domenica 4 maggio 2025

Campania - Antiquarium Silio Italico

 

L'Antiquarium Silio Italico, conosciuto anche con il nome di Antiquarium Aequanum, è un museo archeologico ubicato a Vico Equense che raccoglie reperti archeologici rinvenuti nella cittadina della penisola sorrentina.
Alla fine del XIX secolo, in modo del tutto casuale, nel territorio di Vico Equense, riaffiorarono alcuni reperti sia di epoca romana che precedenti: questi vennero però perduti o entrarono a far parte di collezioni di musei europei e statunitensi. Dal 1960 invece i ritrovamenti aumentarono in modo esponenziale grazie all'ampliamento del centro cittadino, con la costruzione di nuovi edifici: a questo va aggiunta anche la scoperta, nello stesso periodo, di una necropoli, utilizzata dal VII al V secolo a.C., costituita da oltre duecento tombe, molte ad inumazione a cassa di tufo, altre ad incinerazione[2]. La grande quantità di reperti portò il professore Salvatore Ferraro ad aprire un primo antiquarium del 1966, trasferito pochi anni dopo nel collegio Sozi Carafa: tuttavia a causa dell'acquisto dei locali da parte della curia, questo venne chiuso e diversi reperti, come due capitelli dorici in tufo, vennero trasferiti al museo territoriale della penisola sorrentina. Dopo una sistemazione provvisoria nel locali della Biblioteca Pubblica Civica, il museo ha trovato collocazione in tre sale, per un totale di duecento metri quadrati, nel palazzo municipale.
La collezione dell'antiquarium è costituita da circa duecento reperti datati tra il VII secolo a.C. fino periodo romano, rinvenuti tra il 1960 ed il 1970. Sono esposti diversi corredi tombali costituiti da buccheri, ceramiche attiche e vasellame in bronzo, risalente al VI-V secolo a.C., comprendente calderoni, brocche e particolari vasi a becco d'anatra, oltre a fibule in argento, bronzo e ferro, anelli, spiedi, coltelli, portafiaccole ed alari: non mancano armi, appartenute a popolazioni italiche e osche, come una cuspide di una lancia, un'ascia ed una punta di un giavellotto. Sono esposti poi vasi attici a figure nere e rosse, ed anfore di tipo etrusco, ionico e corinzio, utilizzate per il trasporto del vino o come tombe all'interno delle quali venivano posti i corpi di bambini; uno tra i pezzi più caratteristici della collezione è un vaso sul quale sono riportate delle iscrizioni in lingua italica, con caratteri dell'alfabeto nucerino. Sono inoltre presenti vasi in argilla ed in ceramica acroma, alcuni a figure nere e a vernice nera, monili ed utensili: tutti i reperti sono accompagnati da schede descrittive e pannelli didattici illustrano le varie campagne di scavo, in particolar modo quelle della necropoli.


Campania - Museo archeologico provinciale della Lucania occidentale

 

