sabato 5 aprile 2025

Lombardia - Mantova, Busto di Faustina Maggiore

 
Il busto di Faustina Maggiore è una scultura marmorea del III secolo d.C. conservata presso il Palazzo Ducale di Mantova.
Il volto rappresenta Annia Galeria Faustina, nota come Faustina maggiore, moglie dell'imperatore Antnino Pio, madre di Faustina minore, e zia dell'imperatore Marco Aurelio.
La testa ha forme appesantite, gli occhi conservano iridi e pupille, mento sfuggente, bocca piccola e carnosa. Pettinatura con ondulazioni schiacciate sulla fronte e sopra una treccina con due protuberanze a rosetta; dietro varie trecce che si accavallano e formano un turbante sulla sommità. Busto con tunica e mantello raccolto sulla spalla sinistra. Provenienza ignota. Probabilmente apparteneva al Mantegna che la vendette ad Isabella d'Este il 13 gennaio 1506. Sembra riferibile al tipo di Dresda creato forse prima della concessione del titolo di Augusta (147 d.C.). Il busto è probabilmente del III secolo d.C.. Forse al Museo dell'Accademia nel 1774-1775 e con esso trasferito al Palazzo degli Studi nel 1784 (circa). Poi a Palazzo Ducale a seguito della Convenzione del 1915 tra Comune di Mantova e Stato Italiano. scalfitture varie; collo raccordato con un pezzo moderno al busto non pertinente; naso rifatto; testa rilevigata. Busto antico, ma non pertinente, scomposto in parti riattaccate. Supporto modanato con peduccio a volute per delimitare il cartiglio” (dal Catalogo generale dei Beni Culturali)

Lombardia - Santuario di Minerva a Breno

 
Il santuario di Minerva è un'area archeologica corrispondente a un tempio di epoca romana; è situata a Breno (provincia di Brescia) in località Spinera e sorge addossata a uno sperone roccioso sulle rive del fiume Oglio, di fronte a una grotta naturale entro la quale sgorgava una sorgente che si è esaurita alcuni anni fa, a causa dei lavori di costruzione di una superstrada (variante della SS 42).
Il sito era già luogo di culto fin dal V secolo a.C e ospitava un santuario, del quale sono stati rinvenuti alcuni recinti di pietre e un rogo votivo, cioè uno spazio pavimentato che ospitava roghi rituali. A seguito della romanizzazione della Val Camonica, la precedente struttura venne affiancata agli inizi del I secolo d.C. da un tempio romano dedicato alla dea Minerva, che in Età flavia (69-96) fu ristrutturato e ingrandito. Del fatto che i Romani avessero adattato il culto indigeno precedente, scegliendo Minerva come dea più simile agli dei autoctoni, può essere prova il fatto che, contrariamente all'uso tradizionale, la dea non sia affiancata a Giove e Giunone.
Nel IV secolo il processo di cristianizzazione subito dalla valle portò al progressivo abbandono del culto di Minerva e di conseguenza del santuario, che nel secolo successivo fu infine distrutto da un violento incendio. In seguito nelle vicinanze venne costruito un piccolo porticciolo sull'Oglio — fiume che attualmente scorre su un livello inferiore e a breve distanza dal tempio, ma che in epoca romana ne lambiva il cortile — tramite il quale i materiali asportati dal tempio venivano trasportati nei centri vicini per essere riutilizzati: oltre all'approdo, sono stati rinvenuti i resti di una piccola abitazione, nella quale vivevano le persone che traevano il loro sostentamento dalla vendita dei materiali da costruzione estratti dal tempio. Durante il XIII secolo un'alluvione dell'Oglio ricoprì l'area di detriti e il sito fu definitivamente abbandonato.
Con il tempo, l'esistenza del tempio venne dimenticata, anche se il ricordo sopravviveva ancora nei toponimi: nelle vicinanze vi è infatti un "ponte della Minerva" e una chiesa cinquecentesca, dedicata a Santa Maria Vergine, ma che i locali chiamano "chiesa della Minerva").
I resti del tempio vennero riscoperti casualmente nel 1986, durante uno scavo per la posa di condutture pubbliche.
La struttura romana definitiva, costruita accanto a quella indigena, era costituita da una fila di ambienti addossati alla roccia e, ai lati, da due ali porticate che dirigevano verso il fiume delimitando il cortile del tempio. Una breve gradinata consentiva di salire dal cortile al pronao e di accedere alle aule centrali, decorate con pavimenti musivi e affreschi; la sala principale ospitava, in una nicchia sopraelevata, la statua di Minerva, copia romana di una statua greca del V secolo a.C. realizzata in marmo pentelico. Le stanze laterali ospitavano invece fontane e vasche, che esaltavano il legame tra l'acqua e il culto della dea.
La Soprintendenza Archeologia della Lombardia ha condotto scavi che, iniziati subito dopo la scoperta, sono durati fino al 2003 e hanno portato alla luce i pavimenti a mosaico e le mura affrescate (lo strato di detriti depositatosi in seguito all'alluvione ha contribuito a conservare gli affreschi), resti di colonne e are votive. Sono stati trovati anche - sparsi sui pavimenti e all'interno delle vasche - cocci frantumati di contenitori in ceramica, figurine votive in marmo e terracotta, iscrizioni, fibule, monete e gioielli. Nel 1988 è stata rinvenuta anche la statua della dea, priva della testa, delle braccia e di parte delle gambe.
A partire dal 2003 è stato oggetto di un restauro conservativo che, insieme alla posa di una copertura e la realizzazione di percorsi informativi, lo hanno trasformato in un museo, che è stato aperto al pubblico nel 2007. In particolare, per fini illustrativi vi è stata posizionata una copia della statua di Minerva Hygeia, il cui originale è invece esposto al Museo archeologico nazionale della Valle Camonica di Cividate Camuno.

