domenica 6 aprile 2025

KERAMOS - Forme ceramiche greche: X, Psykter

 
Lo psyktèr (ψυκτήρ, plurale ψυκτῆρες, psyktḕres) è un tipo di vaso greco caratterizzato da un corpo bulboso posizionato sopra un piede alto e stretto che veniva usato per refrigerare il vino. Il nome è antico, derivato dalla funzione del vaso e applicato a ogni tipologia vascolare similmente utilizzata. Sembra essere stato inventato verso la fine del VI secolo a.C., nel periodo di formazione dello stile a figure rosse. Uno dei più antichi psyktèr conosciuti reca la firma del vasaio Nicostene, e se ne hanno esempi fino alla metà del V secolo a.C.
La forma particolare consentiva al vaso di galleggiare all'interno del cratere riempito di liquido o di reggersi autonomamente sul proprio piede. Esistono rappresentazioni dipinte che mostrano questo vaso immerso in crateri (ad esempio l'oinochoe al Museo archeologico nazionale di Atene 1045) e la decorazione degli psyktèr sembra essere eseguita in funzione dell'utilizzo del vaso che ne avrebbe consentito la vista solo per metà (il piede e una striscia nella parte inferiore del corpo sono di colore uniforme).
Non è chiaro se fosse lo psyktèr a contenere il vino e il cratere ghiaccio, neve o acqua fredda, o viceversa. Esistono esemplari di vasi aventi la stessa funzione che, in luogo dell'utilizzo di due vasi, sono dotati di una propria camera interna e possono avere una conformazione simile al cratere o simile all'anfora (prevalentemente a collo distinto).

KERAMOS - Forme ceramiche greche: IX, Loutrophòros 

 
La loutrophòros (greco antico: λουτροφόρος; etimologia greca: λουτρόν/loutròn e φέρω/pherō, tradotto in italiano: "acqua del bagno" e "portare") è un vaso greco antico in ceramica, di forma allungata, caratterizzato da un collo alto, generalmente della stessa misura della pancia, e da due anse impostate sulla spalla e appena sotto l'orlo. La loutrophoros è una forma vascolare ben attestata, restituitaci da numerosi siti archeologici del mediterraneo interessato dalla colonizzazione greca.
La loutrophoros è presente ad Atene dal tardo VIII secolo a.C. (come dimostrano le decorazioni in stile geometrico) e perdura sino al compimento dell'età ellenistica; acquisisce particolare rilevanza nell'area magno-greca dove a livello artistico si assiste ad un'evoluzione della forma vascolare che interessa soprattutto le anse, sempre più elaborate e barocche, e in generale la forma del vaso, più longilinea e slanciata.
Durante il primo periodo delle figure nere venne utilizzata come segnacolo tombale e per questa ragione alcuni esemplari si presentano privi di fondo. Nel V secolo a.C. venne impiegata principalmente per conservare l'acqua lustrale, acqua purificata destinata ad uso rituale, per la pulizia del corpo prima del matrimonio, o per la pulizia del corpo delle donne decedute ancora nubili. 
Le decorazioni della loutrophoros frequentemente sono connesse a queste destinazioni e rappresentano processioni o altri dettagli relativi alla preparazione della cerimonia nuziale, lamentazioni ed esposizioni dei defunti.
Il nome utilizzato per designare questa forma sembra essere ben attestato dalle fonti letterarie, dalle rappresentazioni vascolari e dai soggetti prevalentemente rappresentati sui vasi stessi.
Ne esisteva una variante a forma di hydria che presentava una terza ansa sul retro del vaso.








Nelle foto, dall'alto:
- Loutrophoros protoattica del Pittore di Analato, 680 a.C. circa, Louvre
- Loutrophoros attica a figure nere, Atene 510-500 a.C., Antikensammlung Berlin/Altes Museum

KERAMOS - Forme ceramiche greche: VIII, Exaleiptron


L'exaleiptron è una forma vascolare in uso nella Grecia antica; comparve a partire dal VI secolo a.C., destinata a contenere liquidi profumati, per uso sia personale, sia rituale. 
La coppa, priva di anse, su piede più o meno alto, era dotata di orlo ripiegato verso l'interno (caratteristica distintiva per questa forma ceramica) per impedire la fuoriuscita dei liquidi contenuti. Poteva essere dotato di un coperchio con impugnatura al centro; durante il VI secolo a.C. è frequente la presenza di un sostegno costituito da tre piedi a lastra più o meno larga, mentre più tardi prevale il piede unico e svasato. Numerose rappresentazioni vascolari mostrano l'exaleiptron in scene che evocano l'universo femminile o cerimoniale. Il termine è quello impiegato anticamente, mentre plemochoe è usato come sinonimo solo in epoca moderna.