Il Museo archeologico provinciale della Lucania occidentale è un museo archeologico situato a Padula, in provincia di Salerno.
La sede è nella Certosa di San Lorenzo e conserva, esposti, numerosi reperti archeologici rinvenuti nella Valle del Tanagro, fra tombe, lapidi, statue, capitelli e colonne.
Il Museo Archeologico Provinciale della Lucania Occidentale nasce nel 1957 per raccogliere, conservare e catalogare i ricchi reperti provenienti dagli scavi eseguiti dalla Direzione dei Musei Provinciali di Salerno, fra le città di Sala Consilina e Padula, con circa 1500 tombe scoperte e esplorate. Inaugurato durante la "Settimana dei Musei" nel 1957, il Museo venne collocato che nella monumentale Certosa di Padula, il celebre cenobio dei certosini nato grazie al conte Tommaso II Sanseverino nel 1306.
Già nel 1878, Giuseppe Fiorelli e Ercole Canale Parola auspicavano alla creazione di un Museo Archeologico nella zona del Vallo di Diano. Proprio a seguito della nascita del Museo, il ministro per la Pubblica Istruzione Piero Caleffi, nel 1966, decretò che l'intera Certosa fosse destinata a Museo Archeologico Provinciale. Furono eseguiti ulteriori scavi fra il 1957 e il 1967, nelle tombe di località Menafra, nel comune di Sala Consilina, ad opera di Venturino Panebianco, che arricchirono il numero di reperti presenti nel museo.
L'allestimento del museo subì vari cambiamenti e spostamenti durante gli anni. Le riprese cinematografiche del film C'era una volta... comportarono lo sgombero del museo dal Refettorio, dove era sistemato e dove non ritornò, venendo trasferitonegli spazi più angusti della Cella del Priore, mentre il sogno di Venturino Panebianco sarebbe stato quello di sistemare il Museo definitivamente nella Galleria superiore del chiostro grande.
L'esigenza di restituire alla Cella del Priore gli originale arredi lignei, restaurati, portò il Museo nella Sala ad "Elle" e nel Chiostro dei Procuratori, destinato a Lapidario, con annessi locali per il corpo di guardia e i magazzini, allocati per lungo tempo nei granai, oggi in moderni ambienti negli spazi soprastanti al chiostro.
Sono conservati reperti di ben 16 secoli storici diversi, dal X sec. a.C. al VI sec. d.C., arricchendosi di materiali provenienti da altre presenze archeologiche del Vallo di Diano. Il percorso museale parte dai reperti della prima Età del ferro, durante la quale nel Vallo di Diano si praticava quasi esclusivamente il rito dell'incinerazione dei defunti.
Le tombe maschili conservano armi e fibule ad arco serpeggiante, quelle femminili contengono gli oggetti della filatura e fibule ad arco ingrossato. Dal IX sec. in poi i corredi sepolcrali presentano un numero maggiore di oggetti. In particolare, le tombe femminili dell’VIII sec. sono ricche di oggetti ornamentali. In questo secolo si comincia a trovare nelle tombe un genere di vaso, il kántharos, di origine balcanica. Nella seconda metà del VII sec. compaiono altri vasi, tra cui l’oinochóe (vaso per versare il vino), mentre diminuiscono gli oggetti di ornamento personale e delle fibule. Nelle sepolture maschili le armi sono tutte in ferro. La necropoli di Padula è caratterizzata dalla presenza di vasi greci, attici, di eccellente qualità: essi hanno consentito non solo di datare, ma anche di classificare le sepolture, distinguendo (secondo la tipologia dei vasi) quelle maschili da quelle femminili. Infatti, solo raramente si sono trovati armi e oggetti di ornamento personale. Al IV sec. a.C. appartiene un gruppo di antefisse con rappresentazione di teste di Menadi e Sileni, rinvenute nel 1957. Del III-II sec. a.C. è il gruppo dei capitelli figurati, scoperti alla fine del secolo scorso nei pressi della Certosa; le statue e le stele funerarie sono della tarda età repubblicana. All’epoca tardo-antica (III-IV sec. d.C.) appartengono, infine, i materiali provenienti da una villa romana, poi trasformata probabilmente in basilica paleocristiana, scoperta nel 1956.
Sono conservati anche i reperti rinvenuti in località San Cristoforo a Padula, durante gli scavi degli anni 1956-59 e pertinenti ad un’abitazione di II sec. a.C., tra cui notevole è il torso virile marmoreo con resti del panneggio sulla spalla.


