lunedì 19 maggio 2025

Sicilia - Agrigento, Tempio di Asclepio

 
Il tempio di Asclepio, o tempio di Esculapio (dal nome romano della divinità della medicina), è un tempio greco dell'antica città di Akragas sito nella Valle dei Templi di Agrigento.
Il tempio è posto al centro della piana di San Gregorio. Si è propensi a ritenere l'identificazione tradizionale come probabile sulla scorta della descrizione di Polibio, secondo il quale il tempio doveva trovarsi “davanti alla città”, alla distanza di un miglio, dalla parte verosimilmente opposta alla strada per Eraclea. Tuttavia la distanza non corrisponde bene all'indicazione polibiana (che potrebbe avere carattere generico) e l'isolamento, la relativa modestia ed antichità (per il culto d'Asclepio) dell'edificio lasciano perplessi sull'identificazione. Nel santuario di Asclepio si conservava una statua bronzea d'Apollo opera di Mirone, donata da Scipione alla città e rubata da Verre. Il piccolo tempio dorico in antis (m 21,7x10,7) sorge su un krepidoma di tre gradini e basamento a vespaio più ampio del krepidoma stesso. Particolarità insolita dell'edificio è il falso opistodomo rappresentato da due semicolonne fra ante nella parte esterna del fondo della cella, che vuole così imitare una struttura amfiprostila. Sono note anche parti della trabeazione, con gronde a testa leonina, fregio e geison frontonale. La datazione del tempio risale probabilmente all'ultimo ventennio del V secolo a.C.

SICILIA - Agrigento, tempio di Eracle

 


Il tempio di Eracle, o tempio di Ercole (dal nome romano dell'eroe), è un tempio greco dell'antica città di Akragas situato nella Valle dei Templi di Agrigento.
L'edificio, di stile dorico arcaico, si trova sulla collina dei Templi, su uno sprone roccioso vicino alla Villa Aurea. La denominazione tempio di Ercole è un'attribuzione della cultura umanistica, basata sulla menzione ciceroniana (Verrine, II 4,94) di un tempio dedicato all'eroe non longe a foro, contenente una famosa statua di Ercole. Che l'agorà di Akragas sorgesse in questo posto non è però dimostrato; tuttavia l'identificazione è generalmente accettata.
La cronologia tradizionalmente accettata del tempio, lo identifica come il più arcaico dei templi agrigentini, risalente agli ultimi anni del VI secolo a.C.. Tale datazione è basata sui caratteri stilistici e soprattutto su proporzioni, numero delle colonne, profilo della colonna e del capitello. Tuttavia alcuni riconducono il tempio all'attività di Terone, poiché presenterebbe innovazioni rispetto alla prassi architettonica del VI secolo a.C..
Si potrebbe in tal caso trattare del tempio di Atena ricordato da Polieno (Stratagemmi, VI 51) in relazione all'attività edificatoria di Terone, in corrispondenza della sua presa del potere.
Anche i resti della trabeazione costituiscono un problema di datazione, poiché conosciamo due tipi di sime laterali con gronda a testa leonina, una prima – meno conservata dell'altra – databile al 470-60 a.C. e una seconda della metà circa del V secolo a.C.: probabilmente la prima gronda è quella originaria, e la seconda una sostituzione più tarda di pochi decenni (per motivi a noi sconosciuti), e che dunque il tempio si dati, nella sua fondazione, agli anni anteriori alla battaglia di Himera; il completamento sarebbe da collocare un decennio dopo, o poco più.
L'edificio subì restauri d'età romana ed in particolare la tripartizione della cella che potrebbe indicare una dedicazione a varie divinità.
Nel 1787 Goethe visitando le rovine del tempio lasciò questa descrizione ne Il viaggio in Italia:
«Il tempio di Ercole, invece, lascia ancora scorgere tracce dell'antica simmetria. Le due file di colonne che fiancheggiavano il tempio dai due lati giacciono a terra nella stessa direzione nord-sud, come se si fossero rovesciate tutte insieme, le une verso l'alto e le altre verso il basso d'una collina che si direbbe sia stata prodotta dal crollo della cella. Tenute insieme probabilmente solo dalla trabeazione, le colonne precipitarono di colpo, forse in conseguenza d'un violento uragano, e ora sono distese allineate, spartite nei blocchi che le componevano.» (Johann Wolfgang von Goethe, Viaggio in Italia)
Nel XX secolo interventi di restauro hanno reso possibile la ricostruzione per anastilosi di nove delle colonne del un fronte laterale sud-ovest, anche se privo di trabeazione e di alcuni capitelli.
L'edificio, sorge sopra un krepidoma di tre gradini posto su una sostruzione per i lati nord e ovest. Si tratta di un tempio periptero di proporzioni allungate (m 67x25,34); presenta un fronte con sei colonne doriche (esastilo) e colonnati laterali con 15 colonne. All'interno della peristasi si trovava una lunga cella munita di pronao ed opistodomo entrambi in antis, i cui resti sembrano indicare la distruzione dell'edificio a causa di un sisma.
Nei resti dell'edificio si riconosce la presenza di scalette interne per l'ispezione del tetto poste dei piloni tra pronao e cella, che diventeranno una presenza tipica nei templi agrigentini. Le colonne, molto alte, sono munite di capitelli assai espansi, con profonda gola tra fusto ed echino, tratti questi che denotano, con l'allungamento della cella e l'ampia spaziatura dei colonnati rispetto alla cella, il relativo arcaismo dell'edificio, separato da almeno un trentennio dagli altri templi peripteri dorici agrigentini. Sulla fronte orientale sono i resti del grande altare del tempio.