Lombardia - Parco Archeologico del Forcello

 


Il Parco Archeologico del Forcello è un'area archeologica situata nei pressi di Bagnolo San Vito, in provincia di Mantova.
A partire dal 1981, in località Forcello, nelle vicinanze della frazione di San Biagio, furono effettuati degli scavi archeologici che riportarono alla luce reperti risalenti a epoca preromana. I reperti confermarono l'esistenza di un importante abitato del VI-IV secolo a.C. facente parte di quella colonizzazione etrusca, rappresentandone l'unico insediamento a nord del fiume Po. Dopo la distruzione subita a opera del Galli, sorse e si sviluppò la città di Mantova in luogo più facilmente difendibile.
Allo scopo di valorizzare e divulgare i risultati scientifici conseguiti dagli scavi, il comune di Bagnolo San Vito e l'Università degli Studi di Milano promossero l'istituzione del Parco Archeologico del Forcello.


Lombardia - Brescia, Domus dell'Ortaglia

 

Il complesso delle Domus dell'Ortaglia è costituito da un gruppo di antiche domus romane rinvenute negli orti (ortaglia) del monastero di Santa Giulia a Brescia.
Essendo comprese nell'area del monastero, le domus fanno parte del sito seriale UNESCO Longobardi in Italia: i luoghi del potere (568 - 774 d.C.), dichiarato patrimonio dell'umanità nel 2011.
Il sito è tra i complessi residenziali romani meglio conservati del Nord Italia, con lastricati in pietra, ambienti di rappresentanza, privati e di servizio, mosaici pavimentali e affreschi parietali in discreto stato di conservazione.
I vani delle domus che compongono il complesso sono dotati di riscaldamento a parete e a pavimento (ipocausto). La parte principale del complesso è composta da due domus distinte, dette Domus delle fontane e Domus di Dioniso. La ricchezza dei mosaici e delle pitture murali fa ipotizzare che le due abitazioni appartenessero a cittadini influenti. Le domus erano parte della zona residenziale alle pendici terrazzate del colle Cidneo, racchiusa tra l'area monumentale romana, comprendente il foro e il Tempio Capitolino, e le mura romane.
Le domus furono utilizzate tra il I e il IV secolo. In seguito subirono un degrado progressivo e furono abbandonate. Con l'avvento dei Longobardi, la zona residenziale divenne area demaniale regia, e in seguito ortaglia del Monastero di Santa Giulia.
Le domus furono riscoperte, in buono stato di conservazione, tra il 1967 ed il 1971, con ancora il materiale di crollo dei piani superiori che sigillava il pavimento del piano terreno.
Gli interventi di restauro conservativo iniziarono nel 1980 e proseguirono fino al 1992. Nel 2002 vennero completati con l'annessione del monastero al Museo di Santa Giulia. Oggi è possibile ammirarle attraverso un percorso espositivo che consente ai visitatori di passare, senza soluzione di continuità, dai settori archeologici del museo alle domus.
La Domus di Dioniso risale all'incirca al II secolo. Essa prende il nome da una raffigurazione del dio greco Dioniso, inserita in un mosaico nel pavimento del triclinio.
L'abitazione si visita passando attraverso un percorso che si snoda al di sopra dei resti dei pavimenti e dei muri, in cui è possibile vedere gli splendidi pavimenti decorati e le pareti dell'antica abitazione. Le raffigurazioni sulle pareti ritraggono paesaggi, uccelli, pesci e maschere teatrali.
Caratteristica dell'abitazione è un affresco che mostra un ippopotamo con un sacerdote di Iside che solleva un candelabro, tipico esempio di arte di moda nel II secolo a Roma.
Proseguendo la visita si arriva alla Domus delle fontane, che deve il suo nome al ritrovamento di notevoli sistemi idrici di incanalamento dell'acqua, che alimentavano anticamente le fontane.
La casa si snodava attorno al perno centrale, rappresentato dalla corte, e la stanza che si è meglio conservata è il soggiorno, di cui si è riusciti anche a ricostruire l'antico soffitto crollato.
In tutta la domus sono visibili i pavimenti sopraelevati che permettevano la circolazione di aria per regolare la temperatura della casa. I pavimenti sono decorati con colori vivacissimi, come ad esempio la rappresentazione delle quattro stagioni, di cui però è giunta intatta solo l'Estate.
Il pavimento situato nella stanza con volta a botte è realizzato in mosaico e decorato con losanghe, fiori e foglie di acanto.