Campania - Museo archeologico nazionale di Volcei

 

Il museo archeologico nazionale di Volcei è un museo archeologico ubicato nel comune di Buccino, in provincia di Salerno.
Dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali lo gestisce tramite il Polo museale della Campania, nel dicembre 2019 divenuto Direzione regionale Musei.
Il museo è ospitato all'interno del convento degli Eremitani di Sant'Agostino, risalente al XIII secolo e successivamente ampliato nella forma attuale dall'architetto Natale da Ragusa nel 1474. L'esposizione raccoglie circa 5000 reperti e si snoda su di una superficie di 1.600 m² disposta su quattro livelli suddivisi in diverse sezioni: 
  1. “Dalla pietra al bronzo: frammenti di vita dalla preistoria”;
  2. “Nascita di un'identità” (VIII – VII sec. a.C.);
  3. “Principi e guerrieri” (VI – V sec. a.C.);
  4. “una Famiglia Aristocratica” (IV sec. a.C.);
  5. “Storia della città” (IV – I sec. a.C.);
  6. “La città di marmo” I sec. a.C. – I sec. d.C.);
I materiali esposti più importanti sono:
La tomba degli ori (tomba 270 III sec. a.C.);
Mosaico a tessere (risalente al IV sec. a.C.);
Cratere raffigurante la parodia del “Ratto di Cassandra” firmato dal ceramografo pestano Assteas.

Campania - Museo archeologico dell'Agro Atellano

 
Il Museo archeologico dell'Agro Atellano è un museo situato a Succivo (CE), ove sono esposti i reperti preistorici rinvenuti durante gli scavi nell'area dell'antica Atella. Il museo venne istituito nel 1991 e aperto poi al pubblico il 5 aprile del 2002. Il Museo illustra la storia della parte meridionale dell’ager campanus, a sud e a ovest dei Regi Lagni e dell’antica città di Atella.
Dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali lo gestisce tramite il Polo museale della Campania, nel dicembre 2019 divenuto Direzione regionale Musei.
L'esposizione si articola su tre piani.
- al piano terra vi è la ricostruzione di una necropoli con sepolture di bambini in anfore, appartenente ad un grande complesso databile tra III e IV secolo d.C.;
- al primo piano vi sono i reperti databili dall'età del bronzo all'età tardo antica, provenienti dall’area urbana e dalle necropoli sul territorio, tra cui la collezione vascolare di vasi a figure rosse di produzione campana;
- il secondo piano è dedicato a mostre relative agli scavi condotti di recente nel territorio, attualmente vi sono corredi di età orientalizzante (VIII-VII secolo a.C.) provenienti da Gricignano di Aversa.

Campania - Museo di Santa Restituta, Lacco Ameno

 

Il Museo di Santa Restituta si trova a Lacco Ameno, sull'isola d'Ischia ed è situato al di sotto della Basilica di Santa Restituta, in prossimità del Museo Archeologico di Pithecusae. Il museo nacque agli inizi degli anni cinquanta grazie al rettore della chiesa, Pietro Monti: i lavori di riparazione dell'antica cappella dedicata alla martire africana Santa Restituta (le cui reliquie giunsero a Ischia nel V secolo e furono qui collocate prima di essere traslate a Napoli nel IX secolo), situata nell'omonima piazza nel centro di Lacco Ameno, portarono alla luce, nel 1951, una cripta paleocristiana proprio al di sotto del pavimento. Il ritrovamento di una lucerna fittile datata VI secolo-VII secolo d.C. impresse una spinta propulsiva ai lavori di scavo, che in breve portarono alla scoperta di un antico cimitero cristiano ed in seguito di numerose tombe fenicie, puniche e greco-romane. Gli scavi ed il museo ebbero sistemazione definitiva nel 1974; attualmente il museo è sovraordinato alla curia di Napoli e alla Soprintendenza per i beni archeologici delle province di Napoli e Caserta.
La peculiarità del Museo è rappresentata dalla commistione tra le aree di scavo e l'entità museale: esso infatti è stato realizzato sui luoghi stessi degli antichi insediamenti e ha finito per raccogliere, col passare del tempo, anche i reperti provenienti da altre parti dell'isola.
I lavori di scavo hanno permesso agli studiosi di identificare sia un'area cimiteriale sia un'area "industriale" in cui erano presenti i forni per la cottura della creta. I vasi pitecusani venivano lavorati e cotti proprio in quel punto per poi essere venduti ed esportati per tutto il Mediterraneo. È quindi possibile osservare cocci e frammenti di anfore per il vino, di statuette e di piatti raffiguranti figure divine, come ad esempio la Testa della ninfa Aretusa (IV secolo a.C.) e la Testa di Demetra (IV secolo a.C.), un lekythos d'argilla e vernice nera (IV secolo a.C.), un'antefissa in argilla a vernice rossa (VI secolo a.C.) o addirittura un'arula in marmo bianco levigata a scalpello (III secolo a.C.). Parallelamente, all'interno del percorso degli scavi è possibile osservare un panorama globale della storia dell'isola d'Ischia: dalla preistoria al periodo greco-ellenistico-romano, fino alle testimonianze del primo Cristianesimo.