SICILIA - Agrigento, tempio di Esculapio

 

«Il tempio di Esculapio, ombreggiato da un bellissimo carrubo e pressoché murato entro una casa contadina, offre un grazioso quadretto.» (Johann Wolfgang von Goethe, Viaggio in Italia)

Il tempio di Asclepio, o tempio di Esculapio (dal nome romano della divinità della medicina), è un tempio greco dell'antica città di Akragas sito nella Valle dei Templi di Agrigento.
Il tempio è posto al centro della piana di San Gregorio. Si è propensi a ritenere l'identificazione tradizionale come probabile sulla scorta della descrizione di Polibio, secondo il quale il tempio doveva trovarsi “davanti alla città”, alla distanza di un miglio, dalla parte verosimilmente opposta alla strada per Eraclea. Tuttavia la distanza non corrisponde bene all'indicazione polibiana (che potrebbe avere carattere generico) e l'isolamento, la relativa modestia ed antichità (per il culto d'Asclepio) dell'edificio lasciano perplessi sull'identificazione. Nel santuario di Asclepio si conservava una statua bronzea d'Apollo opera di Mirone, donata da Scipione alla città e rubata da Verre. Il piccolo tempio dorico in antis (m 21,7x10,7) sorge su un krepidoma di tre gradini e basamento a vespaio più ampio del krepidoma stesso. Particolarità insolita dell'edificio è il falso opistodomo rappresentato da due semicolonne fra ante nella parte esterna del fondo della cella, che vuole così imitare una struttura amfiprostila. Sono note anche parti della trabeazione, con gronde a testa leonina, fregio e geison frontonale. La datazione del tempio risale probabilmente all'ultimo ventennio del V secolo a.C.

SICILIA - Agrigento, tempio di Efesto (Sicilia)

 