Lombardia - Parco nazionale delle incisioni rupestri, Valle Camonica

 

Il parco nazionale delle incisioni rupestri si trova a Capo di Ponte, in Valle Camonica, provincia di Brescia.
Dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali lo gestisce tramite il Polo museale della Lombardia, nel dicembre 2019 divenuto Direzione regionale Musei.
Il parco è disposto sul versante di una vasta collina alle pendici del Pizzo Badile Camuno, sul versante orientale della Valle Camonica. È caratterizzato da un vasto corpus 104 rocce incise. Le rocce presenti all'interno del parco sono delle arenarie Permiane. Nella parte centrale fino al 2014 in un'antica casa rurale era presente un "Antiquarium" ed un'esposizione di massi menhir provenienti dai comuni di Borno e Ossimo. Oggi il materiale archeologico e le stele sono conservati al MUPRE, il Museo Nazionale della Preistoria a Capo di Ponte.
L'intero parco è inserito in una cornice
floreale di betulle, frassini, castagni, larici e più di rado abeti.
L'area del parco nazionale delle Incisioni rupestri di Naquane è un museo all'aria aperta contenente una tra le migliori collezioni di arte rupestre della Valle Camonica. Il toponimo "Naquane" che dà il nome all'area è attestato già nell'Ottocento anche nella variante "Nacquane".
Secondo gli studi di Emmanuel Anati su alcune rocce si trovano incisioni rupestri databili al neolitico, anche se la maggior parte delle raffigurazioni si riferiscono all'età del
ferro.
Il parco fu realizzato nel 1955 su volere della sopraintendenza archeologica della Lombardia. Ha una estensione di circa 30 ettari.
Di primaria importanza si segnala la roccia nº 1, la prima scoperta, che rappresenta una enorme superficie levigata sulla quale prendono posto centinaia di raffigurazioni, in particolare di cervi.
Fra le rocce più interessanti si segnala la nº 70 che riporta, secondo alcuni studiosi, la rappresentazione più antica della divinità celtica Cernunnos.
Altre incisioni rupestri degne di nota sono il cosiddetto Sacerdote che corre e la Scena del fabbro, entrambe riportate sulla roccia nº 35.
Per quanto riguarda le figure di influenza greca una delle più importanti, non solo del parco ma di tutta la valle, è certamente quella del cavallo presente sulla roccia 60, definito greco-etrusco dagli storici.


Lombardia - Statue stele di Bagnolo

 
Le statue stele di Bagnolo sono due statue menhir ritrovate nei pressi del monte Mignone a Ceresolo-Bagnolo, nel comune di Malegno in provincia di Brescia.
La prima stele venne scoperta nel 1963. Su questa stele sono scolpiti quattordici oggetti tra i quali un sole, un'ascia, parecchi pugnali di tipo "Remedelliano" una cinghia e uno stambecco.
Nel 1972 venne ritrovata una seconda stele, simile alla precedente, su cui erano rappresentati sedici oggetti, tra cui lo stesso tipo di pugnali e asce della precedente stele, un sole, un cane e un uomo con l'aratro trainato da due buoi; vi erano scolpiti inoltre oggetti interpretabili come collane e ciondoli.
Frammenti di altre statue furono trovati nelle vicinanze di Ossimo e Borno.
Dallo stile dei pugnali osservabili nelle due statue è stato possibile datarle al calcolitico, fra gli inizi e la metà del III millennio a.C., probabilmente sono ascrivibili alle prime popolazioni indoeuropee stabilitesi nella penisola.