Campania - Museo archeologico territoriale della penisola sorrentina Georges Vallet

 


Il museo archeologico territoriale della penisola sorrentina Georges Vallet è un museo archeologico di Piano di Sorrento, in attesa di riordinamento: ospita al suo interno reperti archeologici raccolti nel corso di vari scavi effettuati in diversi siti della costiera sorrentina, che spaziano dalla preistoria al periodo romano.
Il museo, intitolato all'archeologo Georges Vallet, è ospitato all'interno della neoclassica Villa Fondi De Sangro: questa venne acquistata dal comune di Piano di Sorrento insieme al suo parco e dopo un intervento di restauro, con la Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta, il 17 luglio 1999 venne inaugurato il polo museale; oltre alle varie sale espositive, è dotato anche di una sala congressi ed una area per le mostre temporanee.
All'ingresso del museo è posta una grossa statua raffigurante una figura femminile, rinvenuta nel 1971 durante le indagini di una villa di epoca imperiale a Sorrento: seguono quindi le varie sale disposte in ordine cronologico; al piano terra sono presenti due sale: la prima illustra la zona sorrentina durante l'epoca preistorica con reperti proveniente da grotte e insediamenti del luogo, mentre nella seconda sono raccolti le testimonianze ritrovate dagli scavi archeologici condotti a Piano di Sorrento, in particolare quelli svolti in località Trinità, dove era presente un insediamento risalente al II millennio a.C. della cultura del Gaudo. Lungo la scala che porta al piano superiore sono custoditi una testa in marmo proveniente da Massa Lubrense e alcuni capitelli tufacei in ordine dorico rinvenuti a Vico Equense.
Anche al secondo piano sono presenti due sale: nella prima sono esposti corredi funerari rinvenuti nelle necropoli arcaiche e classiche di Massa Lubrense, Sant'Agata sui Due Golfi, Vico Equense e Sorrento mentre nella seconda sono ospitati reperti provenienti da Sorrento in particolar modo dalla città antica e dalle necropoli, oltre a carte topografiche: tra le opere di maggior rilievo si trova un trapezoforo in tufo che raffigura un'erma maschile, balsamari in vetro, vasi a figure rosse del IV secolo a.C., columelle, oggetti in marmo e capitelli della Villa di Villazzano nei pressi di capo di Massa ed un plastico della Villa di Pollio Felice; nel corridoio che unisce le due sale è esposto materiale proveniente dal Tempio di Atena a punta Campanella, con il calco di un'epigrafe del II secolo a.C..
Il museo è dotato anche di un parco che si affaccia sulla Marina di Cassano, con vista sul Vesuvio e sul golfo di Napoli: al suo interno inoltre è stato ricostruito il mosaico risalente al 55 asportato dal ninfeo di una villa marittima di epoca romana rinvenuta a Marina della Lobra, a Massa Lubrense, per preservarne l'integrità: questo, realizzato in pasta vitrea, raffigura un giardino con uccelli, decorato con figure allegoriche e nature morte.

foto Fabrizio Reale

(da Wikipedia, l'enciclopedia libera)

