Tamglay è un sito archeologico che si trova circa 170 chilometri a nordovest di Almaty, in Kazakistan, noto per le sue incisioni rupestri. La parola Tamgaly in lingua kazaka significa luogo dipinto o segnato. Nel 2004 il sito è stato incluso nell'elenco dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. La maggior parte dei petroglifi si trova nel canyon principale, ma alcuni di essi sono stati incisi nelle vallate secondarie. Essi sono all'interno di un santuario, in cui sono presenti tombe ed altari. Le figure rappresentano uomini ed animali stilizzati, databili tra il XIV ed il XII sec. a. C. I petroglifi forse avevano funzione simbolico-rituale, quando si svolgevano cerimonie religiose e riti sacrificali. Ci sono riferimenti alla fertilità, con le immagini di buoi ed arieti ed al culto del Sole. Alcune di esse sono però state ricoperte da incisioni più tarde, di epoca medievale o successiva.
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lunedì 31 marzo 2025
KAZAKISTAN - Tamglay
Tamglay è un sito archeologico che si trova circa 170 chilometri a nordovest di Almaty, in Kazakistan, noto per le sue incisioni rupestri. La parola Tamgaly in lingua kazaka significa luogo dipinto o segnato. Nel 2004 il sito è stato incluso nell'elenco dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. La maggior parte dei petroglifi si trova nel canyon principale, ma alcuni di essi sono stati incisi nelle vallate secondarie. Essi sono all'interno di un santuario, in cui sono presenti tombe ed altari. Le figure rappresentano uomini ed animali stilizzati, databili tra il XIV ed il XII sec. a. C. I petroglifi forse avevano funzione simbolico-rituale, quando si svolgevano cerimonie religiose e riti sacrificali. Ci sono riferimenti alla fertilità, con le immagini di buoi ed arieti ed al culto del Sole. Alcune di esse sono però state ricoperte da incisioni più tarde, di epoca medievale o successiva.
TURKMENISTAN - Merv
Merv fu una capitale (capitale orientale dal 1118 al 1153) della satrapia achemenide di Margiana all'interno dell'Impero achemenide, in seguito Alessandria e Antiochia in Margiana (greco Ἀντιόχεια ἡ ἐν τῇ Μαργιανῇ), situata nell'attuale Turkmenistan.
Fu una delle principali città-oasi dell'Asia centrale, sulla storica Via della seta, nei pressi dell'attuale Mary. Sono sorte molte città su questo sito, il che l'ha reso un ricco punto di scambio culturale e politico, nonché luogo d'immenso valore strategico. Si suppone che Merv sia stata per breve tempo la città più grande del mondo durante il XII secolo. Nel 1999 l'UNESCO ha inserito Merv tra i Patrimoni dell'umanità.
Merv ha origine in età preistorica: indagini archeologiche hanno rilevato tracce risalenti al terzo millennio a.C. una poderosa crescita nel II millennio a. C. Secondo alcuni studiosi sarebbe all'origine del culto indù di Monte Meru, che per l'induismo rappresenta il centro del mondo. Più probabilmente il Monte Meru sarebbe il Monte Kailash in Tibet.
Nell'età del Bronzo conobbe un'enorme crescita demografica, che comportò un ordinato riassetto urbanistico, con lo scavo di una vasta rete di canali, orientati ordinatamente lungo l'asse nord-sud, alimentati dalle acque del delta del fiume Murghab (lett. "Acqua di Merv").
Con il nome di Mouru, Merv viene citata con Bakhdi (Balkh) nella geografia dello Zend-Avesta (cronaca dell'Avestā). Sotto la dinastia achemenide, Merv è indicata come luogo famoso: con il nome di Margu appartiene a una delle satrapie citate nelle iscrizioni di Behistun (circa 515 a.C.) dello scià persiano Dario I di Persia, durante il cui governo la ribellione nel 522-521 a.C. di Frâda comportò la morte di un numero altissimo di persone e il letterale spopolamento della città-oasi. La vecchia città sembra sia stata ricostruita da Ciro II di Persia (559 - 530 a.C.), ma poco si può dire di preciso in merito, dal momento che i livelli achemenidi furono coperti da successivi strati aggiunti al sito.
La visita di Alessandro Magno a Merv è leggendaria, infatti la città prese (come tante altre città fondate e ampliate dal re macedone) il nome di Alessandria per breve tempo. Dopo la morte di Alessandro, Merv divenne la capitale della provincia di Margiana degli Stati dei seleucidi, dei Parti e dei Sasanidi. Divenne "Antiochia Margiana" su decisione del re seleucide Antioco I, il quale la ricostruì ed espanse fino al luogo conosciuto ad oggi come Gyaur Kala.
Dopo che il sasanide Ardashir I (circa 220-240) conquistò Merv, la numismatica ne delinea la storia: una lunga dinastia sasanide governò per quattro secoli, e questo è dimostrato da un'ininterrotta serie di monete coniate a Merv. In questo periodo Merv divenne la casa di vari culti religiosi accanto allo Zoroastrismo sasanide, compresi il Buddhismo, il Manicheismo e il Cristianesimo nestoriano. Nel V secolo d.C. Merv fu sede di un'arcidiocesi della Chiesa d'Oriente.
L'influenza araba
Il governo sasanide terminò quando l'ultimo re, Yazdegerd III (632-651), fu assassinato non distante dalla città, e l'esercito sasanide si arrese a quello arabo musulmano. La città fu occupata dai luogotenenti del terzo califfo Othmàn ibn Affàn e divenne la capitale della provincia omayyade del Khorasan. Utilizzando questo luogo come base, gli Arabi musulmani, guidati da Qutayba ibn Muslim, assoggettarono una larga parte dell'Asia centrale, incluse Balkh, Bukhara, Fergana e Kashgar, penetrando in Cina fino alla provincia di Gansu nei primi anni dell'ottavo secolo. Merv, e tutto il Khorasan in generale, divenne una delle prime zone del mondo a diventare in prevalenza islamica, grazie all'attivo proselitismo degli immigrati arabi, lì esiliati fin dall'epoca del governatore omayyade Ziyad ibn Mu'awiya, a causa delle loro simpatie alidi.
Merv ricevette una rinnovata attenzione nel febbraio del 748, quando il generale arabo o iranico Abu Muslim (m. 754) vi proclamò la nascita della nuova dinastia abbaside e l'avvio della cosiddetta "Rivoluzione abbaside", espandendo e rifondando la città e, in nome dei nuovi califfi, prescelse la città come sede degli insorti che avrebbero impugnato vittoriosamente le armi contro il califfato degli Omayyadi.
Dopo che gli Abbasidi ebbero rovesciato gli Omayyadi e fondato con al-Mansur Baghdad, Abū Muslim continuò a regnare su Merv in modo semi-indipendente, fino al suo assassinio da parte dello stesso Califfo che aveva tanto efficientemente servito. Merv fu il centro della causa abbaside per tutta la durata della "Rivoluzione" della "Dinastia benedetta", e in seguito divenne fonte di sostegno politico per i regnanti di Baghdad. Il governo del Khorasan a Merv fu considerato come uno dei principali puntelli dell'edificio califfale abbaside. All'influente famiglia iranica dei Barmecidi, ad esempio, fu assegnata Merv ed essa svolse un ruolo importante nel trasferimento della cultura greca (stabilitasi a Merv fin dai primi giorni del conflitto tra seleucidi e greco-bactriani) all'interno del mondo arabo-islamico.
Durante tutta l'era abbaside Merv restò la capitale e la città di maggior rilievo dell'intero Khorasan. In questo periodo lo storico arabo al-Muqaddasi la definì "deliziosa, gradevole, elegante, brillante, notevole e piacevole". La sua architettura fornì lo spunto per la ricostruzione abbaside di Baghdad. La città divenne famosa per essere la sede degli immigrati provenienti fin dal VII secolo dai territori arabi iracheni, al pari della Sogdiana e di altri luoghi dell'Asia centrale L'importanza di Merv agli occhi degli Abbasidi si accrebbe nel periodo che va dall'813 all'818, quando essa divenne residenza temporanea di al-Maʾmūn, in lotta contro il fratello al-Amin. Merv fu anche il centro del movimento eretico del IX secolo guidato da al-Muqanna, il Profeta Velato, che raggruppò molti seguaci dichiarandosi incarnazione di Dio ed erede di 'Ali ibn Abi Talib e Abū Muslim; la Khurramiyya, cui egli dette vita e che sopravvisse fino al XII secolo.