Il tempio di Efesto, o tempio di Vulcano, era un tempio greco dell'antica città di Akragas sito nella Valle dei Templi di Agrigento. Il Tempio di Efesto, databile intorno al 430 a.C. è probabilmente la più giovane delle costruzioni tra quelle presenti nella Valle dei Templi di Agrigento.
Numerosi restauri sono stati eseguiti a partire dal 1928-29 quando, su iniziativa del capitano inglese Alexander Hardcastle, furono rimosse le case coloniche addossate al tempio, sino agli ultimi interventi di tipo statico e conservativo delle superfici lapidee effettuati dal Parco archeologico della Valle dei Templi.
La tradizionale denominazione è solo convenzionale e deriva dall'interpretazione di un brano contenuto nell’opera "Collectanea rerum memorabilium" dello scrittore romano Gaio Giulio Solino in cui si racconta della presenza di un culto di Vulcano nella città di Akragas, che colloca in questa zona un Collis Vulcanius, cosiddetto forse per la presenza di sorgenti di zolfo.
Il tempio, costruito in calcarenite locale, sorge su uno sperone roccioso a Ovest della Collina dei Templi. Le rovine del tempio di Vulcano si trovano in prossimità della porta V, all'estremità occidentale della Collina dei Templi.
Dell’antica struttura oggi è possibile vedere molto poco essendo rimasti solo parte delle fondamenta con gli alti gradoni in pietra del basamento e i resti di due colonne. Il tempio è assai mal conservato essendo visibili solo poche parti dell'alzato, ma sono leggibili le fondazioni. Questi pochi elementi hanno permesso comunque agli studiosi di ricostruirne la struttura.
L'edificio, di stile dorico, risale al V secolo a.C. ed è di notevoli dimensioni (43 x 20,85 m). Si tratta di un tempio periptero esastilo, di 6 x 13 colonne poste su un krepidoma di quattro gradini, con sei colonne sui lati corti e tredici sui lati lunghi caratterizzate da scanalature con spigoli appiattiti.
All’interno lo spazio era diviso in un atrio di ingresso (pronao), una cella (o naos), dove si trovava la statua della divinità, e un vano posteriore (opistodomo), al quale potevano accedere solo i sacerdoti.
All'interno della cella sono stati rinvenuti i resti di un sacello arcaico che ha preceduto il tempio classico e che successivamente è stato inglobato nella struttura. Si trattava di un edificio prostilo con cella e pronao (13,25 x 6,50 m), databile al 560-550 a.C., di cui è stato possibile ricostruire la decorazione architettonica, con lastre a cassetta laterale e frontonale e una sima laterale con doccioni a tubo. L'edificio dorico fu sovrapposto a questo sacello mediante profondi intagli a tre gradini nella roccia.
Efesto (in greco antico: Ἥφαιστος, Hḕphaistos) nella mitologia greca è il dio del fuoco, delle fucine, dell'ingegneria, della scultura e della metallurgia. Figlio di Hera e marito di Afrodite, la dea della bellezza, aveva la sua fucina all’interno del vulcano Etna, dove aveva come suoi assistenti i Ciclopi.

SICILIA - Agrigento, tempio di Zeus Olimpio

 


Il tempio di Zeus Olimpio, o Olympeion, era un tempio greco dell'antica città di Akragas, sito nel parco archeologico della Valle dei Templi di Agrigento. Venne eretto dopo la vittoria di Himera sui Cartaginesi del 480-479 a.C. quando Akragas era governata da Terone.
Il complesso dell'Olympeion, che s'incentra sul colossale edificio sacro, è descritto in termini entusiastici da Diodoro Siculo (XIII 81, 1-4) ed è ricordato da Polibio (IX 27, 9).
Il tempio crollò totalmente durante un terremoto avvenuto il 19 dicembre 1401.
Parti dell'edificio in età moderna vennero usati (ancora nel secolo XVIII) come cava di pietra per la realizzazione dei moli dell'attracco di Porto Empedocle.
Nel 1787 Goethe visitando le rovine del tempio lasciò questa descrizione ne Il viaggio in Italia:
«La sosta successiva fu dedicata alle rovine del Tempio di Giove. Esse si stendono per un lungo tratto, simili agli ossami d'un gigantesco scheletro [...] In questo cumulo di macerie ogni forma artistica è stata cancellata, salvo un colossale triglifo e un frammento di semicolonna d'ugual proporzione.»
(Johann Wolfgang von Goethe, Viaggio in Italia)

