mercoledì 7 maggio 2025

Campania - Teatro romano di Sessa Aurunca

 


Il teatro romano di Sessa Aurunca si trova in provincia di Caserta. Costruito nel I secolo d.C., fu poi restaurato sotto Antonino Pio nel II secolo d.C. In seguito fu abbandonato e progressivamente sepolto sotto il terreno fino agli anni '20 del XX secolo, quando i lavori cominciarono sotto la guida dell'archeologo Amedeo Maiuri; interrotti per la seconda guerra mondiale, questi furono poi veramente ripresi solo nel 1999, per essere terminati nel 2003.
Oggi il sito è completamente restaurato ed in buone condizioni. È il secondo teatro romano più grande della Campania dopo quello di Napoli. La costruzione del teatro risale al I secolo d.C. durante il regno di Augusto, con Adriano. era funzionale al programma politico e sociale di Adriano propagandando la "pietas", la pudicizia, la concordia. Adriano era particolarmente attento alla propaganda attraverso ritratti-sculture a tutto tondo. Ne sopravvivono circa 150, più di Traiano (130), di Settimio Severo (135), inferiori nel numero solo ad Augusto (oltre 200). Ma i ritratti di Adriano sono classificabili in almeno sette tipi iconografici, un primato assoluto fra gli imperatori romani, ma Vibia Sabina, moglie di Adriano, ne ebbe altrettanti, il che fa pensare.
Sicuramente Adriano non l'amava ma forse aveva bisogno di lei, e soprattutto Vibia sapeva farsi amare dalla popolazione, raccoglieva col suo carattere forte e gentile la gente attorno a lei, aveva un insomma un carisma.
Inoltre portava con sé anche la sorella minore Matidia, una donna raffinata elegante e ricca, che si tenne sempre lontana dalla politica. Matidia non si sposò mai, e certamente con la sua posizione e la sua ricchezza non le mancarono i pretendenti. Certamente la sua fu una scelta, una scelta che la sorella non poté fare. Ella ebbe vaste proprietà nella zona di Minturno, dove infatti le furono dedicate delle statue onorarie, e di "SPQS"SESSA AURUNCA", dove fece costruire una biblioteca e un acquedotto, e dove finanziò la ricostruzione del teatro, nel quale si fece raffigurate al centro della scena in veste di Aura, circondata dagli altri membri della famiglia imperiale. e venne poi ampliato nel secolo successivo sotto Antonino Pio. Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente, il teatro divenne un cumulo di rovine anche a causa di un precedente nuovo terremoto (avvenuto nel 346), che però causò il crollo di tutta la struttura e il definitivo abbandono dell'edificio. Dopo otto secoli di degrado fu però riscoperto; ma gli uomini del XII secolo vedevano quel teatro solo come una fonte di materiale per la costruzione del duomo e di altri edifici, e diedero il via a vere e proprie spoliazioni che cancellarono irrimediabilmente l'aspetto originario (gli effetti sono visibili ancora oggi).
Dopo la fine dei lavori per la cattedrale, la vegetazione ebbe definitivamente la meglio e la struttura scomparve per altri otto secoli. Fu nel 1926 che l'archeologo Amedeo Maiuri cominciò gli scavi,[6] che dopo varie interruzioni finirono definitivamente tra il 2003 e il 2006.
Il teatro fu costruito su una collina, per sfruttarne la naturale inclinazione. La cavea ha 110 metri circa di diametro e poteva contenere tra i 6000 e i 7000 spettatori. L'edificio scenico aveva una lunghezza di 40 metri e un'altezza di 24, ed era composto di tre ordini soprapposti di 84 colonne. I marmi usati erano pregiati e venivano da varie parti dell'Impero, come la Numidia o Carrara. Dietro le scene si può ancora trovare la latrina degli attori, risalente al III secolo d.C.

Adiacente al teatro si trova un criptoportico risalente circa all'età sillana. Anche la sua storia è abbastanza travagliata, in quanto fu parzialmente scavato nel 1926 per poi essere completamente abbandonato; a differenza del teatro, però, i lavori definitivi di recupero e restauro sono terminati solo nel 2014.
Pur non avendo collegamenti diretti col teatro, o se c'erano sono andati persi  il criptoportico gli era indubbiamente collegato. Non è ancora chiaro quale fosse il suo utilizzo, ma si presuppone che venisse usato dagli attori per spostarsi da un luogo all'altro; tuttavia, sono state trovate sui muri numerose iscrizioni in greco e latino, tra cui anche alcuni versi virgiliani, che lasciano presupporre il suo utilizzo come scuola e Gymnasium. Inoltre, a causa della presenza di terreni privati, non tutte le parti del criptoportico sono state e saranno mai recuperate, lasciando così nel mistero la sua vera utilità.