Puglia - Lecce, Anfiteatro romano di Lecce

 

L'anfiteatro romano di Lecce è un monumento di epoca romana situato in piazza Sant'Oronzo. Risale all'età augustea.
Dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali lo gestisce tramite il Polo museale della Puglia, nel dicembre 2019 divenuto Direzione regionale Musei.
L'anfiteatro romano, insieme al teatro, è il monumento più espressivo dell'importanza raggiunta da Lupiae
l'antenata romana di Lecce, tra il I e il II secolo d.C. Augusto, ancor prima di diventare imperatore, passò da Lupiae in un momento particolarmente turbolento.Dopo l’uccisione di Giulio Cesare, cercando in qualche modo di sdebitarsi con l’ospitalità ricevuta si ricordò di Lupiae finanziando la costruzione di 2 grandi edifici da spettacolo: l’anfiteatro romano e il teatro romano di Lecce.
La datazione del monumento è ancora oggetto di discussione e oscilla tra l'età augustea e quella traiano-adrianea.
Il monumento venne scoperto durante i lavori di costruzione del palazzo della Banca d'Italia, effettuati nei primi anni del '900. Le operazioni di scavo per riportare alla luce i resti dell'anfiteatro iniziarono quasi subito, grazie alla volontà dell'archeologo salentino Cosimo De Giorgi e si protrassero sino al 1940.
Attualmente è possibile ammirare solo un terzo dell'intera struttura, in quanto il resto rimane ancora nascosto nel sottosuolo di piazza Sant'Oronzo dove si ergono alcuni edifici e la chiesa di Santa Maria della Grazia. Di fatto l'altezza dell'arena originale era ben superiore rispetto a quella odierna.
L'anfiteatro misurava all'esterno 102×83 m, con l'arena di 53×34 m, e poteva contenere circa 25 000 spettatori.
Del monumento, realizzato in parte direttamente nella roccia e in parte costruito su arcate in opera quadrata, rimangono allo scoperto, oltre ad una parte dell'arena ellittica, intorno alla quale si sviluppano le gradinate dell'ordine inferiore, due corridoi anulari, uno che corre sotto le gradinate, l'altro, esterno, porticato, cui appartengono i numerosi e robusti pilastri, sui quali era imposto l'ordine superiore scandito, al pari di altri similari monumenti, dal Colosseo all'Arena di Verona, in una galleria di fornici.
L'arena, nella quale si tengono spettacoli teatrali e rappresentazioni sceniche di autori antichi e moderni, era divisa dalla cavea da un alto muro che era ornato da un parapetto (podium) adorno di rilievi marmorei a bauletto figuranti scene di combattimento tra uomini ed animali. Anche nel muro di divisione tra l'arena e la cavea si aprivano diversi passaggi di comunicazione col corridoio centrale ed un più angusto corridoio, scavato immediatamente dietro l'arena, era adibito ai servizi del monumento.