Nel 1928 fu effettuata una campagna di scavi che riportò alla luce diversi reperti, tra cui i resti di quattro telamoni, di cui uno ricostruito interamente.
Oggi il tempio è ridotto ad un campo di rovine dalle distruzioni iniziate già nell'antichità e proseguite fino ad epoca moderna. L'aspetto complessivo del tempio è nelle grandi linee noto, ma sussistono ancora molte controversie su particolari importanti della ricostruzione dell'alzato, cui è dedicata un'intera sala del Museo Nazionale.
Il tempio misurava m 112,70 x 56,30 allo stilobate. Su di un poderoso basamento, sormontato da un krepidoma di cinque gradini, si collocava il recinto, con sette semicolonne doriche sui lati corti e quattordici sui lati lunghi, collegate fra loro da un muro continuo e alle quali, all'interno, facevano riscontro altrettanti pilastri. Negli intercolunni di questa pseudo-peristasi o nella cella si suppone fossero appesi dei telamoni alti ben 7,65 metri, che sicuramente non avevano alcuna funzione portante, date le esili proporzioni delle gambe serrate e dei i piedi uniti rispetto al massiccio busto e alle possenti braccia ripiegate dietro la testa. Dubbi sussistono sulla presenza di finestre, intervallate fra i telamoni e le semicolonne, che si pensa dessero luce all'interno della pesudo-peristasi, tra questa e la cella, se il tempio (che nella parte della cella era certamente ipetrale, ossia scoperto) si presentava invece coperto almeno nello spazio degli pteròmata.
La cella era costituita da un muro collegante una serie di dodici pilastri per ciascuno dei lati lunghi, di cui quelli angolari delimitavano gli spazi del pronao e dell'opistodomo, mentre l'ingresso della pseudo-peristasi alla cella stessa era assicurato mediante porte, di numero e di localizzazione incerta, aperte nel muro continuo della pseudo-peristasi. La gigantesca costruzione era interamente realizzata a piccoli blocchi, comprese le colonne, i capitelli, i telamoni e gli architravi, ciò che lascia molte incertezze sull'effettivo sviluppo dell'alzato: per citare alcuni dati certi, oltre alla già ricordata altezza dei telamoni (m 7,65), la trabeazione era alta m 7,48 e il diametro delle colonne era di m 4,30, con scanalature nelle quali – come afferma Diodoro – poteva entrare comodamente un uomo, mentre le colonne dovevano sviluppare un'altezza calcolata tra i 14,50 e i 19,20 m; la superficie copriva un'area di 6340 m2.
La descrizione di Diodoro parla di scene della gigantomachia ad est e della guerra di Troia ad ovest. Si è discusso se egli parli di decorazione frontonale o di semplici metope (a Selinunte – ricordiamo – solo le metope del pronao e dell'opistodomo sono decorate), ma la scoperta recente di un attacco tra un torso di guerriero ed una bellissima testa elmata di pieno stile severo (al Museo Nazionale), conferma che il tempio aveva una decorazione marmorea a tutto tondo più compatibile con cavi frontonali che con spazi metopali, di cui si è sempre, in età classica ed ellenistica, avvertita l'originaria funzione di spazio da chiudere, eventualmente dipinto (e la decorazione a rilievo è appunto sostitutiva di quella dipinta).
L'Olympeion, afferma Diodoro, rimase incompiuto per la conquista cartaginese: sempre secondo Diodoro, esso era privo di tetto per le continue distruzioni subite dalla città. Di esso restano visibili l'angolo sud-est, due tratti settentrionali della pseudo-peristasi, i piloni del pronao, dell'opistodomo e metà circa del lato nord della cella. Intorno ai resti del basamento si conservano, talora in posizione di caduta, alcune parti dell'alzato, nonché la ricostruzione di un capitello e di un telamone (in calco; l'originale al Museo). Davanti alla fronte orientale è visibile il basamento a pilastri dell'altare, non meno colossale del tempio (54,50 x 17,50 m). Presso l'angolo sud-est del tempio si conserva un piccolo edificio (12,45 x 5,90 m) a due navate con profondo pronao, doppia porta d'accesso ed altare (?) antistante, un sacello piuttosto che un thesauros, di cronologia controversa, secondo alcuni d'età ellenistica, ma molto probabilmente arcaico, viste le numerose terrecotte architettoniche di VI secolo a.C., rinvenute nella zona durante gli scavi di Ettore Gabrici del 1925.
A sud-ovest di questo sacello, lungo la linea delle mura, sono i resti di una stoà del IV secolo a.C., con una vasca intonacata all'estremità orientale e cisterne sulla fronte e alle spalle, da dove proviene materiale votivo d'età timoleontea, mentre resti di un precedente edificio (cui sembrano da riferirsi le cisterne) sono visibili attorno alla cisterna più vicina alle mura.

