martedì 18 marzo 2025

#VARIA - Bunte Götter (2003)

 

Bunte Götter, o Dei Colorati, è un'esposizione d'arte prodotta dalla Gliptoteca di Monaco di Baviera nel 2003 e che da allora ha visitato vari musei d'Europa.
La mostra ha visto la collaborazione della Gliptoteca Ny Carlsberg di Copenaghen e dei Musei Vaticani, e ha presentato il risultato di ricerche intorno alla pratica poco divulgata degli antichi Greci di dipingere la superficie delle loro opere di scultura, sia nel complesso, sia soltanto in dettagli. Ciononostante, questa policromia si rovinò con il passare del tempo, e gli antiquari del Rinascimento, periodo in cui si cominciò ad apprezzare nuovamente le opere, non si resero conto della sua esistenza, e si passò a credere che tutta la scultura dell'antica Grecia era stata prodotta con i materiali che apparivano rimasti (ossia soprattutto con la pietra o con il bronzo). Più tardi l'errore fu scoperto, tuttavia si era preferito ignorare l'assunto, poiché per le culture neoclassica e romantica del XVIII e XIX secolo il bianco simboleggiava la purezza e la perfezione che immaginavano di trovare nelle forme scultoree della Grecia antica. Il tema rimase un tabù radicato, tanto che praticamente tutta la produzione scultorea in marmo - il materiale più "nobile" - rimaneva con il suo materiale apparente affinché emulasse meglio le preziose opere dell'antichità.


Rompendo questa tendenza che già si era dimostrata ingannevole, quelle istituzioni hanno prodotto una serie di repliche di statue e rilievi dei periodi arcaico e classico della Grécia al fine di recepire i colori come quelli che si è ritenuto possedessero in origine. Tale iniziativa si è basata su ricerche realizzate da un gruppo di scienziati e dagli archeologi Ulrike e Vinzenz Brinkmann, usando attrezzature di luce ultravioletta, microscopi e altri apparecchi ad alta sensibilità, capaci di scoprire residui di pigmento che ancora rimanevano su molti esemplari della scultura dell'antichità.


Le repliche con i loro colori nuovi (o in realtà antichi) sono state esposte a fianco degli originali antichi, che avevano perso tutto il loro colore durante i secoli, con risultati sorprendenti e affascinanti. L'esposizione ha avuto ampia copertura dai media, e ha contribuito a un processo di rieducazione dell'occhio contemporaneo verso una valutazione più completa e autentica dell'arte greca da quei tempi.

Nelle immagini, dall'alto:
- ricostruzione di parte del fregio del Tesoro di Sifno, nel Santuario di Apollo a Delfi
- ricostruzione del Sarcofago di Alessandro Magno
- testa di sfinge, originale e ricostruzione cromatica



#VARIA - Cista

 

La cista è un recipiente di forma cilindrica e dotato di coperchio, in uso durante l'antichità per contenere oggetti di toletta o di abbigliamento sia maschile che femminile.
Oltre che oggetto di vita quotidiana molto diffuso, ricopriva anche una funzione rituale legata ai culti dionisiaci: era chiamata cista mystica, e veniva utilizzata per contenere i serpenti sacri da impiegare durante i riti per la divinità. La cista, conosciuta fin dall'età preistorica, poteva essere realizzata in materiali diversi, quali vimini intrecciati, legno, cuoio, ma soprattutto in metallo. Gli Etruschi ne fabbricarono diverse quantità a partire dal V secolo a.C., dapprima di forma ovoidale con scene sbalzate, in seguito di forma cilindrica con scene incise, mentre il manico del coperchio era costituito in genere da un gruppo di piccole sculture. L'importanza delle ciste, oltre al loro valore intrinseco, è dovuta all'aver conservato nelle loro ricche e varie rappresentazioni il ricordo di più antiche pitture greche scomparse.
Fra i centri più noti di questa produzione si ricorda Preneste (l'odierna Palestrina), antica città del Lazio, che ne realizzò diversi esemplari dal IV secolo in poi: qui infatti fu rinvenuta la celebre cista Ficoroni, probabilmente l'esemplare più noto di questa classe.