In questo periodo Merv, al pari di Samarcanda e Bukhara, divenne una delle grandi città della cultura musulmana; il famoso storico Yāqūt al-Rūmī ricevette la sua istruzione nelle sue fiorenti biblioteche. Furono sviluppate numerose scuole in vari campi del sapere, a partire dalla Legge islamica e dallo studio degli ḥadīth, fino alla storia e alla letteratura. Molti personaggi di spicco della cultura provennero da questa città, primo tra tutti il giurista e teologo Ahmad ibn Hanbal
Con l'indebolimento del califfato, il governo arabo fu sostituito nell'821 da quello del generale persiano filo-abbaside Ṭāhir b. al-Ḥusayn e dalla dinastia Tahiride. I Tahiridi saranno a loro volta sostituiti dai Samanidi e, più tardi, dalla dinastia turca dei Ghaznavidi.
Il controllo turco e mongolo
Nel 1037 i Selgiuchidi, un clan di Turchi Oghuz, si spostarono dalle steppe orientali del lago d'Aral prendendo pacificamente possesso di Merv sotto la guida di Toghrul Beg: il sultano ghaznavide Masʿūd I era fortemente osteggiato dai cittadini. Il fratello di Toghrul, Chaghri, vi si stabilì mentre il dominio selgiuchide cresceva finendo con l'includere il resto del Khorasan e dell'Iran, e facendola diventare in seguito la città preferita dai capi selgiuchidi. Sia Alp Arslan sia il suo discendente Ahmed Sanjar furono sepolti in città.
È in questo periodo che Merv raggiunge la maggiore espansione; i geografi arabi e persiani la chiamano "madre del mondo", "punto d'incontro del grande e del piccolo", "capoluogo del Khorasan" e capitale del mondo iraniano orientale. Le fonti scritte parlano di una grande Madrasa fondata dal visir selgiuchide Nizam al-Mulk, e di altre istituzioni culturali. Si dice anche che Merv ebbe un mercato che era "il migliore tra quelli delle principali città iraniane e del Khorasan".
Il regno di Sanjar, segnato dal conflitto con i Kara Khitay e il Corasmia, terminò nel 1153 quando i nomadi turchi Ghuzz provenienti dalle terre oltre l'Amu Darya (lo Iassarte) saccheggiarono la città. In seguito Merv passò di mano tra i Corasmi di Khiva, i Ghuzz e i Ghuridi, e iniziò a perdere importanza rispetto ad altre città, prima fra tutte Nishapur.
Nel 1221 aprì le porte a Tolui, figlio di Gengis Khan e Khan dei Mongoli, che nell'occasione trucidò la maggior parte della popolazione. Lo storico persiano Joveyni, vissuto una generazione dopo il massacro, scrisse: "I Mongoli ordinarono che, a parte quattrocento artigiani... , l'intera popolazione, inclusi donne e bambini, dovesse essere uccisa, e nessuno, né donne né uomini, dovesse essere risparmiato. Ad ognuno [i.e. i guerrieri mongoli] sarà assegnata l'esecuzione di trecento o quattrocento persiani. Ne vennero uccisi così tanti che al crepuscolo le montagne sembravano colline, e le pianure erano inzuppate di sangue". Secondo alcuni storici oltre un milione di persone morì a causa dell'invasione mongola, comprese centinaia di migliaia di rifugiati provenienti da altri luoghi.
Gli scavi hanno mostrato una drastica riedificazione delle fortificazioni in seguito alla distruzione, ma la città iniziò a decadere. Nella prima metà del quattordicesimo secolo la città venne utilizzata come sede dell'arcivescovado del Cristianesimo orientale. Alla morte del nipote di Gengis Khan, Merv venne inclusa (1380) tra le proprietà di Tamerlano, principe turco-persiano di Samarcanda ed eponimo della dinastia dei Timuridi.
Dal periodo persiano all'occupazione russa
Nel 1505 la città fu occupata dagli Uzbeki, che cinque anni dopo vennero espulsi per mano di Shah Ismail I, fondatore della dinastia Safavide di Persia. Fu in questo periodo che fu restaurata l'antica grande diga, edificata già in epoca partica (la Sultan Band) sul fiume Morghab, e l'insediamento crebbe nell'area irrigata, che prese il nome di Bairam Ali, nome con cui è chiamata in alcuni testi del XIX secolo.
Merv rimase in mani persiane fino al 1787 quando fu conquistata dall'emiro di Bukhara, Shāh Murād Beg. Fu allora, che questi decise di far radere immediatamente al suolo la città, distruggere i sistemi di canalizzazione dell'area trasformando così una regione di antica bellezza in una landa desolata. L'intera popolazione dei territori circostanti, circa 100 000 persone, venne deportata in vari momenti nell'oasi di Bukhara. Dal momento che essa professava la variante sciita della fede islamica, non ebbe difficoltà a resistere alle pressioni sunnite dei dominatori. I loro discendenti sono sopravvissuti fino ad oggi e chiamati "Īrānī/Iranici" nel censimento sovietico degli anni ottanta. Essi sono presenti anche nelle città di Samarcanda, Bukhara e nell'area compresa tra i fiumi Amu Darya e Syr Darya.
Quando Sir Alexander Burnes attraversò la regione nel 1832, i Khivani erano i governanti di Merv. All'incirca in questo periodo i turcomanni Tekke, che vivevano sull'Hari Rud, furono obbligati dai persiani a migrare verso nord. I Khivani tentarono di bloccarne l'avanzata ma, intorno al 1856, le Tekke (centri di studio e pratica sufi) presero il potere, e lo mantennero fino all'occupazione dell'Impero russo del 1883.
Gli scavi russi del vecchio sito iniziarono nel 1890. Dal 1992 al 2000 un gruppo di archeologi turkmeni e britannici fece numerose scoperte. Nel 2001 venne avviata una collaborazione tra l'Institute of Archaeology, l'University College London e le autorità turkmene. Il Progetto Antica Merv" si pone come obbiettivo la conservazione del complesso e la sua gestione, oltre all'esecuzione di nuove ricerche e alla comunicazione al pubblico dei relativi risultati.
Localizzazione delle rovine
Merv è composta da diverse città murate vicine, ognuna delle quali costruita e abitata da genti di epoche diverse e poi abbandonata e mai ricostruita sulla medesima area. Quattro città murate diverse segnano i quattro periodi in cui Merv fu "il centro del mondo": la più piccola, la vecchia Merv, Erk Kala, corrisponde al regno achemenide; Gyaur Kala, che circonda Erk Kala, comprende le metropoli ellenica e sasanide e venne usata come sobborgo industriale di Sultan Kala, città abbaside/selgiuchide (ed è la più estesa). La più piccola città timuride venne eretta poco a sud e attualmente viene chiamata Abdullah Khan Kala. Vari altri edifici sono sparsi nel territorio delimitato da queste città; tutti i materiali recuperati dai siti sono custoditi dal "Parco Archeologico Antica Merv" subito a nord del villaggio di Bayram Ali, e trenta chilometri ad ovest di Mary, città costruita dai russi..
Gyaur Kala
La fondazione di Gyaur Kala avvenne in età ellenistica sotto il regno del seleucide Antioco I. Fu abitata da molti regnanti ellenici, dai parti, e in seguito dai Sasanidi che la fecero diventare capitale di una satrapia. Gyaur Kala fu la capitale della provincia omayyade del Khorasan e crebbe in importanza mentre il Khorasan diventava il centro del mondo musulmano nei primi due secoli di vita dell'Islam.
Le rovine più appariscenti di Gyaur Kala sono le installazioni difensive. Tre mura, costruiti uno sopra l'altro, sono ancora ben visibili. Un muro seleucide, gradinato all'interno e verticale all'esterno, funga da piattaforma per il secondo, più grande, costruito con mattoni di fango e, anch'esso, gradinato all'interno. La forma di questo muro ricorda le fortezze ellenistica trovate in Anatolia, nonostante rimanga unico grazie al fatto di essere costruito con mattoni di fango invece che con pietre. Il terzo muro si presume essere sasanide ed è costruito con grandi mattoni. Intorno alle mura furono trovate grandi varietà di porcellane, eredità soprattutto dei Parti. La dimensione di queste fortificazioni è un buon metro per giudicare l'importanza di Merv nell'era pre-islamica; non esistono fortificazioni pre-islamiche di tale dimensione in tutto il Karakum. Gyaur Kala è importante anche per la grande quantità di monete che nascondeva; venne trovata un'incredibile serie di monete sasanidi, il che mostra una straordinaria stabilità politica se viene riferita a quel periodo.
Anche dopo la fondazione di Sultan Kala, avvenuta per mano della dinastia abbaside, Gyaur Kala continuò a vivere come sobborgo del nuova città. A Gyaur Kala sono concentrati molti edifici industriali dell'era abbaside: forni per la lavorazione di ceramica, acciaio, ferro, rame ed altri materiali. Sembra che Gyaur Kala sia stato il quartiere degli artigiani per tutta l'era abbaside e nel periodo pre-selgiuchide.