KERAMOS - Forme ceramiche greche: VII, Hydria

 
L'hydria (in greco antico: ὑδρία, hydría) è un vaso greco utilizzato principalmente per trasportare acqua, ma anche come urna cineraria o come contenitore per le votazioni. Ha il collo distinto dal corpo e tre manici: i due orizzontali, posti a 180° l'uno dall'altro dove il corpo è più largo, servivano per il sollevamento e il trasporto del recipiente; il terzo è verticale, si trova fra collo e corpo, a 90° dagli agli altri due serviva per versare l'acqua. Diffusa tra i ceramografi a figure nere e a figure rosse con le sue ampie pareti divenne ottimo supporto per rappresentazioni mitologiche che spesso in ambito greco riflettevano obblighi morali e sociali; allo stesso modo sono frequenti le scene tratte dalla vita quotidiana spesso connesse al tema della raccolta dell'acqua e delle fontane pubbliche.
La forma sembra essere originaria di Creta e se ne conoscono esemplari al di fuori dell'isola a partire dalla fine dell'VIII secolo a.C. La forma più antica aveva corpo globulare, spalla tonda e collo svasato e sembra essere stata importata in Attica da Corinto all'inizio del VI secolo a.C. In Attica alla metà del secolo viene rimodellata e dotata di una spalla piatta, come avviene nello stesso periodo per l'anfora. Alla fine del VI secolo a.C. si diffonde tra i ceramografi a figure rosse una variante con collo più stretto e profilo continuo che viene chiamata kalpis. L'hydria tende ad assumere una forma più stretta e allungata nel IV secolo a.C. Una versione con collo distinto si ha in epoca ellenistica nella ceramica di Hadra.
Il termine usato per designare questa forma vascolare è ben attestato dalle fonti (ad esempio sul vaso François, nella scena dell'agguato a Troilo), così come il termine kalpis.
Verso la metà del V secolo a.C., sono state create da artigiani greci hydriai di bronzo, alcune delle quali decorate con figure molto dettagliate.


KERAMOS - Forme ceramiche greche: VI, Kyathos

 
Il kyathos (greco antico - mestolone; pl. kyathoi) è il nome dato nella moderna terminologia ad un antico vaso greco dipinto dotato di una cavità alta, rotonda, lievemente affusolata e un singolo manico ad anello, lungo e piatto. Un parallelo moderno potrebbe essere il mestolo, il kyathos infatti veniva usato come attingitoio. I primi esempi conosciuti sono stati prodotti verso il 530 a.C. nella bottega di Nikosthenes sull'esempio di forme simili in bucchero etrusco e forse da originali in bronzo, come sembra suggerire il manico, decisamente incongruo rispetto alle normali forme di terracotta. Lo si trova ancora nella prima metà del V secolo a.C. divenendo molto raro nel periodo successivo e restando tipico del periodo maturo e tardo delle figure nere.

KERAMOS - Forme ceramiche greche: V, Kántharos

 