Nelle immagini, dall'alto:
Cista mystica con serpenti su un sarcofago romano, Metropolitan Museum, New York 
Cista etrusca con Perseo e la testa di Medusa, The Walters Art Museum

#VARIA - Situla

 
La situla (dal latino situla cioè "secchia") è un vaso potorio metallico, più raramente in terracotta, utilizzato da molte antiche civiltà mediterranee, soprattutto in ambito cerimoniale. Ha forma cilindrica o di tronco di cono rovesciato, con la parte stretta in basso, spalla arrotondata oppure a spigolo, fondo piatto o arrotondato. Poteva essere con o senza manico.
Le situle erano diffuse nell'Età del ferro e fanno parte della produzione artistica di popolazioni come Veneti, Etruschi, Celti e Germani. Le raffigurazioni di alcuni vasi etruschi ne chiariscono l'utilizzo come secchio per attingere acqua dai pozzi, contenitore di acqua o sangue in ambito religioso oppure come vaso per libagioni contenente, oltre all'acqua, vino o latte. In genere erano ornate con stili geometrici e più raramente con scene di vita quotidiana. Tra le situle più importanti si ricordano la situla di Vanče (V secolo a.C.), conservata al Museo nazionale della Slovenia a Lubiana, e la situla Benvenuti custodita nel Museo nazionale atestino ad Este (Padova).

Situla in bronzo romana, Germania, II-III secolo

#VARIA - Balsamario

 
Il balsamario è un piccolo contenitore in vetro utilizzato per conservare balsami e olii profumati. Il balsamario fu molto in voga nel costume dei pagani e sopravvisse nelle usanze anche dei primi cristiani.
Gli scavi archeologici hanno permesso il recupero sia di documentazioni sia di reperti antichi di balsamari provenienti da tombe situate in Egitto, in Medio Oriente e nei territori dell'antico Impero romano.
Una sede importante per la realizzazione e la distribuzione dei modelli più antichi fu Alessandria d'Egitto e la loro diffusione si espanse fino all'Etruria e al Medio Oriente.
Un importante centro di produzione fu anche quello siriano, dove nel I secolo d.C. venne introdotta la tecnica del vetro a soffio, i cui nuovi prodotti vennero diffusi in tutto il bacino del Mediterraneo dai Fenici. La Siria restò una base produttiva primaria fino al V secolo d.C., prima di condividere con altri centri situati su tutto il territorio dell'Impero romano la realizzazione di
questi prodotti.
Intorno al I secolo d.C. venne introdotta la tecnica del vetro a soffio, che sostituì quella più antica delle colature a caldo di sostanze vitree poste su forme friabili.
Con la vecchia tecnica si realizzarono soprattutto vasetti, dalla forma o di piccole anfore con manico oppure cilindrici con l'apertura superiore avente un labbro svasato. Le tinte dei balsamari di questo tipo variarono dal giallo, al verde e all'azzurro.
Con la produzione, dalle fornaci siriane di vetro a soffio, si introdussero sul mercato balsamari pressoché trasparenti dalle forme e dalle dimensioni sempre più piccole, per poterli collocare nelle tombe e poterli trasportare più agevolmente.
All'interno della tipologia dei balsamari si possono includere anche i vasetti di forma sferica derivati dall'ariballo greco.



Nelle foto, dall'alto:
- Balsamario in vetro trasparente, tra il 30 a.C. e il 395, Periodo romano dell'Egitto. Museo Egizio, Torino.
- Vasetto piriforme per unguenti o profumi, tra il 30 a.C. e il 395, Periodo romano dell'Egitto. Museo Egizio, Torino.