Sultan Kala
Sultan Kala è senza dubbio la più grande tra le città di Merv. Le fonti scritte stabiliscono che fu Abu Muslim, leader della ribellione abbaside, a simboleggiare la nascita del nuovo califfato con la costruzione di strutture monumentali ad ovest delle mura di Gyaur Kala, nell'area che diverrà Sultan Kala. La zona venne rapidamente murata e divenne il cuore della Merv medievale; i secoli di prosperità che seguirono sono dimostrati dalla gran quantità di köshk abbasidi scoperti all'interno e all'esterno di Sultan Kala. I Köshk erano edifici unici nell'Asia centrale di quel periodo. Una specie di palazzi a due piani semi-fortificati dalle mura ondulate, e venivano abitati dall'élite del tempo. Si suppone che all'inizio venissero usati come magazzino, ma che in futuro divennero residenze. I tetti erano contornati da parapetti, comuni nei quartieri residenziali.
Nel 1505 la città fu occupata dagli Uzbeki, che cinque anni dopo vennero espulsi per mano di Shah Ismail I, fondatore della dinastia Safavide di Persia. Fu in questo periodo che fu restaurata l'antica grande diga, edificata già in epoca partica (la Sultan Band) sul fiume Morghab, e l'insediamento crebbe nell'area irrigata, che prese il nome di Bairam Ali, nome con cui è chiamata in alcuni testi del XIX secolo.
Merv rimase in mani persiane fino al 1787 quando fu conquistata dall'emiro di Bukhara, Shāh Murād Beg. Fu allora, che questi decise di far radere immediatamente al suolo la città, distruggere i sistemi di canalizzazione dell'area trasformando così una regione di antica bellezza in una landa desolata. L'intera popolazione dei territori circostanti, circa 100 000 persone, venne deportata in vari momenti nell'oasi di Bukhara. Dal momento che essa professava la variante sciita della fede islamica, non ebbe difficoltà a resistere alle pressioni sunnite dei dominatori. I loro discendenti sono sopravvissuti fino ad oggi e chiamati "Īrānī/Iranici" nel censimento sovietico degli anni ottanta. Essi sono presenti anche nelle città di Samarcanda, Bukhara e nell'area compresa tra i fiumi Amu Darya e Syr Darya.
Quando Sir Alexander Burnes attraversò la regione nel 1832, i Khivani erano i governanti di Merv. All'incirca in questo periodo i turcomanni Tekke, che vivevano sull'Hari Rud, furono obbligati dai persiani a migrare verso nord. I Khivani tentarono di bloccarne l'avanzata ma, intorno al 1856, le Tekke (centri di studio e pratica sufi) presero il potere, e lo mantennero fino all'occupazione dell'Impero russo del 1883.
Gli scavi russi del vecchio sito iniziarono nel 1890. Dal 1992 al 2000 un gruppo di archeologi turkmeni e britannici fece numerose scoperte. Nel 2001 venne avviata una collaborazione tra l'Institute of Archaeology, l'University College London e le autorità turkmene. Il Progetto Antica Merv" si pone come obbiettivo la conservazione del complesso e la sua gestione, oltre all'esecuzione di nuove ricerche e alla comunicazione al pubblico dei relativi risultati.
Localizzazione delle rovine
Merv è composta da diverse città murate vicine, ognuna delle quali costruita e abitata da genti di epoche diverse e poi abbandonata e mai ricostruita sulla medesima area. Quattro città murate diverse segnano i quattro periodi in cui Merv fu "il centro del mondo": la più piccola, la vecchia Merv, Erk Kala, corrisponde al regno achemenide; Gyaur Kala, che circonda Erk Kala, comprende le metropoli ellenica e sasanide e venne usata come sobborgo industriale di Sultan Kala, città abbaside/selgiuchide (ed è la più estesa). La più piccola città timuride venne eretta poco a sud e attualmente viene chiamata Abdullah Khan Kala. Vari altri edifici sono sparsi nel territorio delimitato da queste città; tutti i materiali recuperati dai siti sono custoditi dal "Parco Archeologico Antica Merv" subito a nord del villaggio di Bayram Ali, e trenta chilometri ad ovest di Mary, città costruita dai russi..
Gyaur Kala
La fondazione di Gyaur Kala avvenne in età ellenistica sotto il regno del seleucide Antioco I. Fu abitata da molti regnanti ellenici, dai parti, e in seguito dai Sasanidi che la fecero diventare capitale di una satrapia. Gyaur Kala fu la capitale della provincia omayyade del Khorasan e crebbe in importanza mentre il Khorasan diventava il centro del mondo musulmano nei primi due secoli di vita dell'Islam.
Le rovine più appariscenti di Gyaur Kala sono le installazioni difensive. Tre mura, costruiti uno sopra l'altro, sono ancora ben visibili. Un muro seleucide, gradinato all'interno e verticale all'esterno, funga da piattaforma per il secondo, più grande, costruito con mattoni di fango e, anch'esso, gradinato all'interno. La forma di questo muro ricorda le fortezze ellenistica trovate in Anatolia, nonostante rimanga unico grazie al fatto di essere costruito con mattoni di fango invece che con pietre. Il terzo muro si presume essere sasanide ed è costruito con grandi mattoni. Intorno alle mura furono trovate grandi varietà di porcellane, eredità soprattutto dei Parti. La dimensione di queste fortificazioni è un buon metro per giudicare l'importanza di Merv nell'era pre-islamica; non esistono fortificazioni pre-islamiche di tale dimensione in tutto il Karakum. Gyaur Kala è importante anche per la grande quantità di monete che nascondeva; venne trovata un'incredibile serie di monete sasanidi, il che mostra una straordinaria stabilità politica se viene riferita a quel periodo.
Anche dopo la fondazione di Sultan Kala, avvenuta per mano della dinastia abbaside, Gyaur Kala continuò a vivere come sobborgo del nuova città. A Gyaur Kala sono concentrati molti edifici industriali dell'era abbaside: forni per la lavorazione di ceramica, acciaio, ferro, rame ed altri materiali. Sembra che Gyaur Kala sia stato il quartiere degli artigiani per tutta l'era abbaside e nel periodo pre-selgiuchide.
Sultan Kala
Sultan Kala è senza dubbio la più grande tra le città di Merv. Le fonti scritte stabiliscono che fu Abu Muslim, leader della ribellione abbaside, a simboleggiare la nascita del nuovo califfato con la costruzione di strutture monumentali ad ovest delle mura di Gyaur Kala, nell'area che diverrà Sultan Kala. La zona venne rapidamente murata e divenne il cuore della Merv medievale; i secoli di prosperità che seguirono sono dimostrati dalla gran quantità di köshk abbasidi scoperti all'interno e all'esterno di Sultan Kala. I Köshk erano edifici unici nell'Asia centrale di quel periodo. Una specie di palazzi a due piani semi-fortificati dalle mura ondulate, e venivano abitati dall'élite del tempo. Si suppone che all'inizio venissero usati come magazzino, ma che in futuro divennero residenze. I tetti erano contornati da parapetti, comuni nei quartieri residenziali.
Il più grande köshk abbaside di Merv, che è anche uno dei meglio conservati, è il Grande Kyz Kala, situato poco fuori dalle mura occidentali di Sultan Kala; Questa struttura era composta da 17 stanze che circondavano una corte interna. Il vicino Piccolo Kyz Kala ha mura estremamente spesse, con increspature profonde, e scale interne che conducevano agli appartamenti del secondo piano. Tutti i köshk sono in precario stato di conservazione.
Le più importanti costruzioni di Sultan Kala, tra quelle che sono sopravvissute, sono gli edifici selgiuchidi. Nell'undicesimo secolo i nomadi turchi Oghuz, ex vassalli dello Scià di Corasmia (Khwārezm-Shāh) nelle steppe settentrionali, iniziarono a muoversi verso sud sotto la guida del clan selgiuchide e del suo re Tugril Beg. Tugril conquistò Merv nel 1037 ridando linfa alla città; con i suoi discendenti, soprattutto con Sanjar, che vi prese la residenza, Merv si ritrovò al centro di un grande impero multiculturale.
Le prove di questa prosperità si trovano in tutta Sultan Kala. Molte di queste sono concentrate nella cittadella, Shahryar Ark[non chiaro], sul lato orientale. Al centro di Shahryar Ark si trova il palazzo selgiuchide, costruito probabilmente da Sanjar. Le mura di mattoni di fango sopravvissute mostrano che il palazzo, relativamente piccolo, era composto da piccole stanze al pianterreno che circondavano una corte interna a cui si accedeva per mezzo di quattro iwan, uno per lato (Ettinghausen 276). Le depressioni trovate nei pressi sembrerebbero dimostrare l'esistenza di un lago artificiale; giardini simili vennero trovati in altri palazzi dell'Asia centrale. Sfortunatamente tutti gli ornamenti interni ed esterni sono stati persi in seguito all'erosione o ai furti.