Il cantaro o kántharos (pl. kántharoi) dal greco κάνθαρος (latino cantharus), era una coppa per bere diffusa in ambito greco ed etrusco.
Il termine deriva da fonti antiche le quali tuttavia non permettono di individuare con certezza a quale forma venisse attribuito; Ateneo di Naucrati (11.473d) ne ricorda il piede ampio e lo stelo sottile. Per convenzione in età moderna si applica ad una coppa che, nella sua forma più tipica e diffusa, è caratterizzata da due alte anse verticali, che si estendono in altezza oltre l'orlo incurvandosi verso di esso, un invaso profondo, leggermente distinto in una parte superiore e una inferiore, quest'ultima distinta dallo stelo da una modanatura ad anello, con un diametro che mediamente misura tra i 10 e i 15 cm. È ricorrente nelle rappresentazioni vascolari, e spesso come attributo di Dioniso.
Negli esemplari di età protogeometrica le anse sono basse e si alzano a partire dal periodo geometrico; durante il protoattico si diffonde una versione con corpo più stretto e orlo più alto. Il kantharos era particolarmente diffuso nella ceramica etrusca in bucchero dalla fine del VII secolo a.C., dove vengono enfatizzati l'orlo e il piede; questa versione, che corrisponde alla forma tipica, si diffonde nel VI secolo a.C. in Attica e in Beozia. L'ultima evoluzione del kantharos è quella che si trova nella ceramica apula a figure rosse e nella ceramica greca a vernice nera del IV e III secolo a.C.
Parallelamente alla forma principale si sviluppano altre tipologie con anse che si mantengono all'altezza dell'orlo, pareti concave, piede basso, con o senza stelo, profilo continuo, o assenza di orlo, con una sola ansa; non mancano i kantharoi plastici, con protomi umane e gianiformi.
Fu usato, insieme ad altre forme, come lampada pensile nelle chiese in epoca medievale.


Nelle foto, dall'alto:
- Kantharos plastico gianiforme.
- Kantharos attico, (dalla Beozia), ca. 715–700 a.C. (periodo tardo geometrico). Louvre, CA1987.
- Kantharos a figure nere (dalla Beozia) ca. 560 a.C. Louvre

KERAMOS - Forme ceramiche greche: IV, Kernos

 


Il kernos (in greco antico κέρνος o κέρχνος, al plurale kernoi) è una forma vascolare in uso nella Grecia antica. È costituito da un vassoio o un anello in ceramica, pietra o metallo, al quale sono collegati contenitori più piccoli a forma di skyphos, uniti al vassoio solitamente tramite fori praticati sul fondo, e destinati allo svolgimento delle offerte. Nel mondo classico il kernos era usato principalmente nei rituali cerimoniali legati al culto di Rea, Demetra, Persefone e Cibele, durante lo svolgimento dei quali esso veniva retto e portato sopra la testa dai fedeli in una processione chiamata kernophoria, destinata alla consacrazione del contenuto del kernos alle dee che governavano la terra.
Il termine è talvolta applicato a simili forme vascolari composte, appartenenti ad altre aree culturali del Mediterraneo e del Vicino Oriente.
Ateneo di Naucrati  fornisce una descrizione dell'oggetto rituale che egli chiama kernos, dal punto di vista formale e funzionale: si trattava di un vaso di terracotta al quale erano collegate molte piccole coppe, le quali potevano contenere salvia, papavero bianco, grano, orzo, piselli, lenticchie, fagioli, riso, avena, una torta di frutta, miele, olio, vino, latte e lana di pecora non lavata. La fonte di Ateneo era un trattato sulle pratiche cultuali eleusine scritto da Polemone di Ilio, un erudito periegeta di età ellenistica.
I primi kernoi, fino ad allora conosciuti solo attraverso le testimonianze letterarie, vennero scoperti ad Eleusi nel 1885, e nel 1895 venne ritrovato il pinax di Niinnion che ne confermò il riconoscimento e che reca la rappresentazione della kernophoria.
La forma tipica dei kernoi eleusini, trovati ad Eleusi e presso l'Eleusinion dell'agorà di Atene e datati prevalentemente al IV secolo a.C., presenta una base conica sormontata da un elemento crateroide dotato di una larga imboccatura, sotto la quale si trova una sezione orizzontale dotata di forature, e alla quale si collegano due anse. Le varianti alla forma base riguardano il numero delle coppette collegate, la loro grandezza, appartenenza al corpo stesso del vaso o loro totale assenza (tale è il kernos rappresentato sul pinax di Niinnion). L'assenza delle piccole coppe si spiega, secondo Pollitt, se si considerano questi esemplari come oggetti votivi e non espressamente rituali.
Le tracce di decorazione conservate sono scarse, in gran parte limitate alla pittura bianca. Su alcuni kernoi di Eleusi è rimasta traccia di doratura, tramite foglia d'oro. Alcuni frammenti mostrano schemi decorativi semplici e ghirlande.
Esemplari datati dalla prima età del bronzo, che corrispondono alla forma del kernos, provenienti da contesti prevalentemente tombali e quindi connessi a cerimonie funerarie più che religiose, sono stati trovati in Grecia, in Italia, a Cipro e nel Vicino Oriente. Per questi vasi, che sembrano non avere alcuna relazione con i kernoi eleusini, il termine kernos viene mantenuto per ragioni tecniche, in assenza di altra terminologia antica e documentata. Possono essere suddivisi in tre tipologie: un tipo a tavola dove le piccole coppe si trovano collegate ad un supporto piano, il tipo a stelo in cui i contenitori circondano un contenitore centrale conico o cilindrico, un tipo ad anello in cui i contenitori sono collegati ad una base a ruota. 
L'unico elemento formale che unisce tra loro questi esemplari è la presenza dei piccoli ricettacoli, i quali tuttavia variano notevolmente nella forma e nella dimensione senza mostrare alcuna traccia di sviluppo consequenziale. In epoca arcaica sopravvivono il tipo a stelo, documentato a Creta, e il tipo ad anello, maggiormente diffuso (Rodi, Samo, Gela). W. Deonna ne ha ipotizzato una derivazione dalla tavola per le offerte usata nelle tombe egiziane.
 