La struttura era composta da tre bracci disposti ad U, ma oggi si può visitare solo il settentrionale, in quanto l'occidentale è stato inglobato da un casolare di campagna mentre l'orientale è crollato; la loro lunghezza era di 90 metri circa per il nord e di 70 per gli altri due. I corridoi sono divisi in due navate con volte a botte poggianti su pilastri di trachite vulcanica  e illuminate da finestre strombate. Le pareti, in opus incertum, conservano il rivestimento in stucco bianco con membrature architettoniche a rilievo, attribuibile ai primi decenni del I secolo d.C., su cui erano stati disegnati quadri geometrici con motivi floreali; a ciò furono aggiunte le suddette iscrizioni scolastiche e anche dei veri e propri atti di vandalismo da parte di tifoserie gladiatorie.

Campania - Teatro romano di Teano

 
Il teatro romano è il principale edificio pubblico conservatosi dell'antica Teanum Sidicinum, oggi Teano. Si tratta di un grandioso teatro-tempio, sito in località Grotte, probabilmente dedicato ad Apollo, come deducibile da un'epigrafe in osco su mensa di altare calcarea, ove un magistrato locale dona alla predetta divinità.
Dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali lo gestisce tramite il Polo museale della Campania, nel dicembre 2019 divenuto Direzione regionale Musei. L'edificio venne costruito alla fine II secolo a.C. in opera incerta e blocchi di tufo, e si tratta del più antico teatro d'Italia interamente sostenuto da muri radiali e volte rampanti.
Il teatro fu successivamente ampliato in forme notevolmente monumentali sotto il regno di Settimio Severo alla fine del II secolo d.C. A questa seconda fase risale l'ampliamento della cavea teatrale, che raggiunse il diametro di 85 m, e anche il completo rifacimento del grandioso edificio scenico in cui furono utilizzate colonne e trabeazioni di grandi dimensioni e impiegati marmi rari e preziosi e molteplici sculture, alcune di reimpiego di età augustea. L'edificio scenico raggiunse l'altezza considerevole di circa 24 m, nel quale si aprivano tre porte: quella centrale era collocata al centro di un ordine gigante con colonne disposte su due piani, sovrastate da capitelli compositi; le due porte laterali, di minori dimensioni, erano affiancate da tre ordini di colonne di ordine composito in cui si succedevano, dal basso verso l'alto, capitelli compositi e corinzi.
Dopo la metà del IV secolo iniziò l'abbandono e cominciò il saccheggio dei materiali e intorno all'VIII - IX secolo, il teatro era oramai divenuto una cava a cielo aperto.
È stato individuato poco lontano dal sito del teatro, anche un anfiteatro, ancora sepolto, che avrebbe dimensioni imponenti, tanto che il diametro maggiore supererebbe i 100 m.


Campania - Villa Romana di Minori

 


La Villa Romana di Minori è il sito archeologico di una villa romana del I secolo d.C. situata nel comune di Minori, in Campania.
Dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali lo gestisce tramite il Polo museale della Campania, nel dicembre 2019 divenuto Direzione regionale Musei. Nell'anno 2015 la villa e l'antiquarium sono stati visitati da 23.247 visitatori. Nell'anno 2019 la villa ha registrato 27.498 visitatori, confermandosi come il secondo museo più visitato della Provincia di Salerno.
Nel 2012 il 3dSign Studio ha ricostruito con un modello 3D quella che poteva essere l'architettura originale della Villa, grazie alle decorazioni degli attuali resti archeologici e la presumibile vicinanza al mare, oggi irrimediabilmente compromessa, che la villa aveva intorno al I secolo d.C. Lo stesso video è stato riutilizzato dal MIBACT durante la campagna #iorestoacasa per promuovere il patrimonio culturale italiano durante il lockdown dovuto alla gestione della pandemia di COVID-19 in Italia nei primi mesi del 2020.
Il sito archeologico ha preso parte per diversi anni alle Giornate FAI d'Autunno e di Primavera.