Un'altra famosa struttura selgiuchide all'interno dello Shahryar Ark è il kepter khāna, o "piccionaia". Questo edificio misterioso, tra i meglio conservati dell'oasi di Merv, comprendeva una stanza quasi priva di finestre e molti scaffali lungo i muri. Alcune fonti suppongono che il kepter khana (presente anche in altre città asiatiche) fosse un luogo di allevamento dei piccioni, al fine di raccoglierne il guano usato per concimare le famose coltivazioni di meloni di Merv. Altre fonti credono che si tratti di biblioteche o depositi di tesori, e questo sarebbe dimostrato dalla loro ubicazione nei pressi di altri edifici importanti.
La struttura meglio conservata di tutta Merv è il duecentesco mausoleo del sultano Sanjar, anch'esso a Sultan Kala. È il più grande dei mausolei selgiuchidi e il primo di tipo moschea-mausoleo, un abbinamento che diventerà comune in seguito. È quadrato, di 27 metri per lato, con due entrate sui lati opposti; una grande cupola centrale è sostenuta da un sistema ottagonale, e gli archi coprono gli interni. L'esterno della cupola era colorato di azzurro e la sua altezza era imponente; si dice che le carovane in arrivo potessero vedere il mausoleo ad un giorno di marcia dalla città. Le decorazioni, in puro stile selgiuchide, sono tradizionali, con lavori di stucco all'interno e decorazioni geometriche di mattoni, ora perse quasi completamente, all'esterno. Ad eccezione dei decori esterni, il mausoleo è intatto per la maggior parte e restano, fin dal XII secolo, una delle principali attrazioni turistiche di Merv.
Un ultimo gruppo di rovine selgiuchidi è composto dalle mura di Sultan Kala. Queste fortificazioni, molte delle quali sono rimaste, iniziano come mura di mattoni di fango alte 8 o 9 metri, all'interno delle quali erano situate stanze dalle quali i soldati potevano scoccare le frecce. Ci sono torri a ferro di cavallo alte da 15 a 35 metri. Queste mura, comunque, non si dimostrarono efficaci a causa dello scarso spessore che le rendeva fragili ai colpi delle catapulte e dell'altra artiglieria. Dalla metà del XII secolo le gallerie vennero riempite e le mura rafforzate. Un secondo muro, più piccolo, venne costruito di fronte a quello principale, e infine i sobborghi cittadini, conosciuti adesso come Iskender Kala, vennero cintati con mura spesse alte 5 metri. I tre muri si rivelarono sufficienti per respingere almeno la prima offensiva dei mongoli, prima che la città cadesse nel 1221.
Sono state recuperate molte ceramiche risalenti all'era abbaside e selgiuchide, principalmente da Gyaur Kala, dalle mura di Sultan Kala, e dallo Shahryar Ark. Le ceramiche di Gyaur Kala furono all'inizio abbaside, ed erano bocce colorate di rosso con disegni geometrici. Le ceramiche recuperate dalle mura di Sultan Kala sono perlopiù gialle e verdi, e risalgono all'XI-XII secolo. Sono molto simili per stile a quelle di Nishapur. Bocce azzurre e nere vennero scoperte nel palazzo di Shahryar Ark, insieme ad un interessante deposito di materiale in stile mongolo probabilmente risalente alla fallimentare rifondazione avvenuta sotto gli Īl-Khān. Della stessa era sembrerebbe essere una maschera in ceramica usata per la decorazione delle mura, e ritrovata tra le rovine di quello che si crede essere un tempio buddista costruito dai Mongoli nei sobborghi meridionali di Sultan Kala.
AZERBAIGIAN - Riserva di Qobustan
La riserva statale di Qobustan si trova ad ovest dell'omonimo insediamento, circa 60 chilometri a sudovest di Baku, in Azerbaigian, e venne istituita nel 1966 allorché la regione venne dichiarata di principale interesse storico per la nazione, nel tentativo di preservare le antiche sculture, i vulcani di fango e altre particolarità sia naturalistiche che storiche in essa contenute. Nel 2007 la riserva statale di Qobustan è stata inserita nell'elenco dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.
Fra i tesori archeologici che si trovano nella regione sono di notevole importanza gli esempi di arte rupestre, oltre 600.000 rappresentazioni di uomini primitivi, animali, battaglie, danze rituali, imbarcazioni, carovane di cammelli, soggetti astronomici, per la maggior parte databili fra 5.000 e 20.000 anni fa, una testimonianza delle condizioni di vita preistorica nel Caucaso.
Fra il 1961 e il 2002, anno della sua morte, l'antropologo norvegese Thor Heyerdahl si recò più volte in questa regione, alla ricerca delle origini del popolo vichingo.
Si stima che circa 300 dei 700 vulcani di fango del pianeta si trovino in Azerbaigian e nel Mar Caspio. Molti di essi si trovano all'interno dei confini della riserva statale e sono diventati un'attrazione turistica, grazie anche al fatto che il fango eruttato si crede abbia benefiche proprietà mediche. Nel 2001 uno di questi vulcani iniziò un'attività eruttiva con fiamme alte fino a 15 metri.
AZERBAIGIAN - Grotte di Azokh
Le grotte di Azokh (anche Azykh) sono un complesso di cavità sotterranee ubicato nella regione Nagorno Karabakh nella città di Hadrut, nei pressi del villaggio di Togh. Il sito risulta di interesse oltre che per ragioni geologiche e naturalistiche anche per essere stato accertato come luogo di dimora dell'uomo della pietra.
Le prime intensive indagini risalgono agli anni sessanta allorché cominciarono le ricerche che confermarono come le grotte siano state una delle più antiche abitazioni proto umane in Eurasia.
Ossi umani riferibili all'Uomo di Neanderthal e databili a circa 300.000 anni fa furono trovati dall'archeologo azerbaigiano Mammadli Huseynov (1922-1994) nel 1968 e sono ora conservati all'Accademia delle Scienze di Baku.
Archeologi hanno ipotizzato che ulteriori ritrovamenti negli strati più bassi delle caverne possano essere riconducibili alla cultura pre acheuleana del Paleolitico Inferiore (750.000–1.500.000) e in alcuni casi simili a ritrovamenti avvenuti in Tanzania e Francia.
Nuove e più specifiche indagini furono portate avanti a partire dalla metà degli anni novanta. Ulteriori ed importanti ritrovamenti (resti umani e materiali) si ebbero nel 2002; in base a tali scoperte si può affermare che il sito è stato abitato da ominidi per quasi due milioni di anni.
Le grotte si compongono di sei “camere” collegate l'una all'altra da differenti passaggi. Le stesse presentano suggestive ed originali decorazioni pittoriche. In una delle sale sono stati rinvenuti resti dell'uomo di Mustryeryan con tre denti. Complessivamente sono stati rinvenute oltre duemila ossa di quarantatré specie diverse di animali, utensili ed oggetti vari.
ARMENIA - Tempio di Garni
Il tempio di Garni (in armeno Գառնու տաճար?, Gaṙnu tačar, ˈgɑrnu ˈtɑtʃɑʁ) è il solo tempio Greco-Romano colonnato rimasto in Armenia. Realizzato in stile ionico e situato nel villaggio di Garni è la struttura e simbolo più conosciuto dell'Armenia pre-cristiana.
L'edificio fu probabilmente fatto costruire da re Tiridate I nel I secolo d.C. in onore al dio del sole Mihr. In seguito alla conversione dell'Armenia al cristianesimo all'inizio del IV secolo venne convertito in una residenza estiva per Khosrovidukht, sorella di Tiridate III. Secondo alcuni studiosi non era un tempio, ma una tomba e per questo sopravvisse alla distruzione delle strutture pagane. Crollò nel terremoto del 1679. L'interesse rinnovato nel XIX secolo portò agli scavi del sito e alla sua ricostruzione tra il 1969 e il 1975. è una delle principali attrazioni turistiche dell'Armenia e il santuario centrale del neopaganesimo armeno.
Il tempio è situato sull'orlo di una scogliera triangolare che sovrasta il burrone del fiume Azat e le montagne di Gegham e fa parte della fortezza di Garni. una delle più antiche fortezze armene. è menzionato come Gorneas negli Annales di Tacito del I secolo. La fortezza fu strategicamente significativa per la difesa delle principali città della piana dell'Ararat.
La data precisa di costruzione del tempio è sconosciuta e soggetta a dibattito. L'opinione maggioritaria è che sia stato costruito nel 77 d.C. durante il regno di Tiridate I. Questa data è stata calcolata sulla base di un'iscrizione in greco antico (nella foto aa sinistra), scoperta dall'artista Martiros Saryan nel 1945 su un muro della fortezza, che nomina Tiridate il Sole (Helios) come fondatore del tempio. L'iscrizione è danneggiata e varie letture sono possibili.