Puglia - Parco archeologico di Monte Sannace



 Il parco archeologico di Monte Sannace si trova nel territorio comunale di Gioia del Colle, sulla sommità di una collina nota appunto come Monte Sannace, a circa 5 km dalla città. Il sito archeologico ha rivelato i resti di un abitato degli antichi Peuceti risalente al X secolo a.C., di cui si ignora il toponimo originario (si pensa all'antica Thuriae, l'odierna Turi, citata dallo storico romano Tito Livio).
Molti dei reperti sono esposti nel museo archeologico nazionale di Gioia del Colle, situato all'interno del castello normanno-svevo della stessa cittadina.
Come la maggior parte dei centri dell'antica Peucezia, l'abitato di Monte Sannace si localizza la dove vengono soddisfatte le esigenze della popolazione; queste sostanzialmente sono costituite da clima ed esposizione, le possibilità di difesa naturale, la disponibilità di terra coltivabile e la facilità di collegamento con gli altri centri abitativi. Per i Peuceti, quindi, il mare riveste una scarsa attrazione, è piuttosto funzionale alle necessità dei più importanti centri dell'interno.
Ubicato nel centro delle Murge Pugliesi, l'altopiano terrazzato di origine carsica che occupa parte delle attuali provincie di Bari e Taranto, domina la sella di Gioia del Colle ed è posto sullo spartiacque tra Ionio e Adriatico, in posizione strategicamente favorevole. Dall'alto del colle, che si innalza fino a 382 m s.l.m., si domina un vasto territorio, dal mar Adriatico a Nord, alla costa ionica a Sud, fino ai monti della Lucania ad Ovest. Il colle culmina con un altipiano di forma pseudo circolare con fianchi ripidi ed impervi sulla maggior parte dei lati.
La zona attorno al colle era particolarmente idonea alle coltivazioni agricole, favorite da abbondanza di acqua. Esisteva a quei tempi, infatti, un corso d'acqua che, lambendo il lato Nord della collina, sfociava nel mar Adriatico, in prossimità dell'odierno centro di Fasano. Essendo questo anche navigabile, rappresentava una veloce via di collegamento con il mare e gli approdi costieri. Diversi tratturi, inoltre, collegavano Monte Sannace con gli odierni centri di Polignano a Mare e di Mola di Bari, passando per i territori di Conversano e Rutigliano, verso Nord-Est, e con Altamura, Gravina di Puglia, Serra di Vaglio verso Ovest, dai quali poi si raggiungeva il mar Ionio all'altezza di Metaponto.
Oltre alla favorevole posizione geografica, il colle era ricco di una rigogliosa vegetazione, costituita prevalentemente da foreste caducifoglie, di querce e di lecci sempreverdi, con fitta presenza di fauna selvaggia, a differenza dell'attuale paesaggio, modificato dagli insediamenti umani e dalle pratiche agricole (la superficie boschiva è stata molto ridotta). Le caratteristiche del bosco, tuttavia, restano immutate in quanto tipiche dell'ambiente delle Murge: alle specie autoctone della macchia e del sottobosco, si uniscono le colture arboree di mandorli e ulivi coltivati dall'uomo fino a tempi recenti.
Gli scavi
L'importanza archeologica della località era nota fin dal settecento grazie ad alcuni documenti e ritrovamenti fortuiti, perlopiù di tipo clandestino da parte dei contadini della zona.
La prima campagna regolare di scavi archeologici risale solo al 1929, per iniziativa dell'Ente Provinciale per la tutela dei monumenti in Terra di Bari e diretto da Michele Gervasio, allora direttore del Museo barese. Lo scavo porta alla luce alcune sepolture ed un tratto della cinta muraria della città.
Nel 1957 le campagne di scavo assumono una maggiore regolarità sotto la tutela della Soprintendenza alle Antichità della Puglia e del Materano e la direzione di Bianca Maria Scarfì e si protraggono fino al 1961. Questi interessano la zona pianeggiante dell'insediamento e quindi l'area dell'acropoli, portando alla luce la maggior parte dell'abitato situato in pianura, un lungo tratto della seconda cinta difensiva con la porta Nord, numerose tombe e diversi edifici dell'acropoli.
Una nuova campagna di scavi viene avviata nel periodo 1976-1977 sotto la direzione di Ettore M. De Juliis, in concomitanza con l'inizio dell'iter amministrativo per la tutela dell'area, con l'acquisizione di parte di essa al demanio dello Stato. Si portano alla luce ancora abitazioni e tombe nella zona bassa, mentre tra il 1978 e il 1983 si scava nella zona dell'acropoli, rinvenendo una grande casa aristocratica, altre tombe, alcune delle quali monumentali ed affrescate, gran parte di un edificio pubblico e un complesso abitativo di età arcaica. I risultati degli scavi sono pubblicati nel 1989. Il sito archeologico viene aperto al pubblico nel 1977.
A partire dal 1985 gli interventi della Soprintendenza sono mirati perlopiù alla conservazione e alla valorizzazione del sito, quindi con opere di restauro e manutenzione delle strutture antiche e dei luoghi nel loro complesso, nella realizzazione della viabilità interna e delle attrezzature del parco, e nel restauro di un edificio rurale ottocentesco, la masseria Montanaro, situato in prossimità dell'ingresso, adibito a centro di accoglienza dei visitatori e di orientamento alla visita.
Nel 1994 sull'acropoli è stato insediato un campo di attività della Scuola di Specializzazione per archeologi dell'Università di Bari, come campo di attività pratica per gli studenti, volta al rinvenimento di nuovi reperti e alla ulteriore valorizzazione del sito.
Storia dell'insediamento