La villa romana di Minori si trovava in una baia della Costiera Amalfitana, nel punto in cui il fiume Reginna Minor sfocia nel mare. Questo tratto di costa, ricca di insenature e porti naturali, era un luogo amato e frequentato dall'aristocrazia romana imperiale che vi ha costruito le proprie residenze, come testimoniano i ritrovamenti di Vietri sul Mare, Amalfi, Positano, e Li Galli.
Le prime informazioni riguardo ad un edificio di epoca romana a Minori risalgono ai "Documenti e Atti della Commissione Archeologica della Provincia del Principato Citeriore" (1873-74), in cui L. Stabiano ha scritto sulla scoperta delle "terme romane".
Nel 1932 un crollo avvenuto durante la ristrutturazione di alcune case nell'area ha portato alla scoperta di una camera sotterranea, appartenente alla villa romana. Gli scavi iniziarono nel 1934, ma alcune zone sono venute alla luce solo nel 1950, in particolare in seguito all’alluvione del 26 ottobre 1954 quando la struttura fu sepolta nuovamente e solo successivamente fu riportata alla luce.
Nel 1956, mentre era in corso un cantiere per la costruzione dell'Hotel Santa Lucia, sono state scoperte nuove aree della villa decorate da dipinti che si conservano nel museo collegato alla villa. La struttura residenziale è visibile solo sul lato più vicino al mare, poiché molte parti dell'edificio sono stati riutilizzate come cantine da nuovi lotti abitativi sorti sul sito della villa.
A metà degli anni 1990 è iniziato il restauro dei mosaici che ornavano il triclinio.
La villa fu costruita attorno ad un "viridarium", giardini romani con una piscina centrale, circondata da un gruppo di edifici e triportico divisi in due gruppi simmetrici da una grande sala centrale.
Dal triportico, attraversando il viridarium, si accede ai primi ambienti della villa, due camere che per la loro vicinanza al triclinio-ninfeo dovevano essere utilizzate come sale di rappresentanza, utili per la preparazione dei cibi da servire durante il banchetto o per soddisfare le diverse necessità del padrone di casa. Coperte con volta a botte, si differenziano da un terzo ambiente, caratterizzato da una copertura con volta a vela: una struttura in conci di pietra calcarea disposta ad anelli concentrici su una pianta rettangolare. Questo tipo di copertura si rese necessaria per ottenere la stessa quota rispetto al piano di copertura delle prime due sale. La volta a vela non rappresenta, infatti, un elemento tipico dell’architettura romana, che invece trovava maggiore diffusione in Oriente.
Dalle sale di rappresentanza si accede ad altri ambienti di notevoli dimensioni. Di grande interesse è la sala della musica: il primo ambiente ad essere riportato alla luce nella campagna di scavo del 1932. È la sala più ampia della villa, chiamata così per gli affreschi conservati alle pareti, caratterizzate da un’apia zoccolatura rossa e nera, con uno spazio superiore ripartito da sottili ed eleganti pannelli, all’interno dei quali sono rappresentati elementi vegetali, medaglioni rappresentati figure mitologiche, oltre da decorazioni che riportano strumenti musicali. Considerate le dimensioni dell’ambiente è molto probabile che in origine fosse stata concepita per intrattenere gli ospiti della villa, attraverso rappresentazioni teatrali accompagnati da musici.
Procedendo oltre si attraversano stretti cunicoli privi di decorazione, utilizzati dalla servitù per evitare per accedere con maggiore facilità alle stanza destinate all’aristocrazia. Lungo il percorso si incontrano piccole rampe di scale, particolarmente anguste per permettere l’accesso ai piani superiori. Questi ambienti permettono inoltre di avere un’idea del funzionamento dei meccanismi per l’approvvigionamento dell’acqua, indispensabile per il settore termale e per i giochi d’acqua del triclinio-ninfeo. Superati questi ambienti si accede ad alcune sale di rappresentanza denominate.