La maggior parte degli studiosi attribuisce l'iscrizione a Tiridate I e poiché questa dice che il tempio fu costruito nell'undicesimo anno del suo regno, si ritiene che sia stato completato nel 77 d.C. La data è legata principalmente alla visita di Tiridate I a Roma nel 66 d.C., dove fu incoronato dall'imperatore Nerone. Per ricostruire la città di Artaxata, distrutta dal generale Romano Gnaeus Domitius Corbulo, Nerone diede a Tiridate 50 milioni di dracme e fornì artigiani Romani. Al suo ritorno in Armenia Tiridate iniziò un grande progetto di costruzioni, inclusa la ricostruzione della città fortificata di Garni. È in questo periodo che si ritiene che il tempio sia stato costruito.
Si pensa che il tempio sia stato dedicato a Mihr, il dio del sole della mitologia armena, influenzata dal Zoroastrianismo ed equivalente a Mithra. Tiridate, come altri monarchi armeni, considerava Mihr come patrono. Alcuni studiosi hanno sostenuto che nel contesto storico nel quale il tempio fu eretto, ciò al ritorno da Roma come re, è naturale che Tiridate dedicasse il tempio al suo dio patrono. Inoltre sono stati scoperte sculture in marmo bianco di zoccoli di toro a circa 20 metri dal tempio, che potrebbero essere i resti di una scultura del dio Mihr, che veniva spesso ritratto in lotta con un toro.
All'inizio del IV secolo, quando il re armeno Tiridate III adottò il cristianesimo come religione di stato, praticamente tutti i luoghi di adorazione pagani furono distrutti. Il tempio di Garni è la sola struttura pagana, ellenistica, e greco-romana ad essere sopravvissuta alla distruzione. Rimane sconosciuto il motivo.
Secondo Movses Khorenatsi una residenza estiva fu fatta costruire all'interno della fortezza per Khosrovidukht, la sorella di Tiridate III. Per questo motivo furono fatte alcune modifiche al tempio. L'altare sacrificale all'esterno del tempio e la statua di venerazione nella cella furono rimosse. L'apertura nel tetto fu chiusa. La struttura di pietra per rimuovere l'acqua dal tetto fu anch'essa rimossa, mentre l'entrata del tempio fu modificata.
Sui muri del tempio c'è una serie di graffiti in arabo, datati al IX-X secolo. Sul muro dell'ingresso del tempio c'è un'iscrizione in armeno datata 1291 e lasciata dalla principessa Khoshak of Garni, nipote di Ivane Zakarian, della famiglia zakaride, comandante delle forze georgiane-armene all'inizio del XIII secolo, e da Amir Zakare, figlio di Khoshak. Racconta dell'esenzione della popolazione di Garni da tasse in forma di vino, capre e pecore.
Tutte le colonne del tempio collassarono in seguito a un devastante terremoto il 4 luglio 1679, il cui epicentro si ritiene sia stato localizzato nella gola di Garni. La maggior parte dei blocchi rimasero sparsi sul sito e fu possibile ricostruirlo alla fine degli anni 1960 riutilizzando fino all'80% del materiale originale.
Nel 1949 l'Accademia nazionale delle scienze armena iniziò una serie importante di scavi sul sito della fortezza di Garni, condotti da Babken Arakelyan. Lo storico dell'architettura Alexander Sahinian si concentrò sul tempio. Fu solo circa vent'anni dopo che il 10 dicembre 1968 il governo armeno sovietico approvò il piano di ricostruzione del tempio. Un gruppo condotto da Sahinian iniziò i lavori nel gennaio 1969. L'opera fu completata nel 1975, circa 300 anni dopo il sisma del 1679 che l'aveva distrutto. Il tempio fu quasi completamente ricostruito usando le pietre originali, eccetto per quelle mancanti per le quali si usarono pietre bianche che fossero facilmente riconoscibili. Nel 1978 fu eretto un monumento a Sahinian nelle vicinanze del tempio.
Il tempio è un periptero (un tempio circondato da un portico colonnato) costruito su un podio elevato. È stato costruito con pietra in basalto grigio estratto localmente. Il tempio è formato da un pronao e una cella (naos, nella foto a sinistra). Il tempio è supportato da un totale di 24 colonne alte 6,54 m di ordine ionico: sei di fronte, sei sul retro e otto sui lati (le colonne d'angolo sono contate due volte). Basandosi su un'analisi comparativa Sahinian ritiene che le colonne provengano dall'Asia Minore.
Il frontone triangolare ritrae piante e figure geometriche. La scala ha nove scalini inusualmente alti (30 cm), circa il doppio del solito. Tananyan suggerisce che questo possa essere voluto per inspirare un senso di umiltà nelle persone fisiche e per richiedere uno sforzo fisico per raggiungere l'altare. Su entrambi i lati della scala ci sono dei piedistalli rozzamente squadrati. Su entrambi è scolpito Atlante, il titano che sostiene la terra, in una maniera che sembra che sostenga il tempio sulle sue spalle. Si assume che originariamente i piedistalli sostenessero altari sacrificali.
L'esterno del tempio è riccamente decorato. I fregi ritraggono una linea continua di acanti. Inoltre sono ornati i capitelli, architravi e il soffitto. Sulle pietre della cornice fontale si proiettano sculture di teste di leone. Un frammento dell'architrave che porta una testa di leone è stata rimossa dal capitano J. Buchan Telfer alla fine del XIX secolo e donata da lui al British Museum in 1907.
La cella del tempio è alta 7,132 m, lunga 7,98 m e larga 5,05 m. A causa delle sue dimensioni relativamente piccole è stato proposto che anticamente contenesse una statua e le cerimonie fossero tenute all'esterno. La cella è illuminata da due fonti: l'ingresso sproporzionatamente grande di 2,29 per 4,68 m e l'apertura del tetto di 1,74 per 1,26 m.
Il tempio divenne una destinazione turistica anche prima del suo restauro negli anni 1970. Oggigiorno è, con il vicino monastero di Geghard, una delle principali attrazioni turistiche in Armenia. La maggior parte delle persone che visitano Garni visitano anche Geghard. I due siti sono spesso noti collettivamente come Garni-Geghard (Գառնի-Գեղարդ). Nel 2013 circa 200000 persone visitarono il tempio.
Il tempio e la fortezza fanno parte del Riserva museale culturale e storica di Garni (in armeno «Գառնի» պատմա-մշակութային արգելոց-թանգարան?), che occupa 3,5 ettari (8,6 acri). Nel 2011 l'UNESCO assegnò al Museo-Riserva di Garni il premio internazionale Melina Mercuri per la protezione e la gestione di panorami culturali per le "misure intraprese per preservare le sue vestigia culturali e l'enfasi messa nello sforzo di interpretare ed aprire il sito per visitatori nazionali ed internazionali."
Dal 1990, il tempio è stato il santuario principale dei seguaci del Neopaganesimo armeno, che tengono annualmente cerimonie al tempio, specialmente il 21 marzo, il nuovo anno pagano.
Il 25 settembre 2014 Maksim Nikitenko, un turista russo ha deturpato il tempio scrivendo con della vertice spray "В мире идол ничто" (letteralmente "Nel mondo, l'idolo non è niente"). La scritta venne cancellata qualche giorno dopo. Il servizio di stato armeno per la protezione delle riserve storiche e culturali ha fatto causa contro Nikitenko nel febbraio 2015, chiedendo il risarcimento del danno risultato dal vandalismo, quantificato in 839.390 Dram armeni (~$1,760). Nell'aprile 2015 la corte della provincia di Kotayk ha condannato Nikitenko a due mesi di detenzione e a una multa per l'ammontare richiesto dal servizio di stato armeno.
ARMENIA - Insediamento di Shengavit
L'insediamento di Shengavit (in armeno Շենգավիթ հնավայր?, Shengavit' hənavayr) è un sito archeologico situato nei pressi del distretto di Shengavit, uno dei dodici distretti in cui è suddivisa Erevan, l'odierna capitale armena, e in particolare su una collina a sud-est del lago Erevan. Il sito è stato abitato dal popolo dei Kura Araxes durante una serie di fasi di insediamento durata approssimativamente dal 3.200 a.C. al 2.500 a.C., durante il periodo dell'età del bronzo che prende il nome proprio dalla sopraccitata civiltà, e poi discontinuamente riutilizzato all'incirca fino al 2.200 a.C. A testimonianza di ciò vi sono i resti di ceramica rinvenuti, che collocano per l'appunto il sito nel periodo Kura-Araxes (o primo periodo Transcaucasico) e nell'area culturale Shengavitiana.
Sembra che l'insediamento di Shengavit fosse un centro molto importante per l'area circostante, sia a causa delle sue insolite dimensioni, che dell'evidente sovrapproduzione di grano e di prodotti metallurgici, sia grazie alle sue mura in pietra larghe quattro metri. Al di fuori di queste ultime sono stati trovati i resti di quattro villaggi più piccoli: Moukhannat, Tepe, Khorumbulagh e Tairov.