Le prime tracce di frequentazione del sito risalgono al Neolitico. La prima documentazione che attesti un insediamento vero e proprio risale però al IX secolo a.C., e perdura, con brevi interruzioni, fino al periodo ellenistico-romano (I secolo d.C. circa).
Fino all'VIII secolo a.C.
Nella prima età del Ferro, tra il IX e il VIII secolo a.C., l'abitato consisteva di un agglomerato di capanne in paglia e fango, con pavimenti in argilla, occupante la sommità della collina, oltre ad altri piccoli stanziamenti disseminati nella pianura circostante. Si tratta sostanzialmente di gruppi legati all'attività agricola.
VII-VI secolo a.C.
Tra il VII e il VI secolo a.C., l'abitato situato in cima alla collina comincia a acquisire importanza rispetto a quelli nella pianura, dai quali la popolazione si sposta, ad eccezione dell'abitato di Santo Mola che mantiene la propria autonomia, funzionale all'estrazione del tufo dalle cave presenti in quell'area. L'abitato comincia ad assumere una fisionomia urbana, probabilmente munito di una prima cinta muraria di difesa, che borda la collina. Compaiono complessi abitativi e edifici pubblici con funzione politica e religiosa, mentre vengono avviati i primi rapporti commerciali organizzati tra il mondo peuceta e la Grecia, in particolare con Corinto. Altre case e tombe vengono costruite nella piana ad Ovest, l'abitato ormai assume l'attuale configurazione, articolato in due zone, acropoli e città bassa. Gli edifici sono prevalentemente a pianta rettangolare con fondamenta in pietra, e si arricchiscono in alcuni casi di decorazioni architettoniche policrome. Anche la struttura sociale subisce i cambiamenti provocati dai contatti con l'ellenismo: la società di Monte Sannace, già nel VI secolo a.C., è articolata in differenti classi sociali, come dimostrano le differenti tipologie di tombe appartenenti a questo periodo, e si assiste ad un primo accentramento delle ricchezze e gestione del territorio da parte di pochi ristretti gruppi aristocratici.
V secolo a.C.

La città è interessata da una continua crescita fino al V secolo a.C., quando comincia un periodo di conflittualità, come il resto delle popolazioni della Puglia interna, per mantenere l'indipendenza dalla colonia greca di Taranto. Il periodo di oscurantismo si ripercuote su un decadimento artistico e ridotta quantità di materiale ceramico ascrivibile a questo periodo, con ridottissime importazioni di materiali dalla Grecia.
IV-III secolo a.C.
Tra la seconda metà del IV e il III secolo a.C. la città risorge a nuovi fulgori. Questo è il periodo di maggior splendore e ricchezza: le primitive mura intorno all'acropoli, costituite da blocchi informi di pietra, vengono rinforzati con tufo carparo a perfetta isodomia (1° circuito, lungo 1400 metri), mentre una seconda cerchia viene costruita per cingere città alta e città bassa (2° circuito, lungo 1700 metri); intorno al 300 a.C. viene costruito un terzo circuito di mura (3° circuito, lungo 1300 metri) intorno all'acropoli, ad integrazione delle fortificazioni già esistenti[4] La città si espande ulteriormente occupando gli spazi in pianura adibiti a pascolo inclusi nel 2° circuito di mura e aree all'esterno della cinta difensiva, articolandosi in isolati distribuiti attorno a strade. Con l'espansione dell'abitato, l'acropoli diviene sede di edifici pubblici (un portico colonnato che borda il lato orientale dell’agorà) e di residenze aristocratiche, nonché di tombe monumentali. Inoltre reperti archeologici testimoniano un'ulteriore ellenizzazione della cultura, con la comparsa del bilinguismo, sebbene limitato alle classi più aristocratiche.
Nel corso delle guerre puniche (III secolo a.C.), la città e i pascoli circostanti vengono cinti da un quarto (lungo 3900 metri) ed un quinto circuito di mura (lungo 5500 metri). La tecnica rozza di costruzione suggerisce che probabilmente esse fossero legate a impellenti necessità difensive piuttosto che per fenomeni di espansione edilizia.
La città, verosimilmente, fu distrutta intorno al III secolo a.C., nel momento del suo massimo sviluppo, come testimoniato da reperti archeologici contenenti tracce della fine violenta della città connessa alle spedizioni punitive dei romani contro chi aveva, anche indirettamente, appoggiato le truppe di Cartagine; pare, comunque, che l'abitato di Monte Sannace abbia mantenuto un atteggiamento neutrale nei confronti delle due potenze, non gradito dalle mire egemoniche della Repubblica romana.
Epoche successive
L'acropoli è stata occupata fino al I secolo d.C., mentre l'abitato in pianura perde importanza già dal II a.C.. Nel periodo della romanizzazione l'insediamento di Monte Sannace perde importanza: il territorio (la Peucezia interna) si trova escluso dalle principali arterie potenziate dai Romani. Pochissime tracce testimoniano la presenza di civiltà nel periodo romano. La località viene quindi abbandonata e resta disabitata per secoli. Le ultime tracce di occupazione risalgono al medioevo, quando viene eretta sulla collina una chiesetta dedicata a Sant’Angelo, i cui muri di fondazione sono stati individuati nella zona alta del pianoro. La chiesa citata su un documento del 1087 verrà anch'essa abbandonata.