Posta alle spalle del settore termale, la Sala del Teatro presenta decorazioni pittoriche anch’esse riconducibili al III stile pompeiano. Tale decorazione può essere considerata nel suo insieme come un unico fregio, all’interno del quale sono rappresentate delle scene che caratterizzavano le rappresentazioni teatrali di età romana, oltre a presentare alcune delle principali maschere, prima fra tutte il volto di Medusa.
Il territorio di Minori è sempre stato caratterizzato da numerose sorgenti d’acqua, già nel I secolo d.C., i Romani erano riusciti ad elaborare riuscirono ad elaborare un complesso sistema di canalizzazioni in grado di deviare parte del corso del fiume Reginna Minor, che fino al 1954 scorreva a poche decine di metri dal sito archeologico, per creare un suggestivo e articolato impianto termale.
Preceduto dall’apodyterium, lo spogliatoio o sala d’attesa, dotato anch’esso di mosaici e decorazioni in stucco, frutto dell’intervento di restauro del III sec d. C., rappresenta l’unico ambiente ad aver conservato tracce di un prezioso materiale come il marmo. Si accede poi al settore termale, costituito dal tepidarium, per il bagno con acqua tiepida, il calidarium, per il bagno caldo; manca il frigidarium che in realtà è rappresentato dalla piscina posta in origine al centro del viridarium. Le terme della Villa ricalcano il classico schema delle terme romane, con una doppia pavimentazione sostenuta da pilastrini in terracotta, che permettevano, attraverso l’accensione di fuochi, di riscaldare l’ambiente sovrastante. Tutti gli ambienti della zona termale sono coperti con volta a botte e volta a tutto sesto. Della decorazione musiva del tepidarium si conservano la raffigurazione di un grande vaso con alti manici sopraelevati (kantharos) dal quale fuoriescono elementi vegetali.
Tutta la struttura si sviluppa simmetricamente attorno all’ambiente più importante della Villa: il triclinio – ninfeo, il cui ingresso è perpendicolare all’ingresso principale. Non può essere considerato un vero e proprio triclinio, perché conserva solo due letti triclinari, posti l’uno di fronte all’altro, poggianti su strutture in muratura riconducibili ai lavori del III secolo d.C. Nella zona nord la sala del banchetto presenta una scalinata, originariamente in marmo dalla quale scorreva una piccola cascata, la cui acqua confluiva in due piccoli canali, dai quali i commensali potevano lavarsi le mani o espletare altre funzioni corporali. L’acqua successivamente defluiva verso la piscina attraverso un sistema di canalizzazione sotterraneo.
Recenti studi hanno evidenziato tre diversi interventi decorativi: i primi riconducibili al I sec., quindi poco successivi alla costruzione della villa, caratterizzati dalla realizzazione dell’affresco raffigurante scene di caccia, e alla decorazione in stucco della copertura, seguito da un intervento finalizzato a dare maggiore staticità all’intera struttura; e il terzo di molto successivo, di età severiana, nel quale furono realizzate le strutture in muratura su cui poggiare i letti triclicari e l’istallazione della decorazione musiva, anch’essa di particolare interesse. Strutturato secondo un duplice schema rappresentativo, riporta nella zona nord una scena di caccia, in riferimento alla necessità di servire cacciagione durante il banchetto; nella zona sud, in corrispondenza dell’ingresso del triclinio sono rappresentati elementi tratti della mitologia e legati al mare, nello specifico delle nereidi (antiche divinità marine) che cavalcano un tiaso e altri animali marini.


