud della composizione. Infatti, nella metà sud degli alberi sono meno numerosi, il mare è disegnato da poche linee a zig-zag e da molte linee dritte, gli edifici sullo sfondo sono visti di fronte e non sono collegati fra loro. Tutto ciò evidentemente rivela l'utilizzo di diversi modelli.
Da qui si accedeva a tre vani principali, disposti in parallelo sull'asse est-ovest. Un'aula absidata si apre sul lato di fondo del peristilio e costituiva forse la biblioteca privata del proprietario o la diaeta. Il pavimento a mosaico presenta la scena mitologica del poeta Arione, al centro, che incanta gli animali marini, tritoni, Nereidi e cavalli marini con la musica e la poesia. Nell'abside si trova una grande testa di Oceano circondata da varie specie di pesci. Le acconciature ad elmo delle Nereidi hanno fornito importanti dati cronologici sulla base dei ritratti numismatici delle imperatrici della dinastia costantiniana. La disposizione della scena e il suo significato sono molto simili a quelle del mosaico con Orfeo nella sala absidata che si apre sul lato sud del grande peristilio quadrangolare.
Sul lato sinistro del peristilio a ferro di cavallo si dispone una coppia di ambienti, corrispondenti ad un cubicolo con alcova rettilinea preceduto da un'anticamera:
- nell'anticamera si trova il mosaico con il combattimento di Eros e Pan, a cui assistono da sinistra forse il padrone di casa, un Satiro e due Menadi, mentre da destra tre fanciulli e due giovani donne, probabili familiari del proprietario. Gli oggetti sul tavolo di fondo sono il premio per il vincitore: quattro corone con foglie di palma, e due sacchi pieni di monete (su ciascuno di essi è indicata la cifra: 22.000 denari!). Si tratta di un episodio mitologico poco famoso, ma che faceva parte della cultura del padrone di casa: lo stesso tema si trova nella basilica paleocristiana di Aquileia, edificata in un periodo molto vicino a quello della villa del Casale, e nella quale la tartaruga simboleggia il male, il gallo il bene e la luce;
- nel cubicolo è presente il mosaico dei Eroti Cacciatori: su vari registri si susseguono le scene, di grande effetto ornamentale per via del riempitivo di rami con foglie e frutti e di volatili che occupa tutto lo sfondo. Non mancano episodi umoristici, come quello del fanciullo caduto che è morso al polpaccio da un grosso topo, o dell'altro che fugge davanti ad un gallo (quest'ultima scena passerà nell'iconografia moralistica medievale come raffigurazione dell'Accidia).
Sul lato opposto del peristilio a ferro di cavallo, si dispone una simile coppia di ambienti, anticamera e cubicolo con alcova absidata:
- l'anticamera presenta il mosaico del cosiddetto Piccolo circo: nell'arena gareggiano quattro bighe, trainate da volatili sacri a Venere e guidate da aurighi eroti (bambini); un fanciullo incaricato della premiazione reca in mano la palma per il vincitore. La critica più recente vede in questa scena un'allegoria delle Stagioni, un richiamo allo scorrere del tempo avente lo stesso significato simbolico dei tondi con carri del Sole e della Luna nell'arco di Costantino;
- il cubicolo è decorato con l'Agone musicale: su tre registri si trovano fanciulli intenti alla recitazione e al canto. Anche qui, come nel mosaico di Eros e Pan, ricorre il tavolo con le corone della vittoria sullo sfondo. Le due fanciulle che nell'abside di fondo sono intente ad intrecciare ghirlande di fiori e foglie potrebbero riferirsi ai momenti delle feste primaverili in onore di Cerere.
Nei mosaici di questo appartamento meridionale troviamo una sintesi di tutto il programma iconografico della villa: l'astuzia e la poesia (Eros, Arione) che vincono la forza bruta (Pan, le bestie marine); il tema della caccia (bambini cacciatori); il circo (bambini sulle bighe); la poesia e la musica (Agone musicale, che si richiama sia alla lotta di Eros e Pan, sia alle scene di Arione e Orfeo).