Campania - Benevento, Bue Apis


 
Il bue Apis è una statua di provenienza egizia situata a Benevento, all'inizio del viale San Lorenzo che porta alla basilica della Madonna delle Grazie. Popolarmente è chiamata il porchettello o, in dialetto, 'a ufara 'e Santu Lavrienzo, "la bufala di San Lorenzo". Potrebbe essere stata parte dell'arredo del tempio di Iside cittadino, ma la questione è aperta.
La statua di bue, in granito rosso egiziano, è molto rovinata nei dettagli: l'usura ha danneggiato soprattutto la parte superiore della testa, dove le orecchie e le corna dell'animale sono sparite del tutto.
La scultura fu rinvenuta nel 1629 sulla strada che conduce a Casale dei Maccabei e, per ordine del Gonfaloniere e dei Consoli cittadini, fu fatta installare su un piedistallo a fianco dell'imbocco di viale San Lorenzo, all'esterno della cinta muraria e di fronte all'omonima porta cittadina. 
Inizialmente il bue fu considerato un'opera di età romana che commemorava un simbolo sannita, e così fu fatto incidere sul piedistallo: BVBALVM / INTER PLVRIMAS VRBIS DEVASTATIONES / ASSERVATVM / BELLICAE SAMNITVM FORTVNAE / MONVMENTVM / A. D. M.DC.XXIX. Però nel XIX secolo Émile Étienne Guimet, viaggiatore e collezionista, suggerì che si trattasse di una rappresentazione del dio Apis (e quindi, in particolare, sarebbe un toro, non un bue). 
L'egittologo Hans Wolfgang Müller esaminò tale scultura e in particolare la sua possibile relazione con il tempio di Iside che sorgeva in città. Notò la rozzezza dell'esecuzione, che deve comunque essere egizia a giudicare dalla postura composta e frontale; quanto all'identificazione con Apis, però, l'egittologo notò l'assenza di quasi tutti i tratti tipici dell'iconografia del dio. Non vi è traccia delle corna con disco solare che dovevano sormontare il capo, non sono stati scolpiti i genitali, e le zampe anteriori sono allineate, diversamente dall'uso egizio di rappresentare quella sinistra avanzata.
A suo parere, non ci sono quindi elementi decisivi per asserire che il bue beneventano è veramente Apis. Si può ipotizzare che la scultura sia stata realizzata in un periodo tardo (non prima della fine del II secolo) in cui l'arte egizia, ormai in decadenza, non era più in grado di conservare le iconografie tradizionali. 
Il ritrovamento della statua in un luogo isolato e lontano dal centro urbano di Benevento è stato spiegato ipotizzando che essa sia stata lì trasportata per proseguire il culto della divinità egizia clandestinamente, mentre la diffusione del cristianesimo stava eradicando i culti pagani dalla città. Inoltre, ciò può avere un nesso con il motivo per cui la zona del ritrovamento è una di quelle in cui la tradizione pone il sabba delle streghe riunitesi a Benevento. 


Campania - Benevento, Obelischi egizi

 