Campania - Villa Sora a Torre del Greco



Villa Sora è una villa di epoca romana i cui resti si trovano in Contrada Sora a Torre del Greco.
La "contrada Sora" è la zona di maggior interesse archeologico della città. La villa è un ampio complesso monumentale risalente al I secolo d.C., che si estende su un'ampia superficie e su un'altezza originaria di tre piani, l'ultimo dei quali crollò in seguito all'eruzione del Vesuvio del 79 d.C., mentre quello inferiore restò seppellito dalla lava: ne è visitabile solo il piano intermedio.
Poco lontano dalla villa, si trovano i resti di un complesso termale, ancora visitabili sulla spiaggia torrese ("Terme Ginnasio"). Doveva esservi annesso anche un piccolo porto privato, ormai perduto.
La villa, già nota nel XVII secolo in seguito al ritrovamento di sculture marmoree e oggetto di scavi borbonici nel XVIII secolo, venne riscoperta nel 1974 dal Gruppo Archeologico Torrese "Col. Giuseppe Novi" di Torre del Greco.

Campania - Villa di Poppea ad Oplontis

 

La villa di Poppea (appartenente alla zona suburbana pompeiana di Oplontis, seppellita insieme a Pompei, Ercolano e Stabiae dopo l'eruzione del Vesuvio del 79: oggi l'area archeologica è situata nel centro della moderna città di Torre Annunziata) in un primo momento denominata «villa A», è stata scavata per la prima volta nel '700 con alterne fortune, mentre un recupero più ampio e sistematico si è avuto solo a partire dal 1968: si tratta di una villa d'otium dove comunque non mancavano sale dedicate alla produzione del vino e dell'olio. La villa, risalente al I secolo a.C. ed ampliata nel corso dell'età claudia, viene attribuita a Poppea Sabina per l'iscrizione dipinta su un'anfora, indirizzata ad un liberto della moglie di Nerone; al momento dell'eruzione del Vesuvio la villa era disabitata, forse in fase di restauro a causa del terremoto di Pompei del 62 e tutti gli oggetti sono stati ritrovati accantonati in alcune stanze. Ad oggi la costruzione non è ancora interamente scavata: l'area riportata alla luce corrisponde alla zona orientale, mentre l'ingresso principale e la zona occidentale sono ancora da recuperare ostacolati anche dalla presenza di una strada moderna ed un edificio militare.
La pianta della villa è molto complessa e ancora oggi non redatta con certezza in quanto non esplorata totalmente e viene convenzionalmente divisa in quattro parti: le zone nord, sud, ovest e est. Nella parte nord è presente un ampio giardino nel quale sono state rinvenute diverse sculture in marmo ed è stato possibile ricostruire i calchi delle radici di grandi alberi, ossia degli ulivi, anche se fino a poco tempo fa si credeva potessero essere o dei melograni o degli oleandri. Nella zona sud invece si trova un altro giardino circondato da un colonnato su tre lati: sono stati oggi piantati alberi di alloro, che si pensa fossero anche presenti al momento dell'eruzione.
Nella parte ovest è presente l'atrio con un compluvium che raccoglieva l'acqua piovana nell'impluvium: le decorazioni della sala sono in secondo stile ed è molto utilizzata la tecnica del trompe l'oeil per raffigurare ambientazioni architettoniche e colonnati. La cucina presenta un banco in muratura con un ripiano sovrastante adibito a piano cottura, mentre nella parte sottostante piccoli vani con forma a semicerchio probabilmente contenevano legna da ardere; una vasca era probabilmente utilizzata per lo scarico di liquidi.
Il triclinium, nella zona in cui si trovava probabilmente la mensa, è adornato con un mosaico con figure romboidali mentre nel resto della sala si riscontrano affreschi in secondo stile raffiguranti colonne dorate decorate con rampicanti: tra le decorazioni, una graziosa natura morta rappresentante un cestino con fichi. Seguono due saloni: uno aperto verso il mare con un'unica parete affrescata con rappresentazioni di un santuario di Apollo, pavoni e maschere teatrali, mentre nel secondo salone, più grande, sono rappresentati un cestino di frutta coperto da un velo semitrasparente, una coppa di vetro contenente melograni, una torta poggiata su un supporto e una maschera teatrale. La villa era dotata anche di un quartiere termale: il calidarium ha pareti affrescate in terzo stile, dove l'opera principale è il mito di Ercole nel giardino delle Esperidi; gli affreschi del tepidarium sono a fondo nero o rosso scuro, secondo quanto indicato dal quarto stile pompeiano. Nella zona ovest è inoltre presente un cubicolo dove è stato possibile ottenere i calchi della porta in legno e della finestra ed un piccolo peristilio le cui pareti sono decorate con fasce grigie e nere e dove è presente il larario decorato in quarto stile e con la trave di sostegno originale posta sopra la nicchia seppur carbonizzata.
Nella parte est della villa sono presenti due sale poste in modo speculare una all'altra: nella prima non ci sono dipinti ma solo una zoccolatura in marmo ed una pavimentazione incompleta con alcune piastrelle in marmo, segno che la villa era in ristrutturazione; la seconda sala presenta decorazioni in quarto stile. Segue una sala priva di affreschi con le pareti in bianco, rosso, giallo e nero riservata agli ospiti, un piccolo viridario con decorazioni in secondo stile raffiguranti piante, fontane ed uccelli e due saloni speculari: il primo che presenta una nicchia semicircolare nella quale era alloggiata una scultura mentre il secondo è identico al precedente con la presenza di marmi alle pareti. Nella villa è infine presente una grande piscina di 61 metri di lunghezza e 17 di larghezza, pavimentata in cocciopesto e risultava adornata ai bordi con statue di marmo, copie di epoca romana di originali greci: attorno sorgeva un prato con platani, oleandri e limoni.