Ambienti sul lato sud del grande peristilio
 
Immediatamente contigui alle scale che portano al corridoio della "Grande Caccia" si aprono sul portico meridionale del grande peristilio due ambienti di servizio, in origine pavimentati con motivi geometrici. In un più tardo rifacimento l'ambiente più interno fu decorato con un mosaico unico nel suo genere, noto come le Palestriti o Fanciulle in bikini. Il poeta latino Giovenale, nella Satira VII, ricorda che le matrone romane usavano andare in palestra, non solo per fare esercizi ginnici, ma anche per tirare di scherma. quasi fossero gladiatori. Nel mosaico, su due registri che vanno letti in verso bustrofedico (il superiore da sinistra a destra e il successivo da destra a sinistra) si dispongono dieci fanciulle impegnate in palestra in esercizi atletici. Alcune sono in coppia: due (la prima figura di discobola è perduta) si sfidano nel lancio del disco, una si allena con i pesi, due si sfidano nella corsa; nella fascia inferiore due si lanciano una palla; alla fine si premiano le due vincitrici: una fanciulla che indossa il mantello del giudice porge loro la palma e la corona di fiori. Una vincitrice tiene in equilibrio una specie di girandola, composta da un'asta e una raggiera ruotante; lo stesso strumento è presente anche nei mosaici del Gran Palazzo imperiale di Costantinopoli. La fanciulla-giudice indossa il mantello da arbitro, ma non la fascia pettorale, il cd. "bikini", per cui è famoso il mosaico, cosa che fa presumere che tale indumento venisse indossato solo durante gli esercizi atletici. In altro ambiente vi è un mosaico dove sono raffigurate due fanciulle che preparano le stesse corone di fiori che indossano le atlete vincitrici. Un ambiente doppio, forse un cubicolo invernale, è decorato da un mosaico raffigurante uno spettacolo di mimi o tetimimo.
La disposizione degli elementi nella sala di Arione, all'interno dell'appartamento padronale settentrionale, è identica a quella del mosaico di Orfeo nella sala absidata che si apre al centro del porticato, la cui importanza è sottolineata dall'ingresso a due colonne e dalla presenza di una fontana centrale. Si trattava forse di una diaeta invernale, di una sala da musica o di una biblioteca. Qui, al centro del mosaico si trova il poeta, circondato da più di cinquanta specie diverse di animali, fra i quali compare anche la mitica Fenice. Fra le scene di Arione e Orfeo esiste uno stretto legame concettuale: entrambe presentano il dominio delle forze brute (le bestie marine, le fiere terrestri) per mezzo delle arti della poesia e del canto, cioè delle attività che elevano lo spirito, tematica ripresa anche nel mito di Ulisse che vince con l'astuzia Polifemo nel vestibolo dell'appartamento settentrionale. Poiché nella mentalità del tempo la sapienza musicale era assimilata alla sapienza in genere, e le bestie selvagge erano frequente metafora delle passioni umane (per esempio in Lattanzio). Il parallelismo fra Orfeo e le venationes ricorre in Marrone, e i due temi sono significativamente accoppiati nella pisside eburnea di Bobbio.
Il complesso della trichora con peristilio ovoidale 
Sia dal corridoio della '"Grande Caccia" e dall'appartamento padronale, sia dall'angolo sud-occidentale del grande peristilio quadrangolare si accedeva ad un complesso unitario, costituito da un peristilio a pilastri a pianta ovale tagliato ad una estremità da una sala con tre absidi (trichora) Sui due lati del peristilio si affacciano gruppi di tre ambienti, con quelli laterali accessibili dal vano centrale, mentre sul lato opposto alla sala con tre absidi, è presente un ninfeo (fontana) absidato. Si trattava probabilmente di un triclinio monumentale adibito ai banchetti di rappresentanza.
Il portico del peristilio era pavimentato con un mosaico di girali d'acanto animate con busti di animali. Gli ambienti sui lati del peristilio sono decorati con un mosaico di Eroti, nuovamente impegnati in attività di pesca (Eroti pescatori) nei vani meridionali, mentre in quelli settentrionali sono, invece, impegnati nella vendemmia (Eroti vendemmianti): davanti ad una villa rurale, due Eroti portano ceste piene di grappoli ai loro compagni intenti alla pigiatura dell'uva.