#VARIA - Lacrimatoio

 

Il lacrimatoio (o vaso lacrimale o unguentario) era una ampolla di vetro o di materiali preziosi (argento, alabastro) che conteneva unguenti o profumi, chiamato in latino unguentarium.
I lacrimatoi sono stati trovati il più delle volte nelle tombe romane o ellenistiche dal III alla metà del I secolo a.C.; era stato ipotizzato erroneamente che avessero la funzione di raccogliere le lacrime dei parenti del defunto, donde il nome. L'equivoco, nato probabilmente dall'interpretazione di un versetto del libro dei Salmi, venne ripreso fra gli altri da Shakespeare. La corretta interpretazione di quegli oggetti venne proposta dal conte di Caylus nel XVIII secolo.
Nel XIX secolo, nell'Inghilterra vittoriana e negli Stati Confederati d'America, durante la guerra di secessione, vennero tuttavia utilizzati effettivamente dei piccoli contenitori per la conservazione delle lacrime la cui raccolta avveniva attraverso speciali tamponi.


Nelle foto, dall'alto:
Lacrimatoi piriformi romani in vetro marmorizzato
Unguentario di Djehuty, alabastro. tra il 1458 e il 1425 a.C., Nuovo Regno dell'Egitto. Museo Egizio, Torino.


#VARIA - Thymiatérion

 
Thymiatérion
, letteralmente: "incensiere", "altare per l'incenso" (dal greco antico θυμιατήριον e da θυμιάειν thymiaein "suffumicare"; plurale thymiateria) è un bruciatore d'incenso.
Il Thymiatérion è di origine babilonese-assira. Prima di essere largamente impiegato in ambito greco e romano, fu molto diffuso in: Egitto, Mesopotamia, Siria, Palestina e Fenicia. Molto probabilmente giunse a queste popolazioni attraverso Cipro. Sacrifici d'incenso e altari incensati appartengono specialmente al culto di Afrodite e di Adone; infatti l'incenso viene menzionato per la prima volta in quella poesia di Saffo, che rievoca l'epifania della dea nel suo sacro bosco di meli e rose, fra rami tremuli e altari che emanano vapori d'incenso. In seguito 'l'uso dell'incenso si diffuse un po' ovunque: spargere un granello d'incenso sulla fiamma è l'atto sacrificale più semplice e più diffuso, oltre che il più a buon mercato'.Utilizzato come recipiente per bruciare grani di incenso e come dono votivo nei luoghi di culto, il thymiaterion esalava fumi ed essenze durante le cerimonie sacre che miravano a creare un collegamento ideale tra il mondo umano e quello divino. Poteva essere fisso a vaschetta con sostegno oppure mobile a forma di scatola con coperchio forato o ancora sospeso con catenelle.



nell'immagine, Thymatérion di Tarso rappresentante il dio Attis al Louvre di Parigi - terracotta, II-I sec. a.C.