SICILIA - Agrigento, tempio dei Dioscuri

 
Il tempio dei Dioscuri era un tempio greco dell'antica città di Akragas situato nella Valle dei Templi di Agrigento.
Sito pochi metri a nord del cosiddetto "tempio L" e ricostruito parzialmente nella prima metà dell'Ottocento con pezzi di varia epoca rinvenuti nella zona, è stato chiamato "tempio dei Dioscuri" o "di Castore e Polluce", figli di Zeus e della regina di Sparta. Sono rimaste solo quattro colonne, a causa di terremoti e incendi, divenute il simbolo di Agrigento.
La rovina insiste sull'angolo nord-ovest di un edificio templare misurante m 31x13,39 allo stilobate (i tagli nella roccia misurano m 38,69x16,62), che è ricostruibile come un periptero dorico di 6x13 colonne, della metà circa del V secolo a.C. Il tempio doveva presentare il canonico insieme di cella terminata da pronao ed opistodomo in antis (visibili pochi resti del vespaio delle fondazioni, e i tagli nella roccia); i resti del geison con ricca ornamentazione scolpita messi in opera nella rovina non appartenevano originariamente al tempio.

SICILIA - Agrigento, rupe Atenea

 


La rupe Atenea è il punto più alto dell'antica città di Akragas, l'attuale Agrigento, comune italiano capoluogo di provincia in Sicilia.
Sulla rupe Atenea sono stati rinvenuti resti di un frantoio ellenistico, e sulle sue pendici sud-ovest è conservato uno dei numerosi templi delle divinità ctonie, incorporato nella chiesetta medievale di San Biagio. Il tempio, di medie dimensioni (m 30,20x13,30) era dorico in antis. Se ne conservano il basamento, col caratteristico vespaio costituito da un graticcio di blocchi, ed una parte cospicua delle strutture isodome dei lati e del fondo della cella, mentre l'abside della chiesa viene ad occupare la porta del tempio, conservando libera parte delle ante. Dallo scavo provengono resti del geison e della sima a protomi leonine (al Museo nazionale).
Sul lato a valle, la terrazza su cui è sistemato il santuario è delimitata da un muro di témenos, con un accesso attraverso due strade scavate nella roccia. Lungo il lato nord del tempio, all'altezza della cella, sono due altari circolari, di cui quello ad est presenta un anello di blocchi che borda il piano dei sacrifici tagliato nella roccia e arrossato dal fuoco delle offerte, mentre quello ovest, realizzato pure a grandi conci, reca al centro un foro ed una cavità per le offerte infere. Il ritrovamento all'interno dell'altare di kernoi (vasi rituali) e, nell'area, di statuette e busti fittili caratteristici del culto di Demetra e Kore, insieme alla tipica forma circolare degli altari, consentono d'attribuire il santuario alla coppia di divinità tanto popolari a Gela, e poi nella sua colonia, da far affermare a Pindaro che Agrigento era un vero e proprio Persephònas hédos ("sede di Persefone").
Attraverso un sentiero ed una scaletta intagliata nella roccia (ambedue moderni) si valica a sud-ovest la linea delle mura e si raggiungono il santuario rupestre di Demetra e la chiesa di San Biagio. Il santuario è incentrato su due profonde cavità naturali, sistemate tuttavia artificialmente, che s'addentrano nella rupe recando un flusso d'acque all'esterno, e su di un profondo tunnel a nord delle cavità, evidente sostituto delle originali condutture, costituite dalle cavità. La fronte delle grotte è guarnita da un edificio rettangolare diviso in due vani nel senso della larghezza.