 
Nelle foto, dall'alto:
- Kernos funerario da Melos (2000 a.C. circa). Parigi, Louvre, Sevres 3552.
- Kernos dell'isola di Milo databile tra il 2300 e il 2100 a.C.
- Kernos a vernice nera da Teano(CE), 310-290 a.C., Museo Archeologico, Firenze
- Kernos dalle Cicladi, circa 2300-2000 a.C., Musée des Beaux Arts, Lyon
- Kernos in ceramica da Syros, 2800-2300 a.C., Museo Archeologico Nazionale di Atene




KERAMOS - Forme ceramiche greche: III, Lagynos

 
Il lagynos (pl. lagynoi) era una brocca in uso presso antichi greci e romani per servire il vino; era particolarmente diffusa nel periodo ellenistico, tra il III e il I secolo a.C., ed era una forma tipica della Grecia orientale. In epoca romana il termine continuò ad essere utilizzato e venne applicato ad esemplari di forma simile.
Le fonti antiche, dal IV secolo a.C. in avanti, descrivono il lagynos come una brocca da vino che presenta collo alto e stretto, corpo largo con ampia spalla e un'unica ansa verticale che si imposta tra la spalla e il limite inferiore dell'orlo; si distingueva per un tipico gorgoglio che si produceva nell'atto del versare. Veniva usato nel simposio, spesso portato dal simposiasta come contributo al banchetto. Viene descritto anche come unità di misura corrispondente a dodici kotylai; ne esistono infatti esemplari non decorati, utilizzati per il trasporto e il commercio, recanti stampi di fabbrica, come era in uso per le anfore.
Il profilo del corpo si presentava più frequentemente angolare piuttosto che arrotondato. Tra gli esemplari decorati, più piccoli rispetto a quelli utilizzati nel trasporto e commercio, sono particolarmente noti e diffusi quelli a fondo chiaro, di epoca ellenistica. La tipica decorazione si presenta concentrata sulla spalla e gli ornamenti più comuni sono ghirlande, festoni e raggi, ma possono trovarvisi anche piccoli oggetti, strumenti musicali e delfini. Alcune zone sono sottolineate da fasce colorate, come il piede, l'orlo, l'unione tra spalla e ventre e tra collo e spalla.







Nelle foto, dall'alto:
Lagynos. Parigi, Museo del Louvre M149
Lagynos, tardo ellenico/primo romano, da Epidauro, II-I sec. a.C., Museo Archeologico di Nafplion

Forme ceramiche greche: II, Oinochoe

 