#VARIA - Stele kurgan

 
Le Stele kurgan (in mongolo: хүн чулуу ; in Russo: каменные бабы ; in Ucraino: Баби кам'яні " babà di pietra"; Kyrgyz [bɑlbɑl]) o Balbal ( балбал balbal, molto probabilmente dalla parola turca balbal, "antenato" o "nonno", o dal mongolo barimal, "statua fatta a mano") sono monumenti in pietra, di tipo antropomorfo, che rientrano nel fenomeno del megalitismo, comune alle popolazioni pre-protostoriche dell'Europa a partire dal III millennio a.C. Si tratta della variante europeo-orientale delle c.d. "Statue stele", originariamente legate alla cultura kurgan: i monumenti erano infatti collocati alla sommità, all'interno o all'esterno (intorno o disposti in percorsi votivi) dei tumuli kurgan.
Inizialmente legati alla facies Jamna (steppe pontico-caspiche) della cultura kurganica e quindi ai proto-indoeuropei secondo la c.d. "Ipotesi kurganica" questi monumenti vennero prodotti in un arco di tre millenni, con esemplari dell'Età del ferro attribuiti agli Sciti sino agli esemplari medievali attribuiti ai Popoli turchi (es. Kipčaki) subentrati agli indoeuropei nel dominio sulle steppe.
Geograficamente, le stele kurgan si trovano in Russia meridionale, Ucraina, Prussia, Siberia meridionale, Asia centrale, Turchia e Mongolia.
La stele kurgan era probabilmente il memoriale di un defunto onorato. Si trova in contesti sepolcrali e santuari funerari dall'Età del rame al Medioevo. Ivanovovsky riferì che i Turguti Tarbagatai (Calmucchi) veneravano gli obelischi kurgan nel loro paese come immagini dei loro antenati e che il loro rito funebre prevedeva di deporre le ceneri del defunto parte in una ciotola e parte alla base della statua.
Come elemento architettonico, le stele potevano fungere da recinto in pietra, spesso circondate da un fossato e con focolari sacrificali, a volte piastrellati all'interno, per il tumulo.
Le prime stele antropomorfe risalgono al IV millennio a.C. e sono associate al bacino della prima Cultura di Jamna, in particolare alla Cultura di Kemi Oba della Crimea e alla regione della steppa adiacente. Quelli in Ucraina sono circa 300, la maggior parte lastre di pietra molto grezze con una testa sporgente dallo schema semplice e alcune caratteristiche scolpite, come occhi o seni. Una ventina di esemplari, sono vere e proprie statue stele: più complesse, con ornamenti, armi, figure umane o animali.
Il tipo primitivo, neolitico, di stele antropomorfe si trova anche nella regione alpina italiana, nel sud della Francia e in Portogallo. Esempi sono stati trovati anche in Bulgaria a Plachidol, Ezerovo, e Durankulak. Si tratta di manufatti molto semplici.
La distribuzione delle stele successive, protostoriche, è limitata:
a ovest dal distretto di Odessa, dalla provincia di Podolsk, dalla Galizia, dalla provincia di Kalisz, dalla Prussia; a sud dal fiume Kacha, in Crimea; a sud-est dalla Kuma nella provincia di Stavropol e nella regione di Kuban; a nord dalla Regione di Minsk e dal distretto di Oboyan nell'Oblast' di Kursk (anche la provincia di Ryazan), il distretto di Ahtyr nell'Oblast' di Charkiv, l'Oblast' di Voronež, i distretti di Balash e Atkar nell'Oblast' di Saratov fino alle rive della Samara nel distretto Buzuluk dell'Oblast' di Samara; ad est sono sparse nella steppa del Kirghizistan (Kazakistan) fino alle rive del Irtyš e al Turkestan, presso Ysyk-Köll, nel distretto di Tokmak, e negli alti corsi del Tom' e del Enisej, nella steppa di Sagai in Mongolia.
I Cimmeri dell'inizio del I millennio a.C. hanno lasciato un piccolo numero (se ne conoscono una decina) di distintive stele di pietra. Dal Caucaso settentrionale sono note altre quattro o cinque "Stele del Cervo" risalenti alla stessa epoca.
Dal VII secolo a.C., gli Sciti iniziarono a dominare le steppe pontico-caspiche. Furono a loro volta sfollati dai Sarmati a partire dal II secolo a.C. tranne che in Crimea, ove persistettero per alcuni secoli in più. Questi popoli hanno lasciato stele di pietra accuratamente lavorate, con tutte le caratteristiche incise in rilievo.