Nelle foto, dall'alto:
- L'abitato basso
- Dettaglio della decorazione dipinta sulle pareti interne della tomba a semicamera: su fondo blu scuro, una serie di patere alternate a bucrani
- Tomba dipinta
- La strada interna alle mura
- Il muraglione del saggio Gervasio
- Nuova insula
- L'Acropoli

Puglia - Parco archeologico delle Mura messapiche

 




Il parco archeologico delle Mura messapiche si estende per 150 000 m² a nord-est del comune di Manduria, in provincia di Taranto. Al suo interno sono conservati ampi tratti della triplice cerchia di mura che in età messapica circondava la città, la più grande necropoli messapica mai scoperta (circa 2 500 tombe databili dal VI al II secolo a.C.), il Fonte Pliniano (un pozzo alimentato perennemente da una falda acquifera sotterranea), e la chiesa di San Pietro Mandurino, di epoca medievale.
La Manduria del periodo Messapico era circondata da una triplice cerchia muraria (datata tra il V ed il III secolo a.C.), una interna, una esterna ed una disposta tra le prime due. La prima cerchia muraria, quella più interna, fu costruita tra V e IV secolo a.C.; ha un perimetro di 2.187 metri e un diametro di 842 metri. Fu edificata con grossi massi di pietra locale incastrati tra loro (senza quindi l'uso di malta). Prima di questa cerchia muraria vi è un fossato, largo e profondo 4 metri. La cerchia di mura intermedia, costruita nel IV secolo a.C., fu ottenuta interrando il fossato e seguendo lo stesso perimetro della cerchia antica (proprio sotto questa mura fu ucciso il re di Sparta Archidamo, nel 338 a.C.). La cinta esterna risulta essere quella meglio conservata e quella più imponente: costruita con la tecnica dell'opus quadratum, ha un perimetro di 3.382 metri ed un diametro di 1.290 metri. Inoltre raggiunge un'altezza e uno spessore di 5 metri. Anche questa cerchia è preceduta da un fossato, largo 6,50 metri e profondo 5. Quest'ultima cerchia di mura fu costruita intorno al III secolo a.C.
Intorno alle mura vi erano anche delle strade che, attraverso delle porte disposte ad intervalli regolari nelle mura e protette da torrette, mettevano in comunicazione l'interno dell'abitato con l'esterno. Dopo l'assalto della città ad opera di Quinto Fabio Massimo le mura non furono più ricostruite.


All'interno del sito, a ridosso delle mura, è presente la più vasta necropoli messapica mai scoperta. La scoperta e la conseguente tutela della necropoli è avvenuta nel 1932, ad opera di Quintino Quagliati, soprintendente ai beni archeologici della Puglia. Negli anni successivi sono stati condotti nuovi scavi che hanno portato alla luce nuove tombe con all'interno i corredi funebri. Le varie tombe scoperte percorrono un arco temporale che va dal VII al II secolo a.C. Si è notato, inoltre, che le tombe più recenti hanno subito cambiamenti sia della struttura che del tipo di sepoltura del defunto. Tra i vari modelli di tombe, prevalgono quelle del tipo a fossa rettangolare disposte a gruppi, probabilmente in base al ceto sociale: molte di queste sono intonacate e presentano anche tracce di pittura.


Il Fonte Pliniano è tuttora uno dei simboli della città (è rappresentato anche nello stemma cittadino); di epoca quasi certamente messapica, venne descritto da Plinio il Vecchio (da cui successivamente prese il nome) nella sua Naturalis Historia. Si tratta di un pozzo posto all'interno di una grotta naturale di 18 metri di diametro e 8 metri di larghezza raggiungibile scendendo 20 gradini scavati nella roccia. Sulla volta della grotta si apre un lucernario quadrato, una struttura cilindrica dalla quale spunta un albero di mandorlo (secondo la leggenda secolare) dalla quale penetra la luce necessaria ad illuminare l'ambiente. Dal pozzo e dalla vasca adiacente sgorga perennemente acqua proveniente da una falda acquifera sotterranea. Anticamente il Fonte Pliniano era adibito anche a luogo di culto di una divinità messapica.