Gli obelischi egizi di Benevento sono due monumenti realizzati sotto l'imperatore romano Domiziano per essere eretti, fra l'88 e l'89 d.C., ai due lati dell'ingresso del nuovo tempio di Iside della colonia di Beneventum. Le loro iscrizioni in geroglifici sono l'attestazione più esplicita dell'esistenza di tale tempio che sia giunta ai giorni nostri.
Le notizie sul più noto dei due obelischi (foto a sinistra) iniziano nel 1597, durante il pontificato di papa Clemente VIII e il vescovato di Massimiliano Palombara: in tale anno, esso fu posto davanti al duomo di Benevento, coronato con una palla di bronzo con una croce e dedicato alla Vergine. Rimosso nel 1867 in occasione dell'allargamento del corso Garibaldi, nel 1872 fu riposizionato nella piccola piazza Emilio Papiniano, ove si trova tuttora, installato sopra un piedistallo recante un'iscrizione in latino e greco. Nel 1892 fu rinvenuto nei giardini di palazzo De Simone un ulteriore frammento di obelisco: l'archeologo Almerico Meomartini lo riconobbe come parte alta del monumento di piazza Papiniano, con la quale risultavano complete le sue iscrizioni.
L'altro obelisco è identico al primo per materiale, forme e iscrizioni, ma si conserva solo per circa due terzi della sua altezza. Esso rimase a lungo nel cortile del palazzo arcivescovile, e lo stesso Meomartini alla fine del XIX secolo lo fece trasportare nel Museo del Sannio. Oggi è esposto nell'ala del museo dedicata al tempio di Iside, distaccata presso il Museo d'arte contemporanea Sannio (foto in basso). Secondo la testimonianza dello storico beneventano Enrico Isernia, un'altra parte di tale obelisco fu recuperata dal crollo della basilica di San Bartolomeo e murata nel nuovo edificio.
Gli obelischi sono in granito rosso e la loro altezza totale era di poco più di 3 m. Il corpo principale di entrambi si appoggia su una base a forma di tronco di piramide, più spessa. Le iscrizioni si estendono su tutte le quattro facce dei monumenti.
A Benevento è stato trovato anche un frammento di un ulteriore piccolo obelisco tardo (II-IV secolo d.C.), coperto da geroglifici di fantasia a puro scopo decorativo.
Le iscrizioni degli obelischi di Benevento sono state tradotte da più studiosi; le versioni riprese più comunemente sono quelle dell'egittologo tedesco Adolf Erman e del collega italiano Ernesto Schiaparelli, entrambe pubblicate nel 1893 allorché uno dei due obelischi poté essere letto per intero. Di seguito la versione italiana della traduzione di Erman:
«I. «Horus, il forte giovane che conquista con potenza, l'aureo Horus «ricco di anni», forte in vittoria, re dell'Alto e del Basso Egitto, Autokrator Kaisaros, figlio di Re, Domiziano, che viva eternamente. Portato dal Regno e dalle terre straniere dei nemici alla sua residenza, la capitale Roma».
II. «La grande Iside, la Madre del Dio, Sothis, signora delle stelle, signora del cielo, della terra e del mondo sotterraneo. Egli innalzò un obelisco di granito per (lei) e per gli dei della sua città di Benevento, per la salvezza e il ritorno in patria del Signore dei Due Paesi, Domiziano, che viva eternamente. Il suo bel nome (è) Lucilio ..... (?). Che gli venga data una lunga vita con gioia».
III. «Nell'anno ottavo sotto la maestà del «forte toro», re dell'Alto e del Basso Egitto, signore di due paesi, «figlio del signore della vita, amato da tutti gli dei», figlio di Re, signore delle corone, Domiziano, che viva eternamente. Uno splendido palazzo venne costruito per la Grande Iside, signora di Benevento, e per le divinità paredre. Un obelisco di granito venne eretto da Lucilio ..... (?) per la salvezza e prosperità del Signore dei Due Paesi».
IV. «La Grande Iside, Madre degli dei, occhio del sole, signora del cielo e signora di tutti gli dei. Questo monumento fece (egli) a lei e agli altri dei della sua città di Benevento per la salvezza e il ritorno in patria del figlio di Re, signore delle corone, Domiziano, che viva eternamente. Il suo nome Lucilio ..... (?). Gli venga data gioia, vita, salvezza, salute!». (Riportato in Müller, p. 14)