Le prime stele degli Slavi sono di fattura più primitiva. Ci sono una trentina di siti della regione centrale del Dnestr in cui sono state trovate tali figure antropomorfe. Il più famoso di questi è il c.d. "Idolo Zbruch" del X secolo circa, un prisma di 3 m con quattro facce sotto un unico cappello a punta (v.si Svetovit). Boris Rybakov ha sostenuto l'identificazione dei volti con gli dèi Perun, Mokoš, Lado e Veles.
Stele funerarie antropomorfe dell'età del bronzo sono state trovate in Arabia Saudita. Ci sono somiglianze con il tipo Kurgan nella manipolazione del corpo a lastra con dettagli incisi, sebbene il trattamento della testa sia decisamente più realistico.
Le stele antropomorfe finora rinvenute in Anatolia sembrano postdatare quelle della Cultura di Kemi Oba nella steppa e si presume derivino dal tipo della steppa. Un frammento di queste stele è stato trovato nel primo strato di deposizione a Troia, noto come "Troia I".
Tredici stele di pietra, di un tipo simile a quelle delle steppe eurasiatiche, sono state trovate nel 1998 nella loro posizione originale al centro di Hakkâri, una città nell'angolo sud-orientale della Turchia, e sono ora esposte nel Museo di Van. Le stele erano scolpite su lastre verticali simili a lastre di pietra che misuravano tra 0,7 m alle 3.10 m di altezza. Le pietre contengono solo una superficie tagliata, su cui sono state cesellate figure umane. Ogni stele raffigura la parte superiore del corpo umano. Undici delle stele raffigurano guerrieri nudi con pugnali, lance e asce, usuali simboli maschili di guerra. Tengono sempre un recipiente per bere fatto di pelle con entrambe le mani. Due stele contengono figure femminili senza braccia. Le stele maschili sono a bassorilievo mentre le stele femminili sono lineari. Risalgono dal XV-XI secolo a.C. e potrebbero rappresentare i sovrani del regno di Hubushkia, forse derivati da una cultura della steppa eurasiatica che si era infiltrata nel Vicino Oriente.
L'esploratore medievale Guglielmo di Rubruck menzionò le stele kurgan nel suo celebre Itinerarium del 1253. Le incontrò nelle terre dei Cumani (Kipčaki) e riferì che tale popolo installava le stele sulle tombe dei propri defunti. Queste statue sono menzionate anche nel "Grande libro da disegno" del XVII secolo, come indicatori di confini e strade o punti di orientamento. Nel XVIII secolo, informazioni su alcune stele kurgan furono raccolte da Pallas, Falk, Guldenshtedt, Zuev, Lepekhin e nella prima metà del XIX secolo da Klaprot, Duboa-de-Montpere e Spassky che ne parlarono come di "obelischi siberiani". Il conte Aleksej Sergeevič Uvarov, nei lavori del 1º Congresso Archeologico di Mosca riunì tutti i dati disponibili a quel tempo sugli obelischi kurgan e li illustrò con i disegni di 44 statue.
Nel XIX secolo, i dati su queste statue furono raccolti da AI Kelsiev, e in Siberia, Turkestan e Mongolia da Potanin, Pettsold, Poyarkov, Vasilij Vasil'evič Radlov, Ivanov, Adrianov e Yadrintsev, in Prussia da Lissauer e Gartman.
Il Museo statale di storia a Mosca ospita 30 esemplari di stele kurgan, disposte nelle sale e nel cortile. Altri musei con stele kurgan sono quelli di Charkiv, Odessa, Novočerkassk, ecc. Questi sono solo una piccola parte di un campionario sparso su varie regioni dell'Europa orientale, vestigia d'una moltitudine d'esemplari distrutti o utilizzati come materiale da costruzione per edifici, recinzioni, ecc.
Nel 1850, Piskarev, sommando tutte le informazioni sugli obelischi kurgan disponibili in letteratura, contò 649 esemplari, per lo più nella Oblast' di Dnipropetrovs'k (428), a Taganrog (54), nella provincia di Crimea (44), a Charkiv (43), nelle terre dei Cosacchi del Don (37), nella provincia di Enisej (Siberia) (12), a Poltava (5), a Stavropol' (5), ecc. Molte statue gli rimasero comunque sconosciute.