Il pavimento del contiguo ambiente laterale è interamente ricoperto da girali di tralci, grappoli e figurine di Eroti; al centro si trova un medaglione con busto di figura maschile (forse personificazione dell'Autunno).
Il mosaico di questo vano ricorda molto da vicino quello con lo stesso soggetto della volta del corridoio anulare del mausoleo di Costantina a Roma (attuale chiesa di Santa Costanza), eseguito pochi anni più tardi.
Lo schema, che ornava anche lo stesso sarcofago porfiretico della principessa figlia di Costantino, è molto diffuso nelle regioni del Mar Mediterraneo orientale, dove permane fino all'avanzato VI secolo nei pavimenti delle chiese giordane.
La sala con tre absidi, una sala da pranzo (coenatio) invernale per i banchetti, era accessibile dal peristilio mediante quattro gradini, tramite un ingresso con colonne in granito. Il mosaico del vano centrale, non interamente conservato, raffigura le fatiche di Ercole. Nell'abside settentrionale (a sinistra) è raffigurato il trionfo di Ercole accolto nell'Olimpo, in quella meridionale (a destra) il mito della nascita della vite con Licurgo e Ambrosia, e in quella di fondo, ad est, una lotta di Ercole e dei Giganti.
I passaggi verso le absidi ospitavano scene delle metamorfosi, di cui rimangono quelle di Dafne in alloro, di Ciparisso in cipresso, di Esione o di Andromeda e di Endimione in stelle. Il complesso delle figurazioni si riferisce all'apoteosi eroica del semidio, che viene trasformato in dio in seguito alle sue imprese, un motivo spesso ripreso nella propaganda imperiale come allusione alla divinizzazione dell'imperatore.
Terme

Direttamente dall'ingresso monumentale della villa si accedeva ad un complesso termale, che poteva dunque essere frequentato anche da estranei e che ripete l'orientamento di un precedente edificio termale.
Il primo vano, dotato di banchine, e probabilmente utilizzato come spogliatoio (apodyterium) è decorato con un mosaico pavimentale che raffigura la padrona di casa con i due figli fiancheggiata da ancelle.
Da qui si passa ad un atrio "a forcipe" (terminante in absidi alle due estremità) e decorato con il mosaico del Circo. Vi è rappresentato il Circo Massimo di Roma, ricco di dettagli, con in corso una gara di quadrighe vinta dalla fazione Prasina o dei "verdi". Questo corridoio era probabilmente utilizzato come palestra per gli esercizi ginnici al coperto.
Segue la tradizionale sequenza di ambienti termali romani, con frigidarium, tepidarium e calidarium.
Il frigidarium - nella foto -, una sala ottagonale con sei nicchie absidate sulle pareti, due delle quali utilizzate per gli ingressi. A sud un piccolo vano quadrangolare con tre profonde nicchie-absidi e due sale-piscina (natationes): a nord una piscina absidata a pianta basilicale e a sud una tricora. Il mosaico del vano centrale raffigura ancora una scena di Eroti pescatori con figure di Nereidi, Tritoni e cavalli marini, la cui composizione si adegua alla forma ottagonale dell'ambiente. Nelle nicchie absidate, utilizzate forse come spogliatoi, è raffigurata la mutatio vestis (personaggi che si svestono o rivestono, aiutati da schiavi). Le pareti erano rivestite di marmo.
Segue un piccolo ambiente usato probabilmente per le frizioni, con un mosaico raffigurante un massaggio (alepterion), da cui si accede ad una sala allungata con absidi alle estremità che doveva essere il tepidarium, decorata con un mosaico raffigurante i giochi dello stadio (lampadedromia), scarsamente conservato. Su uno dei lati lunghi si aprono tre ambienti riscaldati (due absidati e uno con vasca) che dovevano costituire i calidaria.