La Chiesa di San Pietro Mandurino, anch'essa inclusa nel parco archeologico, probabilmente risale all'età ellenistica, epoca in cui era una tomba a camera. Successivamente, tra l'VIII ed il IX secolo fu costruita la cripta sotterranea, adibita al culto bizantino; la chiesa superiore, invece, è datata tra X e XII secolo. In epoca successiva la chiesa fu abbandonata fino al 1724, quando l'allora vescovo di Oria decise di farla restaurare (vi è anche una lapide che lo attesta). La chiesa, orientata in direzione est-ovest, secondo il rito greco, ha due navate e due absidi divise da tre pilastri. Inoltre è divisa in due ambienti da un grande arco centrale. Di questi due ambienti, uno ha una volta a cupola, mentre l'altro è voltato a botte. Lungo le pareti della chiesa e della cripta sottostante sono presenti affreschi raffiguranti santi di difficile datazione (forse di epoca bizantina) a causa dei pesanti rimaneggiamenti del XVIII e XIX secolo. Nel 1972, sotto il pavimento dell'edificio, sono state scoperte alcune tombe di epoca medievale.

Puglia - Taranto, Tempio di Poseidone

 

Il tempio di Poseidone (o Tempio Dorico) è un tempio periptero di ordine dorico situato nella odierna piazza Castello nel centro storico di Taranto. Risulta essere il tempio più antico della Magna Grecia ed è l'unico luogo di culto greco ancora visitabile nel Borgo Antico. l tempio è datato al primo quarto del VI secolo a.C.. Si presuppone che la peristasi dorica sia dovuta ad una fase di espansione successiva alla costruzione della cella in quanto non si riscontrano connessioni costruttive nelle fondazioni con il nucleo più antico. Il tempio ha subito saccheggi già in età postantica e parti del tempio sono stati utilizzati per la costruzione di altri edifici. I ruderi del tempio erano inglobati nella chiesa della SS. Trinità, nel cortile dell'oratorio dei Trinitari, nella casa Mastronuzzi e nel convento dei Celestini. Nel 1700 erano ancora visibili dieci spezzoni di colonne, ma furono rimossi e andarono dispersi durante il rifacimento del convento nel 1729. Verso la fine dell'Ottocento, l'archeologo Luigi Viola ne studiò i resti ed attribuì il tempio al culto di Poseidone, ma esso è più probabilmente da mettere in relazione con le divinità femminili di Artemide, Persefone o Hera. Altri reperti andarono dispersi con la successiva demolizione del convento nel 1926 e della vicina chiesa nel 1973.
Le devastazioni e i saccheggi susseguitesi nell'arco dei secoli, nonché il fenomeno del reimpiego, ha reso impossibile il compito di definire la planimetria esatta del tempio. Le 2 colonne di ordine dorico rimaste a testimonianza dell'antico tempio magno-greco, più una base con 3 tamburi o rocchi, furono realizzate in carparo locale ricavato dalla stessa acropoli, e rappresentano il lato lungo della "peristasis" del tempio, i cui resti sono stati individuati nel chiostro e nelle cantine del Monastero di San Michele, che fa da sfondo ai ruderi al fianco di Palazzo di Città. Sono alte ciascuna 8,47 metri, con un diametro di 2,05 metri e un interasse di 3,72 metri: dall'osservazione dell'area della "peristasis" e dal calcolo del rapporto tra la sua ampiezza e l'interasse, si suppone che il tempio avesse il fronte rivolto verso il canale navigabile, e che fosse costituito da 6 colonne sui lati corti e da 13 sui lati lunghi. Inoltre, sia il profilo del capitello che i "rocchi", molto bassi e sovrapposti senza un perno centrale, fanno risalire i manufatti agli inizi del V secolo a.C.
Tuttavia, la presenza di una piccola fossa vicino alle colonne, nonché le tracce presenti ai bordi della stessa, fanno pensare all'esistenza di una pavimentazione e di un'alzata in legno appartenenti ad un primo edificio di culto, in mattoni crudi e materiale deperibile, costruito alla fine dell'VIII secolo a.C. dai primi coloni spartani. L'area sacra sarebbe stata abbandonata definitivamente alla fine del III secolo a.C., quando la città fu conquistata dai Romani, per poi ritornare ad essere utilizzata nel VI secolo con silos, granai, quando la popolazione si ritirò nella penisola per motivi difensivi. Nel X secolo i resti del tempio avrebbero ospitato un luogo di culto cristiano, mentre dal XIV secolo una parte dell'area fu utilizzata per attività produttive con vasche di decantazione dell'argilla e piccole fornaci.