I balbal degli Sciti e poi dei Cumani raffigurano comunemente un guerriero che tiene un Corno potorio nella mano destra sollevata. Molti mostrano anche una spada o un pugnale appesi alla cintura del guerriero. Scrivendo sui kurgan dell'Altaj, Lev Nikolaevič Gumilëv afferma: «A est delle tombe si trovano catene di balbal, pietre rozzamente scolpite impiantate nel terreno. Il numero di balbal nelle tombe che ho esaminato varia da 0 a 51, ma il più delle volte ci sono 3-4 balbal per tomba.» Numeri simili sono forniti anche da Kyzlasov. Sono memoriali delle gesta del defunto, ogni balbal rappresenta un nemico da lui ucciso. Molte tombe non hanno balbal. Apparentemente, ci sono ceneri sepolte di donne e bambini.
I balbal hanno due forme ben distinte: conica e piatta, con la parte superiore rasata. Considerando l'evidenza delle Iscrizioni dell'Orkhon che ogni balbal rappresentava una certa persona, tale distinzione non può essere casuale. Probabilmente qui è segnato un importante attributo etnografico, un copricapo. Gli abitanti delle steppe fino ad oggi indossano un malahai conico e gli Altaiani indossano cappelli rotondi piatti. Le stesse forme di copricapi sono registrate per l'VIII secolo. Un'altra osservazione di Gumilev: «Dai laghi salati di Tsaidam al monumento di Kül-tegin conduce una catena di balbal di tre chilometri. Al nostro tempo sono sopravvissuti 169 balbal, apparentemente ce n'erano di più. Ad alcuni balbal viene data una rozza somiglianza con gli uomini, indicati sono le mani, un accenno di una cintura. Lungo il fossato verso est corre una seconda catena di balbal, che diede a I. Lisi motivo di suggerire che circondassero il muro di recinzione del monumento. Tuttavia, è probabile che si tratti di un'altra catena appartenente a un altro defunto sepolto in precedenza.»
Alcuni obelischi kurgan si trovano ancora in piedi sui kurgan, altri sono stati trovati sepolti sui pendii. Non sempre si può affermare se fossero contemporanei ai kurgan su cui si trovano, esistessero prima o fossero scolpiti in seguito e sollevati sul kurgan. Gli obelischi di Kurgan sono di arenaria, calcare, granito, ecc. La loro altezza è di 3,5 m a 0,7 m, ma più spesso 1,5–2 m. Alcuni di essi sono semplici colonne di pietra, con una rozza immagine di un volto umano, su altri è chiaramente raffigurata la testa (con il collo ristretto); nella maggior parte dei casi è raffigurata non solo la testa, ma anche il corpo, le braccia e spesso entrambe le gambe, il copricapo e il vestito. Sulle statue più rozze è impossibile discernere il sesso, ma per lo più è espresso chiaramente: gli uomini sono con i baffi (a volte con la barba, un obelisco kurgan barbuto si trova nel cortile del Museo Storico di Mosca), in costume con corazze e cinture di metallo, a volte con una spada, ecc.; le donne hanno il seno scoperto, indossano copricapi particolari, con cinture o collane sul collo, ecc. Altri obelischi mostrano figure completamente nude e di solito solo la testa è coperta e le gambe sono calzate. Le statue di Kurgan sono sedute (spesso femmine) e in piedi (per lo più maschi); in entrambi i casi le gambe non sono raffigurate. Se le gambe sono raffigurate, sono a piedi nudi o più spesso calzate, con stivali alti o bassi (bashmaks), a volte con pantaloni distinguibili con ornamenti. Molte obelischi kurgan femminili (e alcuni maschi) sono nudi sopra la cintura, ma sotto sono visibili una cintura e un vestito, a volte due abiti, uno più lungo sotto e un altro sopra, come un semi- 'kaftan' o una pelliccia corta, con applicazioni e inserti (gli ornamenti degli inserti sono costituiti da linee geometriche, doppie spirali, ecc., o anche da corazze). Altri hanno strisce sulle spalle, molti hanno due strisce (raramente tre o una larga), piastre (apparentemente, di metallo) sul petto attaccate a una cintura o, più spesso, a due cinture. Sulla cintura a volte è possibile distinguere una fibbia al centro o cinghie appese ad essa con a volte annessa borsa, uno specchietto tondo in metallo tascabile, un coltello, un pettine, a volte è raffigurato anche (statue maschili) un pugnale o una spada dritta, un arco, un 'kolchan' (faretra), un gancio e una scure. Sul collo gli uomini indossano una fascia di metallo, le donne indossano una collana di perline o scaglie, a volte ne sono visibili anche 2 o 3, alcune hanno un nastro largo o una cintura che scende dalla collana, terminando con un panno a 4 angoli. Sulle mani, sui polsi e sulle spalle (soprattutto per i nudi) ci sono bracciali (anelli) e polsini, nelle orecchie, per donne e uomini, ci sono orecchini, sulla testa (fronte) a volte c'è una benda ornamentale o un diadema. Le trecce femminili non sempre si distinguono da nastri o bende, sono raffigurate anche per gli uomini. In alcuni casi il cappello maschile rappresenta indubbiamente un piccolo elmo (misyurka), a volte con strisce metalliche incrociate. Il copricapo femminile è più vario, come un cappello con falde ricurve, cappello 'bashlyk', kirghiso (kazako), ecc.
Il tipo del viso non è sempre rappresentato chiaramente. La stragrande maggioranza delle donne unisce le mani sull'ombelico o sul fondo dello stomaco e tiene in mano un vaso, spesso cilindrico, come una tazza o un bicchiere. A volte è così sfocato che può essere preso per una sciarpa piegata. Una statuetta maschile tiene una ciotola nella mano sinistra e una spada nella destra; e un altro ha le mani semplicemente giunte, senza una ciotola, una statuetta femminile tiene un anello, alcune tengono un rhyton/corno potorio.