Sicilia - Lilibeo

 

Lilibeo
 (Lilybaeum per i romani) fu un'antica città, situata all'estremo ovest della Sicilia, precisamente sotto l'attuale Marsala, verso Capo Boeo originariamente chiamato Capo Lilibeo. Oggi fa parte dell'area archeologica di Capo Boeo, che si estende per 28 ettari.
Fu fondata, secondo la testimonianza di Diodoro, dai punici esuli, fuggiti da Mothia, distrutta da Dionisio di Siracusa nel 397 a.C. Prima di questa data il Capo Boeo fu quasi certamente frequentato, ma mancano tracce di un vero e proprio insediamento.
Lilibeo, grazie alla sua posizione strategica nel Mediterraneo, fu inizialmente avamposto cartaginese. Assunse poi grande importanza sotto il dominio romano quando vi ebbe sede uno dei due questori che Roma inviava in Sicilia (l'altro aveva sede a Siracusa). A Lilibeo, tra gli altri, fu questore Cicerone. La città costituì quindi per un certo periodo l'agglomerato urbano più grande e più importante della Sicilia occidentale.
Il nome potrebbe derivare dal greco Λιλύβαιον (Lilýbaion, "che guarda la Libia", nome che indicava tutta la costa settentrionale dell'Africa) oppure avere origine da una fonte così chiamata, oggi incorporata dalla chiesa di San Giovanni al Boeo.
Il primo insediamento fu di gente sicana di civiltà calcolitica.
Nell'anno 397 a.C., la città di Mozia, ubicata sull'isola di San Pantaleo, nella laguna detta dello Stagnone, fu distrutta da Dionisio I, tiranno di Siracusa. I superstiti si rifugiarono sulla costa siciliana e qui fondarono la città che chiamarono Lilibeo. La città venne fortificata con poderose mura e circondata a nord e sud da due profondi fossati di cui oggi, a Marsala, sono visibili solo dei piccoli tratti. Tale fortificazione permise alla città di resistere all'assedio dionisiano del 368 a.C., poi a quello di Pirro avvenuto nel 277 a.C.
Ai Romani, durante la Prima guerra punica, non riuscì di espugnarla. Il generale cartaginese Amilcare Barca durante questo periodo, fortificando l'antica Erice, poté controllare e difendere la città di Lilibeo dagli attacchi esterni, direttamente dalla sommità del monte trapanese, assicurando la sua protezione. Fu solo nel 241 a.C., con gli accordi di pace, che Cartagine cedette a Roma tutti i propri possedimenti in Sicilia.
Sotto i Romani, Lilibeo diventò presto un vivissimo centro commerciale, grazie al suo porto e agli intensi traffici marittimi nel Mediterraneo. Si arricchì di splendide ville ed edifici pubblici, tanto che Cicerone, che fu questore di Lilibeo, la definì splendidissima civitas nell'anno 75 a.C.
Devastata dai Vandali all'inizio del V secolo, cadde sotto l'egemonia del re dei Vandali Trasamondo e sua moglie Amalafrida e rimase ai Vandali nonostante i successivi accordi con Odoacre, che occupò il resto della Sicilia. Dopo corrispondenza coi Goti, riferita da Procopio di Cesarea nella Guerra Vandalica, fu poi occupata da Belisario, inviato da Giustiniano, e attraversò dei periodi oscuri per il disinteresse di Bisanzio e per le incursioni dei pirati. Con l'arrivo degli Arabi nel IX secolo, la città sparì dalla cartina geografica, divenendo il sito archeologico attuale. Gli Arabi diedero alla città vicina il nome di Mars-Alì (porto grande), poi Mars-Allah (porto di Allah, da cui poi il nome attuale di Marsala), trasformando il precedente impianto urbano regolare di età ellenistica.
A partire dall'XI secolo la città di Marsala passò sotto la dominazione normanna, sveva, angioina, aragonese e poi quella spagnola.