La sintassi molto indiretta e alcuni altri dettagli lasciano ritenere che l'iscrizione geroglifica, benché opera di scribi egiziani, sia frutto della traduzione di un testo in greco, magari redatto in ambiente alessandrino. Del testo è opportuno sottolineare gli attributi che divinizzano esplicitamente Domiziano, accostandolo ad un faraone, ancor più che sull'obelisco dell'Iseo Campense eretto pochi anni prima; l'ampio ventaglio di sfaccettature con cui viene descritta la stessa dea Iside, a testimonianza del fenomeno per cui tendeva ad assimilare i caratteri di molte divinità diverse; e il fatto che ci si riferisca a lei come «signora di Benevento», lasciando intendere che quello di Iside era, già prima dell'intervento di Domiziano, un culto molto sentito in città.
Non è chiaro come debba essere il letto il nome di colui che fece erigere gli obelischi auspicando la salvezza di Domiziano che, presumibilmente, in quel periodo era impegnato nella campagna di Dacia o nel sedare la ribellione di Lucio Antonio Saturnino, governatore della Germania Superior. Inizialmente, nell'opera di Jean-François Champollion e di Luigi Maria Ungarelli, tale nome è stato letto come Lucilio Rufo; tuttavia, è più probabile che sia avvenuta qualche alterazione durante la traslitterazione del nome del personaggio, che si sarebbe chiamato Rutilio Lupo.
In effetti la presenza, e anzi la concentrazione, della gens Rutilia a Benevento risulta da più iscrizioni, compresa una fatta incidere proprio da un Rutilio Lupo. Si è suggerito che colui che commissionò gli obelischi fosse Marco Rutilio Lupo, un legatus della legione XIII Gemina, oppure un omonimo personaggio che fu prima prefetto dell'annona (fra il 103 e il 111) e poi prefetto d'Egitto (113-117, sotto Traiano). È plausibile comunque che fosse un beneventano abbiente o potente, tanto da poter far arrivare i due obelischi dall'Egitto.


Campania - Benevento, Arco di Traiano

 

L'arco di Traiano di Benevento è un arco celebrativo dedicato all'imperatore Traiano in occasione dell'apertura della via Traiana, una variante della via Appia che accorciava il cammino tra Roma e Brindisi. Il monumento, giuntoci sostanzialmente integro, compresi i numerosi rilievi scultorei che ne decorano le superfici, risulta essere l'arco trionfale romano con rilievi meglio conservato al mondo.
L'arco fu costruito tra il 114 e il 117 d.C. In epoca longobarda l'arco venne inglobato nel lato settentrionale della cinta muraria e prese il nome di 'Porta Aurea'; lì accanto sorse la chiesa di Sant'Ilario (in cui ora è stato allestito il videomuseo dell'arco). Nel Rinascimento, fu studiato da Sebastiano Serlio. Subì diversi restauri in seguito ai danni del tempo e dei terremoti: sotto Urbano VIII, poi nel 1661, nel 1713 e nel 1792. In particolare nel 1713, quando l'arco era utilizzato ancora come porta cittadina, si sgretolò e cadde l'architrave di marmo che serviva da battente alla porta; il consiglio cittadino allora deliberò la spesa di 212 ducati per il restauro. La licenza per spendere tale somma fu concessa il 1º dicembre dello stesso anno.
Negli anni 1750, in occasione di una visita di Carlo di Borbone alla città, l'arco fu ritratto in un dipinto del vedutista Antonio Joli, oggi conservato alla Reggia di Caserta. Nel 1850, in occasione di una visita di papa Pio IX, per suo ordine, l'arco venne isolato abbattendo le case che vi si erano addossate. Oggi è posizionato al termine della breve via Traiano, accessibile dalla principale strada del centro storico, corso Garibaldi. È stato restaurato e parzialmente isolato dal traffico cittadino.
Si tratta di un arco a un solo fornice (o volta), alto 15,14 m e largo 14,92 m. Su ogni facciata quattro semicolonne, disposte agli angoli dei piloni, sorreggono una trabeazione, che sporge al di sopra del fornice. Oltre gli architravi, al di sopra del fornice si trova un attico, anch'esso più sporgente nella parte centrale, che presenta all'interno un vano coperto da una volta a botte.
È costruito in blocchi di pietra calcarea, rivestiti da opera quadrata in blocchi di marmo pario.
L'arco presenta una ricca decorazione scultorea sulle due facciate principali, con scene che si riferiscono alla pace e alle provvidenze verso i cittadini sul lato interno, rivolto verso la città, e alla guerra e alle provvidenze dell'imperatore verso le province sul lato esterno.
L'attico presenta al centro un'iscrizione dedicatoria e ai lati due pannelli a bassorilievo: sul lato esterno, il pannello di sinistra, non interamente conservato, rappresentava L'omaggio delle divinità agresti provinciali, e quello di destra la Deduzione di colonie provinciali; sul lato interno, a sinistra era Traiano accolto dalla Triade capitolina e a destra Traiano nel Foro Boario (luogo tradizionale per l'annona populi Romani).
Il fregio figurato della trabeazione sorretta dalle colonne raffigura la processione del trionfo di Traiano sulla Dacia, come di consueto realizzato ad altissimo rilievo.
Su ciascuno dei piloni, tra le semicolonne angolari, altri due pannelli, posti l'uno sull'altro, più stretti di quelli presenti sull'attico, raffigurano ancora scene e allegorie delle attività imperiali; i pannelli sono separati da rilievi decorativi più bassi con Vittorie tauroctone (Vittorie nell'atto di sacrificare tori) al centro e Amazzoni in alto.
I rilievi sui piloni non sono di livello artistico altissimo, per via di un certo appesantimento delle figure e una certa banalità nella loro impostazione e rendimento scultoreo.
Più notevoli invece sono i rilievi all'interno del fornice, soprattutto grazie alla ricerca di una composizione adeguata per le scene molto affollate, dove si evita con sapienza la monotonia e il sovraccarico. Nonostante ciò non si può dire che in questi rilievi si abbia un senso compiuto dello spazio e dell'atmosfera come nei rilievi dell'arco di Tito (90 circa).
Sono però visibili rapporti abbastanza evidenti con fregio traianeo dell'Arco di Costantino, per cui è stata avanzata l'ipotesi di un'attribuzione, almeno per questi due pannelli, all'officina romana del "Maestro delle Imprese di Traiano", autore della Colonna Traiana.