Campania - Villa Sant'Antonio Abate

 


Villa Sant'Antonio Abate è una villa rustica rinvenuta in località Casa Salese nella parte alta dell'attuale città di Sant'Antonio Abate, dal quale prende anche il nome: la costruzione si trova in quello che era il limite estremo dell'ager stabianus al confine con Pompei e con Nuceria. La villa è stata scoperta tra la primavera e l'estate del 1974 ed ha fornito agli archeologi importanti notizie sugli usi e costumi dei romani: infatti non essendo mai stata scavata prima d'allora, neanche dai Borbone, ha offerto una grande varietà di oggetti, portati nell'antiquarium di Castellammare di Stabia. La mancata scoperta in epoca borbonica ha però negato alla villa uno studio approfondito e la possibilità di avere un'idea della grandezza del sito tramite mappe redatte in quell'epoca: si pensa che soltanto un'ala della villa sia stata riportata alla luce. Nel 2009 è stato approvato un progetto di restauro e recupero della residenza romana per una spesa complessiva di 40000 €.
Villa Sant'Antonio Abate risale all'epoca augustea-tiberina e probabilmente si articola intorno a una corte a pianta quadrata. L'area rinvenuta riguarda un ampio ambiente vicino al muro perimetrale con una piccola aia protetta da muretti più bassi e tre colonne a base quadrata che fanno parte di un portico, non completamente scavato, il quale rappresenta l'ingresso alla villa, decorato con immagini di animali, piante e maschere. Dal portico si accede a diversi ambienti: una stanza che presenta pareti dipinte con una zoccolatura in nero e la parte superiore in intonaco bianco, una piccola stanza, che ha la caratteristica di avere la volta ricavata da un dolio, ossia un recipiente dove era contenuto il vino, adibita a forno e ampio vano di ingresso nel quale sono presenti dei resti di una scala in legno che conduceva al piano superiore dove si trovavano stanze adibite a dormitorio per gli schiavi, e l'accesso alla corte: in questo ambiente si trova la cucina e cinque colonne in laterizio non intonacato. Oltre a un piccolo ripostiglio, è presente anche un triclinio a pianta rettangolare con pareti sempre a fondo nero. All'esterno della villa si trova la scala che porta al piano superiore e un collettore d'acqua, realizzato in cocciopesto, che aveva anche la funzione di isolare la villa. Di grande interesse anche i resti di una macina e una nicchia adibita a larario.


Campania - Villa Carmiano

 


Villa Carmiano deve il suo nome al luogo nella quale è ubicata, ossia in località Carmiano, nel comune di Gragnano ed è una villa rustica dell'ager stabianus posta a poco meno di un chilometro dal pianoro di Varano dove sono situate le ville d'otium di Stabia. La costruzione è stata riportata alla luce nel corso degli scavi effettuati da Libero D'Orsi nel 1963 e a seguito del suo stato di abbandono e per conservarne meglio le strutture murarie è stata nuovamente sepolta nel 1998: al momento della sua scoperta la villa non era stata ancora esplorata da alcuno e ciò è stato molto utile sia per scoprire importanti novità sullo stile di vita dei romani sia per la notevole quantità di reperti che sono stati ritrovati.
La villa ha una superficie di circa quattrocento metri quadrati e risale all'ultimo quarto del I secolo a.C.: del proprietario si conoscono soltanto le iniziali, MAR.A.S., incise su un sigillo in bronzo; inoltre dalla qualità dei dipinti si suppone che il proprietario fosse un ricco agricoltore. Dopo aver superato l'ingresso dove è posta anche la cuccia del cane, si entra nell'ampio porticato coperto, interamente dipinto, sul quale si aprono quasi tutte le stanze e dove si trova il larario dedicato a Minerva: le stanze di servizio, quindi la cucina con forno, torchio, vasca per la raccolta del mosto e una cella vinaria con dodici dolii dalla capacità complessiva di settemila litri di vino e gli ambienti usati per il deposito del raccolto e degli utensili per lavorare la terra, sono pavimentate in terra battuta, mentre la zona residenziale come il triclinio, finemente decorato con pitture in arte flavia, ha una pavimentazione in cocciopesto; proprio dal triclinio provengono le opere più importanti come la raffigurazione di Nettuno e Amimone, Bacco e Cerere e il Trionfo di Dioniso.