L'edificio è realizzato con poderosi muri a blocchi e fortemente rastremato sulla fronte, ed era coronato da una semplice cornice e forse da una grotta a teste leonine. Questa struttura veniva a costituire una sorta di cisterna a due livelli, di cui quello inferiore riceveva il flusso d'acqua incanalato in tubature di cotto dalla grotta di destra, e quello superiore presentava due porte d'accesso alle cavità e tre finestre in facciata (una minore al centro e due maggiori ai lati). Ai piedi della cisterna si trovano delle vasche intercomunicanti a vari livelli, mentre tutta l'area è delimitata da mura formanti un peribolo trapezoidale (aggiunto successivamente), la cui fronte reca aperture a pilastri per dar luce al peribolo stesso, e all'estremità nord-est due vasche costruite a blocchi. La struttura della cisterna, col peribolo aggiunto, risponde perfettamente alla tipologia delle fontane arcaiche e classiche, ben nota in tutto il mondo greco.
Il ritrovamento di busti fittili e di ceramiche del VI e V secolo a.C. ha fatto lungamente discutere sulla natura cultuale del complesso, dimenticando che fino ad epoca ellenistica avanzata non è possibile nel mondo greco dissociare funzioni sacrali e attività utilitarie in apprestamenti idraulici del genere, soprattutto se nati in età arcaica e classica. L'uso della fonte è iniziato infatti già in età protostorica, come mostrano ceramiche indigene anteriori alla fondazione d'Agrigento: anche questo ha fatto parlare di sincretismo religioso, laddove siamo in presenza di una pura e semplice continuità d'uso (anche ovviamente gl'indigeni frequentatori della fonte avranno attribuito a loro volta caratteri sacrali al luogo) tra fase pre-greca e fase coloniale. La cronologia del complesso monumentale è assai controversa, giacché la datazione pre-greca del Marconi non ha alcun fondamento, mentre ricerche recenti (de Waele) tendono a buon diritto a collocare la struttura della fontana e il tunnel all'iniziale V secolo a.C., collegandoli all'intensa attività idraulica progettata da Feace, con restauri ed aggiunte che si prolungano nel tempo almeno fino all'età ellenistica.
Sotto la punta sud-orientale della rupe Atenea, si trova la Porta I, che si apriva, alle pendici della rupe, su una strada tracciata nel vallone e diretta verso est. La porta, conservata per sei assise nel battente di destra, si apre al centro di un poderoso baluardo a tenaglia, uno dei rari esempi di particolari apprestamenti difensivi dell'intera cinta, in un punto di relativa debolezza del tracciato. Una prima torre difendeva il battente di sinistra della porta ed una seconda l'angolo sud-ovest del bastione.
Ritornati sulla SS 118 ci si può avvicinare alla Porta II, detta anche di Gela, profondamente incassata nella roccia, e, sulle pareti del taglio roccioso, ad un piccolo santuario rupestre con incassi per pinakes (alcuni semplicemente stuccati e perciò in origine soltanto, e non riportati), ai piedi dei quali erano piccole fosse con oggetti votivi databili da età classica ad età romana.