I resti dell'antica Lilibeo si trovano nell'attuale centro urbano di Marsala e, insieme alla dirimpettaia isola di Mozia, costituiscono un gioiello dell'archeologia fenicio-punica in occidente. Dal 2002 ad oggi è in corso la realizzazione del Parco Archeologico di Marsala; attualmente squadre di archeologi lavorano all'interno di questa distesa di verde in mezzo alla città, rivelando ogni giorno scoperte sensazionali. L'area rimase completamente abbandonata in epoca medievale, ma ancora oggi, facendo una passeggiata all'interno, è impossibile non calpestare pezzi di terracotta antica, o per i più appassionati non notare cinte murarie che escono dal terreno. Nel 2019 la Regione Siciliana ha istituito il Parco Archeologico di Lilibeo-Marsala.
Nel 1939 fu messo in luce un grande edificio provvisto di ambienti spaziosi, distribuiti attorno ad un atrio tetrastilo e ad un peristilio.
L’insula è fiancheggiata da strade parzialmente lastricate. Nel 1972 una breve campagna di scavi consentì di accertare la presenza di due fasi edilizie diverse: la più antica del II-I secolo a.C.; la più recente della fine del II-III secolo d.C. La campagna di scavo degli anni 2000 ha portato alla luce strutture murarie, lastricati in marmo, reperti di rilevante interesse come la Statua in marmo detta "Venere Lilybetana" del II secolo d.C., il timpano in pietra con un'iscrizione latina, oggetti ornamentali come spille, monete, ecc.
Sono in luce (per ora non visitabili per lavori pubblici) resti dell'abitato (una intera insula con due ricche residenze di età imperiale romana, con pavimentazioni a mosaico e impianti termali privati), delle fortificazioni puniche (mura e fossato) e delle ricche necropoli di età ellenistica e romana. Un esempio unico è costituito dall'ipogeo di Crispia Salvia (Giglio, 1996): una camera sotterranea (visitabile con prenotazione) dedicata da un marito alla moglie "Crispia Salvia" in uso dal II secolo d.C., con le pareti interamente decorate da scene dipinte in una vivace policromia (una flautista con danzatori, un banchetto funebre, eroti fra ghirlande, cesti colmi di fiori e frutta).
Gli scavi del 2007 hanno riportato alla luce il tracciato dell'antico decumano massimo, la principale arteria stradale dell'antica Lilibeo; è stata inoltre rimessa in luce negli scavi dell'area della chiesa di San Giovanni al Boeo (Giglio, 2005) un'importante statua di marmo raffigurante Venere Callipigia ("dai bei glutei"), oggi esposta al Museo archeologico regionale Lilibeo "Baglio Anselmi".
Il 14 gennaio 2005 durante i lavori di scavo archeologico nell'area di pertinenza della Chiesa di San Giovanni Battista al Boeo in Marsala si rinvenne una statua marmorea raffigurante la Venere callipigia, denominata "Venere Lilybetana", databile alla seconda metà del II sec. La statua è acefala e manchevole della metà del braccio destro, che copriva pudicamente il seno, di più della metà del braccio sinistro, che reggeva l'himation, di metà circa della gamba destra e di parte della gamba sinistra.
L'opera, scolpita in un unico blocco di marmo cristallino, è una statua romana del II secolo d.C., copia di una statua ellenistica del II secolo a.C. È di bellissima
fattura: la rotondità dei seni e del fondoschiena scoperto dall'himation, voluttuoso e morbido, evocano il significato mitologico di Afrodite, simbolo dell'istinto e della forza vitale della fecondità e della generazione.
Durante l'estate del 2008, nei lavori di realizzazione del Parco Archeologico di Lilibeo, nelle fasi di scavo attigue alla Villa Romana, è stata rinvenuta una statua della dea Iside, identificata grazie alla posizione della mano, posata sul petto. Nello stesso scavo è stata ritrovata una colonnina con iscrizione in lingua greca in cui è citata la dea. Da un'epigrafe conosciamo l'esistenza di un altro santuario dedicato al culto di Ercole.
Nel 2006 Lilibeo, insieme all'antica Mozia, è stata inserita tra i siti candidati come patrimonio dell'umanità dell'UNESCO come Mothia Island and Lilibeo: The Phoenician-Punic Civilization in Italy.