Nelle foto, dall'alto in basso
  • Il c.d. "idolo di Kernosovskiy" (Керносовский идол), datato alla metà del III millennio a.C. e associato alla tarda Cultura di Jamna
  • Stele n. 25 del Petit Chasseur di Sion (Svizzera), datata 2700-2150 a.C.
  • Stele antropomorfa del Neolitico da Hamangia-Baia (Romania), esposta al Museo di Histria.
  • Stele kurgan presso Luhans'k.
  • Un balbal vicino alla Torre di Burana in Kirghizistan.
  • Stele di pietra trovata nel villaggio di Boyahmadli nella regione di Ağdam in Azerbaigian. 
  • Stele Hakkari: guerriero armato con cappello

#VARIA - Tavolette enigmatiche o Brotlaibidole

 
Le 
Tavolette enigmatiche o Brotlaibidole (in tedesco, "idoli a forma di pagnotta") sono tavolette di pietra o di terracotta risalenti all'età del bronzo, in particolare al periodo compreso tra Bronzo Antico evoluto e Bronzo Medio avanzato (2100 a.C. - 1400 a.C.).
Sono stati finora rinvenuti circa 300 esemplari di Brotlaibidole in diverse località dell'Europa centro-orientale e centro-meridionale, in particolare nella zona a sud del lago di Garda. Nessuna tavoletta è uguale all'altra, sebbene siano presenti dei tratti ricorrenti. Le tavolette sono ricoperte da incisioni raffiguranti successioni di figure geometriche, quali cerchi, righe, punti, croci.
La funzione delle tavolette non è chiara e il significato delle incisioni non è stato ancora decifrato. Molti sono gli studiosi che sono attualmente impegnati nel decifrare l'enigma delle tavolette. A prima vista potrebbero richiamare degli antichi santini, tuttavia non sembra che i segni possano essere interpretabili come una forma primordiale di alfabeto. Essendo inoltre segni tracciati in maniera indelebile non sembra semplice interpretare le tavolette come una sorta di appunti di censimenti di mercanzie, anche se questa è un'ipotesi che gli viene spesso attribuita. Ipotesi maggiormente accredita associa alle tavolette il significato di antica moneta in un'epoca in cui vigeva prevalentemente il baratto. Si sostiene, infatti, che potevano essere dei "crediti" che riportavano ciò che il debitore doveva ancora dare
laddove in quel momento non aveva ancora nulla da barattare. In generale, però, le ipotesi che sono state avanzate sono molto varie e numerose.
Recentemente è stato avviato un progetto internazionale per lo studio delle tavolette che investe molte università italiane ed estere. In collaborazione con la cattedra di Optoelettronica dell'Università di Brescia i manufatti vengono studiati in maniera innovativa utilizzando una tecnica di scansione e misurazione tridimensionale che consente un'analisi di corrispondenza morfologica tra le tavolette rinvenute anche a grande distanza tra di loro. Nel 2010 è stata organizzata una prima grande mostra sulle Tavolette enigmatiche dal Museo archeologico dell'alto mantovano a Cavriana con la collaborazione di trentacinque enti museali. Nella mostra sono stati esposti cento esemplari di tavolette enigmatiche.
Dall'Alto Adige sono noti finora sette oggetti enigmatici da tre diversi siti: Sotciastel in Val Badia, Albanbühel e Nossing e risalgono ad un periodo compreso tra il 1600 e il 1250 a.C. Attraverso questi e altri siti coevi l'Alto Adige, situato in posizione strategica dal punto di vista della viabilità e delle comunicazioni, appare inserito in una complessa rete di relazioni interculturali di medio e ampio raggio comprendente l'Italia settentrionale padana, perialpina e alpina, e i comprensori posti a nord dello spartiacque alpino fino all'Alpenvorland della Germania meridionale. Le tavolette di Sotciastel sono conservate presso il Museum Ladin Ćiastel de Tor che ha inoltre finanziato la scansione di questi manufatti in 3D.