Campania - Villaggio del bronzo antico di Afragola

 
Il villaggio del bronzo antico di Afragola è un sito archeologico risalente all'età del bronzo antico, in particolare alla cultura preistorica di Palma Campania, distrutto dall'eruzione delle Pomici di Avellino e scoperto nel 2005 durante le indagini di archeologia preventiva per la realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità Roma-Napoli, precisamente nella V sottotratta TAV (ad esempio, i lotti 1, dove sono stati rinvenuti i reperti più antichi, 4 e 17, collettore fognario Badagnano).
Il villaggio, distante circa 1000 metri dal corso dei Regi Lagni e a 12 km a nord ovest del Vesuvio, risale all'età del bronzo antico.
A seguito di studi sul paleo-clima e grazie alla presenza di alcuni frutti eduli, è noto che l'eruzione delle Pomici di Avellino si verificò probabilmente durante la stagione autunnale, che risultava essere il periodo più caldo dell'anno.
In particolare, le fasi iniziali del villaggio sono attestate nel lotto 1 della V sottotratta TAV, a circa 400 metri dal lotto 10, sulla superficie del paleosuolo B, sulle ceneri lasciate dall'eruzione di Agnano 3 e fu successivamente abbandonato dopo l'eruzione di Paleoastroni 2, momento in cui l'area fu utilizzata per lavorazioni agricole, fino all'eruzione di Agnano-Monte Spina.
Nel lotto 1 sono state rinvenute quattro strutture, probabilmente a pianta sub-rettangolare con uno dei lati absidato, divise in due ambienti, e, inoltre, sul lato orientale, una sepoltura ad inumazione di un individuo adulto, di sesso probabilmente femminile, "rannicchiato in parziale decubito laterale destro", oltre a resti di ceramica come ad esempio olle e scodelle.
Inoltre è stata effettuata una datazione radiometrica sullo strato di un buco di palo di una struttura, risalente al 3620 a.C.-3340 a.C. (Eneolitico non avanzato).
L'area subì un ripopolamento, probabilmente verso la seconda metà del III millennio a.C., durante l'età del bronzo antico. Tuttavia, il villaggio fu, in seguito, distrutto dall'eruzione delle Pomici di Avellino.
Durante l'età del bronzo recente e finale (XIII-XII secolo a.C.) si sviluppò un esteso insediamento, nei pressi del villaggio, di circa 15 ha, che testimonia contatti con il mondo egeo.
Durante gli scavi, condotti nel 2005 per la realizzazione della stazione di Napoli Afragola, sono state rinvenute nel villaggio delle capanne a pianta rettangolare con lato corto absidato lunghe 5,5-8 m e larghe 4-5 m, sostenute da pali e divise da una parete in due ambienti: uno a pianta rettangolare, dove vi è un focolare e l'altro a pianta semicircolare nell'abside.
Nei pressi di queste, invece, sono stati scoperti dei magazzini anch'essi a pianta rettangolare, fra i quali uno a nord est, con lato corto absidato e copertura a doppio spiovente, crollato a causa di un incendio. Il villaggio è diviso da recinzioni, oltre le quali era presente una foresta di querce e faggi.
Il villaggio, inoltre, presenta depositi di corrente piroclastica, le quali non sono state in grado di abbattere le strutture, crollate, piuttosto, a causa dell'accumulo di cenere vulcanica.
Gli archeologi hanno rinvenuto, inoltre, migliaia di impronte umane ed animali (tra i quali tori, capre, asini o cavalli, cani, gatti, cervi, porcospini e scoiattoli) impresse su diversi depositi sia all'interno del villaggio che su un raggio di 1 km, oltre a depositi alluvionali.
Grazie ai campioni di orme di tre individui trovati nel sito archeologico di San Paolo Belsito, gli archeologi sono, inoltre, riusciti a rilevare l'altezza degli uomini: 13 individui di altezza non superiore a 140 cm, mentre 57 individui di altezza tra i 140 e 170 cm e 9 di oltre 170 cm.
Inoltre, grazie a tracce di tre impronte si è scoperto che gli individui stavano fuggendo, per scampare all'eruzione vulcanica, con passo di velocità compresa tra i 2,5 e 5,4 km/h nell'89,6%.
Grazie ai reperti ossei rinvenuti, gli archeologi hanno scoperto che gli antichi uomini praticavano l'allevamento, la macellazione (soprattutto di Bos taurus) e lo sfruttamento degli animali per il lavoro nei campi, mentre gli Ovis erano sfruttati sia per la carne che per la lana e il latte, tuttavia, non è attestata attività venatoria. Inoltre, gli uomini si cibavano di varie Graminacee, Leguminose e soprattutto di frutti e pesci, dovuta alla vicinanza al fiume Clanio.
In particolare, grazie all'analisi dei resti di un vitello, morto all'età di circa 6 mesi, rinvenuto nei pressi di una staccionata, si è scoperto che la morte è stata determinata da "uno sfondamento del cranio per mezzo di un'arma da punta, per poi essere stato forse legato ad un'asse di legno con la zampa posteriore sinistra e quella anteriore destra e con il capo verso il basso probabilmente a scolare".
I reperti includono piatti, vasi e coppe di età micenea, rinvenuti a una profondità tra i due e i cinque metri in numerosi pozzi nelle vicinanze, oltre a fibbie, anelli e spille in bronzo e reperti ossei di animali, tra i quali un esemplare di vitello, morto all'interno di una capanna, tori, capre, maiali, cani, gatti, ratti d'acqua, uccelli e lische di pesce, ritrovate accanto a oggetti in osso utilizzati probabilmente come armi.
Inoltre, grazie a resti carpologici, fossili ed impronte vegetali, si è potuto constatare quali specie erbacee, arboree e arbustive fossero presenti nel territorio in quel periodo, ad esempio: farro piccolo, farro, farricello, melagrane, fichi, ghiande con cupole, orzo distico, setaria italica, lenticchia, pisello, melo, pero, vite, corniolo maschio, papavero comune, ravanello, fossili vegetali di erba delle Poaceae, roverella, frangole, sanguinella, mirtillo rosso, rovere, geranio molle, tarassaco, felce aquilina, edera, baccaro, more, spighe e foglie di ortica, impasti di farina, cariossidi e un pericarpo mineralizzato di mandorla.