Campania - Museo civico archeologico Biagio Greco di Mondragone

 
Il Museo civico archeologico Biagio Greco di Mondragone in provincia di Caserta, inaugurato il 20 ottobre del 2000, e riconosciuto Museo d'Interesse Regionale della Campania nel 2007, espone i materiali rinvenuti nel territorio limitrofo durante le campagne di scavo effettuate nel territorio di Mondragone, organizzati cronologicamente dalla Preistoria al Medioevo.
Il Museo Civico Archeologico di Mondragone conserva una raccolta di reperti archeologici, che si riferiscono ad un arco temporale che va dall’età preistorica al medioevo. Questa collezione è organizzata in quattro sale espositive:
- La prima sala espone reperti Preistorici, riferibili al Paleolitico superiore (34.000 e 27.000 anni fa); tra i reperti, anche materiali utilizzati per la lavorazione della pietra, come lame e lamelle;
- La seconda sala, al piano superiore, espone reperti Protostorici attribuiti all'antico popolo degli Aurunci; tra questi, statue votive ed oggetti di uso quotidiano;
- La terza sala, al piano terra, espone reperti di epoca romana, collegati, tra l'altro, alla produzione vinicola: il territorio infatti all'epoca, era famoso per la produzione del Falerno, uno dei vini più apprezzato dai romani;
- La quarta sala invece, sita al piano terra e detta anche "Sala Grande", espone i reperti di epoca medievale, rinvenuti nel villaggio medievale di Montis Dragonis. Al centro si trova un enorme plastico che raffigura, allo stato attuale, il Castello, i villaggi e le cinte murarie della Rocca.
Il percorso espositivo è dotato, altresì, di pannelli didattici esplicativi sulle informazioni dei materiali esposti e sui vari siti archeologici di provenienza.
Nel museo è presente una copia della Venere di Sinuessa in marmo nero