SICILIA - Agrigento, Tempio della Concordia


Il tempio della Concordia è un tempio greco dell'antica città di Akragas sito nella Valle dei Templi di Agrigento. Ancora oggi non si sa a chi fosse dedicato questo tempio poiché il suo attuale nome fu coniato nel XVI secolo in riferimento ad un'antica iscrizione latina ritrovata nelle sue vicinanze. Questo tempio è di tipo periptero con cella doppia in antis. Insieme al Partenone, è considerato il tempio dorico meglio conservato al mondo.
Il nome del tempio si deve ad un'errata interpretazione di uno dei primi storici siciliani, il frate domenicano Tommaso Fazello (vissuto nel XVI secolo), che lo mise in rapporto con il ritrovamento nei paraggi di un'epigrafe latina con dedica alla concordia degli agrigentini che faceva supporre l'intitolazione del santuario alla dea Concordia. In realtà, come dimostrato da successivi studi, l'iscrizione, risalente alla metà del I secolo d.C., non presenta alcun legame con il tempio ed è oggi esposta presso il museo archeologico regionale "Pietro Griffo".
È stato costruito intorno al 430 a.C. sulla collina dei Templi dell'antica Akragas. Nel 597 d.C. il vescovo Gregorio II trasformò l'edificio nella nuova cattedrale della città di Girgenti intitolandola ai Santi Pietro e Paolo e distruggendo gli idoli pagani di Eber e Raps. La struttura subì diverse modifiche per adattarla a basilica che ne modificarono l'aspetto: fu divisa in tre navate delimitate dalle pareti del naos che furono forate con dodici archi (tuttora visibili), gli intercolunni furono murati mentre l'opistodomo fu abbattuto per consentire l'ingresso dalla parte posteriore in quanto le chiese erano orientate ad ovest a differenza del tempio, che presentava l'entrata verso oriente. In epoca normanna, la chiesa fu intitolata al suo fondatore, il vescovo Gregorio (ormai canonizzato), e prese la nuova denominazione di San Gregorio delle Rape, forse in ricordo del demone pagano scacciato dal tempio da Gregorio stesso, come testimoniato dal frate domenicano Tommaso Fazello nella sua grande opera storica De rebus Siculis.
Nel 1748 la chiesa fu sconsacrata e nel 1787 iniziarono i lavori di restauro voluti da Gabriele Castello, principe di Torremuzza, Regio Custode delle antichità per la Val di Mazara, e condotti dall'architetto neoclassico Carlo Chenchi, che ripristinò l'antica pianta dell'edificio, abbattendo i muri degli intercolunni, ricostruendo l'opistodomo e riportando l'ingresso ad est.
Il 25 aprile 1787 Goethe visitando Agrigento si soffermò sulla Valle dei Templi dove spese grandi parole per il tempio della Concordia ma pose anche delle critiche alla scarsa qualità del restauro praticato dal Chenchi: «Il tempio della Concordia ha resistito ai secoli; la sua linea snella lo approssima al nostro concetto del bello e del gradevole, e a paragone dei templi di Paestum lo si direbbe la figura d'un dio di fronte all'apparizione d'un gigante. Non è il caso di deplorare la mancanza di gusto con cui furono eseguiti i recenti, lodevoli tentativi intesi a conservare questi monumenti, colmando i guasti con un gesso di bianchezza abbagliante, tanto che il tempio ci si presenta, in notevole misura, come una rovina; eppure sarebbe stato così semplice dare al gesso il colore della pietra corrosa! Certo che a vedere come si sbriciola facilmente il tufo calcareo delle colonne e delle mura, c'è da meravigliarsi che abbia potuto resistere tanto a lungo. Ma appunto per questo gli architetti, sperando in continuatori altrettanto capaci, avevano preso certe precauzioni: sulle colonne si vedono ancor oggi i, resti d'un fine intonaco che doveva blandire l'occhio e insieme garantire la durata.» (Johann Wolfgang von Goethe, Viaggio in Italia)
È un quadrilatero di 19,758 metri per 42,230, poco più di un doppio quadrato che occupa una superficie di 843,38 m² e sviluppa un'altezza di 13,481 metri.
Questo tempio ha una pianta di tipo periptero, visto che oltre alla cella centrale doppia in antis (con la presenza di naos e pronao) c'è anche un colonnato perimetrale.
Questo tempio, costruito su un massiccio basamento destinato a superare i dislivelli del terreno roccioso, per lo stato di conservazione è considerato uno degli edifici sacri d'epoca classica più notevoli del mondo greco (430 a.C.).
Su un crepidoma di quattro gradini (39,44x16,91 m) si erge la conservatissima peristasi di 6x13 colonne (porticato che circonda il naos), alte 6,67 m e caratterizzate da venti scanalature e armoniosa entasi verso i 2/3 (curvatura della sezione verticale), sormontata da epistilio, fregio di triglifi e metope e cornice a mutuli; conservati sono anche in maniera integrale i timpani. Alla cella, preceduta da pronao in antis (come l'opistodomo) si accede attraverso un gradino; ben conservati sono i piloni con le scale d'accesso al tetto e, sulla sommità delle pareti della cella e nei blocchi della trabeazione della peristasi, gli incassi per la travatura lignea di copertura. L'esterno e l'interno del tempio erano rivestiti di stucco con la necessaria policromia.
La sima mostrava gronde con protomi leonine e la copertura prevedeva tegole marmoree. La sua struttura fu rafforzata per la trasformazione in chiesa cristiana (VI sec.) che comportò anzitutto un rovesciamento dell'orientamento antico, per cui si abbatté il muro di fondo della cella, si chiusero gli intercolunni e si praticarono dodici aperture arcuate nelle pareti della cella, così da costituire le tre navate canoniche, le due laterali nella peristasi e quella centrale coincidente con la cella. Distrutto poi l'altare d'epoca classica e sistemate negli angoli a est le sacrestie, l'edificio divenne organismo basilicale virtualmente perfetto. Le fosse scavate all'interno e all'esterno della chiesa si riferiscono a sepolture alto-medievali, secondo la consuetudine collocate in stretto rapporto con la basilica.
Come quasi tutti i templi greci, esso risulta allineato secondo la direzione est-ovest. In particolare sono stati eseguiti in passato degli studi sul suo allineamento con il sorgere del sole durante l'equinozio di primavera.