Campania - Parco sommerso di Gaiola

 

Il parco sommerso di Gaiola è un'area marina protetta di 42 ettari di mare che circonda le Isole della Gaiola nel golfo di Napoli e che si estende dal Borgo di Marechiaro alla Baia di Trentaremi, istituita congiuntamente dai Ministeri dell'Ambiente e dei Beni Culturali nel 2002.
L'area è incastonata nel paesaggio costiero di Posillipo, a poca distanza dal centro della città di Napoli. La sua peculiarità è dovuta alla fusione tra elementi vulcanologici, archeologici e biologici. Sui fondali del Parco, infatti, è possibile osservare i resti di porti, ninfei e peschiere attualmente sommersi a causa del lento sprofondamento della crosta terrestre (bradisismo). Tutti questi sono in gran parte afferenti alla Villa Imperiale di Pausilypon, affiancata dai resti dell'imponente Teatro del I secolo a.C., appartenuti al liberto romano Publio Vedio Pollione e oggi parte del Parco archeologico di Posillipo.
Il Parco sommerso di Gaiola ha anche una notevole importanza biologica: l'estrema complessità geomorfologica dei suoi fondali e la continua vivificazione delle sue acque, garantita dal favorevole sistema di circolazione delle acque costiere, hanno permesso l'insediamento in pochi ettari di mare di numerose comunità biologiche marine tipiche del Mediterraneo.
I dolci pendii digradanti verso il mare e le alte falesie di tufo giallo napoletano (15Ka), ammantate dai colori della macchia mediterranea hanno da sempre esercitato un fascino particolare sui popoli che qui si sono succeduti.
L'Area Marina Protetta è visitabile mediante visite guidate con battello a visione subacquea, itinerari snorkeling e diving. Il Centro Visite è ubicato presso il CeRD, Centro Ricerca e Divulgazione scientifica del Parco, dove vengono svolte attività didattico-educative per le scuole e attività formative. Il Centro Visite del Parco è aperto al pubblico tutti i giorni tranne il Lunedì dalle 10,00 alle 16,00 (10,00-14,00 nel periodo invernale).

Campania - Bacoli, Sacello degli Augustali


Il Sacello degli Augustali è un edificio dell'epoca romana adibito ai riti di culto degli imperatori, curati dai sacerdoti augustali che si trova a Miseno, lungo il litorale di Bacoli, nella città metropolitana di Napoli.
L'attribuzione è dovuta al ritrovamento di un'iscrizione in latino che recita: Templum augusti quod est augustalium. Realizzato in epoca giulio-claudia (I sec.d.C.) fu modificato a metà del secolo successivo ma fu poi distrutto alla fine del II secolo, probabilmente da un terremoto; i suoi resti sono attualmente semisommersi a causa dei fenomeni di bradisismo che caratterizzano l'intera area flegrea.
L'edificio è costituito da un ambiente centrale e due ambienti laterali prospicienti un cortile porticato. All'interno sono state rinvenute statue di alcuni imperatori (Vespasiano, Tito e Nerva) e di divinità (Asclepio, Apollo e Venere), attualmente esposte al Museo archeologico dei Campi Flegrei di Baia.