Come detto, l'area dell'odierno sito di Shengavit è stata popolata a cominciare perlomeno dal 3.200 a.C., durante il periodo della prima fase dell'età del bronzo chiamato Kura-Araxes e che prende il nome proprio dalla civiltà che abitava allora queti luoghi. Gli scavi del sito archeologico di Shengavit iniziarono nel 1936, sotto la direzione dell'archeologo E. Bayburdian che scavò una fossa di prova sulla collina, dalla quale si evinse che in quel sito sarebbe valsa la pena effettuare ulteriori indagini archeologiche che furono per l'appunto svolte fino al 1938. Nel 1958, gli scavi nel sito furono poi ripresi dall'archeologo S. A. Sardarian, il quale li continuò fino al 1980, lasciando però un lavoro molto poco documentato, che non sempre consentì di risalire ai punti esatti dello scavo in cui erano stati rinvenuti i determinati manufatti.
Nel 2000, a vent'anni di distanza dalla chiusura dell'ultima campagna, fu intrapreso un nuovo e intensivo programma di scavi sotto la guida dell'archeologo Hakop Simonyan, il quale fece realizzare due buche stratigrafiche ai bordi delle vecchie fosse scavate da Bayburdian e Sardarian. Nel 2009 a Simonyan si è unito il professor Mitchell S. Rothman dell'università Widener in Pennsylvania. I due hanno condotto assieme tre serie di scavi, nel 2009, nel 2010 e nel 2012. Durante una di queste, è stata ottenuta una colonna stratigrafica completa del terreno fino al substrato roccioso, la quale mostra 8 o 9 livelli stratigrafici distinti coprendo un lasso di tempo che va dal 3.200 al 2.500 a.C. In aggiunta, sono state trovate anche prove di un uso seguente del sito risalente al 2.200 a.C. Gli scavi hanno portato alla luce serie di edifici larghi, di edifici rotondi con stanze quadrate ediacenti e di edifici rotondi più semplici. Di particolare rilevanza, poi, è stata una serie di costruzioni a scopo rituale scoperta nelle sessioni di scavo del 2010 e del 2012. Nel luglio 2010, Simonyan annunciò la scoperta, nel sito, di ossa di cavallo. Riguardo a tale ritrovamento, il paleo-zoologo tedesco Hans-Peter Uerpmann affermò che molte di quelle ossa provenivano da contesti difficilmente identificabili e che i più antichi dei reperti ossei equini di chiara provenienza, sono quelli trovati da Simonyan nel suo scavo presso il sito di Nerkin Naver, risalente alla media età del bronzo.
Fino a oggi gli archeologi hanno rivenuto larghe mura poligonali corredate da torri che circondavano l'intero insediamento. All'interno delle mura, erano situati edifici a più piani a base sia circolare che quadrata, costruiti in pietra e mattoni di fango. All'interno di alcune delle strutture residenziali sono stati poi rinvenuti focolari rituali e pozzi domestici, mentre nelle loro vicinanze sono stati trovati grandi silos dove grano e orzo venivano conservati per tutti gli abitanti della città. Sempre all'interno della cinta muraria è stato poi ritrovato un passaggio sotterreano che portava dalla città al fiume. Al di fuori delle mura, in particolare in direzione sud-est e sud-ovest, sono invece state scoperte tombe nelle vicinanze di altri tumuli di sepoltura già portati alla luce in diverse serie di scavi precedenti.
Tra gli oggetti (nella foto a sinistra) portati alla luce durante le diverse campagne di scavo ci sono utensili in chert e in ossidiana, teste di mazza, zappe, martelli, punte di lancia, aghi, terraglie e crogioli (che potevano contenere anche 10 kg di metallo fuso). Sono stati trovati anche contenitori per lo stoccaggio di metallo fuso che potevano contenere quantità anche molto maggiori di quelle che la città avrebbe dovuto richiedere. Le grandi quantità di detriti ritrovati e derivanti dalla realizzazione di utensili da taglio in selce e ossidiana, di ceramiche, di processi metallurgici e di armi, hanno fatto inoltre ipotizzare che in città vi fossero gilde organizzate e specializzate in tali produzioni. Gli oggetti di ceramica ritrovati in questo insediamento hanno in genere un caratteristico esterno brunito e un interno rossastro con disegni incisi o rialzati. Questo stile definisce il periodo e si può riscontrare la sua presenza in tutti i terrioti montuosi abitati del primo periodo Transacaucasico.
Durante una delle prime campagne di scavi è stato portato alla luce un largo obelisco di pietra (a destra nella foto) dalla forma vagamente fallica, simile a un altro obelisco ritrovato nel sito di Mokhrablur, quattro chilometri a sud di Echmiadzin, celebre per essere la città più sacra dell'Armenia. Si ritiene che tale scultura, assieme a numerose statuette di argilla più piccole ritrovate nel sito, siano al centro di pratiche rituali un tempo svolte a Shengavit.
ARMENIA - Zorats Karer
Zorats Karer (in armeno Զորաց Քարեր, conosciuta localmente come Դիք-դիք քարեր Dik-dik karer), conosciuta anche come Karahunj, Qarahunj o Carahunge e Carenish (in armeno Քարահունջ և Քարենիշ) è un sito archeologico preistorico posto nei pressi della cittadina di Sisian, nella provincia di Syunik, Armenia. Il sito è anche conosciuto a livello internazionale come la 'Stonehenge armena'.
Il sito si trova alle coordinate di latidutine 39° 34' e longitudine 46° 01', posto su di un altopiano a 1770 metri di altezza e ha una copertura di circa 7 ettari. I resti archeologici sono su un promontorio roccioso sulla riva sinistra del fiume Dar, tributario del fiume Vorotan, nelle vicinanze della cittadina di Sisian.
Lo storico armeno Stepanos Orbelian, nel suo libro 'Storia di Syunic', riporta che nella regione di Tsluk (Yevalakh), vicino al paese di Syunic o Sisian si trovava un villaggio di nome Carunge, che in armeno vuol dire "Pietra del tesoro" o "Pietre di fondazione".
Si pensa che il nome Carahunge possa derivare da due parole armene: car (o kar) che significa 'pietra' e da hunge o hoonch che significa 'suono'. Pertanto il nome Carahunge significherebbe 'pietre parlanti'.
Questa interpretazione è avvalorata dal fatto che, in una giornata ventosa i menhir emettono dei suoni dovuti, probabilmente, a molteplici fori incisi con angolature diverse in tempi preistorici.
Nel 2004 il sito è stato ufficialmente ribattezzato Osservatorio Karahunj (Carahunge) tramite un decreto parlamentare (No. 1095-n, 29 Giugno, 2004).
Il complesso è costituito da diverse sezioni: un cerchio centrale, un braccio che punta a nord, uno a sud, un corridoio puntato in direzione N-E, un settore che attraversa il cerchio centrale e vari menhir sparsi. Il sito si presenta molto ricco di testimonianze antiche come sepolture e cumuli di rocce. In totale sono stati registrati 223 megaliti.
L'altezza media delle pietre varia da 0,5 a 3 metri (dal suolo) e con un peso stimato fino alle 10 tonnellate. Sono realizzate in basalto, molto erose dal tempo e ricoperte da muschi e licheni di diversi colori. La superficie interna dei fori si presenta in condizioni migliori rispetto al resto della pietra. Molte sono rotte e non sono state catalogate.
Di tutti i megaliti presenti sul sito, solo 80 presentano dei fori circolari e di questi solo 37 (con 47 fori) sono ancora in piedi in situ. I menhir sono di grande interesse per gli archeoastronomi russi e armeni, i quali pensano che probabilmente furono utilizzati per osservazioni astronomiche. Diciassette pietre sono state messe in relazioni con l'alba e il tramonto durante solstizi ed equinozi, mentre 14 sono collegati a fasi lunari. Tuttavia sussistono anche dei dubbi, per via del fatto che la superficie interna dei fori non è erosa come l'esterno e pertanto potrebbero non essere stati realizzati in tempi preistorici.
In seguito a dei test eseguiti durante gli anni 1994-2001 dal radiofisico Parigi Herouni, assieme al suo team di ricerca, si è giunti alla conclusione che Carahunge è il più antico osservatorio astronomico al mondo.
Zorats Karer venne studiata nel 2000 da un'équipe di archeologi dell'Università di Monaco di Baviera come parte di uno studio più ampio sui siti preistorici nel sud Armenia. L'équipe ha identificato il sito come una necropoli utilizzata principalmente tra la media età del bronzo e l'età del ferro, trovando enormi tombe in pietra relative a tale periodo. Il leader del team di studio, Stephan Kroll, è giunto alla conclusione che gli allineamenti di pientre erano, in realtà, i resti di una cinta muraria, risalente probabilmente al periodo ellenistico, realizzata per lo più con materiale di riporto e terriccio, mentre le pietre verticali fungevano da rinforzi.