SICILIA - Agrigento, Tempio di Atena

 


«Arrivammo presto all'estremità orientale della città, dove i ruderi del tempio di Giunone cadono ogni anno sempre più in rovina per la corrosione prodotta dall'aria e dalle intemperie sulla pietra porosa.»
(Johann Wolfgang von Goethe, Viaggio in Italia)


Il tempio di Atena (ex tempio di Era), noto anche come tempio di Giunone (dal nome romano della dea) o tempio D, è un tempio greco dell'antica città di Akragas sito nella Valle dei Templi di Agrigento.
Al nome della divinità viene spesso associato l'epiteto Lacinia, nome tradizionale ma probabilmente errato perché specifico invece del tempio dedicato a Era presso il promontorium Lacinium a Capo Colonna non lontano da Crotone. In realtà per anni si è dubitato della dedica del tempio a Era, fino a che non si è scoperto che fosse dedicato alla dea Atena.
Fu edificato nella seconda metà del V secolo a.C., intorno al 450 a.C. e appartiene come epoca e come stile al periodo del dorico classico. Sono stati rilevati segni dell'incendio del 406 a.C. dopo il quale è stato restaurato in età romana, con la sostituzione delle originarie tegole fittili con altre marmoree e con l'aggiunta del piano inclinato alla fronte orientale.
L'edificio è un tempio dorico periptero con 6 colonne sui lati corti (esastilo) e 13 sui fianchi, secondo un canone derivato dai modelli della madrepatria ed utilizzato anche per il tempio "gemello" della Concordia con il quale è accomunato anche dalle dimensioni generali e dalle misure, quasi standardizzate di alcuni elementi costruttivi. Le dimensioni complessive sono di circa m 38,15x16,90.
Il fronte presenta interassi leggermente diversi con la contrazione di quelli terminali e l'enfatizzazione di quello centrale.
Il peristilio di 34 colonne alte 6 metri e 44 centimetri e costituite da 4 rocchi sovrapposti, poggia su un crepidoma di quattro gradini. Edificato su di uno sperone con un rialzo risulta in gran parte costruito artificialmente.
L'interno è costituito da un naos senza colonnato interno, del tipo doppio in antis, dotato di pronao e opistodomo simmetrici, entrambi incorniciati da gruppi di due colonne (distili). Due scale per l'ispezione alla copertura o per motivi di culto, erano presenti nella muratura di separazione tra naos e pronaos (diaframma).
All'inizio del XXI secolo, si conserva il colonnato settentrionale con l'epistilio e parte del fregio, mentre i colonnati sugli altri tre lati sono conservati solo parzialmente (mancano 4 colonne e 9 sono smozzate), e senza architrave. Pochi sono gli elementi rimasti della cella di cui rimane la parte bassa della muratura che la delimitata. L'edificio è stato così ricostruito mediante anastilosi fin dal Settecento ad oggi. Davanti al fronte principale (orientale) ci sono notevoli resti dell'altare.

SICILIA - Agrigento, Telamone dell'Olympeion

 
Il Telamone dell'Olympeion è un telamone in calcarenite databile tra il 480 e il 470 a.C. ed è una delle colossali statue che facevano parte dell'enorme tempio di Zeus ad Akragas e della cui funzione non si è a tutt'oggi certi. È conservato presso il museo archeologico regionale di Agrigento, insieme ai resti degli altri tre telamoni ritrovati durante gli scavi del 1928.
Il colossale Telamone - ricomposto nel 1825 - è addossato alla parete di fondo della sala "Cavallari": conservato insieme a tre teste di altri Telamoni. (Nella sala vi è anche un plastico con l'ipotesi di ricostruzione del tempio).
La statua è alta 7,65 metri ed è la più grande dell'antichità in Sicilia e tra le più grandi dell'intera arte greca.
Una riproduzione in tufo del suddetto Telamone è adagiata per terra tra le rovine del tempio.