#VARIA - Elmo a zanna di cinghiale

 
Gli elmi a zanne di cinghiale erano utilizzati nel mondo miceneo dal XVII secolo a.C. al X secolo a.C.. L'elmo era fabbricato attraverso l'uso di scaglie di zanne di cinghiale poste in fila, collegate a una base in pelle, imbottita con feltro. Una descrizione dell'elmo a zanna di un cinghiale compare nell'Iliade di Omero (Libro X, Versi 260-265), quando Ulisse è armato per condurre un raid notturno contro i Troiani:
«Merione diede a Odisseo l'arco, la faretra e la spada, e sul capo gli pose un elmo di cuoio, con molte strisce saldamente intrecciate all'interno e al di fuori bianchi denti di cinghiale dalle candide zanne, fitti e disposti con ordine da una parte e dall'altra; in mezzo vi era del feltro [...] .»
Frammenti di avorio, che potrebbero provenire da elmetti di questo tipo, sono stati scoperti in vari siti micenei (a Dendra, per esempio, i frammenti sono stati trovati presso la panoplia di bronzo) e una placca in avorio, da un altro sito miceneo, rappresenta un elmo di questo tipo. Benché non fornissero una protezione paragonabile all'elmo di metallo, questo tipo di elmi potrebbero essere stati indossati da alcuni leader come status symbol, o come un mezzo di identificazione.

(nella foto, Elmo a zanna di cinghiale, Museo archeologico di Candia)

#VARIA - Lunula d'oro

 

Con la definizione di lunula d'oro (plurale: lunule) si usa descrivere un tipo particolare di collana dell'antica età del bronzo di forma simile alla luna crescente. Generalmente le lunule vengono trovate in Irlanda, ma ci sono quantità moderate anche in altre parti d'Europa, particolarmente in Gran Bretagna. Sebbene nessuna lunula sia stata direttamente datata, dalle associazioni con altri manufatti, si pensa che esse siano state fabbricate talvolta tra il 2200 e il 2000 a.C.. Si conoscono poco meno di duecento lunule d'oro ed è possibile che esse fossero tutte il frutto del lavoro di un piccolo numero di specialisti.
Le lunule più espressive scoperte provengono da Kerivoa, Bretagna. Qui le lunule vennero scoperte nei resti di una cassa con dell'oro in fogli e un bastone d'oro. Il bastone aveva la sua estremità martellata piatta alla maniera delle lunule. Da qui si è ipotizzato che le lunule fossero fatte martellando un bastone d'oro piatto in modo da farlo diventare simile a una lamina e adatto alla forma desiderata. La decorazione era allora applicata imprimendo i motivi ornamentali con uno stilo. Lo stilo usato spesso lasciava le impronte rivelatrici sulla superficie dell'oro, sì da far pensare che tutte le lunule provenienti da Kerivoa, e altre due da Saint-Potan, Bretagna e la baia di Harlyn, Cornovaglia, fossero tutte fatte con lo stesso strumento. Questo suggerisce che le cinque lunule fossero il lavoro di un solo artigiano e i contenuti della scatola di Kerivoa la materia prima derivata dal commercio. Le lunule d'oro hanno modelli decorativi che somigliano moltissimo alla contemporanea ceramica campaniforme e anche alle collane d'ambra e giaietto, le quali si pensa siano leggermente posteriori. L'ideologia associata a questo tipo di modello è sconosciuta. Allo stesso modo il collegamento ideologico tra i diversi materiali con cui queste collane vennero fatte rimane un mistero.

(nelle foto, dall'alto in basso:
- Lunula d'oro proveniente da Schulenburg, Germania.
- Lunala da Blessington, Irlanda)