L'oinochoe (in greco antico οἰνοχόη oinokhòē, da οἶνος òinos "vino" e χέω khèō "versare") è un vaso simile alla brocca, utilizzato per versare il vino o l'acqua. 
Utilizzata già in età prellenica, se ne conoscono esemplari sia in metallo sia in terracotta e nella grande varietà di forme che questo vaso ha assunto, attraversando il geometrico e l'orientalizzante, per giungere alle figure nere attiche e al termine delle figure rosse.
L'oinochoe è caratterizzata da corpo ovale, più o meno allungato, con ansa unica, ed ha un'altezza variabile dai 20 ai 40 cm.
Per gli esemplari di manifattura ateniese John Beazley ne ha descritti dieci tipi che vengono indicati con i rispettivi numeri:
  1. orlo trilobato, collo distinto e corpo ovoidale; tra le forme più diffuse, decorata a figure nere e a figure rosse;
  2. orlo trilobato, collo distinto e corpo globulare; tra le forme più diffuse, decorata a figure nere e a figure rosse;
  3. è il tipo chiamato χοῦς chūs (pl. χόες chòes) dotata di orlo trilobato, corpo globulare e a profilo continuo. La decorazione tipica è a figure rosse e la forma è associata alla celebrazione delle Antesterie, festa ateniese in onore di Dioniso. Versioni in
    miniatura recanti rappresentazioni legate all'infanzia erano forse doni offerti ai fanciulli durante la festa, o doni depositati presso le sepolture di infanti;
  4. simile alla forma 2 con collo distinto e corpo ovoidale, ma con orlo circolare;
  5. tra le più diffuse è la forma detta olpe, un termine antico, ma non strettamente associato a questa forma. Ha corpo snello e profilo continuo; l'orlo è circolare negli esemplari standard, ma esistono eccezioni negli esemplari più antichi, e l'ansa lo sovrasta;
  6. orlo con beccuccio stretto e lungo, collo e parte superiore del corpo curvano verso l'esterno, la parte inferiore è costituita da
    pareti verticali o rastremate verso l'interno; decorato sulla parte superiore del corpo, appartiene al periodo a figure rosse;
  7. orlo con ampio beccuccio esteso verso l'alto, collo distinto e corpo ovoidale, prevalentemente decorato a figure rosse;
  8. è simile alla moderna tazza a pareti verticali, ma poteva essere dotata di una o due anse. Veniva usata come unità di misura, come coppa o per attingere il vino e servirlo;
  9. orlo circolare, corpo globulare e profilo continuo, se ne conoscono esemplari datati alla metà del V secolo a.C. e decorati a figure rosse;
  10. orlo con beccuccio stretto e lungo, collo distinto e corpo ovoidale.

Nelle foto, dall'alto in basso:
- Oinochoe a labbro trilobato, v. 625 600 a.C., Museo del Louvre
- Oinochoe geometrica (750 a.C. Circa), Museo del Louvre
- Oinochoe corinzia (630 a.C.),BC_Staatliche_Antikensammlungen
- Oinochoe a figure nere (520 a.C. Circa), Museo del Louvre  

KERAMOS - Forme ceramiche greche: I, Lèbes gamikòs

Il lèbes gamikòs, o "lebes nuziale", (plurale - lèbetes gamikòi) è una forma della ceramica greca antica usata nelle cerimonie nuziali (letteralmente, significa vaso da matrimonio). Veniva probabilmente usato per l'aspersione rituale della sposa prima del matrimonio.
Il corpo del vaso era costituito da una coppa profonda, simile ad un piccolo dinos, fortemente segnata all'altezza della spalla, collo distinto (ma non sempre presente) e orlo sporgente; poteva essere dotata di piede o reggersi su un alto piedistallo con il quale formava un oggetto unico. Due alte e diritte anse si impostavano sulla spalla e la coppa era chiusa da un coperchio sormontato da un'alta ed elaborata maniglia. È possibile che si sia sviluppato dal cratere a forma di kotyle (kotyle-krater o skyphos-krater), una tipologia di origine attica diffusa nella seconda metà del VII secolo a.C. La decorazione pittorica, tipicamente riferita a scene nuziali, derivate dalla mitologia o dalla vita quotidiana, rivestiva sia la coppa che il supporto.
Il lebes gamikos compare ad Atene nell'ultimo quarto del VI secolo a.C. dove rimane in produzione fino alla metà del IV secolo a.C.; in Italia continua ad essere prodotto fino alla fine del secolo. Uno dei più antichi esemplari conosciuti proviene da Smirne, è datato al 580-570 a.C. ed è dipinto da Sophilos (o dalla sua bottega), con la rappresentazione della processione per il matrimonio di Elena e Menelao.

Nella foto, Lebes gamikos di Asteas, 340 a.C. ca., Museo Archeologico Nazionale di Spagna.