L'archeoastronomo Clive Ruggles ha scritto che: 'Inevitabilmente ci sono state altre affermazioni - molto speculative e meno supportabili - relative al significato astronomico del sito. Una è che può essere astronomicamente databile al VI millennio a.C. e il confronto diretto con Stonehenge, che pochi ormai credono fosse un osservatorio, sono meno utili.'
Una valutazione critica recente del sito ha messo in evidenza diversi problemi con le interpretazioni archeoastronomiche del sito. Il viale nord-est, che si estende per circa 50 metri dal centro, è stato associato in modo incoerente con il sostizio d'estate. Anche il braccio nord non sembra collegato né con fasi lunari che con Venere.
Harouni sostenne che, al fine di utilizzare i fori nei megaliti per osservazioni astronomiche sufficientemente precise per stabilire la data dei solstizi, sarebbe stato necessario limitare il campo di visibilità inserendo uno stretto tubo nelle perforazioni esistenti. Senza queste modifiche, per i quali non vi è alcuna prova archeologica, il significato astronomico rivendicato per gli orientamenti dei fori svanisce. Di conseguenza, González-Garcia ha concluso che le affermazioni archeoastronomiche per il sito sono insostenibili, anche se ulteriori indagini per determinare il potenziale astronomico di Carahunge e siti simili sono da considerare.
ARMENIA - Ereruyk
Ereruyk (in armeno Երերույք), traslitterato anche Yereruyk o Ererouk, è un sito archeologico caratterizzato dalla presenza di un'antica basilica; situato in Armenia, provincia di Shirak, nei pressi del villaggio di Anipemza. Sorge su un altopiano, lungo le sponde del fiume Akhurian che segna il confine con la Turchia, circa cinque chilometri più a sud dell'antica capitale bagratide dell'Armenia, Ani.
La basilica è considerata uno dei più antichi esempi di architettura armena riferibile all'epoca "paleocristiana" (IV-VI sec.) anche se la sua datazione, inizialmente posta al quarto secolo, è stata prima spostata al quinto secolo, poi al sesto secolo. In effetti, non essendo la basilica citata in alcuna fonte, le datazioni proposte vanno considerate ipotetiche. Tuttavia gli studi più recenti che hanno comportato l'analisi delle caratteristiche architettoniche con l'esame della stratigrafia degli elevati, lo studio dei decori scultorei e dell'epigrafia, oltre che il confronto con chiese analoghe in Siria portano a ritenere assai verosimile la datazione al VI secolo
Il nome, in lingua armena, significa tremante; secondo la tradizione popolare, il nome del tempio è derivato dalla sua soluzione architettonica unica della struttura che sembra appunto tremante sulle sue sei colonne per coloro che la osservano a distanza. Ereruyk rappresenta uno dei primi esempi di architettura religiosa armena costruita su pilastri e una delle più grandi strutture medievali ancora esistenti.
L'edificio, a tre navate, strutturato con spesse mura laterali, è una delle più grandi chiese armene dell'epoca. Dotata di portici sui lati Nord, Ovest e Sud, di due pastoforia (cappelle lunghe e strette fiancheggianti l'abside) e di due nicchie absidali esterne all'estremità dei portici laterali, in origine potrebbe essere stata coperta da capriate in legno. Il pastoforia di Nord-Est conserva ancora buona parte delle due volte sovrapposte di cui la superiore è inclinata (più alta verso la navata centrale).
La basilica di Ererouyk presenta delle similitudini con le basiliche siriane tanto nell'impianto architettonico (alte torri angolari sporgenti sulla facciata Ovest) quanto nel decoro scultoreo (bande decorative alle finestre).
All'estremità Est della facciata Sud si trova un'iscrizione greca simile a quella della chiesa siriana di Deir Sem'an della fine del V secolo.
Con Tekor (fine del V secolo) e Zvartnots (VII secolo), è una delle rare chiese armene ad essere costruite interamente su uno zoccolo di 5-6 gradoni simile ad un crepidoma. Gli scavi archeologici hanno però svelato la mancanza di una piattaforma continua sotto l'edificio le cui fondamenta sono poste direttamente sulla roccia.
La basilica fungeva da santuario martiriale: un'iscrizione incisa sulla lesena posta all'angolo Nord-Est dell'abside recita: “martyrion [...] del Precursore e del Protomartire”, cioè dei santi Giovanni Battista e Stefano.
Lungo i lati Sud e Nord vi sono portali a timpano, ornati di dentelli con inscritto un arco leggermente oltrepassato, modellato con una cornice a bande che poggia su due colonne sormontate da capitelli a foglie d'acanto. Le facciate settentrionale e meridionale sono decorate da lesene e fortemente caratterizzate dalla presenza di 4 ampie finestre centinate inquadrate da una cornice a fasce appiattite le cui estremità inferiori sono rivolte ad angolo retto verso l'esterno. Nella parte superiore del muro, all'altezza delle lesene, corre una cornice dentellata.
La facciata Ovest è caratterizzata da due finestre analoghe a quelle della facciata, con differenti elementi decorativi e, nella parte alta della facciata, da una trifora che illuminava la navata centrale.
Le decorazioni scolpite a basso rilievo sugli architravi e sui capitelli dell'abside e delle absidiole alla testa dei portici settentrionale e meridionale, danno molto rilievo al motivo emblematico e apotropaico della croce “di Malta” (a 4 bracci uguali) inscritta in un medaglione, talvolta accostata da animali e/o fiancheggiata da alberi. Il medaglione centrale con la croce è spesso completato da due medaglioni laterali a rosone o margherita. I capitelli che coronano le semicolonne dei portali sono decorati con una stilizzazione delle foglie d'acanto, caratteristica della degenerazione di questa forma decorativa romana antica nelle culture paleocristiane.
La basilica doveva essere dotata di una decorazione dipinta di cui non restano che poche tracce, soprattutto nella finestra absidale e su una composizione in parte cancellata sull'architrave del portale Ovest della facciata Sud.
La vasta area archeologica che circonda la basilica comprende anche, oltre a numerosi frammenti scultorei, soprattutto delle steli, disperse tutto attorno alla basilica, una cinquantina di pietre tombali a sella su plinto ed i resti di diverse costruzioni: a) un muro di cinta a contrafforti ed esedre a Nord ed a est della basilica; b) in basso, a Nord-Est, nel vallone, le vestigia di un edificio voltato, un tempo interpretato come una cisterna ma corrispondente più verosimilmente ad un mausoleo, verosimilmente menzionato da N. Marr come dedicato a san Teodoro; c) a Sud della basilica, un numero insolitamente elevato (tra sei e otto) di piedistalli a gradoni che supportavano dei monumenti commemorativi a stele crucifera, attorno ai quali era stato realizzato un cimitero che ha funzionato per un lasso di tempo molto lungo, dal tardo antico fin quasi ai nostri giorni; d) leggermente più lontano, a Ovest e a Sud della basilica, i resti di tre o quattro muri che un tempo chiudevano il vallone, senz'altro per trattenere l'acqua ma anche, probabilmente, con funzione di viadotto; f) due stanze rupestri scavate nella parete rocciosa, a Nord della basilica.
Il sito di Ererouyk ed i suoi territori circostanti furono strettamente legati alle sorti della città di Ani come dimostra un'iscrizione posta sul lato Est della chiesa di San Giovanni ad Ani, datata attorno al 1200 in cui il generale Zakaré dichiara di aver ricevuto in dono il villaggio Lagaj situato di frontre al monastero ed Ererouyk "con tutte le sue terre e la primavera dei giardini fioriti". Tra il 1200 ed il 1600 non si trova alcuna notizia su Ererouyk che tra il 1600 e il 1700 doveva essere già abbandonata come dimostrerebbero due iscrizioni greche, probabilmente realizzate da viaggiatori dell'epoca, che N. Marr narra di aver trovato all'interno della basilica. A metà ottocento risalgono i primi studi e rilievi della basilica (H. Shakhatounyan, 1842; H. Abich, 1844; G. Alishan, 1881) che riportano una situazione molto simile all'attuale (fatta eccezione per la torre Sud Ovest, ora completamente crollata).
I primi scavi archeologici sul sito vengono organizzati e diretti da N. Marr con la partecipazione di T. Thoramanyan, A Fetfajian, S. N.. Poltarazkin, H. Orbeli e N. N. Tichonov nell'estate del 1908 e comportano la realizzazione di alcuni sondaggi all'interno della chiesa ed il riordino ed il rilievo delle decorazioni scultore di cui le più belle vengono portate presso il museo di Ani e in seguito vanno perdute.
Nel 1928 il Comitato per la Conservazione dei Monumenti dell'Armenia, in seguito alle sollecitazioni dell'architetto Alexandre Tamanyan, intraprende dei lavori di riassetto delle rovine e di restauro dello stilobate e di altre parti pericolanti della chiesa. A quell'epoca il villaggio curdo nei pressi della basilica è completamente abbandonato. Ulteriori lavori di consolidamento e scavo vengono realizzati nel 1948 sotto la direzione dell'architetto Sahinian che fa ricollocare la parte inferiore dell'iscrizione del 1038 e sostituire le pietre della parte inferiore della parete Sud.
Ulteriori lavori vengono progettati ed in piccola parte realizzati sotto la direzione dell'architetto Vahagn Grigoryan verso la fine degli anni '80. Il grave terremoto del 1988 provoca danni ingenti anche alla basilica di Ererouyk che viene inserita dal Governo armeno nella lista dei monumenti da salvare quando il Governo italiano offre un supporto tecnico per il consolidamento degli edifici danneggiati dal sisma. nel 1989 e nel 1991 vengono organizzate due missioni di esperti italiani per il rilievo (diretto dagli architetti P. Torsello e N. Gianighyan dell'IUAV di Venezia) e la valutazione del dissesto strutturale (prof. Locatelli, Politecnico di Milano). Il 25 agosto 1995 il sito è stato inserito nella "Lista provvisoria" del Patrimonio dell'umanità dell'UNESCO. Nel 2016 il sito è stato nominato uno dei 7 siti più in pericolo d'Europa nell'ambito del progetto di salvaguardia "The 7 Most Endangered" lanciato dall'organizzazione Europa Nostra in partenariato con l'Istituto della Banca europea per gli investimenti.
IRAQ - Shanidar
Shanidar (in curdo Şaneder) è una grotta posta ai piedi dei monti Zagros, nel Kurdistan iracheno. Il sito venne scoperto e studiato tra il 1957 e il 1961 da Ralph Solecki e dalla sua squadra della Columbia University; durante gli scavi venne trovato il primo scheletro di un Neanderthal adulto in Iraq, risalente al Paleolitico Medio (LXXX millennio a.C.).
Il proseguimento degli scavi ha prodotto nove scheletri di Neanderthal di varie età e stato di conservazione; i ritrovamenti suggeriscono che questi possedessero dei riti funebri, avendo seppellito i propri antenati con dei fiori. I resti di questi ritrovamenti sono i calchi inviati e preservati alla Smithsonian Institution, mentre probabilmente gli originali sono andati perduti in Iraq.
Il sito archeologico di Šanidar è noto soprattutto per i suoi reperti catalogati Šanidar I e IV. Šanidar I è l'individuo più anziano, ed era stato soprannominato dai suoi scopritori Nandy; aveva una età di 40-50 anni, una età molto considerevole per un uomo di Neanderthal, e presentava diversi segni di deformità. Era uno dei quattro scheletri che mostravano serie deformità dello scheletro a causa di ferite o traumi. In un impreciso momento della sua esistenza, Šanidar I subì un forte colpo sulla parte frontale sinistra, provocandogli una frattura nell'orbita sinistra tale da renderlo parzialmente o totalmente cieco dall'occhio sinistro.
Nandy subì probabilmente anche una distorsione del braccio destro, con eventuali fratture, che gli causarono la perdita dell'avambraccio e della mano. Le cure prestate ai traumi di questo individuo mostrano che i Neanderthal si occupavano dei loro anziani e dei loro malati, che diventavano oggetto di premure dell'intero gruppo. Shanidar II era un maschio adulto, probabilmente morto per una caduta poiché presenta fratture multiple sulle ossa dello scheletro e del cranio. Esistono prove evidenti che questo individuo ha ricevuto una sepoltura rituale tramite l'impilamento di alcune pietre lavorate nella sua tomba.
IRAQ - Taq-i Kisra
La Taq-i Kisra è un monumento persiano nella città di Al-Mada'in, l'unica struttura visibile restante della città di Ctesifonte. Si trova vicino alla moderna città di Salman Pak, in Iraq. Il palazzo sarebbe stato costruito durante il regno dell'importante sovrano sassanide Cosroe I (531-579), anche se questa teoria, oggi largamente accettata, non è universalmente riconosciuta; il palazzo è talvolta attribuito a Sapore I, il secondo sovrano sassanide (240-272), sulla base di fonti letterarie successive. Sotto di lui, Ctesifonte era già la principale residenza dell'Impero sassanide. Tuttavia, la maggior parte degli studiosi ritiene che, dopo aver sconfitto in modo decisivo gli Unni bianchi intorno al 560 e aver stipulato la pace con Roma orientale, Cosroe I abbia fatto ampliare il suo palazzo, che comprendeva l'arco di Taq-e Kisra. Di questa residenza sassanide, un tempo molto grande, rimane oggi solo una piccola parte, insieme all'arco.
Nel 637, il complesso fu catturato e saccheggiato dagli arabi nell'ambito dell'espansione arabo-islamica. Il palazzo fu quindi temporaneamente utilizzato come moschea.
Sebbene il monumento sia stato danneggiato nel 1909 da un'inondazione, sotto l'era di Saddam Hussein venne ricostruita l'ala nord, ma i lavori si sono fermati con la Guerra del golfo.
È chiamato Jass Taq nel resoconto che l'ecclesiastico Barthélemy Carré (1636-1700) fece del suo viaggio in Oriente (Voyage des Indes orientales, 1699). L'orientalista François Pétis de La Croix (1653-1713), nel suo Extrait des voyages de Pétis de La Croix, rédigé par lui-même, riporta i nomi Eïvan Anouchyrvan e Takt-kisra.
Una delle prime descrizioni moderne è quella di Robert Byron:
«Il suddetto arco ha un'altezza di 40 metri e la luce di 27. Costruito di fango, è durato ciò nondimeno quattordici secoli. Esistono delle foto che presentano due lati invece di uno, e anche la facciata dell'arco. Nell'insieme, i mattoni crudi sono di un bellissimo beige biancastro, e risaltano contro il cielo che è di nuovo azzurro, ora che siamo fuori da Baghdad. La base è stata consolidata di recente, probabilmente per la prima volta dalla sua costruzione.» (Robert Byron, La via per l'Oxiana)
La costruzione iniziò sotto il regno di Cosroe I, dopo una campagna contro i Bizantini nel 540. L'arco era di circa 37 metri, alto 26 metri e lungo 50 metri, il più grande mai costruito all'epoca. La forma dell'arco si avvicina ad una precisa legge matematica: la catenaria, chiamata così da Huygens nel 1691.
L'intero complesso era caratterizzato da un cortile rettangolare attorno al quale erano raggruppate quattro ali. La volta in mattoni, larga oltre 24,5 metri e alta 33, copriva la sala del trono, lunga 48 metri, dove i principi sassanidi tenevano udienze vestiti di broccato e seta. La costruzione è parabolica, motivo per cui l'arco appare particolarmente grande. L'arco ha uno spessore di sette metri vicino al pavimento e di un metro in cima. Secondo una tecnica mesopotamica, i mattoni vicino al suolo erano disposti orizzontalmente e quelli dell'arco a spigolo. Esperti dell'imperatore romano d'Oriente Giustiniano hanno contribuito alla costruzione. Nonostante l'altezza, non furono utilizzate impalcature. Nella sala a volta (o ad arco) sono stati incorporati rilievi marmorei romano-bizantini e mosaici raffiguranti la conquista di Antiochia. Tra le altre insegne del potere, un tappeto di 27 × 27 metri (Bahār-e Kisra) ai piedi dell'imperatore sasanide e una magnifica, enorme corona appesa al soffitto dell'arco (attaccata a una catena d'oro). Il possente Ivan era incorniciato su entrambi i lati da facciate in mattoni a sei piani con architravi, anche se non è chiaro se questi avessero echi romani o ellenistici. Le facciate erano decorate con archi ciechi e colonne. Queste nascondevano gli altri ambienti del complesso del palazzo. L'arco è il più grande iwan sopravvissuto del periodo pre-islamico. L'ideale di combinare gli spazi abitativi e di organizzarli attorno a un cortile fortificato era una caratteristica comune del palazzo. L'ideale di raggruppare gli spazi abitativi e di disporli attorno a un cortile fortificato divenne in seguito parte integrante dell'architettura iraniana e si riflette anche in questo edificio. A partire dal IV secolo, il metodo di costruzione a conci fu sempre più sostituito da mattoni più fini e da malte di gesso. Inoltre, gli ornamenti in stucco furono sempre più utilizzati.
Secondo fonti successive, il palazzo conteneva un tappeto da giardino con un motivo a scacchiera di 27 × 27 metri. Era chiamato Bahār-e Kisra. Il tappeto raffigurava aiuole, alberi da frutto, sentieri e canali d'acqua e padiglioni all'incrocio. Era intessuto di metalli preziosi. I rami degli alberi erano raffigurati in oro e argento, i fiori e i frutti erano rappresentati da pietre preziose, i corsi d'acqua da vetri di cristallo. In onore del re sasanide, che in Oriente è ancora avvolto nella leggenda, il folklore iraniano si riferisce al tappeto come alla "Primavera di Cosroe" o "Baharestan".